sabato 23 agosto 2014

Del buon uso del tradimento. Montaillou, paese occitano



In preparazione di un corso su storie e culture delle Alpi Marittime stiamo rileggendo qualche vecchio buon libro come lo studio di Emmanuel Le Roy Ladurie su Montaillou, borgo occitano e cataro, che tanto interesse suscitò nei primi anni Settanta e che ancora oggi resta un esempio insuperato di ricerca etnologica “sul campo” applicata al medioevo.

Giorgio Amico

Del buon uso del tradimento. Montaillou, paese occitano

Si può fare ricerca storica sul Medioevo utilizzando gli strumenti dell'etnologia, in altre parole analizzando la cultura medievale come gli antropologi fanno con le culture primarie del sud del mondo? Nei primi anni Settanta, anche sulla base della pluridecennale esperienza degli Annales, uno storico francese, già autore di una approfondita ricerca sui contadini di Linguadoca, dimostrò che non solo ciò era possibile, ma che l'approccio etnologico apriva prospettive fino ad allora impensate di analisi “dall'interno” di un mondo finito da secoli.

Tutto a partire da uno strano personaggio, Jacques Fournier, monaco cistercense, poi vescovo di Pamiers nel sud della Francia e infine papa con il nome di Benedetto XII, uno dei primi pontefici del periodo avignonese, iniziatore dei lavori di costruzione del grandioso palazzo papale e mecenate di Simone Martini a cui commissionò l'affrescatura delle sale.



Strano personaggio dicevamo. Si, perchè Fournier si mette in luce presso il re di Francia come spietato inquisitore e cacciatore di eretici in un paese occitano da poco conquistato con la forza delle armi (la crociata contro gli albigesi) e che ora deve essere sottomesso anche culturalmente sradicandone l'antica cultura trobadorica.

Un collaborazionista lo definiremmo oggi. Lui occitano al servizio del re di Francia, dedito al sistematico smantellamento della rete clandestina che catari (e valdesi) avevano intessuto nelle campagne e nella montagna pirenaica. Una chiesa sotterranea di veri credenti che nonostante la repressione resiste e si diffonde tra i più poveri disgustati dalla corruzione e dall'avidità della chiesa ufficiale, ordini mendicanti compresi.

Un personaggio maniacale nella tenacia minuziosa con cui persegue la sua opera repressiva attraverso l'incentivazione della delazione e della denuncia attuata con metodi (l'azione di provocatori infiltrati e spie, il pentitismo come via di scampo individuale) che ricordano episodi recentissimi anche nostrani.

Dal 1318 al 1325 Fournier, istruisce 98 processi, tanti per una piccola diocesi come Pamiers, con centinaia di inquisiti e di testimoni. Paesi interi vengono coinvolti, come Montaillou, considerato epicentro dell'eresia, dove vengono inquisiti tutti gli abitanti sopra i 12 anni.

Montaillou oggi


















Nella sua lucida follia Fournier procede all'interrogatorio minuzioso e sistematico degli arrestati e dei testimoni. 578 interrogatori svoltisi in 370 giorni. E' il vescovo stesso a dirigere gli interrogatori e le sedute di tortura (rare). Simile a certi magistrati degli anni di piombo, a Fournier non interessa tanto scoprire gli eretici (cosa che comunque gli riesce benissimo), quanto capire come il “male” possa prendere possesso degli individui e sottrarli alla chiesa, in una parola impadronirsi dell'anima degli inquisiti e suscitarne (con le buone e le cattive) il “pentimento” attivo.

A Fournier interessa analizzare la “devianza” (perchè l'eretico come il rivoluzionario è prima di tutto un deviante dalla retta via) nella sua genesi. Gli interrogatori sono dunque maniacalmente minuziosi e riguardano tutti gli aspetti della vita quotidiana ( e dell'immaginario) di quegli uomini e quelle donne.

Scarso è il ricorso alla tortura (in genere riservata agli irriducibili) perchè la massa degli inquisiti è pronta per salvarsi a raccontare fin negli aspetti più intimi e vergognosi (storie di letto comprese) tutto della propria vita e delle vite degli altri (vicini, parenti, amici).

Il vescovo interroga, ascolta pazientemente, spesso interloquisce, ma soprattutto fa scrupolosamente annotare anche la più insignificante dichiarazione. Procedure e interrogatori raccolti in una serie di grossi volumi rilegati e gelosamente conservati dal vescovo che, diventato papa, li porta con se nella reggia di Avignone. Un monumento cartaceo al suo lavoro di inquisitore che, nonostante le perdite causate dal trascorrere dei secoli, a partire dalla fine dell'Ottocento almeno tre generazioni di eruditi francesi hanno riportato alla luce.

E' su questi materiali che Le Roy Ladurie costruisce il suo libro, analizzando sistematicamente le vite di centinaia di uomini e donne di un piccolo paese di montagna (Montaillou è a 1300 metri) che raccontano tutto, ma proprio tutto, dei loro sogni, delle loro speranze, delle loro delusioni, dei loro progetti.

Ne emerge il quadro vivo di un mondo e di una cultura lontanissima da noi, ma anche per tanti aspetti sorprendentemente simile. Perchè, visti nella loro più intima quotidianità, quegli uomini e quelle donne si rivelano tanto simili a noi da farci pensare che la diversità delle culture pesi poi molto poco nel rapporto, contraddittorio e difficile, certo, che ciascuno di noi ha con la propria vita.

Ne risulta un libro affascinante in cui (come nelle grandi narrazioni) ritrovarsi, in sostanza un buon uso del tradimento di questo chierico occitano, estraneo al suo popolo e collaborazionista dei francesi.