lunedì 24 aprile 2023

Quando i partigiani divennero banditi

 


Quando i partigiani divennero banditi

Molti all'estero, molti di meno in Italia dove per lo più ci si limita a polemiche di superfice, si interrogano su come sia possibile che a ottant'anni dalla fine del regime fascista un partito che orgogliosamente rivendica le sue radici nell'esperienza sanguinosa e drammatica della Repubblica Sociale Italiana (vedi la "fiamma" nel simbolo), sia diventato la principale forza politica e di governo italiana. Ovviamente il fenomeno è complesso e non esiste una risposta univoca. Esce comunque confermato ancora una volta che l'Italia, ed è cosa che risale almeno al 1500, è il Paese del Gattopardo, dove periodicamente tutto cambia, anche in modo violento, perché in realtà non cambi nulla. Così come va detto, anche se a molti non piacerà, che il fascismo è stato tutto meno che un fenomeno passeggero, con radici profondissime nella nostra storia tanto da segnare ancora oggi la nostra identità nazionale. Lo dimostra uno studio, documentatissimo e di ottima scrittura, di una giovane studiosa, in libreria da pochi giorni. Ne riportiamo la presentazione editoriale. Con la speranza che almeno questo 25 Aprile non sia occasione di vuote e retoriche celebrazioni, come ormai da troppo tempo accade, ma di una riflessione attenta sul presente e sul passato.

G.A.


Processo alla Resistenza

Molto è stato scritto sulla Resistenza e sulla guerra di liberazione in Italia. Ma che cosa accadde ai partigiani dopo l'aprile 1945? Come vissero realmente gli anni del dopoguerra e della rinascita del Paese coloro che la Repubblica avrebbe celebrato come i nuovi eroi della patria, martiri del secondo Risorgimento nazionale?

Dal 1948 e fino ai primi anni Sessanta, nelle aule di giustizia della nuova Italia democratica va in scena un «Processo alla Resistenza», destinato ad avere un forte impatto mediatico. Assassini, terroristi, «colpevoli sfuggiti all'arresto». Così la magistratura del dopoguerra, largamente compromessa col regime fascista, giudica quei partigiani che hanno combattuto una guerra clandestina per bande, tra il 1943 e il 1945.

Giudizio condiviso dalla stampa e da gran parte dell'opinione pubblica italiana, che si accompagna a una generale riabilitazione di ex fascisti e collaborazionisti della Rsi, autori di stragi e crimini contro i civili, costretti a «obbedire a ordini superiori».

Attraverso carte processuali e documenti d'archivio inediti, Michela Ponzani ricostruisce il clima di un'epoca, osservando i sogni, le spe-ranze tradite e i fallimenti di una generazione che pagò un prezzo molto alto per la scelta di resistere.

Michela Ponzani (Roma, 1978) insegna Storia contemporanea all'Università degli studi di Roma «Tor Vergata».


Michela Ponzani
Processo alla Resistenza
Einaudi 2023
€ 28,00

lunedì 17 aprile 2023

Ansgar Elde. La danza della materia

 


Ansgar Elde (1933-2000) nasce a Resele, nel nord della Svezia. A 19 anni si trasferisce a Braunschweig, in Germania per frequentare l’Accademia di Belle Arti e dedicarsi alla costruzione di marionette. Completa questo insolito percorso di formazione studiando danza moderna a Stoccolma ed esibendosi sui palcoscenici di tutta la Svezia. Nel 1959 raggiunge l’Italia con l’intenzione di studiare scultura a Brera, sotto la guida di Marino Marini. Consigliato da Aligi Sassu, però, Elde compie una breve deviazione per visitare Albisola, stravolgendo, senza saperlo, i suoi piani di vita. Qui incontra Asger Jorn e si dedica alla ceramica, trovando, in essa, concordanze e affinità con la sua pittura. Nei primi anni Sessanta è considerevole la visibilità che raggiunge a livello internazionale: si unisce all’Internazionale Situazionista (1962) e vince il Copley Foundation Award di Chicago (1964). Col tempo, Elde sviluppa un linguaggio potente e primordiale. La sua arte è l’emanazione di un universo privo delle categorie e dei limiti in cui gli esseri umani l’hanno costretto.

Cecilia Nastasi ha ricostruito criticamente la vicenda umana e artistica di Ansgar Elde muovendo dall’esame della corrispondenza, delle notizie di stampa, dei cataloghi e dei manifesti, delle immagini fotografiche, dei disegni e dei manoscritti facenti parte dell’archivio raccolto e conservato da Alfredo Meconi ad Albissola Marina, per una tesi di laurea magistrale, ora tradotta in un corposo saggio in corso di stampa presso l’editore Il Canneto.


venerdì 14 aprile 2023

Ucraina: a sinistra tutti sono contro la guerra, ma...

 


Ucraina: a sinistra tutti sono contro la guerra, ma...


Come tutti gli avvenimenti di portata storica, quelli per intenderci che segnano un'epoca, la guerra d'Ucraina scatena contrasti violenti, fa emergere contraddizioni, costringe ad interrogarsi sulla validità di concezioni fino a quel momento accettate, fa crollare miti. Ed infatti sugli avvenimenti ucraini la sinistra cosiddetta "rivoluzionaria" o "di classe" si è divisa – e non solo in Italia – in almeno quattro spezzoni. 

Iniziamo dai sostenitori del diritto di un popolo all'indipendenza e alla libertà e dunque a difendersi se aggredito. Al tempo della guerra del Vietnam fu posizione quasi unanime, condivisa anche da chi stalinista non era. Allora non importò che gli aiuti militari venissero dall'imperialismo sovietico o dal tardo stalinismo cinese, né tantomeno che la dirigenza del Partito comunista vietnamita, Ho Chi-minh in testa, avesse le mani sporche del sangue dei trotskisti, fucilati a centinaia nel 1945. La questione era difendere il diritto del popolo vietnamita all'autodeterminazione e gli aiuti militari alla resistenza erano benvenuti da qualunque parte venissero. Lo stesso vale oggi oggi per l'Ucraina invasa e schiacciata sotto una pioggia di missili. E dunque si agli aiuti militari alla resistenza indipendentemente da chi li fornisce e dai motivi per cui lo fa. Posizione coerente, ma minoritaria e accusata di essere filoimperialista o comunque di contribuire alla continuazione della guerra.

Segue poi l'area dei pacifisti ipocriti che a parole condannano l'aggressione russa, ma sono poi nel concreto ferocemente avversi ad ogni forma di sostegno militare al popolo ucraino. Ipocriti perché un'aggressione militare feroce non si ferma con le affermazioni di principio, ma soprattutto perché sulla base di questi presupposti quella pace così fortemente auspicata a parole non può configurarsi nei fatti che come una sostanziale resa.

Ci sono poi i nostalgici della vecchia Unione Sovietica che non hanno ancora elaborato il lutto della fine di quella esperienza e quasi per un riflesso condizionato restano accanitamente filorussi a prescindere dal dichiarato filozarismo putiniano. Al loro fianco gli antiamericani di professione, quelli per cui comunque e sempre gli Stati Uniti sono la causa di tutte le nefandezze del mondo contemporaneo e dunque chiunque sia in contrasto con loro va sostenuto. Un antimperialismo a senso unico che di fatto li porta a sostenere le "ragioni" di Putin che da aggressore diventa aggredito, vittima di una politica americana mirante a isolare la Russia di cui l'Ucraina si sarebbe prestata a essere il braccio armato.

Infine ci sono i puri, quelli che non si sporcano le mani con prese di posizioni concrete, ma si limitano a lunghe e ponderose analisi infarcite di dati e ad appellarsi ad un presunto internazionalismo proletario, di cui non si vedono da nessuna parte i segni, ma che dovrebbe, come la Madonna per il Papa, fungere da agente salvifico. In astratto il gioco potrebbe anche funzionare. Restare nell'empireo dei massimi sistemi permette, comunque vadano le cose, di avere sempre ragione.

Il problema nasce quando, come nel caso di Lotta comunista, si è presenti sul campo, nel caso specifico la Russia. Perché allora gli slogan astratti, tipo "Opposizione internazionalista alla guerra d'Ucraina", come si legge nella manchette del giornale, sono immediatamente sottoposti alla verifica impietosa della realtà quotidiana. Detto in altri termini: cosa fanno concretamente i "leninisti" di Proletarskij Internatzionalism, il gruppo "fratello" russo, per attuare questa direttiva? Disfattismo rivoluzionario, appello a trasformare la guerra imperialista in guerra civile, propaganda fra i soldati contro la guerra invitandoli a rivolgere le armi contro i loro ufficiali e a fraternizzare con i proletari ucraini, secondo la lezione bolscevica del 1914-1917? Assolutamente no. Come si evince dal lungo articolo apparso sull'ultimo numero del giornale a firma dei "nostri compagni russi", Proletarskij Internatzionalism si limita a ricordare che " i fautori delle guerre sono tutte le potenze imperialiste senza eccezione". Non una parola sulla concreta realtà della guerra, sui suoi costi in vite umane, sui crimini perpetrati dall'esercito russo nei confronti della popolazione civile ucraina, vecchi, donne e bambini. Il problema centrale, a giudicare dallo spazio dedicatogli nell'articolo, sembra essere la difficoltà russa ad esportare gas e a non farsi estromettere dai mercati. Una cosa è certa: se questa è l'opposizione internazionalista alla sua guerra, l'autocrate Putin può dormire sonni tranquilli.


lunedì 10 aprile 2023

Ansgar Elde. Monotipi

 


ANSGAR ELDE
MONOTIPI
a cura di Cecilia Nastasi
Entr'acte
via sant'Agnese 19R –
Genova
12 aprile – 10 maggio 2023
orario: mercoledì – venerdì
16-19 apertura mostra:
mercoledì 12 aprile 2023, ore 17


Ansgar Elde (1933-2000) nasce a Resele, nel nord della Svezia. A 19 anni si trasferisce a Braunschweig, in Germania per frequentare l’Accademia di Belle Arti e dedicarsi alla costruzione di marionette. Completa questo insolito percorso di formazione studiando danza moderna a Stoccolma ed esibendosi sui palcoscenici di tutta la Svezia.

Nel 1959 raggiunge l’Italia con l’intenzione di studiare scultura a Brera, sotto la guida di Marino Marini. Consigliato da Aligi Sassu, però, Elde compie una breve deviazione per visitare Albisola, stravolgendo, senza saperlo, i suoi piani di vita. Qui incontra Asger Jorn e si dedica alla ceramica, trovando, in essa, concordanze e affinità con la sua pittura. Nei primi anni Sessanta è considerevole la visibilità che raggiunge a livello internazionale: si unisce all’Internazionale Situazionista (1962) e vince il Copley Foundation Award di Chicago (1964).

Col tempo, Elde sviluppa un linguaggio potente e primordiale. La sua arte è l’emanazione di un universo privo delle categorie e dei limiti in cui gli esseri umani l’hanno costretto. L’universo di Elde è contaminazione e tumulto, libertà e vita, capace di manifestarsi con ogni mezzo espressivo. Nella produzione dell’artista, la grafica ha sempre mantenuto una posizione di rilievo. La mostra ospitata nella Galleria Entr’acte presenta una selezione di incisioni che rivela l’approccio sperimentale con cui Elde si è avvicinato alle tecniche canoniche di questa disciplina. L’acquatinta, la xilografia e l’incisione a secco su svariati materiali (plexiglass, metallo o legno) vengono reinterpretate ottenendo una produzione multipla differenziata in cui ogni singolo pezzo è unico. La maggior parte delle incisioni esposte è frutto della collaborazione con l’Atelier Il Bostrico di Albissola Marina, luogo dove Elde realizza i “monotipi”. Questi sono opere grafico-pittoriche, testimonianze del modo unico con cui l’artista dà vita alle sue visioni: con aggiunte progressive di colore e forme, seguendo una sorta di ritmo interiore. Ansgar Elde, pittore e danzatore, ha la capacità di trasformare in immagine la musica che permea la materia, rivelando a chi osserva l’essenza del mondo.

sabato 8 aprile 2023

Il quarto uomo. Considerazioni di un figlio

 


Questo è mio padre, Giuseppe Amico (1919-1996), durante la guerra, brigadiere dei carabinieri, prima in Albania e poi nel 1944 comandante della Stazione di Fiesole.


Questo invece è Giorgio Pasotti, protagonista del film Rai “A testa alta”, che interpretava il personaggio di mio padre, non senza qualche forzatura biografica, visto che la produzione allora non si curò di contattare la famiglia e io e mia sorella sapemmo del film vedendolo per caso in televisione.


Alla sua figura e a quella dei suoi compagni è stata ora dedicata un'opera lirica con la consulenza storica del Professor Jonathan Nelson, prestigioso accademico, oltre che amico personale, già curatore di una splendida mostra sui martiri di Fiesole.

Eppure mio padre, partigiano combattente e decorato, ebbe sempre un estremo pudore a parlare di quei fatti. Lo fece raramente, per brevi accenni e sempre parlando solo dei suoi compagni morti. Pensava di aver semplicemente fatto quello che in quel momento andava fatto. Oggi, con quel po' di esperienza portato degli anni, ho capito che il pensare di essere stato l'unico a sopravvivere a quel tragico evento, mentre tutti i suoi compagni erano morti nel fiore degli anni, gli provocasse una profonda sofferenza, come di una sorta di ingiustizia non voluta ma subita.

giovedì 6 aprile 2023

Il vecchio Thiess. Un lupo mannaro baltico

 


Su consiglio di mio figlio, sto leggendo questa affascinante ricerca tra antropologia e storia. Un libro importante che conferma l'esistenza in realtà rimaste ai margini dello sviluppo economico dell'Europa moderna, come la Livonia, di credenze e riti di fertilità antichissimi, antecedenti all'affermazione del cristianesimo. Credenze che vediamo rispuntare nel folklore, nelle fiabe oltre che nei processi per stregoneria. Un libro che a mia volta consiglio a chi abbia interesse allo studio delle forme misteriose e archetipali in cui il sacro si manifesta nella vita degli uomini.


"Nel 1691, un contadino della Livonia, noto come «il vecchio Thiess dichiarò a un tribunale distrettuale di essere un lupo mannaro. Ma alla corte spiegò di non essere un mostro bensì uno dei «cani di Dio», che combattevano contro stregoni, streghe e persino Satana per proteggere campi. greggi e persone: un'ammissione sconcertante, che attirò l'attenzione dei giudici di allora e che continua ad attirare quella degli storici da almeno un secolo a questa parte.

In questo libro, Carlo Ginzburg e Bruce Lincoln discutono in una prospettiva comparata il processo e la sorprendente testimonianza del vecchio Thiess.

Oltre alla prima traduzione italiana degli atti processuali, dove pare quasi di sentire la voce del protagonista, il libro presenta le diverse analisi dell'evento: dai tentativi di collegare il vecchio Thiess a pratiche sciamaniche, all'idea che egli stesse reagendo allo stereotipo del lupo mannaro che l'élite germanica usava per giustificare il proprio dominio sui contadini del Baltico.

Intrecciando e discutendo meriti e rischi delle proprie prospettive di ricerca e di quelle di altri studiosi, Ginzburg le Lincoln riflettono anche su più ampie questioni di metodo storico: fino a che punto è rappresentativo un caso eccezionale?

Quale deve essere lo statuto della prova quando si tratta di ricostruire una sfera di oralità perduta per sempre?

Che ruolo hanno i nostri presupposti nell'accertamento della verità storica?

Il vecchio Thiess apre una prospettiva nuova su una serie di problemi fondamentali che caratterizzano il mestiere dello storico oggi".

(Dalla quarta di copertina)


Carlo Ginzburg e Bruce Lincoln
Il vecchio Thiess
Un lupo mannaro baltico tra caso e comparazione
Officina libraria 2022