In preparazione di un
corso su storie e culture delle Alpi Marittime stiamo rileggendo
qualche vecchio buon libro come lo studio di Emmanuel Le Roy Ladurie
su Montaillou, borgo occitano e cataro, che tanto interesse suscitò
nei primi anni Settanta e che ancora oggi resta un esempio insuperato
di ricerca etnologica “sul campo” applicata al medioevo.
Giorgio
Amico
Del
buon uso del tradimento. Montaillou, paese occitano
Si
può fare ricerca storica sul Medioevo utilizzando gli strumenti
dell'etnologia, in altre parole analizzando la cultura medievale come
gli antropologi fanno con le culture primarie del sud del mondo? Nei
primi anni Settanta, anche sulla base della pluridecennale esperienza
degli Annales, uno storico francese, già autore di una approfondita
ricerca sui contadini di Linguadoca, dimostrò che non solo ciò era
possibile, ma che l'approccio etnologico apriva prospettive fino ad
allora impensate di analisi “dall'interno” di un mondo finito da
secoli.
Tutto
a partire da uno strano personaggio, Jacques Fournier, monaco
cistercense, poi vescovo di Pamiers nel sud della Francia e infine
papa con il nome di Benedetto XII, uno dei primi pontefici del
periodo avignonese, iniziatore dei lavori di costruzione del
grandioso palazzo papale e mecenate di Simone Martini a cui
commissionò l'affrescatura delle sale.
Strano
personaggio dicevamo. Si, perchè Fournier si mette in luce presso il
re di Francia come spietato inquisitore e cacciatore di eretici in un
paese occitano da poco conquistato con la forza delle armi (la
crociata contro gli albigesi) e che ora deve essere sottomesso anche
culturalmente sradicandone l'antica cultura trobadorica.
Un
collaborazionista lo definiremmo oggi. Lui occitano al servizio del
re di Francia, dedito al sistematico smantellamento della rete
clandestina che catari (e valdesi) avevano intessuto nelle campagne e
nella montagna pirenaica. Una chiesa sotterranea di veri credenti che
nonostante la repressione resiste e si diffonde tra i più poveri
disgustati dalla corruzione e dall'avidità della chiesa ufficiale,
ordini mendicanti compresi.
Un
personaggio maniacale nella tenacia minuziosa con cui persegue la sua
opera repressiva attraverso l'incentivazione della delazione e della
denuncia attuata con metodi (l'azione di provocatori infiltrati e
spie, il pentitismo come via di scampo individuale) che ricordano
episodi recentissimi anche nostrani.
Dal
1318 al 1325 Fournier, istruisce 98 processi, tanti per una piccola
diocesi come Pamiers, con centinaia di inquisiti e di testimoni.
Paesi interi vengono coinvolti, come Montaillou, considerato
epicentro dell'eresia, dove vengono inquisiti tutti gli abitanti
sopra i 12 anni.
Montaillou oggi |
Nella
sua lucida follia Fournier procede all'interrogatorio minuzioso e
sistematico degli arrestati e dei testimoni. 578 interrogatori
svoltisi in 370 giorni. E' il vescovo stesso a dirigere gli
interrogatori e le sedute di tortura (rare). Simile a certi
magistrati degli anni di piombo, a Fournier non interessa tanto
scoprire gli eretici (cosa che comunque gli riesce benissimo), quanto
capire come il “male” possa prendere possesso degli individui e
sottrarli alla chiesa, in una parola impadronirsi dell'anima degli
inquisiti e suscitarne (con le buone e le cattive) il “pentimento”
attivo.
A
Fournier interessa analizzare la “devianza” (perchè l'eretico
come il rivoluzionario è prima di tutto un deviante dalla retta via)
nella sua genesi. Gli interrogatori sono dunque maniacalmente
minuziosi e riguardano tutti gli aspetti della vita quotidiana ( e
dell'immaginario) di quegli uomini e quelle donne.
Scarso
è il ricorso alla tortura (in genere riservata agli irriducibili)
perchè la massa degli inquisiti è pronta per salvarsi a raccontare
fin negli aspetti più intimi e vergognosi (storie di letto
comprese) tutto della propria vita e delle vite degli altri (vicini,
parenti, amici).
Il
vescovo interroga, ascolta pazientemente, spesso interloquisce, ma
soprattutto fa scrupolosamente annotare anche la più insignificante
dichiarazione. Procedure e interrogatori raccolti in una serie di
grossi volumi rilegati e gelosamente conservati dal vescovo che,
diventato papa, li porta con se nella reggia di Avignone. Un
monumento cartaceo al suo lavoro di inquisitore che, nonostante le
perdite causate dal trascorrere dei secoli, a partire dalla fine
dell'Ottocento almeno tre generazioni di eruditi francesi hanno
riportato alla luce.
E' su
questi materiali che Le Roy Ladurie costruisce il suo libro,
analizzando sistematicamente le vite di centinaia di uomini e donne
di un piccolo paese di montagna (Montaillou è a 1300 metri) che
raccontano tutto, ma proprio tutto, dei loro sogni, delle loro
speranze, delle loro delusioni, dei loro progetti.
Ne
emerge il quadro vivo di un mondo e di una cultura lontanissima da
noi, ma anche per tanti aspetti sorprendentemente simile. Perchè,
visti nella loro più intima quotidianità, quegli uomini e quelle
donne si rivelano tanto simili a noi da farci pensare che la
diversità delle culture pesi poi molto poco nel rapporto,
contraddittorio e difficile, certo, che ciascuno di noi ha con la
propria vita.
Ne
risulta un libro affascinante in cui (come nelle grandi narrazioni)
ritrovarsi, in sostanza un buon uso del tradimento di questo chierico
occitano, estraneo al suo popolo e collaborazionista dei francesi.