Villa S.Michele era il rudere di una cappella
medievale, ma alla fine dell'800 il medico svedese Axel Munthe la
trasformò in un eden profumato dove agli alberi da frutto si
alternavano distese di fiori. Un luogo “aperto al sole, al vento,
alla luce del mare, come un tempio greco”.
Raffaele K. Salinari
All’ombra
della vigna
«La casa era piccola e presentava poche stanze, ma vi si trovavano numerose logge, pergole e terrazze da dove era possibile vedere il sole, il mare e le nuvole; lo spirito ha bisogno di più spazio del corpo». Così nel celebre romanzo autobiografico La Storia di San Michele, il medico svedese Axel Munthe descrive la sua Villa San Michele ad Anacapri, in origine un rudere di cappella medioevale titolata al santo omonimo sulla sommità del monte Barbarossa, di cui avrebbe fatto il buen retiro della sua lunga vita. Munthe l’aveva scelta anche perché la tradizione locale voleva il luogo come originariamente occupato da una delle dodici residenze dell’imperatore Tiberio.
Non solo viti
Siamo alla fine
dell’Ottocento e il medico cosmopolita decide di
ritirarsi a Capri, già folgorato dalla sua
bellezza in occasione di una prima visita all’isola,
quando aveva diciotto anni. Ancora oggi è possibile
ammirare il giardino all’interno della Villa,
affascinante come un segreto che chiama a sé per
essere svelato. Dall’esterno della costruzione si
possono intravvedere le bianche colonne che
sostengono il lungo pergolato, allungare lo
sguardo verso le vestigia della cappella che custodisce
l’inquietante sfinge di pietra che guata il vasto mare
sottostante, il Mediterraneo in cui ancora
vive l’aura delle Sirene e dei Ciclopi, cui il medico allude
quando dice che la sua casa «doveva essere aperta al sole, al
vento, alla luce del mare, come un tempio greco». E infatti
Munthe, per evocarne i miti, aveva anche progettato
un vero e proprio «teatro greco» lungo il fianco
del monte.
Ma è solo dopo essere entrati nella Villa che il giardino si presenta in tutto il suo splendore, come fosse un riflesso della luce che emana dal Mare degli Eroi. E allora, quali erano le aspirazioni di Axel Munthe nel realizzare il giardino, con che spirito procedette alla sua creazione? Possiamo tentare di rispondere a queste domande ripercorrendone la storia.
Il nucleo originario è costituito dalla piccole vigna, adiacente al rudere della cappella, che egli acquistò nel 1895. La presenza di viti in grado di produrre uva, e dunque vino, era certamente una forte attrattiva per Munthe, anche perché il terreno terrazzato era provvisto di alberi da frutto già cresciuti, e la combinazione di questi elementi rispondevano appieno alla sua prima aspirazione: trarre direttamente dalla terra la sostanza del suo sostentamento. E cosa meglio di un poco di pane, unito al vino ed alla frutta da lui stesso prodotti, avrebbe potuto soddisfare questo suo bisogno profondo, esistenziale?
Il terreno poi, essendo già stato coltivato, costituiva una garanzia per le sue potenzialità come vero e proprio giardino. I lavori si susseguirono a tappe; il pergolato era già pronto all’inizio del 1900, il piccolo viale di cipressi viene piantumato l’anno successivo.
Considerando il significato simbolico di questo albero e l’ossessione di Munthe per la morte, è più che naturale che lo abbia scelto per costeggiare il viale che conduce alla cappella. Ci immaginiamo il medico di fronte ai suoi alberi svettanti contro il cielo nello stesso periodo in cui, nella sua amata Parigi, Eiffel mostra al mondo la sua prodigiosa torre. Ancora oggi, a detta dei giardinieri di Villa San Michele, le viti di quel periodo continuano a dare i loro frutti: Dioniso veglia sempre le sue proprietà. Anche gli ortaggi venivano, e vengono ancora, coltivati all’ombra delle viti.
La vigna fu trasformata nel giardino che ammiriamo ancora oggi, non solo attraverso il lavoro di Munthe: è credibile che almeno un maestro giardiniere – oltre a un architetto o un ingegnere – fossero coinvolti nei lavori. Il suo giardiniere è indicato per nome: «Baldassare, il mio maestro giardiniere». Ma è plausibile anche la presenza di un architetto, o di un ingegnere, per risolvere una questione capitale al fine della sopravvivenza del giardino: la presenza di acqua. A Capri manca l’acqua corrente e per il fabbisogno domestico:e la cura del giardino si rese necessario raccogliere quella piovana in cisterne; opera di difficile realizzazione se non con l’aiuto di un professionista.
La metamorfosi
Ma il pergolato
non era, e non è, solo costituito da viti: «Era già
coperta da viti appena piantate e rose, il caprifoglio
e l’epomea si arrampicavano sulla lunga fila
di bianche colonne», ci narra Munthe. Così entriamo un
po’ più in profondità nella vita delle altre piante
che formano il giardino.
Con il termine epomea è probabile che Munthe intendesse la Ipomoea e, quindi, piante rampicanti di diverse specie che ricoprono spesso colonne ed elementi simili, mentre, per quello che concerne le rose, ancora oggi è possibile ammirarne un paio di cespugli tra i più antichi presenti nel giardino, della specie Rosa banksiae. Viti, glicine, rose e altre piante da vaso, insieme ad altre centinaia di fiori, donano una grande varietà di colori, evidenziati dai cambiamenti della luminosità durante le diverse ore del giorno e delle stagioni.
La parte alta, verso la vecchia cappella di San Michele, si è andata col tempo coprendo di edera. A dare un carattere assolutamente unico a questa parte del giardino sono, però, le molte statue e frammenti di sculture inseriti nei muri o, per citare Bruce Chatwin «che farciscono le mura come nocciole nella gianduia». Prima fra tutte, l’etrusca sfinge litica che guarda il mare. Poi, in origine, era possibile vedere al centro del giardino il Fauno Danzante che venne poi sostituito da una copia del Putto con delfino di Andrea del Verrocchio, databile al 1470 circa.
Sotto il pergolato sono ancora esposti, tra le altre pregevoli cose, un sarcofago del III secolo d.C. e la maschera di Medusa ritrovata da Munthe in fondo al mare. È una delle tante maschere di Medusa che decoravano forse il tempio di Venere a Roma, edificato da Adriano nel 207 d.C.
C’è anche il frammento di una statuetta che ritrae Diana, copia romana di un originale attribuito allo scultore greco Leochares, databile al primo secolo d.C.. Nel giardino, durante gli scavi condotti nel 1954, fu rinvenuta una statua in marmo bianco raffigurante Ercole con la pelle del leone databile tra 1–50 a.C., come pure una di Marte rappresentato su un rilievo frammentario di provenienza incerta. Nel tratto finale del pergolato, furono aggiunte targhe commemorative dei suoi cani Tom e Fellow.
Un esempio
«italiano»
Oggi è difficile
stabilire l’età dei singoli alberi, ma alcuni sono
certamente rarità botaniche, come il maestoso
pino di Aleppo e la melaleuca. Si trovano anche lecci
e querce. Molte piante selvatiche come edera,
caprifoglio, rosmarino, mirto e rose furono
probabilmente trasportate all’interno del
giardino; Munthe sperava che si sarebbero
ambientate e così sopravvissute alla siccità.
Le primule, che costituiscono oggi una vasta
presenza, non c’erano quando fu creato, perché
richiedevano troppa acqua.
Gli anni che videro la
nascita del giardino sono gli stessi dell’attenzione per
i giardini all’italiana sia in Europa sia negli Usa;
furono pubblicati molti libri sull’argomento; nello
specifico, il giardino di Villa San Michele ne ispirò
numerosi altri: Villa Solliden della Regina
Vittoria sull’isola di Öland venne in parte
realizzata come replica di Villa San Michele; si
riconoscono, per esempio, alcune finestre
e opere in mosaico. Vicino alla casa venne realizzato
un pergolato e una terrazza con scale che
rimandano architettonicamente al
giardino della villa di Anacapri.
Un altro giardino epigono è quello Millesgården a Lidingö, vicino Stoccolma, casa dello scultore Carl Milles, realizzata, in parte, contemporaneamente ispirandosi al parco di Capri.
Il Manifesto – 15 agosto 2014