TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 28 agosto 2014

Giordano Bruno e la Massoneria scozzese.



Storia della Massoneria 5. La figura di Giordano Bruno rappresenta un primo legame diretto fra l'Italia e la Massoneria. Il monaco ribelle risulta esserne uno dei principali ispiratori sul piano filosofico.

Giorgio Amico

Giordano Bruno e la Massoneria scozzese.

La Massoneria italiana ha sempre rivendicato un legame strettissimo con la figura di Giordano Bruno, celebrato come martire del libero pensiero e vittima sacrificale della politica oscurantista e reazionaria della chiesa cattolica e del papato.

Emblematica in questo senso è la storia della statua di Giordano Bruno a Roma. Una prima statua fu eretta durante la repubblica romana del 1849, ma ebbe vita breve. Fu distrutta pochi mesi dopo, non appena tornato sul soglio pontificio Pio IX.

Il monumento a Giordano Bruno

Nel 1885 (quindi ben 15 anni dopo la liberazione di Roma dal giogo pontificio) fu formato un comitato per la costruzione di un monumento al monaco ribelle, cui aderirono le maggiori personalità dell’epoca: Victor Hugo, Michail Bakunin, George Ibsen, Giovanni Bovio, Herbert Spencer e molti altri. La battaglia fu dura e lunga. Il consiglio comunale, controllato da una maggioranza filo-clericale, si oppose in ogni modo, tanto che la questione divenne il simbolo della lotta del libero pensiero contro l'oscurantismo e una sfida alla Chiesa e al papa.

La situazione si sbloccò solo dopo le elezioni amministrative del giugno 1888, con l'entrata in Consiglio comunale di una nutrita rappresentanza della sinistra radicale e repubblicana, tra cui il Ettore Ferrari, che sarà poi l'artefice del monumento (e che nel 1904 sarà eletto Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia).

La statua fu inaugurata il 9 giugno 1889, in quel Campo de’ Fiori dove era arso il rogo, con la partecipazione di un’immensa folla festante. Una storia travagliata, ma non ancora conclusa. Al tempo dei Patti Lateranensi (1929) si parlò di forti pressioni vaticane perché la statua fosse demolita come segno di “riconciliazione” fra le due Italie, quella laica e quella cattolica. Ma alla fine non ne se fece nulla e il regime si limitò a vietare ogni forma pubblica di commemorazione e di omaggio alla figura del martire.



Giordano Bruno simbolo identitario

Dunque per la Massoneria italiana fin dal suoi inizi post-unitari Giordano Bruno rappresentò il simbolo identitario per eccellenza. Parliamo del Grande Oriente d'Italia, perché l'Obbedienza di Piazza del Gesù (e successive filiazioni), nata dalla scissione del 1908 su posizioni filo-cattoliche e conservatrici, si mostrò sempre molto tiepida sulla questione sia prima che dopo l'avvento del fascismo che (nella figura del suo Gran Maestro Raoul Palermi e di molti suoi dignitari) sostenne attivamente fino al momento del suo scioglimento nel 1925.

Ma quello che è stato celebrato più che il pensiero di Giordano Bruno, è il suo rifiuto della sottomissione, l'essere cioè un simbolo luminoso della libertà di pensiero, della volontà dell’uomo a lottare in difesa delle proprie idee. Il tutto con venture anticlericali più o meno accentuate a seconda dei periodi storici. Fortissime nel periodo giolittiano, avvertibili ancora fino agli anni sessanta, pressoché scomparse oggi.

Molto minore, invece, allora e oggi, l'interesse per il pensiero bruniano nella sua essenza filosofica e per gli influssi profondi che esso esercitò su quella generazione di intellettuali inglesi che a cavallo fra la metà del Seicento e gli inizi del Settecento si attivarono per la nascita della moderna Massoneria speculativa sulle basi di ciò che restava della vecchia libera muratoria operativa di epoca medievale.



Gli studi di Frances Yates

Come è spesso accaduto per la storia della Massoneria anche in questo caso il cambiamento di prospettiva non fu interno all'Istituzione, ma esterno, interamente opera di studiosi esterni che, forse proprio perché liberi da ogni forma di condizionamento e di conservatorismo “ideologico” si dedicarono con entusiasmo e spirito innovatore alla ricerca sul quel periodo di transizione, drammatico e contraddittorio, in cui sulle ceneri di un Rinascimento uscito in pezzi sotto i colpi della Controriforma Tridentina e delle guerre di religione, lentamente fermentarono quelle idee di libertà e tolleranza che saranno poi alla base della ripresa illuministica e dell'Europa moderna.

Idee veicolate da uomini e club (spesso segreti per sfuggire alla persecuzione della Chiesa e dei principi) che in larga parte ritroveremo poi nel processo, estremamente complesso e sfaccettato, che porterà nel 1717 alla creazione della Gran Loggia d'Inghilterra.

Un cambiamento di prospettiva dovuto soprattutto agli studi pionieristici di Frances A. Yates (1899-1981), prestigiosa ricercatrice dell'Università di Londra e dell'Istituto Warburg, che a partire dalla fine degli anni '50 si dedicò interamente allo studio degli effetti di lungo periodo della filosofia rinascimentale (la cosiddetta magia naturalis) sulla cultura del Seicento. Una dopo l'altra videro in pochi anni la luce opere di grande respiro che rivoluzionarono lo stato degli studi, a partire da “Giordano Bruno e la tradizione ermetica” (1964), a “L'arte della memoria” (1966) e “Theatrum Orbis” (1969), per culminare poi nel fondamentale“L'illuminismo dei Rosa Croce” (1972) un vero punto di svolta nella ricerca sull'underground esoterico tardo-rinascimentale.

Nelle sue opere la Yates colloca il pensiero di Giordano Bruno all'origine della filosofia di John Dee (il Prospero shakespeariano) figura centrale della cultura elisabettiana e dunque dei manifesti rosacrociani (che Dee influenzò moltissimo) e infine della Massoneria:

“Verso la fine del sedicesimo secolo – scrive nel suo Giordano Bruno e la tradizione ermetica – c'erano uomini che consideravano l'ermetismo religioso un modo per giungere alla tolleranza o all'unione delle diverse sette in lotta tra loro... C'erano molte varietà di ermetismo cristiano, cattoliche e protestanti, la maggior parte delle quali tendeva, però, ad evitare la magia. E poi arriva Giordano Bruno, declamando un ermetismo egizio pienamente magico, predicando una sorta di Controriforma Egizia, profetizzando il ritorno all'egizianesimo in cui tutte le difficoltà religiose spariranno in una qualche nuova soluzione; predicando anche una riforma morale con un'enfasi particolare sulle opere buone socialmente e su un'etica di utilità sociale... Dove c'è una tale combinazione di tolleranza religiosa, legame emotivo con il passato medievale, enfasi sulle opere buone per gli altri e attaccamento intellettuale alla religione e al simbolismo degli Egiziani? L'unica risposta a cui sono capace di pensare è: la Massoneria”.

Dunque, per la studiosa inglese, Giordano Bruno diventa punto di snodo fra i più significativi fra momenti, figure e percorsi collettivi nell'Europa a cavallo dei secoli XVI e XVII. Un insieme di fiumi carsici che scorrono in superficie per poi inabissarsi (e come i Rosa Croce divenire invisibili) per riapparire poi alla luce agli inizi del Settecento e confluire nel grande alveo della Massoneria inglese in piena trasformazione “speculativa”.

Una chiave interpretativa subito impostasi e ripresa e continuata dall'americana Margaret Jacob e recentemente dalla giovanissima studiosa italiana Vittoria Feola, autrice di un'affascinante ricerca sulle origini e gli sviluppi della Massoneria in età moderna.




Giordano Bruno in Inghilterra

Proveniente dalla corte di Enrico III di Francia, Bruno arrivò in Inghilterra (per insegnare a Oxford) nel 1583 e vi si fermò due anni. Un periodo breve, ma intenso, sufficiente a segnare in profondità la cultura inglese del tempo.

Non è questa la sede per trattare il tema della filosofia bruniana, basterà accennare all'influsso profondo sulla cultura (inglese e più in generale europea) di opere come lo Spaccio della bestia trionfante, scritta proprio per gli amici inglesi e pubblicata nel 1585, in cui si auspicava il recupero in funzione antipapale dell'antica unità spirituale europea al di sopra dei conflitti religiosi che insanguinavano il continente.

Ma quello che lasciò probabilmente le tracce più profonde fu l'arte della memoria che Bruno aveva sviluppato su basi ermetiche. Perché, come scrive Vittoria Feola, riprendendo le conclusioni a cui erano giunte precedentemente sia Yates che Jacob:

“L'arte della memoria [di Bruno]andò in Scozia ed entrò, senza più uscirne, nelle logge massoniche, mentre, in Inghilterra, essa influenzò quei teatri costruiti seguendo le indicazioni di John Dee; la sua cosmografia penetrò nel Gresham College di Londra, nel quale si formarono i fondatori della Royal Society, quasi tutti massoni”.



Giordano Bruno e la Massoneria scozzese

Vediamo ora come le teorie di Bruno arrivarono nelle logge scozzesi. Fondamentale a questo proposito è l'opera di un ricercatore dell'Università di Edimburgo, David Stevenson,, che sulla base di numerosissime fonti sostiene che fu in Scozia e non in Inghilterra che iniziò il processo di trasformazione della Massoneria da operativa a speculativa.

In un libro, di grandissimo spessore culturale e storico, The Origins of Freemasonry, Scotland's Century 1590-1710, Stevenson anticipa in Scozia di oltre un secolo:

1)l'uso della parola “loggia” nel significato massonico attuale; 2) il primo tentativo di organizzazione nazionale delle logge; 3) la presenza diffusa di massoni non operativi; 4) i riferimenti a una Mason Word con relativi catechismi 5) il progressivo emergere di un terzo grado; 6) la connessione delle logge con idee filosofiche ed etiche provenienti dal mondo profano.

Proprio su questo ultimo punto si innesta il ruolo determinante svolto dal pensiero di Giordano Bruno. Stevenson dimostra come già dalla fine del Cinquecento per farsi ammettere in una loggia venisse richiesta una “prova di memoria e arte della corporazione” e come l'intero insegnamento simbolico-rituale dovesse essere tramandato a memoria, vietandone i regolamenti ogni forma scritta o incisa. Da qui, con la crescita dell'Istituzione dovuta al suo organizzarsi in una Gran Loggia centralizzata, la necessità dell'introduzione e dell'uso di sofisticate tecniche di memoria.

Centrale in questo processo fu la figura di William Schaw, Maestro delle opere del re, Maestro delle Cerimonie e Praefectum Architecturae, che, seguace dell'ermetismo mistico e riformatore del tardo Rinascimento, si affidò a Alexander Dicson, amico intimo e fedelissimo seguace di Giordano Bruno, molto attivo alla corte degli Stuart. A Schaw non interessava una semplice tecnica di memoria, ma qualcosa di più. Quello che desiderava era una tecnica più sofisticata e filosoficamente fondata, imperniata su una visione magico-religiosa del cosmo e l'arte della memoria di Bruno era quanto di meglio si potesse trovare.

Non si può essere del tutto certi che Schaw introdusse per primo l'arte della memoria nella Massoneria scozzese. Ci sono nei documenti citati richiami a pratiche più antiche. Certo è che questa appare come dovere nel 1599 e che Schaw aveva in mente come preciso riferimento l'opera di Giordano Bruno. Due evidenze sufficienti a dimostrare scientificamente il collegamento tra la Massoneria moderna e la visione ermetica (e magica) del mondo elaborata da Bruno e a elevare il filosofo da riferimento identitario dei massoni italiani a una delle fonti ispiratrici della Massoneria universale



5. continua

mercoledì 27 agosto 2014

La nascita della Gran Loggia d'Inghilterra e della Massoneria moderna

Grembiule di Voltaire






















Quarta tappa del nostro viaggio nell'universo massonico. Oggi trattiamo della trasformazione della Massoneria inglese da associazione di artigiani a società di intellettuali.


Giorgio Amico

Storia della Massoneria 4. La nascita della Gran Loggia d'Inghilterra e della Massoneria moderna

I secoli XVI e XVII furono caratterizzati da un profondo fermento intellettuale e politico. Nasce la scienza, la filosofia e la politica moderna. Centrale nei dibattiti è il tema della religione, della coesistenza pacifica di fedi diverse. L'Europa e l'Inghilterra non hanno ancora superato il trauma della Riforma e delle sanguinose guerre di religione che ne sono seguite. L'Inghilterra in particolare sarà funestata da due rivoluzioni (con relativa decapitazione di un re, una dittatura militare e una lunga e feroce guerra civile. Non è strano, dunque, che l'aspirazione alla pace civile e alla tolleranza diventi motivo centrale del dibattito filosofico e politico.

Nel 1627 appare la Nuova Atlantide, opera postuma di Francesco Bacone (1561-1626) in cui viene esaltato l'ideale di una società utopica, guidata da una Collegio di illuminati (che fra loro si chiamano fratelli) definita la “Casa di Salomone o Collegio delle Opere dei sei giorni”, capace di vivere come un grande laboratorio scientifico dedito alla ricerca delle leggi della natura per poterle poi usare al fine del progresso e del benessere universale superando le divisioni sociali, politiche e religiose che insanguinavano l'Europa e presto anche l'Inghilterra.



Bacone, associato da molti studiosi alla Massoneria, esprimeva le aspirazioni universalistiche della parte più avanzata degli spiriti colti dell'Europa del XVI e XVII secolo e la tendenza di questi ad organizzarsi in modo sotterraneo in società più o meno segrete per sfuggire le persecuzioni di Chiesa (cattolica e protestante) e Stato.

Temi già avanzati da Tommaso Moro nella sua famosa opera Utopia (1516), descrizione di una società avvenieristica in cui tutte le religioni sono tollerate. Idee riprese e diffuse da più parti e da molti, allora e oggi, associate con l'esistenza di un misterioso e potente Ordine dei Rosa Croce, e ciò soprattutto dopo l'apparizione nel 1614 di un'opera avente per titolo: Fama fraternitatis Rosae Crucis. Il volume, scritto da un religioso tedesco, Jean-Valentin Andréa (1586-1634), ebbe un grande successo, particolarmente in Inghilterra.

Massoni e Rosa Croce

Biblioteche intere sono state dedicate ai possibili, per alcuni studiosi indiscutibili per altri del tutto fantastici, rapporti fra Massoneria e Rosa Croce. Per molti fu proprio l'ingresso nelle Logge dei membri di questo “Collegio invisibile” a determinare il passaggio dalla massoneria operativa a quella speculativa. La questione è aperta e non possiamo occuparcene qui. Resta il fatto, singolare, della poesia “Muses Threnodie” di un certo Henry Adamson, pubblicata a Edimburgo nel 1638. Il poemetto è letterariamente insignificante ma contiene due versi che hanno fatto scorrere fiumi di inchiostro e che recitano:

Perchè noi siamo Fratelli della Rosa Croce
Abbiamo la Parola massonica (the Mason Word) e la seconda visione”.



La critica storica più recente tende ad escludere una filiazione diretta della Massoneria dai Rosa Croce, qualunque cosa essi realmente fossero (e anche su questo il dibattito è apertissimo), mentre è concorde nel ritenere che gran parte delle idee e dei valori che sostanzieranno a partire dal 1717 l'Istituzione libero-muratoria abbiano la loro origine proprio in questi fermenti e aspirazioni ad un futuro più civile e giusto, capace di andare oltre la barbarie delle guerre di religione e di definire le linee portanti di un progetto di società incentrato sui pilastri della tolleranza e della fratellanza.


Aspirazioni fortissime nell'Inghilterra del XVII secolo, tragicamente segnata dalla rivoluzione e dalla guerra civile (1640-1649), dalla repubblica dittatoriale di Cromwell (1649-1658), dalla restaurazione monarchica degli Stuart (1660) e infine dalla seconda rivoluzione con l'ascesa al trono di Guglielmo d'Orange (1688-1689).

Un secolo di sangue che sta alla base della lucida riflessione di John Locke (1632-1704) e dei suoi scritti, ancora oggi attualissimi, sulla tolleranza. Idee riprese nel 1717 dai fondatori della Gran Loggia d'Inghilterra in modo tanto convinto da far ipotizzare l'appartenenza del filosofo alla Massoneria. Una tesi fortemente dibattuta agli inizi del secolo scorso, ma oggi abbandonata.

I “Massoni Accettati”

Ma come avviene in concreto la fusione di queste nuove idee con la vecchia Arte muratoria ormai in pieno declino? Qui la storia si fa complessa anche per la scarsità e talvolta l'oscurità dei dati disponibili. Di certo sappiamo che nel corso del Seicento diventa sempre più grande il numero dei Massoni cosiddetti “Accettati”, di quei fratelli, cioè, ricevuti nella Corporazione anche in mancanza delle caratteristiche professionali richieste dagli statuti.

Mentre cala il numero delle Logge e diminuisce a causa dei processi economici e sociali già evidenziati il numero degli “Operativi”, entrano nella Craft esponenti della borghesia e della nobiltà, militari, scienziati, artisti e letterati. In una parola, il meglio della società inglese di allora.

Ad essere precisi non si tratta in sé di una novità. Già nel Medioevo non era infrequente la presenza di non operativi nella corporazione. Membri del clero ne fecero parte come cappellani a causa del carattere religioso delle associazioni di mestiere che operavano anche come confraternite. Dalle Costituzioni Gotiche (come vengono chiamati gli statuti medievali rimasti) veniamo poi a sapere che in particolari occasioni alle riunioni dei Maestri costruttori partecipavano anche rappresentanze delle autorità civili. In entrambi i casi però non si trattava di una vera ammissione e gli esterni non venivano messi a parte dei segreti dell'Arte.

Ora, invece, si tratta di un'ammissione piena, anche se, soprattutto nei primi decenni, i nuovi ammessi restano a parte della vita della corporazione e questo proprio per il loro essere non operativi e dunque non coinvolti nella gestione quotidiana delle attività.

La prima accettazione di un non operativo di cui resti documentazione risale all'anno 1600, quando un nobile scozzese, Sir John Boswell di Auchinlech fu ricevuto presso la loggia Mary's Chapel di Edinburgo. Ma è a partire dal secondo decennio del secolo che il fenomeno prende dimensioni così consistenti da sorprendere anche i contemporanei. Farsi Massoni diventa nelle classi elevate una vera e propria moda, come annota il Dottor Robert Plot nel suo libro sulla storia dello Staffordshire pubblicato nel 1686: “Tutte le persone di più alto rango amavano farsi membri di questa associazione ormai sparsa in tutta l'Inghilterra, essendo ormai di moda farsi iniziare”.

Un'ulteriore conferma dell'ampiezza di questo fenomeno ci viene dai Libri contabili della Compagnia dei Muratori della Città di Londra. Da tali libri risulta che negli anni 1620 e 1621, alcune persone (e dunque non casi eccezionali), registrate come Accepted Masons, hanno versato somme per la loro Acceptance (accettazione) nelle casse della Compagnia. I dati non sono del tutto chiari, ma sembrano indicare che la quota di partecipazione fosse doppia per i Massoni non di mestiere.

Fra i primi non operativi “accettati” nella Massoneria spicca la figura di Elias Ashmole (1617-1692), uno dei maggiori scienziati del XVII secolo, ma anche studioso di arti occulte, di magia, di alchimia e di astrologia, ricevuto il 16 ottobre 1646 nella Loggia di Warrington nel Lancashire e ritenuto da molti studiosi un membro influente della società rosacruciana.

A differenza della Scozia, dove i non operativi entrano a pieno titolo nelle Logge esistenti, in Inghilterra non sembra che i nuovi ammessi abbiano fatto realmente parte di logge operative. Essi diventano quello che oggi diremmo dei membri onorari, partecipano ai lavori di logge occasionali in occasione di nuove accettazioni o a strutture semipermanenti consistenti principalmente di non operativi. Secondo Knoop e Jones sia queste Logge occasionali che quelle semipermanenti sembrerebbero essere state organizzate proprio allo scopo di ammettere Massoni Accettati.

Elias Ashmole






















Samuel Prichard nel suo libro Masonry Dissected – opera fortunatissima pubblicata a Londra nel 1730 e di cui uscirono ben venti ristampe e traduzioni in tedesco nel 1736 e in francese nel 1737 - li definisce “Gentleman Masons”, un appellativo che ricorda molto da vicino i Gentleman Architects di due secoli prima. E in effetti l'ambiente sociale da cui provenivano era lo stesso e simile era il modo di vivere e la concezione del mondo.

Nel corso del secolo il numero degli Accettati aumentò costantemente, mentre parallelamente diminuiva quello degli autentici maestri d'opera. Per sopravvivere le logge si aprirono sempre più agli Accettati. Ne è dimostrazione la decisione assunta nel 1703 dalla Loggia Saint Paul che mostra quanto la Massoneria si fosse ormai trasformata: “I privilegi della Massoneria non saranno ormai più riservati solamente agli operai costruttori, ma, dato che questo avveniva già, saranno estesi a tutte le persone che vorranno prendervi parte, ammesso che siano debitamente presentate, che la loro ammissione sia autorizzata e che esse siano iniziate in maniera regolare”.

L'Arte perdeva il suo carattere di mestiere e si trasformava in un'Associazione a cui chiunque poteva aderire se possedeva i requisiti necessari per l'ammissione. Nei fatti la Massoneria speculativa era nata. Mancava solo la sanzione ufficiale.

Non esiste a tutt'oggi una spiegazione esaustiva del fenomeno. Resta difficile capire perchè tanti personaggi influenti raggiungessero le Logge. I documenti esistenti ricordano la data dell'ingresso nella Craft e (anche se non sempre) il nome dei nuovi membri, ma non riportano le ragioni dell'adesione. In effetti queste possono essere state molte e moto diverse fra loro , come peraltro ancora accade oggi.

Prima di tutto la curiosità. Molti aderivano alla ricerca di un sapere segreto. Molti, considerando autentiche le storie mitiche dell'Arte premesse agli Statuti Gotici, pensavano di trovare nella Massoneria i segreti degli antichi misteri egiziani, ebraici, greci, romani e druidici. E non si trattava certo di ingenui o di sognatori. Il dottor William Stuckeley (1687-1765), ecclesiastico anglicano, precursore della moderna archeologia e biografo di Newton, dichiarò nella sua autobiografia che proprio la curiosità lo aveva indotto a farsi iniziare ai misteri della Massoneria , pensando che questi fossero ciò che restava dei misteri dell'antichità.

Un'altra attrattiva può essere stato il fascino del simbolismo e dei riti , anche se nulla si conosce sui lavori delle logge operative e molti studiosi ritengano che il simbolismo, almeno quello dei riti ancora oggi praticati, sia stato introdotto solo a partire dal XVII secolo e proprio dagli Accettati.



Di certo riti e simboli, rigorosamente celati ai profani, esistevano e lo ricaviamo proprio dai cenni che ne danno nelle loro opere Robert Plot (a cui abbiamo già accennato) e John Aubrey (1626-1697) scrittore, antiquario e filosofo.

Il resoconto presente nel libro di Plot, Naural History of Staffordshire (1686), sebbene scritto da un osservatore che sembra non essere stato massone, è il più accurato fra tutti quelli rimasti. Secondo Plot l'uso di ammettere uomini nella “Società dei Liberi Muratori” si era diffuso in tutta l'inghilterra, ma sopratutto nello Staffordshire. Egli riferisce di un grosso volume che contiene storia e regole della Massoneria. “Quando uno è ammesso nella Società – scrive - si tiene una riunione chiamata loggia a cui debbono partecipare almeno 5 o 6 degli anziani dell'ordine. L'ammissione principalmente consiste nella comunicazione di certi segni segreti che permettono di riconoscersi fra di loro”.

Questo resoconto è rafforzato da un passo della Storia naturale dello Wiltshire di John Aubrey, un'opera composta nel 1686, ma pubblicata solo nel 1847. Annota Aubrey: “Essi si riconoscono fra di loro per certi segni e parole. Essi hanno diverse logge nel paese per le loro riunioni. E se uno di loro cade in disgrazia, la Fratellanza si adopera a sostenerlo. Il modo della loro adozione è molto formale e coperto di segretezza”.

Segretezza che alimentava però anche i sospetti e le calunnie, tanto che già nel 1698 appare a Londra un opuscolo che mette in guardia contro i pericoli per la società e per lo Stato rappresentati dalla Massoneria.

Questo ultimo dato ci permette anche considerazioni di altro genere. Con gli Accettati entrano anche nella Massoneria, fino ad allora fedelissima alla Chiesa e alla Corona, le lotte e gli intrighi della politica. Come abbiamo visto, l'Inghilterra del XVII secolo è travagliata dall'aspra contesa fra sovrano e Parlamento prima e successivamente fra gli Stuart cattolici e gli Orange protestanti. Una contesa che ora inizia a toccare anche le logge, grazie anche al fatto della mancanza di un'autorità centrale dotata di poteri normativi e di controllo.

Secondo un'attendibile ricostruzione la creazione agli inizi del secolo XVIII di una Gran Loggia di Inghilterra composta solo di logge non operative ( o “speculative”, come verranno chiamate con termine più tardo) risponde proprio alla necessità di porre fine a questo stato di cose e di strappare il controllo delle logge agli stuardisti, edificando una massoneria protestante e fedele alla Corona. Rendeva possibile tale impresa l'esistenza in Londra di una serie di logge ormai composte solo di non operativi. Furono quattro di queste logge, qualcuno sostiene erette per l'occasione, che si fusero il 24 giugno 1717, festa di San Giovanni, per dare vita alla Gran Loggia di Inghilterra.



Conclusioni

La Gran Loggia, appena istituita, si accinse immediatamente a unificare regolamenti e rituali per dare organicità ad una realtà molto frammentata. Compito adempiuto nel 1723 con le Costituzioni di Anderson. Da questo momento i semplici artigiani sparirono dalle logge e la Massoneria cessò di essere una corporazione di maestri d'opera per diventare un'istituzione iniziatica composta da aristocratici, intellettuali ed esponenti della nascente borghesia, dedita interamente a quella rivoluzione del pensiero e dei costumi che ancora oggi ricordiamo con il nome di Illuminismo. Cosa che la porterà presto in rotta di collisione con la Chiesa cattolica e le monarchie assolute di mezza Europa.

E quanto accadrà anche in Italia dove la Libera Muratoria giungerà presto portata da mercanti e nobiluomini inglesi. Ne parleremo nei prossimi articoli.


4. continua

martedì 26 agosto 2014

Daniele Genova e la scuola savonese del noir



Dal sito “Liguria notizie” riprendiamo parte dell'intervista a Daniele Genova “scrittore, poeta, ceramista, contadino, libero pensatore”, ma soprattutto vecchio amico di Vento largo.

Raccontaci dell’evento e spiegaci la differenza fra giallo e “noir”.

L’evento? Vuoi dire l’ Evento con la E maiuscola? Volentieri. L’Evento sarà l’ AG Festival: il Festival Nazionale del Noir che si terrà l’anno prossimo ad Andora. Il Sindaco Mauro De Michelis ha lanciato una sfida. E i due Fratelli di Sangue & Sangria (ndr. Andrea G. Pinketts e Daniele G. Genova) l’hanno raccolta volentieri. Potevano fare diversamente?

Andrea Pinketts sarà il Nome Tutelare della manifestazione. Una cosa che non capita tutti i giorni.
In quanto alla differenza tra noir e giallo: il giallo si preoccupa di dare una soluzione al mistero, di svelare la dinamica di un delitto; il noir è invece più orientato a sondarne le ragioni, quel che ci sta dietro. Direi addirittura “le ragioni del male”. Una differenza sostanziale. Il noir è uno degli aspetti del Grande Mistero, è pertanto immortale.

Il giallo potrebbe anche finire come genere, il noir no. Il noir è intimamente legato alla natura dell’uomo. Il giallo è uno dei figli del noir, così come la crime story, la spy story, e tutto il resto. Il noir non è un genere, è il viaggio dell’esploratore, non del turista. E se ne esce con le ossa rotte, sia come lettori che come scrittori, tanto meglio.

Raccontaci della Scuola savonese del noir.

Cominciò tutto nel 1931, quando Alessandro Varaldo, savonese, pubblica nei Gialli Mondadori, inaugurati nel 1929, “Il sette bello”: primo giallo italiano della neonata collana.

Poi ci fu un lungo silenzio. Per fortuna nel 2000 il grande e compianto Raffaele Crovi vi pose rimedio, scoprendo DGG. The show must go on. D’altronde  anche Lazzaro Santandrea di Pinketts risorge, guarda caso, o forse no, proprio all’ospedale San Paolo di Savona.

Morte, resurrezione e misteri correlati pare siano propri del dna di questa città, che peraltro ha prodotto anche molti altri talenti in altri settori della cultura e dello spettacolo. Lo stesso sindaco: Federico Berruti è un noto e appassionato lettore di gialli. Suppongo sia molto orgoglioso di tutto questo.

Il Festival di Andora è scaturito in funzione della Scuola savonese?

Assolutamente no. Sono due eventi straordinariamente concomitanti. L’ AG Noir, Festival Nazionale del Noir di Andora è stata un’idea del sindaco di Mauro De Michelis: uomo di grande cultura e sensibilità. Andrea ed io abbiamo solo accettato con grande piacere e onore la sua richiesta di collaborazione. Il merito, va detto, è suo.


(Foto e testo dal sito http://www.ligurianotizie.it)


Mauro Baracco, Introduzione a Carlo Sipsz Spazio e materia




In attesa della mostra del maestro Carlo Sipsz presentiamo in anteprima l'introduzione di Mauro Baracco al catalogo.


Mauro Baracco

Giorno verrà...

...prima o poi desidererei comprendere per quale recondito motivo, accade sempre più spesso che qualche amico di vecchia data, col vizietto di manipolare quell'argilla che ci diede origine (sfoggio un po' di riminiscenze catechistiche del millennio scorso..), mi chieda di trascrivergli, propedeuticamente a qualche evento espositivo, un po' di miei pensieri “in libera uscita”.

...è allora un susseguirsi di: “...ti ricordi di quella volta che...potresti parlare di quando...” e via sollecitando i frastornati neuroni del Sig. Mauro Baracco il quale, probabilmente, alcune cose nel tempo avrà anche combinato nel ruolo periodico di organizzatore di “qualcosa”: da ragazzino come garzonetto nelle antiche Sagre del Pesce della tradizione albissolese (nelle quali, invero, mi impegnavo maggiormente a fare il cascamorto con la mia futura compagna di una vita) e successivamente, quando pur continuando a tormentare l'infelice fanciulla, mi scatenai come camallo e piantachiodi nel Circolo degli Artisti del tempo che fu.

Caro Carlo e cari tutti quanti voi...tutto questo è vero, lo so bene ma...il fatto è che il sottoscritto è sempre stato titolare di ben scarsa memoria e quindi la fatica diventa improba...comunque...vediamo di impegnarci un pochetto:

quali sono i miei ricordi personali legati a Carlo Sipsz?!...dunque...dunque...occorre risalire alla notte dei tempi (poniamo: a metà degli anni '80)...sua personale nel piccolo spazio di Via Stefano Grosso in Albissola Marina e poi, a seguire, una serie di altri eventi in loco e pure in tournè (rammento per tutti Bologna Arte Fiera, anno......).

...ancora...mi sovviene di lui, la subitanea impressione di una grande disponibilità umana e dell'assoluta incapacità di autocompiacimento narcisistico: in una realtà nella quale troppo spesso ho udito gigioneggiare che “questa è un'idea mia”..”questa cosa la faccio solo io”, ho conosciuto un amico che ha avuto la swensibilità di non dimenticarsi mai dei bravi artigiani con i quali nel tempo aveva collaborato e gli avevano trasmesso gli strumenti di conoscenza.



Eccolo quindi, ad ogni occasione, citare il cesellatore che lo aveva iniziato, ancora ragazzo, alle tecniche dell'incisione su metallo; i falegnami che gli avevano insegnato le malizie professionali dell'evangelico padre putativo; il vulcanico fabbro dal quale aveva appreso come fosse facile (dice lui...mantengo qualche dubbio in merito) sottomettere il modesto e nobile elemento.

Mai scordandosi dei vecchi amici, primo tra tutti il Maestro savonese Giovanni Tinti con il quale condivise le prime avventure d'arte, agli inizi degli anni '60.

Ottima cosa è che queste caratteristiche non lo abbiano mai abbandonato: oggi, mentre ti porta a conoscere, ben felice, il giovane fabbro giunto dalla “fratella” terra d'Albania e con il quale sta attualmente collaborando, “si dimentica” di far sfoggio dei numerosi riconoscimenti ottenuti nei più diversi e difficilmente accontentabili luoghi d'arte ceramici: da Vallauris, a Gualdo Tadino, ad Assemini e via elencando.

Procedendo negli scavi mnemonici: ricordo...ricordo...che andavo nella sua splendida casa a Cassisi di Celle Ligure dove, accolto da lui e dalla sua affascinante (e non è un complimento di cortesia) Signora dal nome estremamente impegnativo, ad ogni accenno di compiacimento e stupore per il “bello” che incontravo, ricevevo sempre la stessa risposta:”...ah..sì..l'ho fatto/a io...”; senza acuti di esclamazione, quasi con pudico imbarazzo: “...bella casa...”...”...l'ho disegnata io...”; “...cavolo!..hai una scultura Rinascimentale...”...”...sembra ma l'ho fatta io...”; “...belli questi mobili...”...”...ti piacciono ?!...li ho fatti io...”.
Avevo stanato un esemplare autentico di antico Homo Faber!

In Carlo Sipsz, in questi anni, ho visto l'azione di un continuo di tecniche, l'uso a gestire i più diversi materiali: dalle delicate carte ai ferri piegati sull'incudine, al legno reso malleabile con antichi attrezzi che ben presenterebbero in un museo della civiltà del lavoro.

Vediamo, in questo catalogo, una selezione di sue ceramiche delle più diverse forme e dimensioni; premesso che per l'ennesima volta, mi rifiuterò di atteggiarmi a colui che si permette commenti critici (anche perchè diciamocelo: ne sarei sostanzialmente incompetente)... faccio solo alcune considerazioni:

la materia/le materie, sono le stesse usate dai nostri preistorici progenitori: la madre terra, l'acqua che permette di plasmarla, il fuoco che infonde successivamente in essa compattezza e forza...

A dirigere, la mano di Carlo Sipsz... ecco quindi gli strappi, le esplosioni ceramiche, le lacerazioni dei ferri.
Completa il tutto lo show degli smalti, degli ossidi, con i colori ora potenti, ora tranquilli che balzano vigorosi o si affacciano discreti dalle opere, stimolando/intimidendo l'atto di porre la mano su di esse.

Concludendo: al di là della stima per il suo operare artistico e della conoscenza amicale, credo di essere legato a Carlo, essenzialmente, dalla filosofia di vita che lo permea e che lo conduce, ad esempio, in questa stagione di massimo egoismo, ad operare anche in gruppo con amici con i quali sente affinità; che lo porta, nel quotidiano, a curare l'alberello della piazzetta sotto casa, ad addolorarsi con me per il degrado degli splendidi portali in ardesia (..ah!...l'altra materia sua amica) del centro storico della millenaria Savona che non sa di essere tanto bella e nella quale ci siamo trovati, in questo tempo, comunemente, a vivere.


...è quanto; so di aver divagato nella maniera più assoluta però...mi è piaciuto...


La crisi della Massoneria medievale e la nascita del mondo moderno



Storia della Massoneria 3. Oggi trattiamo del declino della Massoneria medievale conseguenza della nascita del mondo moderno.

Giorgio Amico

La crisi della Massoneria medievale e la nascita del mondo moderno

Il periodo compreso fra la seconda metà del '400 e la fine del '600 fu caratterizzato da profondi cambiamenti economici, culturali e politici. La scoperta dell'America con l'aprirsi delle rotte atlantiche e la Riforma protestante con la rottura dell'unità religiosa e culturale dell'Occidente trasformarono il mondo tanto da segnare per convenzione l'inizio di una nuova fase della storia umana. Lentamente moriva il mondo medievale e nasceva il mondo moderno. L'Europa ne uscì radicalmente trasformata e l'Inghilterra non fu da meno.

Per quanto attiene all'industria delle costruzioni i mutamenti furono radicali e incisero in profondità sulla vita stessa dell' Arte muratoria che iniziò un declino destinato ad arrestarsi solo agli inizi del XVIII secolo con la nascita a Londra della Gran Loggia d'Inghilterra e di quella Massoneria speculativa destinata a prendere il posto della libera muratoria medievale e a diffondersi nell'arco di pochi decenni in tutto il mondo, acquisendo così quel carattere di universalità che da allora la contraddistingue.

La Riforma

La Riforma segnò la fine dell'epoca della costruzione di grandiosi edifici religiosi, la fase delle cattedrali gotiche e delle grandi abbazie. Con il protestantesimo l'accento si spostò da una religiosità rivolta verso l'esterno e il fare ad una visione più intima e personale focalizzata sulla fede. A una religiosità popolare incentrata su riti di massa che richiedevano grandi spazi si sostituì una pratica “privata” basata fondamentalmente sul rapporto diretto del singolo con il mistero del divino. Il rito fu ridotto all'essenziale, sparì il culto dei santi, la credenza nel Purgatorio, le processioni. Gli ordini religiosi furono spazzati via, le Abbazie e i conventi demoliti.

La Chiesa che, assieme alla Monarchia, era stato il princiale committente dell'industria delle costruzioni sparì quasi totalmente dalla scena. Quanto alla Corona, essa riorientò le sue priorità. Occorreva sfruttare le enormi potenzialità offerte dalle nuove rotte e dai nuovi continenti. La grandezza dell'Inghilterra non sarebbe più stata simboleggiata dai suoi castelli e dalle sue cattedrali, ma dalle sue navi e dai suoi porti. La monarchia abbandonò la costruzione di edifici religiosi e si dedicò a finanziare la costruzione di cantieri navali e porti e di una rete stradale adeguata a far circolare le merci in partenza o in arrivo. Il rafforzamento dell'identità nazionale diventò fattore centrale della costruzione del consenso e dell'egemonia, al posto delle opere di religione. La monarchia si affrancava dalla Chiesa.




Cambiamenti nell'organizzazione del lavoro

L'edilizia cambiò segno. Ci fu una considerevole espansione delle costruzioni private. Palazzi signorili e case popolari in pietra sostituirono le costruzioni in legno che fino a metà del Cinquecento erano state la norma nelle città inglesi. Le nuove opere, intraprese da privati o dalle municipalità, erano molto più ridotte per dimensioni da quelle precedentemente intraprese da Chiesa e Corona. Cambiò di conseguenza l'organizzazione del lavoro. Sparirono i grandi cantieri. Proliferarono quelle che oggi chiameremmo piccole imprese edili. Un impresario, titolare del contratto con il committente, che lavorava alla costruzione coadiuvato da alcuni operai alle sue dipendenze. Il lavoro diventò più semplice e meno specializzato. Il piccolo cantiere non richiedendo la complessa e articolata organizzazione delle mansioni necessaria per le grandi opere del passato. Venne di fatto abbandonata la regola secondo cui un apprendista non poteva essere impiegato se non in presenza del maestro. Aumentò di conseguenza il numero degli apprendisti. L'apprendistato perse il suo carattere di periodo di formazione a termine per diventare un serbatoio di manodopera da utilizzare a pieno, ma con salari ridotti, non molto diversamente dai moderni precari con contratto di formazione-lavoro.

Iniziò un processo di forte differenziazione sociale all'interno del Mestiere, solo una minoranza ristretta avendo il capitale necessario per mettersi in proprio. Il ruolo di Maestro non fu più dovuto solo al merito acquisito in una vita di perfezionamento professionale, ma sempre più legato alla disponibilità di capitale e dunque il ruolo tese a farsi ereditario. Le nozioni tecniche ( i segreti dell'Arte) furono ancora più gelosamente custoditi che nel passato e trasmessi ad una platea sempre più ristretta di aspiranti.

Peggiorarono le condizioni di lavoro. Al Tempo della Chiesa, scandito da frequenti ricorrenze religiose e da una visione del mondo che limitava rigidamente l'idea stessa di profitto, si sostituì progressivamente il Tempo del Capitale che proprio nell'accumulo del profitto vedeva il manifestarsi della Grazia divina. Una mutazione descritta da Max Weber (1864-1920) nel suo capolavoro sull'etica protestante e lo spirito del capitalismo.



Peggioramento delle condizioni di vita

Fu un periodo di forte crescita economica alimentato dallo sfruttamento sistematico delle nuove colonie americane e poi (dal Seicento) dalla Tratta degli schiavi africani base fondante di quel commercio triangolare che rappresenterà per oltre un secolo il cuore del miracolo economico inglese. Una crescita tanto forte da far scrivere gli storici di una prima “rivoluzione industriale” nel secolo precedente la guerra civile.

Un periodo caratterizzato da una forte crescita dei prezzi, conseguenza diretta dell'arrivo dall'America di grandi quantità d'argento e d'oro. Un processo inflattivo comportante la riduzione del potere d'acquisto dei salari e dunque il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie.

Se si osservano le tabelle riportate da Knoop in “The Genesis of Freemasonry”, apparso nel 1947, ma ancora oggi opera fondamentale di riferimento, questo processo di progressiva proletarizzazione appare evidente. Il XVI e il XVII secolo segnano una forte crescita dei salari monetari, ma una molto più forte riduzione del loro potere d'acquisto. Ne diamo una sintesi:

Anni
Salari giornalieri dei muratori
Prezzi dei generi alimentari
Potere d'acquisto
1501-1510
100
100
100
1551-1560
163
290
67
1602-1612
200
470
52

Dunque nel corso del XVI secolo mentre i salari raddoppiano i prezzi quasi quintuplicano con il risultato che a parità di lavoro il salario giornaliero reale in termini di potere d'acquisto di beni di prima necessità di un muratore (mason) inglese dell'inizio del '600 era pari a circa la metà di quanto guadagnato un secolo prima. Una tendenza al ribasso che proseguirà per tutto il XVII secolo e poi nel Settecento.

Christopher Wren























Nuove figure professionali

In questo contesto il Master mason, figura centrale nella industria medievale delle costruzioni, nel XVI secolo perde rapidamente di importanza. Eppure l'arte di costruire si raffina. I progetti e i disegni delle costruzioni scarsissimi fino ad allora si moltiplicano, ma non sono più opera dei maestri massoni, ma di una nuova figura, estranea all'Arte che prefigura quelle dell'ingegnere e dell'architetto moderno.

Sono i cosiddetti “Gentleman Architect”, dove l'aggettivo sta a indicare lo status intellettuale e non manuale o professionale di uomini di elevata condizione sociale e di grande cultura, che hanno viaggiato e accumulato una conoscenza diretta della cultura antica e che a un certo punto della loro vita, mettendo in pratica l'ideale leonardiano del genio universale, si dedicano all'architettura come prima si erano dedicati alla scienza o all'arte.

Ben li rappresenta Sir Christopher Wren (1632-1723), il più grande architetto della sua epoca, celebre soprattutto per aver diretto i lavori di ricostruzione del centro di Londra dopo il disastroso incendio del 1666 e, ispirandosi alla Basilica di San Pietro, l'edificazione della Cattedrale di St. Paul, il più importante edificio rinascimentale inglese. Prima scienziato e astronomo, fondatore e poi presidente della Royal Society, Wren solo in età matura si dedicherà all'architettura.

L'architettura dunque si autonomizza dall'opera concreta del costruire. Come la matematica o la filosofia o il disegno, diventa uno degli ambiti di formazione del perfetto gentiluomo. Nel 1563 esce il primo libro inglese di architettura , The first and chief groundes of architecture di John Shute, “paynter and archytecte”, protetto del Duca di Northumberland. Il libro, che riscuote grande successo, riprende e diffonde gli elementi dell'architettura classica di Vitruvio secondo la rilettura che ne aveva fatto Andrea Palladio (1508-1580). Trionfano i canoni classicistici del Rinascimento italiano, mentre viene rigettata l'arte gotica considerata barbarica.

Il declino dell'Arte muratoria

Tutti questi fenomeni contribuirono a determinare il declino dell'Arte muratoria. La nascente società moderna progressivamente procedette all'affossamento delle strutture politiche, culturali e religiose che avevano sostanziato il mondo medievale e il suo immaginario collettivo. L'autunno del Medioevo, per usare la felice definizione di Huizinga, recava inevitabilmente con se il declino irreversibile dell'istituzione corporativa e l'Arte dei costruttori non rappresentava certo un'eccezione.

3. continua




lunedì 25 agosto 2014

Storia della Massoneria. Liberi Muratori e Logge operative



Storia della Massoneria 2. Oggi scopriamo come funzionava un cantiere medievale e cosa fosse una loggia.

Giorgio Amico

Liberi Muratori e Logge operative

L'autorità reale operava per decreti. Quando si doveva aprire un cantiere, il Tesoro reale impartiva allo sceriffo della contea in cui dovevano svolgersi i lavori dettagliate istruzioni in merito alla raccolta dei fondi, dei materiali e della manodopera. Lo sceriffo era così autorizzato a imporre tasse e a reclutare, anche forzatamente, gli operai necessari.

Di norma i lavori era gestiti da un “Treasury Official”, un funzionario del Tesoro incaricato della gestione finanziaria del cantiere. Questi funzionari non possedevano alcuna particolare competenza tecnica in campo architettonico, ma svolgevano un ruolo essenzialmente amministrativo e di controllo sul buon uso delle somme a disposizione e sul rispetto dei tempi programmati.



La direzione tecnica dei lavori spettava al “King's Master Mason”, un misto di Architetto-Ingegnere-Capo cantiere, anch'egli di nomina regia. I suoi compiti tuttavia avevano anche risvolti amministrativi in quanto egli doveva verificare le competenze tecniche degli operai assunti, pagare i salari (differenziati per mansioni, capacità e carichi di lavoro), concedere i passaggi di qualifica (documentati nei registri dagli aumenti di salario. Un uso rimasto nel lessico della moderna massoneria azzurra che chiama così il passaggio da un grado all'altro).

Sappiamo che questi “Architetti” (il termine è approssimativo, non esistendo oggi un equivalente preciso di tale figura professionale) provenivano dai ranghi muratori. Per gli storici lo ritengono un dato certo. Infatti, il nome di alcuni di questi Maestri risulta censito più volte nei registri dei cantieri, prima accompagnato dalla qualifica di operaio, poi di assistente ai lavori, infine di Maestro. Si trattava dunque di operai particolarmente qualificati che avevano servito per un certo periodo come aiutanti di un Maestro, impratichendosi nella geometria e nel disegno, fino a diventare a loro volta capi cantiere. 

Resta ancora oscuro come venissero scelti, come fossero formati teoricamente e se ci fosse qualche forma di regolamentazione di questi cambiamenti di status professionale. Molto probabilmente ogni caso era un caso a se. Ma, considerato come il sapere in quest'epoca fosse quasi esclusivamente patrimonio degli ecclesiastici, si può ipotizzare un ruolo attivo dei monaci delle abbazie o dei canonici delle cattedrali in tale opera di formazione. E questo, sia detto per inciso, apre interessanti prospettive in merito ai rapporti delle Arti muratorie con gli Ordini monastico-guerrieri, Templari e Ospitalieri di San Giovanni in primis.

Fu nelle logge annesse alle cattedrali e alle abbazie – scrive Knoop nel suo “The Mediaeval Mason” - che si accumularono le esperienze e le tecniche che trasformarono rozzi lavoratori in qualificati costruttori capaci di produrre i più splendidi esempi di abilità artigianale del Medioevo”.

Prima competenza richiesta, oltre la capacità (indubbiamente rara anche allora) di saper gestire efficacemente numeri non disprezzabili di uomini di provenienza, formazione e capacità diverse, era l'abilità nel calcolare con precisione il numero degli operai e la quantità e il tipo di materiali necessari, al fine di evitare sprechi di risorse e/o nei tempi programmati di esecuzione dell'opera. Particolare cura veniva posta allo stato delle vie di comunicazione, alla lontananza dalle cave o dai porti, perché, vista la situazione dell'epoca, i ritardi nei lavori (o gli aumenti di costo in corso d'opera) dipendevano il più delle volte proprio dall'inefficienza dei trasporti.

Non molto diversa era l'organizzazione dei lavori nelle costruzioni gestite direttamente dalla Chiesa. In questo caso l'amministratore era chiamato Custos fabbricae o Custos ecclesiae.

Dai numerosi contratti giunti fino a noi risulta che un Maestro massone veniva ingaggiato annualmente, ma talvolta anche per più anni e in casi eccezionali a vita. Riceveva uno stipendio annuale e spesso un alloggio dove vivere con la propria famiglia. Il suo era un lavoro a tempo pieno , aveva uno o più assistenti che potevano diventare suoi successori. Poteva sovrintendere contemporaneamente a più cantieri (cosa non infrequente a partire dal XIV secolo); in tal caso riceveva una indennità di carica annuale aggiunta ad ogni giornata di lavoro effettivamente prestata nei cantieri. 

Il suo peso professionale variava secondo l'importanza dei lavori e il numero degli uomini impiegati in essi. Egli doveva comunque possedere la capacità di predisporre piani di lavoro. A lui toccava ricercare gli operai, valutarne le capacità e procedere poi all'assunzione. Solo lui possedeva l'autorità di licenziare quei lavoratori che si fossero rivelati inadatti. Un'ordinanza del 1345 relativa al cantiere della cattedrale di York stabilisce con chiarezza che solo al “Master of masons” spetta il potere di assumere, promuovere o licenziare. Nessun altro può interferire nel lavoro degli operai.



L' organizzazione dei cantieri

Considerata la durata, talvolta plurisecolare, dei lavori di costruzione di grandi opere come cattedrali, ponti e castelli il numero dei lavoratori impiegati poteva variare anche di molto a causa di guerre, pestilenze, mancanza di risorse finanziarie o scarsità di manodopera qualificata. I lavori non venivano però mai interrotti, il cantiere restava aperto e gestito stabilmente da un gruppo relativamente ridotto di operai qualificati che poteva essere espanso o contratto a seconda delle necessità. Fu questo, ad esempio, il caso dell'Abbazia di Westminster.

Ma come funzionava un cantiere? La prima cosa da fare, una volta selezionato il sito, era trovare la fonte di approvvigionamento del materiale, in primo luogo delle pietre e poi del legname necessario alla costruzione delle impalcature, dei ponteggi e dei rivestimenti. Considerato il costo elevato dei trasporti, se appena possibile, si aprivano cave nelle vicinanze. In questo caso gli operai impiegati nella costruzione potevano lavorare all'estrazione e al taglio delle pietre, anche se di norma le due attività erano separate. La selezione delle pietre, soprattutto se acquistate altrove, spettava al Master mason che si recava a visitare la cava (o, se vicina, sovrintendeva anche ai lavori di escavazione). 

Una volta scelte, le pietre venivano marcate e trasportate in cantiere dove venivano lavorate secondo le esigenze della costruzione. Si trattava dunque di veri e propri materiali semilavorati, pietre squadrate con estrema perizia secondo misure rigorosamente definite, che venivano poi ulteriormente lavorate o ornate. Poiché il lavoro di estrazione e taglio delle pietre era costoso, si procedeva spesso al recupero di pietre di seconda mano già utilizzate in opere precedenti, talvolta anche in modo non proprio legale, tanto da comportare nei casi più gravi (come a Londra nel 1310 e a York nel 1344 dove erano stati smantellati tratti delle mura cittadine per portarne via le pietre) l'intervento del potere regio.

Il lavoro era concentrato nei mesi più favorevoli, ridotto e spesso sospeso in inverno. Le paghe dunque variavano col passare delle stagioni: più alte in estate, più basse in inverno (da novembre a febbraio). Era vietato lavorare di notte, ma se per cause di forza maggiore accadeva, erano previste indennità. L'orario andava dal sorgere del sole a mezz'ora prima del tramonto con una pausa di un'ora per il pranzo, di mezz'ora per dormire e di un'altra mezz'ora per bere. In tutto, dunque, circa 8 ore e mezzo in inverno e 10 ore e mezzo in estate.

La maggior parte dei muratori era pagata a giornata e in denaro anche se c'erano talvolta benefits in natura (alloggio, cibo, birra). Esistevano poi una specie di straordinari, legati al protrarsi dell'orario per motivi eccezionali, premi di produzione relativi al rispetto o al miglioramento dei tempi di costruzione oltre che alla qualità della produzione e una sorta di cottimi legati alla quantità del lavoro svolto. Aspetti salariali che per Knoop testimoniano della complessità e della modernità di quella organizzazione del lavoro e che ricordano molto il moderno lavoro in fabbrica. Non mancavano neppure le ferie, cioè il diritto per i lavoratori di vedersi pagata la giornata anche in mancanza di prestazione d'opera nel caso di particolari festività religiose o di ricorrenze della corporazione.



La loggia: luogo di lavoro, di studio e di riposo

Gli operai, provenienti in larga parte da località spesso anche molto lontane dal cantiere, venivano alloggiati in appositi edifici, chiamati mansiones, domos o anche hospicium lathomorum. Nelle spese di gestione del cantiere veniva anche conteggiata l'assunzione di personale addetto alla fornitura dei pasti. Il lavoro di preparazione delle pietre veniva svolto in locali chiusi chiamati logge (logia).

La loggia era un luogo di lavoro coperto, costruito solitamente in legno, pensato per proteggere i muratori dalle intemperie. Mediamente una loggia ospitava dai 15 ai 20 lavoratori. In loggia si consumano i pasti durante la giornata e ci si riposava nelle pause previste dai contratti di lavoro; vi venivano conservati gli attrezzi e i progetti. Nei registri della Fabbrica di York è conservata una lista degli oggetti presenti in loggia nell'anno 1399: 60 asce di pietra, 1 maglietto grande, 96 ceselli in acciaio, 24 maglietti, 1 compasso, 2 tavole da tracciare, 1 piccola ascia, 1 sega a mano, 1 badile, 1 carriola, 2 secchi, 1 carretto a 4 ruote e 2 più piccoli. Non ci sono squadre, livelle o fili a piombo che si pensa dunque fossero di proprietà dei singoli.

La loggia era retta da regole che disciplinavano l'operare dei muratori. Assenze ingiustificate o ritardi sul lavoro venivano punite con trattenute sul salario. Nei casi più gravi si procedeva al licenziamento immediato del lavoratore che aveva mancato ai suoi doveri.

Assieme ai muratori operavano numerosi “servants” o “labourers” definiti in latino famuli cementarii. Essi svolgevano i lavori di scavo, trasportavano le pietre, mescolavano la malta, spingevano le carriole lungo le impalcature, in sintesi assistevano i lavoratori nelle pratiche ordinarie e in questo modo apprendevano il mestiere. Un processo di formazione qualche volta spontaneo, qualche volta programmato. Come nel caso di un muratore specializzato di nome John of Evenesham a cui nel 1359 viene garantito per contratto l'impiego nel cantiere per tutta la parte restante della sua vita lavorativa a patto che istruisca i labourers (lavoranti) nell'arte della costruzione e della carpenteria. Già dal XIII secolo si ritrovano riferimenti all'esistenza di apprendisti, ma poco si sa su paghe, orari e caratteristiche dell'apprendistato. Per una regolamentazione di questa materia occorrerà attendere la riforma generale del lavoro di epoca elisabettiana (1558-1603) e in particolare gli Statuti del 1563 che generalizzano per tutte le Arti la durata del periodo di apprendistato a 7 anni.



Freestone Masons e Rough Masons

La prova dell' esistenza di una complessa stratificazione professionale all'interno del mestiere è fornita dall'ampio ventaglio salariale testimoniato dai registri. Così, ad esempio, nella fabbrica di Caernarvon Castle nel nord del Galles, nell'ottobre del 1303 risultavano a ruolino 53 muratori con 17 tipi di salario, ridottisi nell'ottobre del 1316 a 24, ma con ben 12 differenti trattamenti salariali.

Questa grande varietà di qualificazioni professionali è anche evidenziato dai numerosi termini latini, francesi, inglesi, usati per definire i vari livelli di specializzazione. Termini che pongono un problema agli storici in quanto spesso è arduo comprendere bene le differenze fra l'uno e l'altro. A seconda dei casi i muratori vengono definiti cementarii o lathomi, cissores (taylatores, tailleurs), cubitores (couchours o positores), batrari o scapelers, muratorii (wallers), imaginatores (imagours), marmorarii (marbelers), alabasterers.

Ma prima di tutto i muratori medievali inglesi si dividono in due grandi categorie: Freestone masons (sculptores lapidum liberorum, magister lathomus liberarum petrarum, mestre mason de franche pere) e Rough Masons o rowmasons.

I primi sono coloro capaci di lavorare un tipo di pietra (la cosiddetta pietra libera) particolarmente pregiata e versatile, gli altri coloro capaci solo di lavorare grossolanamente la pietra grezza. Gli studi pioneristici di Knoop e Jones hanno dimostrato che quel termine “liberi” associato a muratori non deriva, come fino ad allora si era pensato, da un qualche tipo di franchigia rispetto agli obblighi feudali (tanto è vero che anche i “liberi muratori” erano, se necessario, comandati al lavoro nei cantieri regi), ma dal tipo di pietra lavorata e dunque dalla particolare qualità del lavoro che erano in grado di produrre. Tesi confermata da tutti gli studi apparsi da allora ad oggi.

I liberi muratori erano dunque i membri dell'arte capaci di squadrare perfettamente la pietra, di lavorarla con maglietto e scalpello a produrre quei meravigliosi capitelli e quelle statue che ornano i chiostri delle abbazie e le facciate delle cattedrali, come gli ornamenti che alleggeriscono e slanciano le pareti e le finestre e i rosoni finemente intarsiati in un gioco di ricami di pietra.



I Manoscritti Regius e Cooke

Il dato che più ha sconcertato gli storici è la scarsità di informazioni rispetto all'organizzazione liberomuratoria. Fino al XVI secolo pochissimi sono gli accenni all'esistenza di una specifica Arte (Craft) delle costruzioni. Il primo dato certo risale al 1376 e solo nel 1389 si trova traccia di una “fraternitati de masons Londoni fondatae apud sanctum Thomam de Acres”. Assenza confermata dal fatto che nel 1356 furono le autorità di Londra che dovettero incaricarsi di regolamentare lo svolgimento delle attività muratorie in seguito a contrasti nati all'interno della categoria fra lavoratori cittadini e forestieri e fra operai qualificati e no. 

I documenti più antichi relativi alla Corporazione muratoria sono il Manoscritto Regius (in versi, risalente al 1390) e il Manoscritto Cooke (in prosa, risalente al 1430). Nonostante la datazione posteriore è il Cooke a risultare più antico, in quanto si pensa possa essere una copia di un documento andato perduto più antico di circa un secolo e ciò anche per il carattere relativamente semplice del contenuto rispetto al Regius. Questi due manoscritti rappresentano i primi esempi di “Old Charges”, gli statuti medievali su cui dopo il 1717 furono edificati i Landmarks della moderna Massoneria.

Composto di 794 versi suddivisi in un preambolo storico, 15 articoli, 15 punti e 2 parti conclusive, il Regius (chiamato così perché originariamente di proprietà di Re Giorgio II (1727-1760) non è un vero statuto, ma piuttosto un codice di comportamento valevole per i liberi muratori e redatto in versi proprio per renderne più agevole l'apprendimento a memoria.

Quanto al Cooke (pubblicato nel 1861 a cura di Matthew Cooke) si tratta di un testo in prosa di 960 righe, contiene una parte normativa composta di sette articoli e nove punti preceduta da una narrazione mitica delle origini della Massoneria che servì da canovaccio al pastore Anderson per le sue costituzioni del 1723.

2. continua