Immagina tratta da P. Melli, Genova preromana, Fr. frilli editori
Continuiamo
la pubblicazione dei materiali preparatori di un ciclo di lezioni
tenute negli anni scorsi al MUDA di Albisola e all'UniSabazia. Oggi
trattiamo delle origini della Genova preromana, grande centro
commerciale e multietnico, ma dalle forti caratteristiche etrusche.
Giorgio
Amico
Genova
città etrusca
Da cosa derivi il nome di Genova è ancora una questione controversa. Gli scrittori di lingua
greca la citano come Genua. Gli studi moderni di glottologia fanno
derivare l’appellativo dall’indoeuropeo g(h)enu “bocca”, acquisito nella lingua celto-ligure parlata nella
Liguria dell’età del ferro, con riferimento alla posizione
geografica. Il nome fu in seguito probabilmente fatto proprio dagli
Etruschi insediati sulla collina di Castello e reso in etrusco con il
vocabolo "kainua"
“città nuova”, che rientra in un gruppo di nomi etruschi
di città come Mantua-Mantova.
Genova, già piccolo
insediamento tribale ligure, nasce dunque come città etrusca : un
grande centro commerciale (emporium) attorno ad un tempio dedicato ad
una divinità protettrice. L’esistenza sulla collina di Castello di
uno o più luoghi di culto è suggerita da alcuni graffiti, con
iscrizioni, come le parole "ais" (dio) e "al"
(dono), dunque un luogo dove si facevano offerte alla divinità, e da
un’iscrizione incisa su un ciottolone in serpentino lavorato per
essere infisso verticalmente in un supporto, che riporta il nome
dell’autore della dedica, un certo Nemetie di origine celto-ligure.
La divinità venerata sarebbe
Sur(i)/Soranus, oggetto di culto in Etruria e nel Lazio, con un
importante santuario nell’emporio di Pyrgi da dove provengono molti
reperti ritrovati in loco.
Oltre alle merci, gli
etruschi portano anche la scrittura, come dimostrano le iscrizioni
rinvenute negli scavi, redatte infatti in lingua e caratteri
etruschi. L’ortografia segue le norme dell’Etruria
settentrionale.
Fin dalle sue origini
Genova appare legata alle vicende del porto, creato in uno degli
approdi più favorevoli e protetti dell’arco costiero ligure, lungo
le rotte battute dalle navi mercantili, etrusche e greche. Le rotte
sottocosta, già utilizzate fin
dal Neolitico, come dimostrano i rinvenimenti di ossidiana da
Lipari nelle grotte del Finalese e, con maggiore frequenza a partire
dal VII secolo a.C., come documentano i materiali di importazione
marittima rinvenuti negli scavi dei centri della Liguria orientale,
offrivano protezione dai violenti venti di scirocco e libeccio che
tuttora, in alcuni periodi dell’anno, rendono pericolosa la
navigazione.
Le alture dell’entroterra di Genova risultano già frequentate nella Preistoria. Tali presenze dimostrano la vitalità di percorsi di crinale intensamente frequentati, sia per la caccia, sia, più tardi, per lo sfruttamento delle risorse dei boschi, la pastorizia e l’agricoltura. In occasione dei lavori per la realizzazione di un parcheggio sotterraneo in piazza della Vittoria è stato individuato a circa 12,5 metri sotto il piano stradale, un livello di frequentazione che conteneva un frammento di legno lavorato, datato, con analisi radiocarboniche, al Neolitico. La scoperta ha suggerito l’ipotesi dell’esistenza di una palafitta presso la foce del torrente Bisagno, zona allora paludosa ed anche oggi segnata da frequenti allagamenti.
Maggiori informazioni
restituisce un insediamento individuato nel cantiere della
metropolitana in piazza Brignole, rimasta fuori del centro abitato
fino alla costruzione della settima cinta muraria del 1626 e
rimasta campagna fino ai grandi interventi urbanistici ottocenteschi.
Durante i lavori di costruzione sono stati raccolti alla profondità
di circa 5 m dal piano di calpestio materiali che risalgono ad un
periodo tra il 3000 e il 2000
a.C.o (età del Rame/Bronzo Antico) e alla prima età del
Ferro. Una grande struttura muraria in pietre a secco, della
lunghezza di circa 12 metri che delimita un ampio spazio con tracce
di focolari.
Dunque alla fine dell’età
del Bronzo e nella prima età del Ferro lungo l’arco costiero fra
il capo del Promontorio e la penisola del Molo sorgevano piccoli
nuclei abitati, di cui restano solo pochi frammenti di ceramica e di
intonaco cotto, raccolti nel cantiere
della metropolitana di Principe e nell’area del
Portofranco. Ma le prime consistenti tracce archeologiche di
frequentazione dei luoghi ( frammenti di anfore vinarie etrusche)
sono state identificate nella zona del porto antico, materiali
databili tra la fine del VII e la fine del VI secolo a.C., che
costituiscono la prova dell’utilizzo come approdo, da parte di
mercanti stranieri, del tratto di costa che divenne più tardi il
porto medievale.
Situato al centro dell’arco ligure, all’inizio l’approdo svolgeva probabilmente funzioni di scalo tecnico, per l’abbondanza di acqua potabile e combustibile, la presenza di una spiaggia riparata su cui tirare in secca le imbarcazioni (che a quel tempo navigavano solo di giorno) e la protezione della penisoletta del Molo in caso di burrasca.
Il complesso dei materiali dei livelli della fine del VII e VI secolo di Portofranco mostra una notevole varietà di provenienze e costituisce una sorta di repertorio delle merci commerciate lungo le coste tirreniche, con una netta maggioranza di oggetti provenienti dall’Etruria costiera (vasellame in bucchero, recipienti da cucina e da dispensa e anfore vinarie. Un numero consistente di materiali proveniva da Caere (Cerveteri), importante città etrusca, vicina al Tevere e al territorio dei Latini, che dalla fine del VII secolo esportava a Nord (attraverso il porto di Genova) i prodotti della sua ricca agricoltura.
Genova dunque nasce già
come è oggi, il porto della pianura padana e oltre questa,
attraverso i passi alpini, la via principale per il nord Europa per
le merci provenienti dal Mediterraneo. Già da allora venivano
utilizzati percorsi lungo la Val Polcevera in seguito ricalcati dal
tracciato romano della via Postumia e oggi dalle moderne autostrade.
Grande importanza aveva il commercio di ambra e di schiavi che
arrivavano da nord tramite i Celti. In cambio gli Etruschi fornivano
soprattutto il vino accompagnato dagli oggetti necessari per il suo consumo: vasi in
bucchero, ceramiche dipinte e recipienti in metallo.
Tra la fine del VII e i primi decenni del VI secolo a.C. ebbe inizio anche un commercio con la Gallia, dove nel 600 a.C. era stata fondata in territorio ligure la colonia greca di Marsiglia.
Ma Genova riserva altre
sorprese. Nel corso dei lavori di scavo per la realizzazione di un
pozzo per la metropolitana nella Spianata dell’Acquasola
è stata messa in luce, a 14 metri di profondità dal piano di
calpestio, parte della base di un grande tumulo sepolcrale che si
ritiene simile a quelli di Cerveteri, che misurava in origine circa
15 metri di diametro ed era circondato da un muro di sostegno.
All’interno del tumulo sono stati rinvenuti i resti di alcune tombe
a incinerazione, costituite da quattro lastrine di pietra infisse
verticalmente per delimitare uno spazio quadrangolare entro cui
doveva essere deposto il corredo.
La
struttura monumentale della tomba e le sue dimensioni suggeriscono
che fosse destinata ad un personaggio importante, la cui
sepoltura doveva trovarsi in posizione centrale, attorniata da altre,
forse di parenti stretti. I corredi ritrovati conservano frammenti di
bucchero di produzione etrusco meridionale, di alcune coppette, due
piccoli perni in bronzo attribuibili ad un gancio di cinturone e due
fibule in bronzo, oggetti provenienti da siti tra Lazio e Campania
frequentati da mercanti etruschi. Il ritrovamento nella tomba
dei resti di una donna di circa trent'anni che dagli oggetti di
ornamento dovrebbe aver indossato un costume tipico dell'area campano
laziale hanno fatto pensare che allora fosse
già in atto a Genova una politica di scambi e alleanze suggellate da
matrimoni. Dunque una nobildonna etrusca del sud andata in sposa a un
ricco genovese forse di etnia ligure a stringere un patto di alleanza
finalizzato al commercio.
Alla fine del VI secolo
a.C. risalgono le prime tracce di frequentazione del colle di
Castello, uno sperone roccioso sul crinale che si prolunga fino alla
penisola del Molo (vicino agli attuali Magazzini del sale e a Porta
Siberia), che offriva una buona visibilità sull’intero arco
costiero, da Portofino fino a Capo Mele. Le buche per palo e per i
focolari ritrovati nell’area del convento di San Silvestro, fanno
pensare a capanne in legno, probabilmente con copertura di paglia o
stoppie. Anche due edifici in pietra sono attribuibili a questa prima
fase di vita dell’oppidum, come il sito fu più tardi definito
dagli storici di età romana: il primo era un recinto monumentale,
con un’apertura delimitata da pilastri, costruito accuratamente in
blocchetti di pietra disposti in filari regolari.
Il vasellame ritrovato era in netta maggioranza importato. Si tratta prevalentemente di recipienti da cucina proveniente da vari centri dell’Etruria, mentre fra le ceramiche fini da mensa sono attestati vasi di fabbricazione attica a figure nere e figure rosse. Essendo un grande emporio, Genova etrusca commerciava, come si è visto, anche con i Greci della attuale Francia meridionale e in particolare di Massilia (Marsiglia).
La
realizzazione di un centro stabile a Genova sembra rispondere, ad
un’esigenza di mercato. La convergenza sul porto di una rete di
percorsi di crinale e di fondovalle in corrispondenza di valichi, che
collegavano la città ai territori padani, e la posizione costiera in
un punto centrale del golfo ligure facevano della città una
cerniera tra Etruschi, Greci di Marsiglia, Celti e Liguri
dell’interno. Nel V secolo Genova era già un importante centro
portuale che riceveva derrate alimentari e prodotti artigianali da
tutto il Mediterraneo, in parte utilizzandoli direttamente, in parte
smistandoli verso il Piemonte meridionale e i siti costieri della
Liguria centrale. Insomma "l'emporio dei Liguri" di cui
parla Strabone.
Nel corso della prima metà del V secolo l’abitato sulla collina di Castello si ingrandisce. Nell’oppidum trovavano posto anche officine per la lavorazione dei metalli, principalmente del ferro, come dimostrano le abbondanti scorie di lavorazione e un resto di forno fusorio, Tracce che testimoniano della presenza di artigiani provenienti dall’Etruria, all’epoca all'avanguardia nella siderurgia. Qualcuno ha ipotizzato la presenza di esperti etruschi che esploravano l'entroterra alla ricerca di giacimenti da sfruttare. Sono stati rinvenuti anche ovili, pollai e recinti per animali. Lo studio delle ossa documenta la presenza oltre che di animali allevati per l’alimentazione, anche di cani e cavalli.
Circa alla metà del V secolo l'oppidum fu circondato da una poderosa cinta muraria di circa due metri di spessore. Nel tratto occupato nel medioevo dal palazzo del Vescovo sono stati ritrovati i resti di una torre quadrangolare che permetteva il controllo dell’intero arco portuale e di un vasto braccio di mare che a Ponente arrivava fino a Capo Noli. All’estremità nord, nell’area ora occupata dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie la nuova, si apriva una porta che costituiva l’accesso all’oppidum per chi proveniva dal porto. Lo spazio interno era pavimentato in ciottoli, mentre all’esterno del muro una rampa gradinata di pietre sovrapposte, in discesa è stata interpretata come ciò che resta della antica via che dai moli saliva alla città posta sulla cima del colle.
Come
tutti i centri etruschi la città dei vivi era circondata da quella
dei defunti. La necropoli preromana si estendeva sulle
colline di Santo Stefano e Sant’Andrea, separate dal corso del
torrente Rivotorbido. Gli oggetti di corredo più antichi risalgono
al primo quarto del V secolo
a.C., cioè a circa due generazioni dopo la fondazione
dell’oppidum, ma nel corso dei lavori in piazza Dante, nel 1910,
furono raccolti anche alcuni frammenti di vasi etruschi a figure nere
del VI secolo a.C. che fanno supporre che le tombe più antiche siano
andate distrutte nel corso dei secoli.
La forma delle sepolture,
radicalmente differente da quella a cassa in lastre di pietra,
adottata invariabilmente presso le popolazioni Liguri dall’VIII
secolo a.C., è tipica dell’Etruria
settentrionale interna e padana, e dimostra come questo tipo di
sepolcro sia stato introdotto a Genova dagli immigrati Etruschi.
Ciascuna tomba ospitava uno o
più defunti, legati da rapporti famigliari. La composizione dei
corredi rispecchia un benessere diffuso. Dunque, fin dai suoi primi
secoli Genova fu una città ricca, ma anche un centro multietnico
proprio per la frequentazione di mercanti provenienti da ogni zona
del Mediterraneo e dell'Europa.
La città non aveva una composizione etnica omogenea, ma formata di genti provenienti da aree diverse, portatrici quindi di differenti culture, tuttavia proprio da ciò che è stato ritrovato appare chiaro che sono gli Etruschi l'etnia dominante. Essi introducono la metallurgia, controllano l’emporio, introducono la scrittura, influenzano fortemente culti e rituali funerari, la cerimonialità collettiva (corredi da vino), le tecniche artigianali ed edilizie. I nomi di persona documentati a Genova, talvolta abbreviati o suggeriti dalle sole iniziali, graffiti con uno strumento appuntito sulle pareti o sul fondo di vasi di uso quotidiano per segnalarne il possessore, sono in maggioranza etruschi.
Gli
etruschi soprattutto controllavano il commercio. Dall’area di
Golasecca proveniva la donna di alto rango sepolta in una delle tombe
della necropoli insieme a un ricco apparato di gioielli fra cui
spiccano una elaborata collana di ambra con pendenti intagliati a
forma di stivaletto o vaso. La presenza di una ricca e probabilmente
donna straniera sepolta a Genova rappresenta un'ulteriore conferma
dell'uso di cementare alleanze commerciali medianti matrimoni. I
gioielli della tomba, indicano anche strette connessioni con i centri
dell’Etruria padana dove operavano botteghe orafe che producevano
fibule in metalli preziosi e raffinate collane e pendagli intagliati
nell’ambra importata dal Mar Baltico attraverso i Celti.
Molti
altri elementi di collana in ambra sono stati rinvenuti nella
necropoli e nell’abitato, insieme ad altri oggetti di importazione
come alcune raffinate fusaiole in pasta di vetro prodotte
principalmente fra Veneto e Slovenia e diffuse specialmente in
sepolture nel Veneto, in Etruria padana e nel Piceno.
Ma Genova era anche un importante luogo di reclutamento e imbarco di soldati mercenari. Lo testimonia l'elevato ritrovamento di armi e complementi di abbigliamento militare prodotti in tutto il Mediterraneo, un elemento in contrasto con l’immagine di una società dedita prevalentemente al commercio e all’artigianato e dunque sostanzialmente pacifica. Questo ha fatto pensare non alla presenza di una forte guarnigione a protezione della città e del porto, ma al possibile ruolo di Genova come porto di imbarco e reclutamento di truppe mercenarie. Le fonti storiche sono infatti ricche di testimonianze sull’impiego di mercenari liguri e celti, specialmente da parte dei Cartaginesi e dei Greci.