TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 12 luglio 2024

Antifascismo come lotta di classe

 


Riprendiamo la premessa a un libro uscito all'inizio degli ormai lontani anni Settanta. Un documento di oltre cinquant'anni fa ma sempre molto attuale. Con una differenza fondamentale. Allora la coscienza politica e sociale era viva e suscitava una voglia diffusa di approfondimento e confronto, di cui questo libro, contenente gli atti di un convegno delle forze della nuova sinistra è testimonianza. Oggi ci si limita a ripetere slogan usurati dal tempo, pensando che basti cantare "Bella ciao" per fare i conti con il fascismo.



In questo secondo quaderno di «Unità Proletaria» vengono pubblicati gli atti del convegno che il quindicinale del PdUP organizzò lo scorso anno (9 e 10 giugno 1973) a Firenze, sul tema Per un nuovo antifascismo militante —L'involuzione autoritaria oggi in Italia.

L'idea di organizzare un momento collettivo di riflessione su questa problematica era partita da un gruppo di compagni, e particolarmente da Luciano Della Mea, in seguito ad un dibattito, apertosi sulle colonne del giornale, e al quale avevano partecipato alcuni comandanti partigiani.

Fortunato Avanzati, il famoso «Viro», comandante della brigata «Spartaco Lavagnini» si era fatto portatore di una proposta precisa: rivitalizzare L'ANPI con l'ingresso delle nuove generazioni, toglierla dal clima decrepito delle mere celebrazioni, ridare slancio all'azione antifascista, conferendole un carattere militante di vigilanza e di controinformazione.

Da poco erano stati assassinati Mario Lupo, un giovane di Parma, dai fascisti e Franco Serantini, un altro giovane pisano, dalla polizia; da pochi anni l'iniziativa fascista aveva ripreso vigore e baldanza, con la complicità dello Stato e della DC in primo luogo.

In più si veniva già profilando una crisi economica di dimensioni internazionali che acutizzava il contrasto di classe e lasciava prevedere l'intensificazione dello scontro sociale.

D'altra parte la sinistra si presentava divisa e incerta di fronte all'attacco reazionario, la stessa unità sindacale conosceva i suoi momenti più difficili.

In questo contesto maturava, dentro il PdUP e fuori di esso, l'esigenza di ripensare le esperienze sin lì compiute, elaborare nuove proposte, costruire i presupposti per una unità antifascista fondata su una chiara visione di classe.

Il convegno, organizzato dalla redazione di UP insieme con îl comitato regionale toscano di coordinamento del PdUP, ha avuto dal compagno Della Mea (che poi, per malattia, non poté partecipare direttamente ai lavori) un insostituibile contributo sia per il documento preparatorio sia per la collaborazione nello stendere la relazione introduttiva insieme con il compagno Frolli.

La partecipazione di molte centinaia di militanti, la presenza di varie forze della sinistra (Lotta Continua, PCI, PSI, Manifesto, Movimento Studentesco, Acli, PCd'I m-l), di rappresentanti delle organizzazioni partigiane., e quindi il livello qualitativo degli interventi hanno fornito gli elementi principali per il successo del convegno, di cui in questo quaderno riportiamo larga parte del dibattito.


mercoledì 3 luglio 2024

Il Partito comunista italiano e il mutamento sociale nell'Italia degli anni Ottanta


 

E' disponibile sul sito academia.edu il sedicesimo quaderno della serie Archivi per la storia del movimento operaio. Ne proponiamo l'introduzione.


Il saggio che presentiamo in questo quaderno, uscito su Rinascita esattamente quaranta anni fa, rappresenta un documento di eccezionale valore. Colpisce la precisione con cui l'autore individua le profonde trasformazioni in atto nel sistema produttivo italiano e nella composizione di classe, così come nelle aspettative dei giovani a partire dall'atteggiamento verso il lavoro in fabbrica.

Il documento è importante perché per la prima volta in un organo a larga diffusione, come Rinascita, destinato ai quadri di base del partito, si abbandona ogni visione mitologica della classe e si vanno ad individuare con estrema precisione quelli che saranno poi i processi centrali nei decenni successivi a partire dalla scomparsa, non della classe operaia, ma della configurazione che questa aveva assunto a partire dagli anni del boom.

Fine dell'operaio massa, frammentazione crescente del lavoro, perdita di una identità di classe ben definita sono gli elementi centrali di questa realtà che, come si è detto, avrà nei decenni succesivi ulteriori sviluppi e determinerà il crollo dell'impalcatura sociale e dei miti su cui si reggeva lo stesso Partito comunista e più in generale la sinistra, compresa la componente rivoluzionaria in tutte le sue declinazioni.

Proprio dalle profonde trasformazioni negli assetti di classe che il saggio analizza con estrema lucidità deriverà il crollo della combattività operaia, la crisi della rappresentanza sindacale, ma soprattutto la fine di quella tradizione politica iniziata a Genova nel 1892, continuata a Livorno nel 1921 e rilanciata dal nuovo "biennio rosso" 1968-69.

Molto correttamente l'autore dello studio avvertiva che non di scomparsa della classe operaia si trattava, ma di mutazione profonda e invitava nelle conclusioni il partito a prenderne atto. La perdita di centralità della grande fabbrica e la frammentazione sociale che inevitabilmente ne derivava avrebbe richiesto uno svecchiamento radicale del partito ma al contempo un radicamento ancora più profondo nella società. La scelta del gruppo dirigente comunista postberlingueriano fu diversa. Si preferì la via del "nuovo", seguendo il percorso già iniziato con il Congresso di Rimini dal PSI craxiano. Si iniziò a parlare di "partito leggero", le sezioni furono abbandonate a se stesse, "luoghi bui e polverosi" le definì un giovane dirigente destinato poi a una brillante carriera, fu radicalmente ridimensionato l'apparato di propaganda a favore dell'occupazione di spazi televisivi (la terza rete) ritenuti mezzo più efficace di comunicazione con la società. Alla verifica impietosa della storia il partito non resse. Il crollo rovinoso della esperienza sovietica, vide un partito indebolito e privo ormai di identità, totalmente a rimorchio degli avvenimenti che infatti lo travolsero.

Tutti elementi rintracciabili anche nell'esperienza della componente diventata poi il Partito della Rifondazione comunista, incapace non solo di rifondare la teoria, ma anche di ricostruire un minimo di radicamento sociale. La stagione farsesca di Bertinotti, tutta giocata fra salotti televisivi e uscite estemporanee (il partito dei movimenti, la sinistra arcobaleno, lo zapatismo e via discorrendo) ne fu la manifestazione più evidente e portò alla fine stessa del PRC destinato poi a vivacchiare sempre più stentatamente ai margini del sistema..

Non migliore fu la sorte della sinistra rivoluzionaria, con l'eccezione di Lotta comunista, unica realtà sopravvissuta a quel mutamento epocale grazie ad un lavoro sistematico di radicamento nella CGIL e allo spostamento del baricentro dell'attività dall'agitazione a tutto campo alla diffusione porta a porta con criteri "manageriali" del giornale.

Ma di tutto questo tratteremo in altra occasione.


Savona, luglio 2024


venerdì 21 giugno 2024

I senza memoria. A proposito del Manifesto di oggi.

 


I senza memoria

Se "il Manifesto" scrive sul '68 come "Il Giornale" e "Il foglio"


Il 31 dicembre 1968 centinaia di giovani studenti e operai di Pisa e Livorno andarono a contestare il "capodanno dei ricchi" alla Bussola di Viareggio, il locale allora più in voga in Italia. La manifestazione, indetta dal Potere Operaio pisano, fu attaccata dai carabinieri intervenuti in forze che aprirono il fuoco ferendo gravemente Soriano Ceccanti, un ragazzo di 16 anni, che rimase paralizzato e da allora fu costretto a vivere su una sedia a rotelle. Era la prima volta che la polizia sparava sugli studenti. I fatti della Bussola scatenarono proteste violentissime in tutta Italia.

Oggi, in un articolo sulla storia di Sergio Bernardini, il patron della Bussola una sorta di Briatore di allora, diventata film, il Manifesto ricostruisce così quei fatti tragici:

"Ai tavolini della Bussola siedono artisti, teatranti, le stelle dello sport, i politici: è il centro dell'Italia del boom. Ma diventa nel '68 anche bersaglio delle proteste. Bernardini si mette in prima linea, parla con i contestatori, ci scappa anche un ferito".

Grande giornalista Stefano Crippa, autore dell'articolo che esalta per mezza pagina il genio imprenditoriale di Bernardini , definito retoricamente " un artigiano dello spettacolo" ma liquida in mezza riga quello che fu uno dei momenti più drammatici del 1968.

"Ci scappa anche un ferito", scrive senza vergogna quasi che Soriano Ceccanti si fosse preso un cazzotto e non un proiettile nella schiena mentre cercava di sfuggire allle cariche dei carabinieri. Di quei fatti evidentemente costui non sa nulla. A lui basta solo esaltare l'imprenditore.

Che la memoria storica sia andata persa è un fatto che non richiede commenti tanto è evidente. Ciò non toglie che questo articolo rappresenti una vergogna per un giornale che si definisce "quotidiano comunista".

Giorgio Amico

lunedì 17 giugno 2024

giovedì 13 giugno 2024

Ciao Rosasco, libraio controcorrente



 Ciao Rosasco, libraio controcorrente


E così, in silenzio, a 85 anni, se ne è andato anche Rosasco, libraio controcorrente per oltre vent'anni. Aperta nel 1975 in via Torino, nei locali di una vecchia osteria, quasi di nascosto, con la porta di legno a vetri oscurata da spessi fogli di carta rossa,  sede di un'associazione culturale inesistente dal nome francese (Joie de lire) con tanto di finti tesserati, perché il Comune ritardava la concessione della licenza,  la libreria di Rosasco rappresentava l'erede naturale della vecchia Libreria dello Studente del dottor Fontana, luogo di perdizione culturale negli anni caldi della contestazione.

Già la scelta di aprire una libreria al di fuori del centro cittadino in un quartiere operaio come era Villapiana allora, rappresentava un evento rivoluzionario. Poi la scelta attenta dei libri: molta scolastica, tanta politica, tantissima cultura francese, frutto quest'ultima dei periodici viaggi di esplorazione nelle librerie di Nizza di Luigi Lirosi, vero mentore di Rosasco. E poi la collaborazione con il libraio genovese Tassi, la cui libreria nei vicoli del centro storico puzzava di sovversione e di eresia.

Rosasco amava i libri, per questo aveva deciso di cambiare vita e da agente di commercio reinventarsi come libraio. E proprio perché amava i libri, e li leggeva – cosa rara oggi fra i librai – decideva lui cosa tenere e cosa assolutamente non vendere..

Epiche certe sue litigate contro clienti, entrati per sbaglio, che si lamentavano di non trovare il bestseller di moda.

Non si era mai visto a Savona, e credo raramente anche altrove, un libraio che cacciava in malo modo i clienti che non gli piacevano. Rosasco lo faceva, capace nonostante la sua mitezza, di collere improvvise. Ed erano allora libri che volavano attraverso il negozio per atterrare sul marciapiedi davanti all'ingresso, dove sostava sempre gente perché c'era la fermata degli autobus. Volti stupiti a fissare quell'uomo minuto in piedi sulla soglia a sbraitare contro il rincoglionimento di massa voluto dal potere e dall'industria della "cultura".

Da lui potevi trovare riviste, volantini e opuscoli rintracciabili solo a Genova o addirittura a Milano. Da lui passavano periodicamente missionari delle varie chiese bordighiste e trotskiste ad annunciare la lieta novella e a lasciare i loro materiali, qualcuno anche dalla Francia. 

Una libreria controcorrente che non piaceva ai benpensanti di sinistra, vecchi stalinisti in primis, che sentivano puzza di eresia in quelle pubblicazioni e guardavano con sospetto i frequentatori abituali di quel locale. Una fauna eterogenea, un mix di cento tribù: cattolici del dissenso, anarchici, militanti di quello che restava dei gruppi extraparlamentari, ma anche fricchettoni dei primi centri sociali e femministe. Insomma, tutti coloro che non si riconoscevano nel compromesso storico e nel conformismo moralistico berlingueriano che tanti guasti avrebbe provocato. Ma anche, va detto, non priva di personaggi ambigui, al limite fra il provocatore e il confidente di Questura. Gente che ti prendeva da parte e sottovoce ti faceva discorsi neppure troppo allusivi sui "compagni che sbagliano ma...".

Libreria anomala, rimasta per molti aspetti osteria, luogo di incontri e di discussioni accanite nella saletta interna, riservata a pochi, vero e proprio sancta sanctorum, attorno a una vecchia stufa, unica forma di riscaldamento in inverno, su cui il buon Rosasco, più vecchio di noi di una decina di anni, si ostinava a coltivare l'antico uso delle bucce di mandarino sulla piastra incandescente a combattere il fumo aspro della legna con aromi e fragranze sicuramente più simpatiche dell'odore inconfondibile delle prime canne rigorosamente bandite da quegli spazi.

Un luogo magico, una sorta di caverna primordiale che ti avvolgeva e ti faceva sentire bene.

E questo Rosasco cercava. Non tanto e non solo vendere libri o comunque far cultura, ma gestire uno spazio che fosse prima di tutto comunità di uomini liberi, di menti critiche.

Savona gli deve molto, noi gli dobbiamo molto.

Un abbraccio vecchio libertario brontolone in guerra accanita con il mondo della mediocrità culturale e del politicamente corretto che avanzava a larghi passi e che non volevi a nessun costo accettare.

Non hai vinto la tua battaglia, ma ci hai aiutato a salvarci da tutta la merda che incominciava a pioverci addosso. E di questo ti saremo  eternamente grati.



martedì 11 giugno 2024

SIMONDO & CO. - Genova, Galleria Entr'acte

 


SIMONDO & CO.
a cura di Sandro Ricaldone
Entr’acte
via sant’Agnese 19r – Genova
13 giugno – 12 luglio 2024
orario: mercoledì- venerdì 16-19
inaugurazione: giovedì 13 giugno, ore 17


Entr’acte chiude la stagione con una rassegna dedicata a Piero Simondo (Cosio d’Arroscia, 1928 – Torino, 2020) membro del Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista, cofondatore del Laboratorio sperimentale di Alba (1955) e dell’Internazionale situazionista (Cosio, 1957), animatore del C.I.R.A. (Centro Internazionale per un Istituto di Ricerche Artistiche, Torino, 1962-1967), in seguito responsabile dei laboratori di attività sperimentali presso l'Istituto di Pedagogia dell’Università di Torino e docente di Metodologia e didattica degli audiovisivi.

Nel suo lungo percorso pittorico Simondo ha attraversato diverse fasi: dai monotipi iniziali, alle grandi topologie degli anni ’60 (esposte a Genova allo Studio Leonardi nel 1994), ai “quadri manifesto” del periodo successivo al 1968 (esposti qui alla Libreria Sileno sempre nel 1994), per passare poi alle “Ipopitture” e ai “Nitroraschiati”, ricercando sempre - nella varietà delle tecniche e dei procedimenti – un’“immagine imprevista”.

In mostra tre monotipi degli anni ’50-60 e un grande trittico (“Attenuazione/Aumento”) degli anni ’90, accompagnati dalle litografie realizzate nel 1956 da Asger Jorn, Sandro Cherchi e Franco Garelli, oltreché da Simondo stesso, in occasione della manifestazione per l’Urbanismo unitario all’Unione Culturale di Torino e da documenti d’epoca.

Tra le sue mostre recenti si segnala l’ ampia retrospettiva allestita nel 2021, a cura di Luca Bochicchio, presso l’Accademia Albertina di Torino che aveva frequentato in gioventù nella classe di Felice Casorati. Nel maggio 2004 l’Accademia Ligustica di Belle Arti gli ha riservato un incontro di studio con la partecipazione dell’artista e di Guido Curto, Sandro Ricaldone, Carlo Romano, Sandra Solimano e Cesare Viel. 



venerdì 7 giugno 2024

Fascismo: non limitarsi agli slogan

 










Risposta ad una cara amica che su Facebook posta alcune foto di edifici del periodo fascista e aggiunge che, nonostante la negatività del periodo, li trova splendidi:

Assolutamente d'accordo. Il che ci ricorda che il fascismo fu anche (o soprattutto) un tentativo (fallito) di modernizzare l'Italia, dall'alto, in modo autoritario. Da rivoluzionario deluso, Mussolini pensava che da solo il popolo italiano non avrebbe mai avuto la forza di superare secoli di abulia dovuti alla frantumazione politica e alla egemonia straniera. L'esaurirsi rapido della carica rivoluzionaria delle lotte risorgimentali stava a dimostrarlo. Ancora minore era la fiducia nelle classe dirigente e nella monarchia.

Da qui il tentativo di forgiare una gioventù nuova che avesse tra l'altro il senso del bello. L'arte doveva diventare esperienza quotidiana, fruibile da tutti. Pensiamo al Pegaso del fascistissimo Arturo Martini sulla facciata del palazzo delle Poste di Savona.

L'ironia della storia ha voluto che quella gioventù nuova nascesse non nei Littoriali, dove comunque si era formata, ma nella scelta della via della montagna quando il fascismo crollò come un castello di carte.

Come ogni grande fenomeno storico (e il fascismo lo è stato, tanto da segnare profondamente fino ad oggi la storia dell'Italia repubblicana) il fascismo è realtà complessa da affrontare con serietà Dunque rifiuto netto dell'ideologia fascista in qualunque forma si manifesti, ma anche non abbassarsi al livello delle polemiche sul "Mussolini ha fatto anche cose buone".

La storia va studiata non ridotta a slogan. L'antidoto al ripetersi di tragedie come i totalitarismi del Novecento sta nel non demonizzare con formule prive di contenuto, ma capire, capire, capire.