Nel 1933 nella
Germania di Weimar la sinistra si presentò divisa alle elezioni. Per
i comunisti il principale nemico non erano i nazisti ma i
socialdemocratici. Una lezione che ancora oggi non è stata
assimilata da una sinistra parolaia e massimalista, capace di grandi
proclami, ma di scarso realismo politico.
Il dovere di scegliere
da che parte stare
Norma Rangeri
Il voto utile è spesso
un ricatto, un forte limite alle scelte libere di chi vuole essere
presente nelle istituzioni e viene condizionato, nel diritto alla
rappresentanza, dalle decisioni politiche altrui. A volte però
diventa necessario. Perchè può essere davvero determinante non solo
per evitare una sconfitta, ma soprattutto per non “regalare” un
territorio, una storia, a chi è non un avversario ma un nemico
pericoloso: per i cittadini, per i diritti civili e sociali, per la
cultura e la democrazia. Per il paese tutto.
Quel che è stato fatto e detto – dalle posizioni ostili sull’immigrazione alle decisioni contro le Ong, dal rifiuto delle diversità all’odio scatenato via web, dalle strumentalizzazioni dei bambini allo squadrismo del citofono – incarna il promemoria di quel che Salvini, Meloni e Berlusconi (si, ancora lui) potrebbero scatenare nella società e nelle istituzioni.
Quel che è stato fatto e detto – dalle posizioni ostili sull’immigrazione alle decisioni contro le Ong, dal rifiuto delle diversità all’odio scatenato via web, dalle strumentalizzazioni dei bambini allo squadrismo del citofono – incarna il promemoria di quel che Salvini, Meloni e Berlusconi (si, ancora lui) potrebbero scatenare nella società e nelle istituzioni.
Per questo l’utile
diventa doveroso. E oggi chi vive in Emilia-Romagna e appartiene al
mondo democratico ha il dovere di non consegnare la Regione alla
peggiore destra della Storia italiana. In ballo non c’è soltanto
la presidenza regionale, ma il governo nazionale, non si discute di
buona o cattiva amministrazione, gestita da decenni dal centro
sinistra, ma il futuro, il cambiamento, la convivenza civile. Dentro
il voto c’è poi il senso di appartenenza ad una società che ha
spesso interpretato la parte più avanzata della comunità nazionale.
Possiamo dire che in Emilia-Romagna vive un forte sentimento
popolare, diffuso, radicato, profondo. La più chiara espressione di
questo “vivere sociale” l’ha manifestata il movimento delle
Sardine, che ha raccolto intorno a sé la migliore gioventù e le
generazioni over 60 che hanno sempre scelto come “campo politico”
quello democratico.
Grande sarebbe la
responsabilità che ricadrebbe dunque sui 5Stelle – e sulle
minoranze di sinistra/sinistra – se le destre dovessero prevalere a
causa di una volontà di autoaffermazione, di un presenzialismo
distruttivo, della miopia politica di chi pensa che Bonaccini e
Borgonzoni pari sono. Sarebbe perciò imperdonabile negare il voto
disgiunto, che appunto consente di essere fedeli al proprio partito
ma non ciechi di fronte alle possibili conseguenze che potrebbe
determinare una manciata di voti.
Lo stesso ragionamento
vale anche per la Calabria, dove si sfidano Pippo Callipo, un
candidato civico largamente stimato, e Jole Santelli, una
berlusconiana ripescata: girarsi dall’altra parte, oltretutto in
una terra sfigurata dalla n’drangheta, dove i magistrati vivono
sotto scorta, sarebbe un drammatico errore.
Tutto questo non cancella
le responsabilità delle amministrazioni regionali a guida Pd. Come
appunto dimostrano la crisi calabrese e la recente, storica sconfitta
in Umbria. Perchè nel campo democratico c’è una questione morale,
sono troppi gli errori gestionali, manca una prospettiva di reale
cambiamento, prevalgono ancora le lotte di potere, scarseggia una
politica di forte difesa dei diritti sociali e dell’ambiente. Ma
oggi la partita è diversa, se non si vuole trasformare l’Italia in
un grande Papeete al ritmo del Bunga-Bunga.
il Manifesto, 26 gennaio
2020