Storia della
Massoneria 5. La figura di Giordano Bruno rappresenta un primo legame
diretto fra l'Italia e la Massoneria. Il monaco ribelle risulta
esserne uno dei principali ispiratori sul piano filosofico.
Giorgio
Amico
Giordano
Bruno e la Massoneria scozzese.
La Massoneria italiana ha
sempre rivendicato un legame strettissimo con la figura di Giordano
Bruno, celebrato come martire del libero pensiero e vittima
sacrificale della politica oscurantista e reazionaria della chiesa
cattolica e del papato.
Emblematica in questo
senso è la storia della statua di Giordano Bruno a Roma. Una prima
statua fu eretta durante la repubblica romana del 1849, ma ebbe vita
breve. Fu distrutta pochi mesi dopo, non appena tornato sul soglio
pontificio Pio IX.
Il monumento a
Giordano Bruno
Nel 1885 (quindi ben 15
anni dopo la liberazione di Roma dal giogo pontificio) fu formato un
comitato per la costruzione di un monumento al monaco ribelle, cui
aderirono le maggiori personalità dell’epoca: Victor Hugo, Michail
Bakunin, George Ibsen, Giovanni Bovio, Herbert Spencer e molti altri.
La battaglia fu dura e lunga. Il consiglio comunale, controllato da
una maggioranza filo-clericale, si oppose in ogni modo, tanto che la
questione divenne il simbolo della lotta del libero pensiero contro
l'oscurantismo e una sfida alla Chiesa e al papa.
La situazione si sbloccò
solo dopo le elezioni amministrative del giugno 1888, con l'entrata
in Consiglio comunale di una nutrita rappresentanza della sinistra
radicale e repubblicana, tra cui il Ettore Ferrari, che sarà poi
l'artefice del monumento (e che nel 1904 sarà eletto Gran Maestro
del Grande Oriente d'Italia).
La statua fu inaugurata
il 9 giugno 1889, in quel Campo de’ Fiori dove era arso il rogo,
con la partecipazione di un’immensa folla festante. Una storia
travagliata, ma non ancora conclusa. Al tempo dei Patti Lateranensi
(1929) si parlò di forti pressioni vaticane perché la statua fosse
demolita come segno di “riconciliazione” fra le due Italie,
quella laica e quella cattolica. Ma alla fine non ne se fece nulla e
il regime si limitò a vietare ogni forma pubblica di commemorazione
e di omaggio alla figura del martire.
Giordano Bruno simbolo
identitario
Dunque per la Massoneria
italiana fin dal suoi inizi post-unitari Giordano Bruno rappresentò
il simbolo identitario per eccellenza. Parliamo del Grande Oriente
d'Italia, perché l'Obbedienza di Piazza del Gesù (e successive
filiazioni), nata dalla scissione del 1908 su posizioni
filo-cattoliche e conservatrici, si mostrò sempre molto tiepida
sulla questione sia prima che dopo l'avvento del fascismo che (nella
figura del suo Gran Maestro Raoul Palermi e di molti suoi dignitari)
sostenne attivamente fino al momento del suo scioglimento nel 1925.
Ma quello che è stato
celebrato più che il pensiero di Giordano Bruno, è il suo rifiuto
della sottomissione, l'essere cioè un simbolo luminoso della
libertà di pensiero, della volontà dell’uomo a lottare in difesa
delle proprie idee. Il tutto con venture anticlericali più o meno
accentuate a seconda dei periodi storici. Fortissime nel periodo
giolittiano, avvertibili ancora fino agli anni sessanta, pressoché
scomparse oggi.
Molto minore, invece,
allora e oggi, l'interesse per il pensiero bruniano nella sua essenza
filosofica e per gli influssi profondi che esso esercitò su quella
generazione di intellettuali inglesi che a cavallo fra la metà del
Seicento e gli inizi del Settecento si attivarono per la nascita
della moderna Massoneria speculativa sulle basi di ciò che restava
della vecchia libera muratoria operativa di epoca medievale.
Gli studi di Frances Yates
Come è spesso accaduto per la storia della
Massoneria anche in questo caso il cambiamento di prospettiva non fu
interno all'Istituzione, ma esterno, interamente opera di studiosi
esterni che, forse proprio perché liberi da ogni forma di
condizionamento e di conservatorismo “ideologico” si dedicarono
con entusiasmo e spirito innovatore alla ricerca sul quel periodo di
transizione, drammatico e contraddittorio, in cui sulle ceneri di un
Rinascimento uscito in pezzi sotto i colpi della Controriforma
Tridentina e delle guerre di religione, lentamente fermentarono
quelle idee di libertà e tolleranza che saranno poi alla base della
ripresa illuministica e dell'Europa moderna.
Idee veicolate da uomini e club (spesso segreti per
sfuggire alla persecuzione della Chiesa e dei principi) che in larga
parte ritroveremo poi nel processo, estremamente complesso e
sfaccettato, che porterà nel 1717 alla creazione della Gran Loggia
d'Inghilterra.
Un cambiamento di prospettiva dovuto soprattutto
agli studi pionieristici di Frances A. Yates (1899-1981), prestigiosa
ricercatrice dell'Università di Londra e dell'Istituto Warburg, che
a partire dalla fine degli anni '50 si dedicò interamente allo
studio degli effetti di lungo periodo della filosofia rinascimentale
(la cosiddetta magia naturalis) sulla cultura del Seicento. Una dopo
l'altra videro in pochi anni la luce opere di grande respiro che
rivoluzionarono lo stato degli studi, a partire da “Giordano Bruno
e la tradizione ermetica” (1964), a “L'arte della memoria”
(1966) e “Theatrum Orbis” (1969), per culminare poi nel
fondamentale“L'illuminismo dei Rosa Croce” (1972) un vero punto
di svolta nella ricerca sull'underground esoterico
tardo-rinascimentale.
Nelle sue opere la Yates colloca il pensiero di
Giordano Bruno all'origine della filosofia di John Dee (il Prospero
shakespeariano) figura centrale della cultura elisabettiana e dunque
dei manifesti rosacrociani (che Dee influenzò moltissimo) e infine
della Massoneria:
“Verso la fine del sedicesimo secolo – scrive
nel suo Giordano Bruno e la tradizione ermetica – c'erano uomini
che consideravano l'ermetismo religioso un modo per giungere alla
tolleranza o all'unione delle diverse sette in lotta tra loro...
C'erano molte varietà di ermetismo cristiano, cattoliche e
protestanti, la maggior parte delle quali tendeva, però, ad evitare
la magia. E poi arriva Giordano Bruno, declamando un ermetismo egizio
pienamente magico, predicando una sorta di Controriforma Egizia,
profetizzando il ritorno all'egizianesimo in cui tutte le difficoltà
religiose spariranno in una qualche nuova soluzione; predicando anche
una riforma morale con un'enfasi particolare sulle opere buone
socialmente e su un'etica di utilità sociale... Dove c'è una tale
combinazione di tolleranza religiosa, legame emotivo con il passato
medievale, enfasi sulle opere buone per gli altri e attaccamento
intellettuale alla religione e al simbolismo degli Egiziani? L'unica
risposta a cui sono capace di pensare è: la Massoneria”.
Dunque, per la studiosa inglese, Giordano Bruno
diventa punto di snodo fra i più significativi fra momenti, figure e
percorsi collettivi nell'Europa a cavallo dei secoli XVI e XVII. Un
insieme di fiumi carsici che scorrono in superficie per poi
inabissarsi (e come i Rosa Croce divenire invisibili) per riapparire
poi alla luce agli inizi del Settecento e confluire nel grande alveo
della Massoneria inglese in piena trasformazione “speculativa”.
Una chiave interpretativa subito impostasi e ripresa
e continuata dall'americana Margaret Jacob e recentemente dalla
giovanissima studiosa italiana Vittoria Feola, autrice di
un'affascinante ricerca sulle origini e gli sviluppi della Massoneria
in età moderna.
Giordano Bruno in Inghilterra
Proveniente dalla corte di Enrico III di Francia,
Bruno arrivò in Inghilterra (per insegnare a Oxford) nel 1583 e vi
si fermò due anni. Un periodo breve, ma intenso, sufficiente a
segnare in profondità la cultura inglese del tempo.
Non è questa la sede per trattare il tema della
filosofia bruniana, basterà accennare all'influsso profondo sulla
cultura (inglese e più in generale europea) di opere come lo Spaccio
della bestia trionfante, scritta proprio per gli amici inglesi e
pubblicata nel 1585, in cui si auspicava il recupero in funzione
antipapale dell'antica unità spirituale europea al di sopra dei
conflitti religiosi che insanguinavano il continente.
Ma quello che lasciò probabilmente le tracce più
profonde fu l'arte della memoria che Bruno aveva sviluppato su basi
ermetiche. Perché, come scrive Vittoria Feola, riprendendo le
conclusioni a cui erano giunte precedentemente sia Yates che Jacob:
“L'arte della memoria [di Bruno]andò in Scozia ed
entrò, senza più uscirne, nelle logge massoniche, mentre, in
Inghilterra, essa influenzò quei teatri costruiti seguendo le
indicazioni di John Dee; la sua cosmografia penetrò nel Gresham
College di Londra, nel quale si formarono i fondatori della Royal
Society, quasi tutti massoni”.
Giordano Bruno e la Massoneria scozzese
Vediamo ora come le teorie di Bruno arrivarono nelle
logge scozzesi. Fondamentale a questo proposito è l'opera di un
ricercatore dell'Università di Edimburgo, David Stevenson,, che
sulla base di numerosissime fonti sostiene che fu in Scozia e non in
Inghilterra che iniziò il processo di trasformazione della
Massoneria da operativa a speculativa.
In un libro, di grandissimo spessore culturale e
storico, The Origins of Freemasonry, Scotland's Century 1590-1710,
Stevenson anticipa in Scozia di oltre un secolo:
1)l'uso della parola “loggia” nel significato
massonico attuale; 2) il primo tentativo di organizzazione nazionale
delle logge; 3) la presenza diffusa di massoni non operativi; 4) i
riferimenti a una Mason Word con relativi catechismi 5) il
progressivo emergere di un terzo grado; 6) la connessione delle logge
con idee filosofiche ed etiche provenienti dal mondo profano.
Proprio su questo ultimo punto si innesta il ruolo
determinante svolto dal pensiero di Giordano Bruno. Stevenson dimostra come già dalla fine del
Cinquecento per farsi ammettere in una loggia venisse richiesta una
“prova di memoria e arte della corporazione” e come l'intero
insegnamento simbolico-rituale dovesse essere tramandato a memoria,
vietandone i regolamenti ogni forma scritta o incisa. Da qui, con la
crescita dell'Istituzione dovuta al suo organizzarsi in una Gran
Loggia centralizzata, la necessità dell'introduzione e dell'uso di
sofisticate tecniche di memoria.
Centrale in questo processo fu la figura di William
Schaw, Maestro delle opere del re, Maestro delle Cerimonie e
Praefectum Architecturae, che, seguace dell'ermetismo mistico e
riformatore del tardo Rinascimento, si affidò a Alexander Dicson,
amico intimo e fedelissimo seguace di Giordano Bruno, molto attivo
alla corte degli Stuart. A Schaw non interessava una semplice tecnica
di memoria, ma qualcosa di più. Quello che desiderava era una
tecnica più sofisticata e filosoficamente fondata, imperniata su una
visione magico-religiosa del cosmo e l'arte della memoria di Bruno
era quanto di meglio si potesse trovare.
Non si può essere del tutto certi che Schaw
introdusse per primo l'arte della memoria nella Massoneria scozzese.
Ci sono nei documenti citati richiami a pratiche più antiche. Certo
è che questa appare come dovere nel 1599 e che Schaw aveva in mente
come preciso riferimento l'opera di Giordano Bruno. Due evidenze
sufficienti a dimostrare scientificamente il collegamento tra la
Massoneria moderna e la visione ermetica (e magica) del mondo
elaborata da Bruno e a elevare il filosofo da riferimento identitario
dei massoni italiani a una delle fonti ispiratrici della Massoneria
universale
5. continua