Milano. Anni '60
A partire dal voto
sull'adesione alla NATO nel 1949 il Movimento Sociale Italiano puntò
a diventare il più saldo alleato degli USA in Italia. Nel clima
della Guerra fredda e del confronto globale fra i blocchi i
neofascisti ritrovavano un loro spazio politico come la
forza più coerentemente anticomunista.Da forza antisistema (vedi i
Fasci di Azione Rivoluzionaria negli anni del dopoguerra), i missini
diventano il puntello estremo della pregiudiziale anticomunista del
sistema di potere DC. Questo scatena non poche contraddizioni all'interno del partito, soprattutto nella sinistra socializzatrice che si rifà alla Carta di Verona, tra gli ex-combattenti della RSI e soprattutto fra gli evoliani. Un libro ricostruisce oggi questa storia complessa.
Guido Panvini
Destra, le radici di
una svolta nel rapporto tra Usa e Msi
La storia delle destre
nell’Italia repubblicana rimane ancora oggi un oggetto nebuloso. In
particolar modo quella del neofascismo appare come un tema difficile:
non in conseguenza di un tabù, come lamenta, in primo luogo,
l’intellighenzia di area, quanto piuttosto per l’inadeguatezza
delle chiavi interpretative e delle metodologie di ricerca impiegate
nel suo studio. Il bel libro di Gregorio Sorgonà, La scoperta
della destra. Il Movimento sociale italiano e gli Stati
Uniti (Viella, pp. 308, euro 25) contribuisce a fare chiarezza
su un argomento in cui dominano, ancora, pregiudizi, antiche
categorie e molta pigrizia intellettuale.
Il saggio ricostruisce il
dibattito interno al Movimento sociale sul ruolo degli Stati Uniti
nella politica nazionale e internazionale, dal dopoguerra fino alla
dissoluzione del partito guidato da Giorgio Almirante. L’attenzione
viene rivolta alle diverse fasi della guerra fredda e alle
ripercussioni che ne conseguono nella cultura politica del Msi.
Lungi dall’apparire
come un piccolo universo monolitico, il Movimento sociale viene
restituito in tutta la sua pluralità. Certamente compatti e uniti
contro una realtà avvertita come ostile, i neofascisti si dividevano
in realtà su tutto il resto. Le differenze si stagliavano molto al
di là delle correnti di partito, riguardando tutti i campi con cui
il Msi si confrontava.
La politica
internazionale costituisce un osservatorio privilegiato dal quale
cogliere l’eterogeneità espressa dal neofascismo. Sorgonà
ricostruisce bene la complicata dinamica d’interazione tra
l’anticomunismo, il minimo comun denotatore delle diverse anime del
partito, e le spinte nazionaliste, più o meno aggressive, ricorrenti
negli anni della guerra fredda. Tra i due poli della questione
sembrerebbe non esserci contraddizione, ma la serie di dilemmi che
questi indirizzi aprivano erano tanti e di cruciale importanza: fino
a che punto e in che misura gli Stati Uniti potevano considerarsi un
riferimento per la destra neofascista? Quali erano le possibilità di
compromesso che si potevano accettare con l’ordine internazionale
bipolare deciso dalle due superpotenze?
Il Movimento Sociale è
stato a lungo considerato come uno instrumentum regni degli Stati
Uniti nell’Italia della guerra fredda. La sua cultura politica,
conseguentemente, non doveva essere presa troppo sul serio: come se i
dibattiti interni al partito fossero una cortina fumogena che
mascherava, in realtà, un’unitarietà d’intenti e di obiettivi.
Tra l’altro, come
dimostrano le ricerche d’archivio condotte da Sorgonà, lo stesso
rapporto dei dirigenti del Msi con gli esponenti della destra
statunitense, in particolar modo con i rappresentanti del Partito
repubblicano, erano tutt’altro che lineari. Troppo grande la
sproporzione tra le forze politiche che si confrontavano, troppo
debole la posizione dell’Italia nello scacchiere internazionale.
Lo squilibrio diviene
ancora più evidente tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta quando
una nuova generazione di dirigenti missini si afferma alla guida del
partito. La diffusione dei consumi di massa non poteva non avere
conseguenze tra i neofascisti, nonostante i muri dottrinari che gli
intellettuali di destra radicale, primo fra tutti Julius Evola,
avevano provato a erigere.
La cultura politica
neofascista esce trasformata da questo confronto. Sorgonà si spinge
oltre agli studi che fino adesso hanno privilegiato gli ambienti
giovanili e anticonformisti della destra radicale, interrogandosi
sulle mutazioni intervenute all’interno del Movimento sociale. Per
nulla estranei alla modernità, come sovente sono stati definiti, i
neofascisti seppero cogliere le trasformazioni in corso, adeguando la
propria cultura e di conseguenza la propria politica ai cambiamenti
intervenuti. Come ci dimostra Sorgonà, l’affermazione delle destre
negli anni Novanta trova in questo cruciale passaggio un vero e
proprio momento di svolta.
Il Manifesto – 12 marzo
2019