Nel 1956, le
rivelazioni del XX Congresso del PCUS sui crimini di Stalin e poi i
fatti d'Ungheria, mettono in forte difficoltà il PCI che mantenne,
nonostante la defezione di molti intellettuali, comunque una salda
presa sulla classe operaia. Eppure i timori di una forte perdita “a
sinistra” furono forti come dimostra questo nostro lavoro di
qualche anno fa.
Giorgio Amico
Quando Azione
Comunista faceva paura al PCI
Sull'esperienza di Azione
Comunista negli anni Cinquanta si è scritto finora poco. Nella
sterminata bibliografia sulla storia del PCI nel dopoguerra, se si
eccettuano i contributi di Giorgio Galli, Danilo Montaldi e Arturo
Peregalli, rarissimi sono stati gli accenni a Azione Comunista, così
d'altronde come alle dissidenze storiche trotskiste e bordighiste.
Nei casi migliori vi si è accennato di sfuggita con accenti
liquidatori e riduttivi, se non derisori. La realtà che emerge dai
verbali della Direzione comunista nel 1956, da poco raccolti e
pubblicati*, è del tutto diversa. il gruppo dirigente del PCI non
sottovalutava affatto la portata del dissenso rappresentato dal
giornale di Seniga e Fortichiari, che considerava anzi una concreta
minaccia al controllo fino ad allora esercitato sulle masse
proletarie. Senza eccezioni, da Togliatti a Amendola, da Secchia a
Pajetta, i massimi dirigenti del PCI seguono con attenzione la
parabola della dissidenza azionista, prima frazione semiclandestina
interna al partito, poi rivista d'area ed infine organizzazione
politica indipendente col nome di Movimento della Sinistra Comunista.
Già nella riunione della
direzione comunista del 29 marzo 1956, totalmente dedicata al XX
Congresso del PCUS, Secchia, considerato da molti nel partito anche
per gli stretti rapporti avuti con Seniga il vero ispiratore della
dissidenza di sinistra, rileva in un intervento dai toni volutamente
tranquillizzanti che nelle riunioni svolte nelle Federazioni "non
si sono notate posizioni antipartito", nonostante
l'atteggiamento irresponsabile di quei dirigenti che, come Terracini,
si sono lasciati andare e hanno ecceduto nelle critiche all'URSS
staliniana. E' la spia di un malessere reale. Certo la stampa tende a
esasperare i toni, ingigantendo le dimensioni della dissidenza, ma
resta il fatto che l'intero gruppo dirigente, Togliatti in testa, al
di là delle sprezzanti minimizzazioni pubbliche, cova il timore che
l'intenso lavoro di propaganda svolto da Seniga e Fortichiari possa
raccogliere significativi consensi alla base del partito.
Alcuni mesi più tardi,
in estate, nell'ambito di una discussione in Direzione sui contatti
in corso con Cucchi e Magnani in vista di un loro possibile rientro
nel partito, ancora Secchia allude esplicitamente alle forti riserve
espresse dalla base milanese in merito all'espulsione dalle fila
comuniste di Luciano Raimondi, comandante partigiano e direttore del
Convitto Rinascita, con Seniga e Fortichiari uno dei principali
esponenti di A.C. venuti allo scoperto.
La situazione si fa
critica con l'esplodere in autunno della rivoluzione ungherese. Nella
Direzione del 30 ottobre, interamente dedicata alla discussione dei
fatti d'Ungheria, la discussione assume toni drammatici. In tutti gli
interventi aleggia il timore che il dissenso non resti confinato agli
intellettuali, ma dilaghi anche nella base operaia. Da più parti si
mette in evidenza l'apparire di preoccupanti segni di disorientamento
anche fra i militanti operai più fedeli al partito. Ancora una volta
il timore è che Azione Comunista possa sfruttare la situazione e
offrire uno sbocco politico organizzato al dissenso che cova nelle
sezioni soprattutto nel triangolo industriale. Un allarmato Pajetta
segnala che intellettuali di primo piano come Geymonat sarebbero in
procinto di rompere con il PCI, ma a differenza di quanto finora
accaduto con i dissidenti in uscita verso la socialdemocrazia, questa
volta lo strappo avverrebbe a sinistra in direzione di Azione
Comunista. A sua volta Dozza evidenzia l'aumento della diffusione del
settimanale azionista, mentre Colombi mette in guardia dal pericolo
di spingere quella parte del partito, sempre più visibilmente
amareggiata e delusa, direttamente nelle braccia di Seniga.
Lo sbandamento è forte.
Al gruppo dirigente comunista occorrerà un altro mese per mettere a
punto una decisa controffensiva sul terreno politico, ideologico e
organizzativo. Nella Direzione del 21 novembre 1956 in preparazione
dell'VIII Congresso del partito, tocca a Giorgio Amendola, quale
responsabile della Organizzazione, aprire i lavori. Nella relazione
introduttiva il PCI viene chiamato ad un intenso sforzo di
rinnovamento, mentre tra gli obiettivi del congresso particolare
rilievo assume la risposta decisa nelle sezioni e nelle federazioni
al "lavoro di Azione Comunista e di elementi di destra che
abbandonano i nostri principi".
Pur pagando un prezzo
elevato nella società, con una forte emorragia di iscritti e una
verticale caduta di consensi tra gli intellettuali, nelle fabbriche
il PCI supererà la prova del 1956. In ciò agevolato anche dai
limiti soggettivi dello stesso nucleo dirigente di Azione Comunista
che si dimostrerà incapace di superare il proprio eclettismo e di
dare respiro politico al malessere profondo di consistenti
avanguardie operaie prigioniere dei miti convergenti dell'URSS
staliniana e della Resistenza tradita. Su questo terreno il recupero
per il PCI si rivelerà più agevole del previsto, ma per un momento,
in quel "terribile 1956" del XX Congresso e
dell'insurrezione ungherese, Azione Comunista riuscirà realmente a
incutere timore agli abitanti del tetro palazzone in via delle
Botteghe Oscure.
* Quel terribile 1956. I
verbali della Direzione comunista tra il XX Congresso del PCUS e
l'VIII Congresso del PCI, Editori Riuniti 1997
(Appunti Marxisti n.3
Autunno 1997)