TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 12 luglio 2024

Antifascismo come lotta di classe

 


Riprendiamo la premessa a un libro uscito all'inizio degli ormai lontani anni Settanta. Un documento di oltre cinquant'anni fa ma sempre molto attuale. Con una differenza fondamentale. Allora la coscienza politica e sociale era viva e suscitava una voglia diffusa di approfondimento e confronto, di cui questo libro, contenente gli atti di un convegno delle forze della nuova sinistra è testimonianza. Oggi ci si limita a ripetere slogan usurati dal tempo, pensando che basti cantare "Bella ciao" per fare i conti con il fascismo.



In questo secondo quaderno di «Unità Proletaria» vengono pubblicati gli atti del convegno che il quindicinale del PdUP organizzò lo scorso anno (9 e 10 giugno 1973) a Firenze, sul tema Per un nuovo antifascismo militante —L'involuzione autoritaria oggi in Italia.

L'idea di organizzare un momento collettivo di riflessione su questa problematica era partita da un gruppo di compagni, e particolarmente da Luciano Della Mea, in seguito ad un dibattito, apertosi sulle colonne del giornale, e al quale avevano partecipato alcuni comandanti partigiani.

Fortunato Avanzati, il famoso «Viro», comandante della brigata «Spartaco Lavagnini» si era fatto portatore di una proposta precisa: rivitalizzare L'ANPI con l'ingresso delle nuove generazioni, toglierla dal clima decrepito delle mere celebrazioni, ridare slancio all'azione antifascista, conferendole un carattere militante di vigilanza e di controinformazione.

Da poco erano stati assassinati Mario Lupo, un giovane di Parma, dai fascisti e Franco Serantini, un altro giovane pisano, dalla polizia; da pochi anni l'iniziativa fascista aveva ripreso vigore e baldanza, con la complicità dello Stato e della DC in primo luogo.

In più si veniva già profilando una crisi economica di dimensioni internazionali che acutizzava il contrasto di classe e lasciava prevedere l'intensificazione dello scontro sociale.

D'altra parte la sinistra si presentava divisa e incerta di fronte all'attacco reazionario, la stessa unità sindacale conosceva i suoi momenti più difficili.

In questo contesto maturava, dentro il PdUP e fuori di esso, l'esigenza di ripensare le esperienze sin lì compiute, elaborare nuove proposte, costruire i presupposti per una unità antifascista fondata su una chiara visione di classe.

Il convegno, organizzato dalla redazione di UP insieme con îl comitato regionale toscano di coordinamento del PdUP, ha avuto dal compagno Della Mea (che poi, per malattia, non poté partecipare direttamente ai lavori) un insostituibile contributo sia per il documento preparatorio sia per la collaborazione nello stendere la relazione introduttiva insieme con il compagno Frolli.

La partecipazione di molte centinaia di militanti, la presenza di varie forze della sinistra (Lotta Continua, PCI, PSI, Manifesto, Movimento Studentesco, Acli, PCd'I m-l), di rappresentanti delle organizzazioni partigiane., e quindi il livello qualitativo degli interventi hanno fornito gli elementi principali per il successo del convegno, di cui in questo quaderno riportiamo larga parte del dibattito.


mercoledì 3 luglio 2024

Il Partito comunista italiano e il mutamento sociale nell'Italia degli anni Ottanta


 

E' disponibile sul sito academia.edu il sedicesimo quaderno della serie Archivi per la storia del movimento operaio. Ne proponiamo l'introduzione.


Il saggio che presentiamo in questo quaderno, uscito su Rinascita esattamente quaranta anni fa, rappresenta un documento di eccezionale valore. Colpisce la precisione con cui l'autore individua le profonde trasformazioni in atto nel sistema produttivo italiano e nella composizione di classe, così come nelle aspettative dei giovani a partire dall'atteggiamento verso il lavoro in fabbrica.

Il documento è importante perché per la prima volta in un organo a larga diffusione, come Rinascita, destinato ai quadri di base del partito, si abbandona ogni visione mitologica della classe e si vanno ad individuare con estrema precisione quelli che saranno poi i processi centrali nei decenni successivi a partire dalla scomparsa, non della classe operaia, ma della configurazione che questa aveva assunto a partire dagli anni del boom.

Fine dell'operaio massa, frammentazione crescente del lavoro, perdita di una identità di classe ben definita sono gli elementi centrali di questa realtà che, come si è detto, avrà nei decenni succesivi ulteriori sviluppi e determinerà il crollo dell'impalcatura sociale e dei miti su cui si reggeva lo stesso Partito comunista e più in generale la sinistra, compresa la componente rivoluzionaria in tutte le sue declinazioni.

Proprio dalle profonde trasformazioni negli assetti di classe che il saggio analizza con estrema lucidità deriverà il crollo della combattività operaia, la crisi della rappresentanza sindacale, ma soprattutto la fine di quella tradizione politica iniziata a Genova nel 1892, continuata a Livorno nel 1921 e rilanciata dal nuovo "biennio rosso" 1968-69.

Molto correttamente l'autore dello studio avvertiva che non di scomparsa della classe operaia si trattava, ma di mutazione profonda e invitava nelle conclusioni il partito a prenderne atto. La perdita di centralità della grande fabbrica e la frammentazione sociale che inevitabilmente ne derivava avrebbe richiesto uno svecchiamento radicale del partito ma al contempo un radicamento ancora più profondo nella società. La scelta del gruppo dirigente comunista postberlingueriano fu diversa. Si preferì la via del "nuovo", seguendo il percorso già iniziato con il Congresso di Rimini dal PSI craxiano. Si iniziò a parlare di "partito leggero", le sezioni furono abbandonate a se stesse, "luoghi bui e polverosi" le definì un giovane dirigente destinato poi a una brillante carriera, fu radicalmente ridimensionato l'apparato di propaganda a favore dell'occupazione di spazi televisivi (la terza rete) ritenuti mezzo più efficace di comunicazione con la società. Alla verifica impietosa della storia il partito non resse. Il crollo rovinoso della esperienza sovietica, vide un partito indebolito e privo ormai di identità, totalmente a rimorchio degli avvenimenti che infatti lo travolsero.

Tutti elementi rintracciabili anche nell'esperienza della componente diventata poi il Partito della Rifondazione comunista, incapace non solo di rifondare la teoria, ma anche di ricostruire un minimo di radicamento sociale. La stagione farsesca di Bertinotti, tutta giocata fra salotti televisivi e uscite estemporanee (il partito dei movimenti, la sinistra arcobaleno, lo zapatismo e via discorrendo) ne fu la manifestazione più evidente e portò alla fine stessa del PRC destinato poi a vivacchiare sempre più stentatamente ai margini del sistema..

Non migliore fu la sorte della sinistra rivoluzionaria, con l'eccezione di Lotta comunista, unica realtà sopravvissuta a quel mutamento epocale grazie ad un lavoro sistematico di radicamento nella CGIL e allo spostamento del baricentro dell'attività dall'agitazione a tutto campo alla diffusione porta a porta con criteri "manageriali" del giornale.

Ma di tutto questo tratteremo in altra occasione.


Savona, luglio 2024


venerdì 21 giugno 2024

I senza memoria. A proposito del Manifesto di oggi.

 


I senza memoria

Se "il Manifesto" scrive sul '68 come "Il Giornale" e "Il foglio"


Il 31 dicembre 1968 centinaia di giovani studenti e operai di Pisa e Livorno andarono a contestare il "capodanno dei ricchi" alla Bussola di Viareggio, il locale allora più in voga in Italia. La manifestazione, indetta dal Potere Operaio pisano, fu attaccata dai carabinieri intervenuti in forze che aprirono il fuoco ferendo gravemente Soriano Ceccanti, un ragazzo di 16 anni, che rimase paralizzato e da allora fu costretto a vivere su una sedia a rotelle. Era la prima volta che la polizia sparava sugli studenti. I fatti della Bussola scatenarono proteste violentissime in tutta Italia.

Oggi, in un articolo sulla storia di Sergio Bernardini, il patron della Bussola una sorta di Briatore di allora, diventata film, il Manifesto ricostruisce così quei fatti tragici:

"Ai tavolini della Bussola siedono artisti, teatranti, le stelle dello sport, i politici: è il centro dell'Italia del boom. Ma diventa nel '68 anche bersaglio delle proteste. Bernardini si mette in prima linea, parla con i contestatori, ci scappa anche un ferito".

Grande giornalista Stefano Crippa, autore dell'articolo che esalta per mezza pagina il genio imprenditoriale di Bernardini , definito retoricamente " un artigiano dello spettacolo" ma liquida in mezza riga quello che fu uno dei momenti più drammatici del 1968.

"Ci scappa anche un ferito", scrive senza vergogna quasi che Soriano Ceccanti si fosse preso un cazzotto e non un proiettile nella schiena mentre cercava di sfuggire allle cariche dei carabinieri. Di quei fatti evidentemente costui non sa nulla. A lui basta solo esaltare l'imprenditore.

Che la memoria storica sia andata persa è un fatto che non richiede commenti tanto è evidente. Ciò non toglie che questo articolo rappresenti una vergogna per un giornale che si definisce "quotidiano comunista".

Giorgio Amico

lunedì 17 giugno 2024

giovedì 13 giugno 2024

Ciao Rosasco, libraio controcorrente



 Ciao Rosasco, libraio controcorrente


E così, in silenzio, a 85 anni, se ne è andato anche Rosasco, libraio controcorrente per oltre vent'anni. Aperta nel 1975 in via Torino, nei locali di una vecchia osteria, quasi di nascosto, con la porta di legno a vetri oscurata da spessi fogli di carta rossa,  sede di un'associazione culturale inesistente dal nome francese (Joie de lire) con tanto di finti tesserati, perché il Comune ritardava la concessione della licenza,  la libreria di Rosasco rappresentava l'erede naturale della vecchia Libreria dello Studente del dottor Fontana, luogo di perdizione culturale negli anni caldi della contestazione.

Già la scelta di aprire una libreria al di fuori del centro cittadino in un quartiere operaio come era Villapiana allora, rappresentava un evento rivoluzionario. Poi la scelta attenta dei libri: molta scolastica, tanta politica, tantissima cultura francese, frutto quest'ultima dei periodici viaggi di esplorazione nelle librerie di Nizza di Luigi Lirosi, vero mentore di Rosasco. E poi la collaborazione con il libraio genovese Tassi, la cui libreria nei vicoli del centro storico puzzava di sovversione e di eresia.

Rosasco amava i libri, per questo aveva deciso di cambiare vita e da agente di commercio reinventarsi come libraio. E proprio perché amava i libri, e li leggeva – cosa rara oggi fra i librai – decideva lui cosa tenere e cosa assolutamente non vendere..

Epiche certe sue litigate contro clienti, entrati per sbaglio, che si lamentavano di non trovare il bestseller di moda.

Non si era mai visto a Savona, e credo raramente anche altrove, un libraio che cacciava in malo modo i clienti che non gli piacevano. Rosasco lo faceva, capace nonostante la sua mitezza, di collere improvvise. Ed erano allora libri che volavano attraverso il negozio per atterrare sul marciapiedi davanti all'ingresso, dove sostava sempre gente perché c'era la fermata degli autobus. Volti stupiti a fissare quell'uomo minuto in piedi sulla soglia a sbraitare contro il rincoglionimento di massa voluto dal potere e dall'industria della "cultura".

Da lui potevi trovare riviste, volantini e opuscoli rintracciabili solo a Genova o addirittura a Milano. Da lui passavano periodicamente missionari delle varie chiese bordighiste e trotskiste ad annunciare la lieta novella e a lasciare i loro materiali, qualcuno anche dalla Francia. 

Una libreria controcorrente che non piaceva ai benpensanti di sinistra, vecchi stalinisti in primis, che sentivano puzza di eresia in quelle pubblicazioni e guardavano con sospetto i frequentatori abituali di quel locale. Una fauna eterogenea, un mix di cento tribù: cattolici del dissenso, anarchici, militanti di quello che restava dei gruppi extraparlamentari, ma anche fricchettoni dei primi centri sociali e femministe. Insomma, tutti coloro che non si riconoscevano nel compromesso storico e nel conformismo moralistico berlingueriano che tanti guasti avrebbe provocato. Ma anche, va detto, non priva di personaggi ambigui, al limite fra il provocatore e il confidente di Questura. Gente che ti prendeva da parte e sottovoce ti faceva discorsi neppure troppo allusivi sui "compagni che sbagliano ma...".

Libreria anomala, rimasta per molti aspetti osteria, luogo di incontri e di discussioni accanite nella saletta interna, riservata a pochi, vero e proprio sancta sanctorum, attorno a una vecchia stufa, unica forma di riscaldamento in inverno, su cui il buon Rosasco, più vecchio di noi di una decina di anni, si ostinava a coltivare l'antico uso delle bucce di mandarino sulla piastra incandescente a combattere il fumo aspro della legna con aromi e fragranze sicuramente più simpatiche dell'odore inconfondibile delle prime canne rigorosamente bandite da quegli spazi.

Un luogo magico, una sorta di caverna primordiale che ti avvolgeva e ti faceva sentire bene.

E questo Rosasco cercava. Non tanto e non solo vendere libri o comunque far cultura, ma gestire uno spazio che fosse prima di tutto comunità di uomini liberi, di menti critiche.

Savona gli deve molto, noi gli dobbiamo molto.

Un abbraccio vecchio libertario brontolone in guerra accanita con il mondo della mediocrità culturale e del politicamente corretto che avanzava a larghi passi e che non volevi a nessun costo accettare.

Non hai vinto la tua battaglia, ma ci hai aiutato a salvarci da tutta la merda che incominciava a pioverci addosso. E di questo ti saremo  eternamente grati.



martedì 11 giugno 2024

SIMONDO & CO. - Genova, Galleria Entr'acte

 


SIMONDO & CO.
a cura di Sandro Ricaldone
Entr’acte
via sant’Agnese 19r – Genova
13 giugno – 12 luglio 2024
orario: mercoledì- venerdì 16-19
inaugurazione: giovedì 13 giugno, ore 17


Entr’acte chiude la stagione con una rassegna dedicata a Piero Simondo (Cosio d’Arroscia, 1928 – Torino, 2020) membro del Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista, cofondatore del Laboratorio sperimentale di Alba (1955) e dell’Internazionale situazionista (Cosio, 1957), animatore del C.I.R.A. (Centro Internazionale per un Istituto di Ricerche Artistiche, Torino, 1962-1967), in seguito responsabile dei laboratori di attività sperimentali presso l'Istituto di Pedagogia dell’Università di Torino e docente di Metodologia e didattica degli audiovisivi.

Nel suo lungo percorso pittorico Simondo ha attraversato diverse fasi: dai monotipi iniziali, alle grandi topologie degli anni ’60 (esposte a Genova allo Studio Leonardi nel 1994), ai “quadri manifesto” del periodo successivo al 1968 (esposti qui alla Libreria Sileno sempre nel 1994), per passare poi alle “Ipopitture” e ai “Nitroraschiati”, ricercando sempre - nella varietà delle tecniche e dei procedimenti – un’“immagine imprevista”.

In mostra tre monotipi degli anni ’50-60 e un grande trittico (“Attenuazione/Aumento”) degli anni ’90, accompagnati dalle litografie realizzate nel 1956 da Asger Jorn, Sandro Cherchi e Franco Garelli, oltreché da Simondo stesso, in occasione della manifestazione per l’Urbanismo unitario all’Unione Culturale di Torino e da documenti d’epoca.

Tra le sue mostre recenti si segnala l’ ampia retrospettiva allestita nel 2021, a cura di Luca Bochicchio, presso l’Accademia Albertina di Torino che aveva frequentato in gioventù nella classe di Felice Casorati. Nel maggio 2004 l’Accademia Ligustica di Belle Arti gli ha riservato un incontro di studio con la partecipazione dell’artista e di Guido Curto, Sandro Ricaldone, Carlo Romano, Sandra Solimano e Cesare Viel. 



venerdì 7 giugno 2024

Fascismo: non limitarsi agli slogan

 










Risposta ad una cara amica che su Facebook posta alcune foto di edifici del periodo fascista e aggiunge che, nonostante la negatività del periodo, li trova splendidi:

Assolutamente d'accordo. Il che ci ricorda che il fascismo fu anche (o soprattutto) un tentativo (fallito) di modernizzare l'Italia, dall'alto, in modo autoritario. Da rivoluzionario deluso, Mussolini pensava che da solo il popolo italiano non avrebbe mai avuto la forza di superare secoli di abulia dovuti alla frantumazione politica e alla egemonia straniera. L'esaurirsi rapido della carica rivoluzionaria delle lotte risorgimentali stava a dimostrarlo. Ancora minore era la fiducia nelle classe dirigente e nella monarchia.

Da qui il tentativo di forgiare una gioventù nuova che avesse tra l'altro il senso del bello. L'arte doveva diventare esperienza quotidiana, fruibile da tutti. Pensiamo al Pegaso del fascistissimo Arturo Martini sulla facciata del palazzo delle Poste di Savona.

L'ironia della storia ha voluto che quella gioventù nuova nascesse non nei Littoriali, dove comunque si era formata, ma nella scelta della via della montagna quando il fascismo crollò come un castello di carte.

Come ogni grande fenomeno storico (e il fascismo lo è stato, tanto da segnare profondamente fino ad oggi la storia dell'Italia repubblicana) il fascismo è realtà complessa da affrontare con serietà Dunque rifiuto netto dell'ideologia fascista in qualunque forma si manifesti, ma anche non abbassarsi al livello delle polemiche sul "Mussolini ha fatto anche cose buone".

La storia va studiata non ridotta a slogan. L'antidoto al ripetersi di tragedie come i totalitarismi del Novecento sta nel non demonizzare con formule prive di contenuto, ma capire, capire, capire.

L'ultimo blues di Ben Vautier

 


L'ultimo blues di Ben Vautier


Il 4 giugno mi arrivava la newsletter che Ben Vautier mandava periodicamente a collaboratori e amici. Tra i vari materiali raccolti nella voluta sovrapposizione di testi diversissimi fra loro, tipica del suo modo di fare arte e scrittura, mi aveva particolarmente colpito una traccia di blues.


BEN CHANTE LE BLUES
1234
i want to be myself
i don’t know who I am
help me be myself
J’aurais aimé être chanteur de blues
au Cessole
je chante le blues avec Steiner

Il giorno stesso moriva improvvisamente di un ictus fulminante la moglie. Poche ore dopo Ben si suicidava.

Addio, caro Ben, amico fraterno e compagno libertario. Mi mancherà il tuo costante ricordarci che la vera arte è vivere quotidianamente la propria vita da uomini liberi, senza vincoli né padroni.

domenica 2 giugno 2024

Tra una settimana si vota. Cambierà qualcosa?

 Tra una settimana si vota. Cambierà qualcosa?


Solitamente non sto molto su FB, anche perché per ogni post ci sono almeno quattro o cinque comunicati pubblicitari o comunicazioni di nessun interesse e di cui spesso fatico a capire il senso. Quindi scorro un paio di paginate e poi chiudo. Oggi, avendo un'ora libera, l'ho completamente dedicata alla consultazione di FB.

A parte alcuni post di foto molto belle, che comunque seguo già, o di alcuni amici speciali (Sandro, Bobo, Giuliano, Adriano, Marcello e pochi altri) che anche in questo caso seguo già con attenzione proprio perché speciali, ho verificato per l'ennesima volta come il mezzo scateni pulsioni violente che evidentemente molti si portano dentro.

Soprattutto nelle reazioni a post su Gaza o sul governo Meloni ho trovato una massa di odio contro gli ebrei (sempre definiti sionisti) e contro chi manifesti idee di destra anche molto moderate (tutti indistintamente definiti fascisti) pari solo alla del tutto manifesta ignoranza della estrema complessità dei temi trattati. Insomma slogan al post delle idee e certezze al posto dei dubbi e delle domande.

L'area dei miei contatti è in larga parte di sinistra, ma credo che la situazione non sarebbe diversa se fosse di destra. troverei, ne sono sicuro, lo stesso odio viscerale ma verso i comunisti, intendendo con questo termini tutti coloro che la pensano diversamente.

In questa rabbia diffusa che si fa odio verso chi pensandola diversamente deve essere considerato un nemico da schiacciare, in questa convinzione ostinata di essere comunque i detentori della verità e dunque di non dover fare alcuno sforzo per capire - tanto è tutto chiaro: i buoni di qua, i cattivi di là - nella tendenza al complottismo e alla ricerca del capro espiatorio su cui scaricare le proprie frustrazioni e non nei presunti silenzi sul fascismo della Meloni, vedo attecchire e svilupparsi i germi di un nuovo totalitarismo.

Né mi rassicura l'uso compulsivo del termine antifascismo, usato per giustificare di tutto, dalla politica di Putin (gli ucraini sono tutti nazisti) ai crimini di Hamas. 

Tra qualche giorno si vota e queste persone voteranno. Qualunque sia il loro voto, lo spaccato d'Italia che ho attraversato oggi mi toglie ogni illusione che possa uscirne qualcosa di buono.


martedì 28 maggio 2024

Il paradiso degli inglesi

 


"In un bello e splendido giorno di aprile del 1840, una elegante carrozza da viaggio tirata da quattro cavalli di posta correva di pien galoppo nella strada della Cornice, famosa fra gli eleganti giramondo: strada, come ognun sa, che percorre da Genova a Nizza tutta la riviera di ponente. Poche strade più belle di questa sono in Europa; - e poche certamente, come questa, riuniscono in sè tre condizioni di bellezza naturale: il Mediterraneo da un lato, dall'altro gli Appennini, e di sopra il puro cielo d'Italia".

Inizia così "Il dottor Antonio" di Giovanni Ruffini, sodale di Mazzini e carbonaro esiliato in Inghilterra, pubblicato nel 1853 in inglese e amato da generazioni di inglesine che in quella cronaca romantico-patriottica di un grande amore infelice vedevano descritta un terra antica e misteriosa, ricca di sole e di una vegetazione quasi tropicale.

Nasceva il mito del paesaggio ligure

Immediatamente generazioni di ricchi inglesi avrebbero iniziato a colonizzare la Liguria, soprattutto quella di ponente, costruendo ovunque ville, giardini, chiesette anglicane, introducendo piante dalle colonie dell'impero che attecchirono benissimo nel nuovo habitat e divennero elementi fondamentali di quel paesaggio.

E' quello che ci racconta Edmondo De Amicis nel passo che pubblichiamo, capitolo di un libro, oggi dimenticato, ma comunque di piacevole lettura.

Da mito letterario la Liguria diventava mito turistico, per tornare poi nel Novecento, nelle opere di quella che sarà chiamata "scuola ligure del paesaggio" mito letterario.

Parliamo di Guido Seborga, vero autore seminale, a partire dal suo "L'uomo di Camporosso" del 1939, e poi della prima stagione di Italo Calvino, di Francesco Biamonti, e dei suoi romanzi dove il paesaggio non è sfondo ma protagonista, e infine di Nico Orengo, Elio Lanteri, Marino Magliani.

G.A.


Il quaderno è scaricabile da www.academia.edu

I misteri del vino e la Massoneria

 

Nuovo quaderno dedicato al simbolismo del vino nel mondo classico e in quello cristiano e infine nei riti massonici.

Scaricabile da www.academia.edu

domenica 26 maggio 2024

A proposito di islamofilia

 

 Ragazza israeliana rapita il 7 ottobre (e poi assassinata)

A PROPOSITO DI ISLAMOFILIA

di Michele Nobile


Ferma restando la giusta richiesta di cessazione delle ostilità, sono atterrito dal fatto che in queste proteste circolino posizioni che in pratica - ma anche consapevolmente - siano di sostegno ad Hamas. Atterrito per il presente e ancor più per il futuro.

Specialmente chi non da ieri ha sostenuto la causa palestinese e ne conosce la storia, ha la responsabilità di prendere una posizione cristallina e rigorosamente conseguente nella pratica nei confronti di Hamas e fare alcune domande agli studenti che inneggiano alla resistenza palestinese (cioè Hamas e soci). 

La reazione israeliana al pogrom di Hamas e soci era perfettamente prevedibile e, a meno di non considerare i capi di Hamas dei perfetti idioti, essi non possono non aver messo in conto che sarebbe costata alcune decine di migliaia di morti. 

È paradossale, ma la verità è questa: Netanyahu sarà pure il carnefice, ma i mandanti della strage sono i capi di Hamas. 

E quindi: si vuole dire o no che Hamas e alleati sono co-responsabili della strage?

Si vuole dire o no che Hamas e alleati sono nemici del popolo palestinese che pretendono di rappresentare? Nemici che ci si deve augurare siano eliminati dagli stessi palestinesi? 

Si vuole dire o no chiaro e forte che l’azione di Hamas è soci è il più grande pogrom antisemita dopo il genocidio hitleriano? E che nulla, ma proprio nulla, può giustificarla? Che questo è un orrore, e che la barbarie non si valuta solo con la proporzione dei morti?

Quando si tace su questo o quando la condanna di Hamas è solo formale - e subito indebolita dall’accusa di genocidio rivolta a Israele, passando sopra la logica genocida di Hamas – ci si rende complici di un’azione antisemita, di un prolungamento dell’Olocausto nazista. Inconsapevolmente, ma non per questo la realtà cambia, non per questo non si crea un precedente, che predispone a non vedere la barbarie del mondo in tutte le sue forme. 

E cosa vuol dire nel 2024 «Palestina libera»? Libera da chi? Dagli ebrei? Uno Stato islamico? 

Ci si vuol rendere conto che il problema non è solo il sionismo ma anche l’islamismo politico? E che Hamas e soci sono nemici di qualunque ragionevole soluzione della tragedia palestinese, si tratti due Stati o di uno Stato binazionale o confederale?  

Quali disastri politici autoinflitti attendono una generazione di militanti che non riesce a porsi queste domande?


www.utopiarossa.blogspot.com

lunedì 20 maggio 2024

sabato 18 maggio 2024

Gino Doné compie 100 anni

 Oggi Gino Doné, l’italiano del Granma, compie 100 anni.

Auguri a un grande militante rivoluzionario-




venerdì 10 maggio 2024

Francesco Biamonti. Le carte, le voci, gli incontri

 


Nell''ambito del "Maggio dei libri" e in collaborazione con il Comune di Imperia e la Biblioteca Civica "L. Lagorio, l'Associazione Amici di Francesco Biamonti è lieta di presentare,

domenica 12 maggio,

alle ore 17,00,

presso la Biblioteca Civica di Imperia,

il volume "Francesco Biamonti, la carte, le voci, gli incontri", curato da Matteo Grassano e Claudio Panella, edito da Il Canneto Editore. Il volume raccoglie gli atti del convegno svoltosi a San Biagio della Cima e Ventimiglia nell'ottobre del 2021 in occasione del ventennale della scomparsa di Francesco Biamonti. Interverranno: il prof. Vittorio Coletti, Il prof. Matteo Grassano e Corrado Ramella.

mercoledì 8 maggio 2024

LILIANA BASTIA Nel giardino di Flora e altre prove d’autore



LILIANA BASTIA
Nel giardino di Flora e altre prove d’autore
a cura di Sandro Ricaldone
testo di Stefano Patrone
Entr’acte
via sant’Agnese 19r – Genova
10 maggio – 5 giugno 2024
orario: mercoledì- venerdì 16-19
inaugurazione: venerdì 10 maggio, ore 17

Nel suo percorso, iniziato alla metà degli anni ’70 del Novecento, Liliana Bastia ha dato vita ad una produzione ad ampio raggio, misurandosi con l’insieme delle tecniche consolidate nella tradizione artistica: dalla pittura all’incisione, nelle sue diverse declinazioni; dalla scultura alla ceramica, affrontando, volta a volta, soggetti diversi, dalla figura umana, maschile dapprima e quindi femminile, alla rappresentazione del mondo animale, all’illustrazione di personaggi appartenenti ai classici della letteratura, dalla Commedia dantesca al Don Chisciotte. A questo suo impegno multiforme si richiama Stefano Patrone nel testo che accompagna la mostra, definendo Liliana “una giocoliera che passa da una tecnica ad un’altra, da un trucco ad un altro”. Da Entr’acte espone tre xilografie in diversi stati di impressione, con le relative matrici: Nel giardino di Flora, Nel giardino di Marvi, Leda e il cigno. Ha scritto al riguardo Vico Faggi: “Le figure da cui Liliana prende le mosse hanno spesso il loro habitat nella mitologia e sono dunque figure che trascinano con sé, con il loro stesso nome, un’aura di lontananza nel tempo e, paradossalmente, di prossimità psicologica. (…) Ed è per questo che le predilige: per il loro prestigio culturale, ma più ancora per la forza, che hanno, di alludere a pulsioni ed emozioni, scatenando associazioni di idee e visioni”.

LILIANA BASTIA

Liliana Bastia è una giocoliera, a volte un’illusionista gioca con le figure e ti attira con un astrattismo che è solo l’illusione di un non figurativo ma le cose rimangono lì e lei ci gioca è abile nel mischiare le carte ed anche i colori ma non devi dimenticare che è una giocoliera che passa da una tecnica ad un'altra da un trucco ad un altro anche quando pensi di avere afferrato il senso la forma e l’attitudine lei cambia le regole e il bianco e nero si colora spiazzandoti e reinventandosi perché il suo più grande gioco che però non è un’illusione è questo: Liliana Bastia rinasce continuamente.

Stefano Patrone

fine aprile 2024


Liguria e questione morale

 Proponiamo la stimolante nota di Franco Astengo sulla questione Toti e le nostre considerazioni in merito.

Franco Astengo

Liguria e questione morale


Premessa la debita considerazione di garantismo e di colpevolezza da dichiarare soltanto al momento di sentenze passate in giudicato il terremoto giudiziario che sta devastando la Liguria politica e imprenditoriale non può rimanere sotto silenzio.

Ancora una volta la magistratura si è mossa in un'ottica di supplenza della politica e l'analisi dei diversi intrecci rilevabili dai provvedimenti giudiziari fin qui assunto consentono alcune precise affermazioni proprio sul piano politico:

1) dagli atti fin qui portati avanti dall'autorità giudiziaria appare rilevarsi il profilo di un vero e proprio "sistema di potere" collocato ben al di fuori da un contesto di esercizio della responsabilità democratica. Le scelte fin qui compiute dal Presidente della Regione Liguria nel corso del suo mandato hanno avuto l'evidente destinazione proprio del consolidamento di questo sistema di potere attraverso scelte di carattere corporativo sia sul piano economico sia sul piano delle destinazioni territoriali (ultima in ordine di tempo ma non ultima per importanza quella della destinazione della nave -rigassificatore a Vado Ligure);

2) Questo sistema di potere (da confermare giudizialmente ma ben presente sul piano politico) può sfruttare ( e fin qui ha sfruttato) il mutamento di natura dell'Ente Regione che proprio in Liguria ha assunto caratteristiche particolarmente spiccate. Attraverso l'elezione diretta del Presidente della Giunta (che poi mezzi di comunicazione di massa e giornali hanno facilonescamente definito "Governatore") ha definito la fisionomia dell'Ente in soggetto di nomina e di spesa (anziché di coordinamento legislativo come stava nelle intenzioni di chi aveva proceduto a normare l'indicazione costituzionale);

3) In questo intreccio tra potere di nomina e potere di "elargizione di spesa" può diventare facile l'introduzione di un sistema di potere capace di connettere politica e affari in vari campi ( per quel che riguarda la Liguria oltre al sistema infrastrutturale realizzato in particolare attorno al porto di Genova non può essere dimenticato il tema del rapporto pubblico/privato in sanità: tanto per fare soltanto degli esempi).

Questi sono alcuni dei temi politici suggeriti dall'avanzare dell'inchiesta che ha messo a soqquadro vertici istituzionali, economici e imprenditoriali in Liguria.

Il pensiero non può che correre all'affare Teardo di oltre quarant'anni fa: anche in quel caso emerse un ritardo della politica nell'individuare responsabilità e natura dei fatti (così la magistratura già svolse un ruolo di supplenza) in una fase in cui l'approccio alla modernità mutava la natura dell'antica questione morale di marca democristiana: in allora ci si fermò presto e non si riuscì a vedere oltre il fatto locale (pur molto rilevante). Eppure dietro l'angolo ci stava Tangentopoli


Giorgio Amico

Ritardo o morte della politica?


Caro Franco,

qui di seguito alcune riflessioni a caldo su quanto accaduto a Genova e sulle tue considerazioni-

Rispetto al caso Teardo, qui siamo oltre. Teardo rappresentava un gruppo di potere all'interno del PSI ligure. Oggi, se le accuse saranno confermate in giudizio, è il cuore della portualità e quindi dell'economia ligure a essere coinvolto. Ci troveremmo dunque di fronte non semplicemente ad un uso disinvolto o criminale del potere politico per fini personali, ma un sistema di gestione dell'economia  regionale che va dai grandi lavori pubblici, alla speculazione edilizia, passando per la gestione di terminal e aree portuali.

Stando a quanto al momento comunicato il perno attorno a cui ruota la vicenda sarebbero infatti alcune grandi operazioni economiche già in atto o in via di progettazione e non l'azione amministrativa del presidente della Regione che semmai avrebbe avuto, sempre che le accuse siano confermate, il ruolo di facilitatore dell'iter burocratico e non certo del regista occulto.

Secondo gli atti processuali Teardo imponeva le sue scelte nel quadro di un progetto amministrativo e di potere ben preciso e la cosa aveva dunque una sua centralità politica anche se deviata, 

Qui, sempre secondo quanto fatto circolare dagli inquirenti, più che un sistema di potere e di governo locale, saremmo in presenza di un personaggio pubblico pronto a fornire i suoi servizi a chi lo sponsorizza e lo finanzia. 

Detto questo che, se vuoi, è colore, non credo si possa parlare di ritardi della politica,  ma di totale assenza della politica. Il fatto è che probabilmente non c'è regione in Italia dove ormai non prevalgano  logiche simili che sono prima di tutto il frutto della morte dei partiti come comunità di persone e luoghi di elaborazione collettiva di un progetto di società e di governo.

La frammentazione sociale, di cui la passività ormai quarantennale della classe operaia è la principale manifestazione, si rivela ogni giorno e in mille modi anche come frammentazione di una politica dove ai partiti si è costituito il personaggio salvifico, l'uomo solo al comando, lo showman che buca lo schermo, il boss padrone di pacchetti di voti dalla provenienza dubbia.

Teardo rappresentava, qualunque cosa si pensi in merito della sua vicenda, l'estrema degenerazione di una storia gloriosa .e quasi secolare, questi personaggi, solo la propria miseria individuale.



martedì 23 aprile 2024

Sulla tradizione

 


Sulla tradizione


"In questi ultimi tempi, la destra sta puntando su due suoi valori secondari: la repressione e la censura. E ci distrae dai veri pilastri del pensiero reazionario: il culto della morte, la difesa della terra, il mito del sangue e l’ossessione per l’origine. Ma soprattutto la fissa per le tradizioni. Le tradizioni, per la destra, sono nate nella notte dei tempi. Sono date agli uomini quasi per grazia divina. E si mantengono uguali nello spazio e nel tempo. Ma se presentano variazioni, occorre considerare migliore la versione più antica. Nulla di più falso".

Così scrive un carissimo amico (di cui non cito il nome perché si firma con uno pseudonimo) nell'incipit di un suo post molto intrigante sulla tradizione musicale irlandese. Riflessione interessante che mi porta a mettere giù un paio di considerazioni sul tema.

Il tema della tradizione è in effetti centrale nel pensiero di destra, tanto centrale da rappresentare il principale discrimine fra destra e sinistra.

Mi spiego meglio. Per chi voglia, come scrive Dante, vivere seguendo virtute e conoscenza, è fondamentale collocare il proprio agire materiale e intellettuale a partire da un punto di riferimento ideale. È proprio questo modello ideale che determina il carattere virtuoso e razionale del proprio agire nel mondo. Una sorta di Stella polare, insomma, che permetta nei momenti critici di fare il punto e tracciare con sicurezza la rotta.

E questo vale a maggior ragione per il pensiero politico, sia di destra che di sinistra.

Destra e sinistra da non confondersi con le evanescenti rappresentazioni attuali fondate su prospettive di cortissimo respiro calcolate in base alle proizioni statistiche, all'audit televisvivo o al numero di followers in rete.

Questo punto di riferimento, questa Stella polare, è identificato in una società ideale armonica che superi le contraddizioni dello stato di cose presente. Aspirazione profondamente umana, esistenziale prima che politica, ben esemplificata da Francesco Biamonti con il suo "è destino dell'uomo vivere un mondo ma sognarne un altro". Forma laica, comunque, di una visione religiosa della vita tipica del mondo premoderno. Visione che, a differenza della sua versione laica riusciva a fondere armonicamente passato e futuro. Ce lo insegna in modo magistrale Agostino quando riflette su come l'uomo viva nel presente con il ricordo del passato (l'annunciazione) e l'attesa del futuro (l'avvento).

I laici questa sintesi non l'hanno saputa fare e di conseguenza, tanto per metterla giù semplice, si sono divisi fra chi vive nel presente guardando al passato (la destra) e chi al futuro (la sinistra).

Proprio in questa radicale divergenza sta la differenza fra le due correnti di pensiero, o meglio tra i due modi di stare nel mondo. Uno stare nel mondo che, come dice Paolo, cercando così di mettersi al riparo dalle contraddizioni del tempo vissuto che sono comunque sempre anche contraddizioni dell'Io, che doveva però essere vissuto come un "non essere del mondo".

L'età dell'oro, il mondo dell'armonia, dove le infinite separazioni e contraddizioni che segnano il mondo reale siano finalmente superate, la destra la colloca nel passato come un qualcosa di perso, ma che può essere individualmente recuperato a partire da uno stile di vita coerente con questa visione. Non a caso Guénon e Evola parlano dell'epoca presente come età del ferro (Kali Yuga) segnata dalla materialità e dalla perdita di ogni valore ideale. La sinistra proietta invece questa età dell'oro nel futuro e dunque lo stare nel presente come costruttori di progresso. La storia vera dell'uomo, dice Marx, inizierà solo con il comunismo. Da qui il dibattito, oggi stantio ma in passato vivissimo, sul partito come prefigurazione nei rapporti fra i militanti della società che si vuole costruire.

Naturalmente questo duplice riferimento è sempre più radicale, tanto più estrema è la visione politica, fino a diventare totalizzante in realtà come, tanto per citare due esempi, Ordine Nuovo (quello rautiano ovviamente) da un lato e le chiesuole bordighiste dall'altro. E chiesuola non è termine messo lì a caso.

Detto tutto questo, è evidente come l'ottimismo (l'ottimismo della volontà di Gramsci) sia tipico della sinistra come consolazione dei mali di un presente fosco ma aperto a un futuro che si pensa radioso. Forma laica, qualcuno potrebbe non a torto dire, della tradizione messianica giudaico-cristiana. Anche in questo contesto, tuttavia, la deificazione della Tradizione fa capolino. Penso a Bordiga per il quale il marxismo nasce già integrale e "invariante" tanto che ogni sviluppo o mutamento anche di una minima parte significa tradirne l'essenza profonda.

Collocare l'età dell'oro in un passato lontanissimo significa invece non avere più alcuna illusione sulla possibile evoluzione in positivo del presente, e dunque, come scrive Evola, restare in piedi fra le rovine, coltivando il ricordo, perso dalle masse, di quel periodo aureo in cui gli uomini erano veramente uomini integrali. Da qui il vedersi come parte di una aristocrazia dello spirito (sempre per citare Evola) fondata sulla Tradizione, ma anche il culto della morte. La via del guerriero ,insomma, sia quella individuale del ronin (il samurai senza signore) o quella collettiva del templare (il membro di una comunità che prega e combatte). Da qui la "fedeltà" come valore assoluto fondante l''onore, l'identificazione con chi sta dalla parte perdente della storia (i sudisti, i repubblichini, i parà francesi) e pur sapendolo accetta il combattimento, "a cercare la bella morte" come forma estrema di coerenza.

E' evidente l'importanza in questa visione del rispetto integrale dei singoli elementi della Tradizione. E dunque – come per Bordiga sull'altro versante – innovare è sempre tradire. Mishima si uccise ritualmente per ricordarlo ad un Giappone che lo aveva dimenticato.

Altra cosa sarebbe poi ragionare su come si colloca in questo contesto la Massoneria che raccoglie e cerca di sintetizzare entrambi gli elementi, quello delle origini (la parola perduta) e quello del futuro (una società veramente umana fondata sul trinomio libertà-eguaglianza-fratellanza).Una ambiguità che ha fatto si che la Massoneria possa, a buon titolo, essere vista sia come fenomeno di destra che di sinistra.

In realtà si tratta di una ambiguità solo apparente, ma cercare di spiegare il perché porterebbe molto lontano e richiederebbe molto più spazio e quindi rimandiamo il discorso ad un'altra occasione.

Giorgio Amico

sabato 20 aprile 2024

Balma Boves, vecchie pietre calde d'amore


 
Balma Boves, vecchie pietre calde d'amore.


Balma Boves, un luogo magico se guardato con gli occhi del turista, ma anche testimonianza muta di una vita incomprensibile oggi, fatta di fatica e miseria, dove anche il poco era un piccolo segno di distinzione.

Ci si arriva con un sentiero prima largo, con mucche pigre che ci guardano passare con l'espressione di chi non si stupisce di nulla perché è in sintonia profonda con ciò che lo circonda: il pascolo, il cielo, la valle e i monti tutto intorno. 















Le mucche suscitano ogni volta in noi sensazioni strane, da quando, sempre in montagna, io e Vilma vedemmo caricare a forza un vitello su un furgone mentre altre mucche attorno muggivano disperate, circondavano quegli uomini, cercavano di spingerli via con il muso, consapevoli che quello sarebbe stato un viaggio senza ritorno. Restammo lì, muti e tristi, finché il furgone non fu partito con le mucche che continuavano a muggire. Un coro straziante, quasi umano o meglio totalmente umano. Da allora abbiamo guardato le mucche con occhi diversi, occhi di chi ha scoperto all'improvviso che la sofferenza è una condanna universale che non risparmia nessuno.

Il sentiero termina con una grande cascina, ora abbandonata, per trasformarsi in una stretta mulattiera fatta di pietre secolari che costeggia la roccia, passa sotto una cascata e sbocca in uno spiazzo in salita sotto un'enorme volta di pietra.












Balma Boves, tre case, una sorgente, una cantina, un forno. Case primordiali, fatte di pietra e fango, finestre senza vetri, piccolissime stanze con poca luce e pochi mobili e oggetti. Giusto il necessario per la sopravvivenza.

Non ci sono letti, si dormiva nella stalla scaldati dal fiato degli animali. E neanche tavoli. Gran parte dello spazio è dedicato agli animali o a far seccare le castagne, alimento fondamentale per quella gente.

Una vita durissima, impensabile oggi.

Eppure per secoli lì uomini e donne hanno vissuto, si sono amati, hanno fatto crescere figli. Un po' di quell'amore si coglie ancora, guardando la più grande di quelle case: due piani con un ballatoio che guarda la valle, bellissima e verde, che si apre sotto.

La guida ci racconta che quel secondo piano, fatto di due stanze più grandi e luminose, è stato costruito per ultimo in epoca abbastanza recente (la Balma è stata abitata fino agli inizi degli anni '70), da uno dei figli per viverci con la giovane sposa che aveva trovato in vallata.



Ora ospitano un piccolo museo della vita contadina che ha l'aria malinconica delle foglie appassite, ma mantiene ancora le vibrazioni forti dell'amore che aveva portato quella giovane donna, di cui non sappiamo nulla, ma che ci piace pensare bella e ridente, ad abbandonare la vita più facile dei paesi della valle per condividere con il suo compagno la durezza di un'esistenza fatta di fatica e sacrifici. Un po' di quell'amore è rimasto a scaldare le pareti, le uniche intonacate di tutto il piccolo villaggio, sufficiente a dare speranza a chi sa cogliere che anche in quel luogo, di una bellezza estrema ma terribile, c'è stata gioia e corpi intrecciati nell'atto d'amore e risate di bimbi.

Andare a Balma Boves è un ritorno alle origini, al senso autentico della vita, alla sua sacralità. Se ne ritorna un poco rigenerati nel mondo comodo ma avaro d'amore delle nostre città. Più fiduciosi nella forza misteriosa della vita che lega tutto ciò che esiste, dentro e fuori di noi.

Ancora una volta il cammino si è rivelato esperienza intima, prova iniziatica, viaggio alla ricerca di ciò che ci rende ciò che siamo.


venerdì 12 aprile 2024

Quando in Unione Sovietica scomparve lo Stato

 


Nel gennaio 1960 l'Unità con un articolo in prima pagina annunciava  con toni trionfalistici che in Unione Sovietica si era ormai giunti alla piena realizzazione del comunismo e all'estinzione dello Stato a partire proprio dal Ministero dell'Interno e dell'apparato repressivo. Per il PCI un'ulteriore conferma che l'URSS era il paese più libero e democratico del mondo.

Il Quaderno, che comprende, oltre a una nostra introduzione, la riproduzione della prima pagina de l'Unità del 14 gennaio 1960 e l'articolo integrale di Giuseppe Boffa, può essere scaricato dal sito www.academia.edu..

domenica 7 aprile 2024

ULRICH ELSENER alla Galleria Entr'acte

 


Sandro Ricaldone (curatore della mostra)
  

ULRICH ELSENER
einfarbig aber nicht eintöning
(monocromo, non monotono)
a cura di Sandro Ricaldone
Entr’acte
via sant’Agnese 19r – Genova
10 aprile – 3 maggio 2024
orario: mercoledì- venerdì 16-19
inaugurazione:
mercoledì 10 aprile, ore 17


Ulrich Elsener (Biel 1943) è conosciuto a Genova, dove vive e lavora da decenni, in alternanza con Zurigo, per le mostre tenute in gallerie (Studio Leonardi, Spazio Della Volta, Artré, Entr’acte) e in spazi pubblici (Galata Museo del Mare, Palazzo Ducale), imperniate su fasi diverse del suo percorso creativo: le “immagini d’ombra”, le “maschere”, i “volti-paesaggi”.

L'artista, tuttavia, ai suoi esordi, sul finire degli anni Sessanta e lungo il decennio successivo, si era brillantemente affermato coltivando i modi della pittura concreta, dominante in Svizzera nel secondo dopoguerra. A quel tempo si riporta appunto la mostra ora allestita da Entr’acte attraverso un “oggetto” (acrilico su pannello) e quattro serigrafie, oltre a una copiosa raccolta fotografica e documentale.
Si tratta di lavori che in occasione di una personale tenuta alla Galerie Impact nell’aprile 1972 venivano così appropriatamente descritti in un articolo (siglato J.D.R) comparso sulla Gazette de Lausanne:
“La gradazione dei toni nelle composizioni si basa su una curva logaritmica, che permette di calcolare le intensità dei colori. Gradazioni così sottili potrebbero essere ottenute con una stima ottica, ma Elsener preferisce una risoluzione matematica all'empirismo dell'occhio. L'originalità della ricerca di questo artista, fortemente influenzato dalla Minimal Art, risiede più nell'integrazione dell'oggetto nell'ambiente che nel fenomeno ottico derivante dalla successione di bande monocromatiche, vere e proprie gamme di grigi o di blu. L'oggetto conquista lo spazio e la gradazione serve a favorire l'esplosione o l'implosione visiva della proposta. Una ricerca di questo tipo, basata sul carattere poliforme e sulla variazione progressiva o decrescente del contrasto, sembra aprire nuove prospettive nell'integrazione dell'arte con l'architettura”. 

Antifascisti savonesi nella guerra di Spagna


 Scaricabile dal sito www.academia.edu

Malcom X, gli afroamericani e le lotte dei popoli di colore

 



Nel 2012 la Federazione del Partito della Rifondazione Comunista di Savona tenne una Scuola di politica sul tema dell'Africa. Il corso si tenne nella Sala conferenze del Comune di Savona,  la Sala Rossa, con una buona partecipazione di pubblico Fra i relatori spiccava il Professor Raffaele Salinari, medico, docente universitario e esperto, grazie ad una lunga esperienza di volontariato in Africa, di cooperazione internazionale. 

Il mio contributo fu una lezione incentrata sulla realtà della minoranza afro negli Stati Uniti e sulla figura di Malcom X, uno dei temi centrali della mia tesi di laurea discussa nell'ormai lontano 1975.

Ne derivò una dispensa che riprendeva sintetizzandolo il contenuto della relazione e che da oggi è disponibile sul sito www.academia.edu nella pagina che raccoglie i miei lavori. 

G.A.


mercoledì 3 aprile 2024

I trotskisti italiani e il Maggio francese

 



L'ondata di occupazioni che tra la fine del 1967 e la primavera del 1968 travolgono l'intero sistema universitario italiano sembrano offrire ai trotskisti, raccolti nei Gruppi comunisti Rivoluzionari (GCR) e ancora operanti in modo semiclandestino all'interno del PCI, nuove confortanti prospettive di sviluppo. I GCR tentarono di affrontare la nuova situazione in un convegno del marzo ’68, destinato a stabilire se la tattica "entrista", praticata fin dalla fondazione dell'organizzazione, avesse ancora senso. Insomma, per dirla gramscianamente, se dalla guerra di posizione si dovesse passare alla guerra di movimento.

La conferenza portò alla luce le profonde divergenze esistenti all'interno della sezione italiana della Quarta Internazionale e anche i contrasti, non solo politici ma anche personali, che laceravano il suo gruppo dirigente dove una generazione di giovani quadri sempre più insoddisfatti del tatticismo esasperato di Livio Maitan stava emergendo a Roma e Milano. Una insofferenza acuita due mesi più tardi dai fatti francesi.

Il Maggio, di cui i gruppi trotskisti erano stati la forza trainante, mostrava che la stagione dell'entrismo era finita e che la lotta aperta contro partiti comunisti ancora profondamente stalinisti pagava.

Livio Maitan, fondatore e leader storico dei GCR, ritenne che i fatti francesi potessero da soli risolvere la situazione. Le risorse finanziarie, sempre piuttosto scarse, dei GCR furono impegnate nel fornire una informazione di prima mano mettendo in risalto il ruolo importante svolto dai trotskisti e la necessità, contro ogni tentazione spontaneistica, di una organizzazione ancorata ai tradizionali principi leninisti. Da qui il numero speciale della rivista teorica "Quarta Internazionale", interamente dedicato al Maggio. Seguirono poi alcuni opuscoli pubblicati dalla nuova casa editrice Samonà e Savelli, di fatto un'emanazione dei GCR di cui i due editori erano militanti.

Iniziativa sicuramente meritevole che permise di far conoscere meglio ciò che stava accadendo in Francia a una generazione di giovani che stava passando da una fase puramente rivendicativa, quasi di sindacalismo studentesco, ad un più complessivo impegno politico fortemente declinato in chiave rivoluzionaria.

Del tutto insufficiente invece a far superare la crisi che travagliava l'organizzazione trotskista, tanto che immediatamente dopo l'estate i GCR implosero dando vita a una miriade di nuove organizzazioni, da Servire il Popolo a Avanguardia Operaia, caratterizzate da un passaggio repentino dal trotskismo al maoismo.

Dei vecchi GCR restarono attivi solo dei piccoli nuclei in una decina di città. La grande ondata di lotte operaie dell'anno successivo permetterà un rilancio dell'attività con risultati non disprezzabili soprattutto a Torino, ma insufficiente a far uscire l'organizzazione dalla condizione di marginalità in cui si la crisi del '68 l'aveva precipitata.

Altri erano ormai i punti di riferimento di un movimento che pareva inarrestabile. Il Movimento studentesco della Statale e i nuovi partitini - dal Manifesto, a Potere Operaio, da Lotta Continua ad Avanguardia Operaia fino all'ultrastalinista e caricaturale Servire il Popolo – avrebbero monopolizzato almeno fino alla metà degli anni Settanta l'ambito della sinistra rivoluzionaria.

A differenza dei loro compagni francesi, i trotskisti italiani avevano perso l'occasione per diventare una reale alternativa al Partito comunista. Un fallimento di cui Livio Maitan , dal 1949 leader incontrastato della sezione italiana della Quarta, portava non poche responsabilità. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.



G.A.


il quaderno è liberamente scaricabile dal sito www.academia.edu

venerdì 29 marzo 2024

Avanguardia Operaia. Reprint del primo numero (Dicembre 1968)




Avanguardia Operaia, o meglio l'Organizzazione Comunista Avanguardia Operaia (sigla OCAO), nasce a Milano nel 1968 nel quadro della disintegrazione avvenuta in quell'anno dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari (GCR), la sezione italiana della Quarta Internazionale.

Abbandonato il campo trotskista in favore di un maoismo moderato, ben lontano dalle pagliacciate dei gruppi m-l, come "Servire il Popolo" di Aldo Brandirali paradossalmente proveniente dallo stesso ambito trotskista milanese, AO prende presto carattere nazionale unificandosi via via con gruppi e collettivi di Torino, Venezia, Perugia, Roma, Napoli e aprendo sedi in città importanti come Genova.

Già dal dicembre 1968 editerà una rivista teorica dallo stesso nome, di cui in previsione di un quaderno interamente dedicato a ricostruire storia e posizioni dell'organizzazione, presentiamo in questo quaderno il primo numero.

Della rivista usciranno 27 numeri per essere poi sostituita nel febbraio-marzo 1973 da una nuova rivista: "Politica comunista". Nel frattempo, a partire dal 1971 al mensile si affiancherà un foglio di agitazione dal titolo simile, "Avanguardia Operaia, giornale di agitazione comunista", con cadenza prima quindicinale e poi settimanale, a sua volta sostituito a partire dal 1974 dal giornale "Quotidiano dei lavoratori" che cesserà le pubblicazioni nel 1979.

Quanto all'Organizzazione politica, dopo un lacerante e confuso dibattito interno, di cui il pamphlet polemico "I senza Mao" di Silverio Corvisieri resta efficace testimonianza, Avanguardia Operaia si scioglierà nel 1977 per confluire nel processo di formazione di Democrazia Proletaria.


Il quaderno è liberamente consultabile e scaricabile dal sito www.academia.edu


domenica 17 marzo 2024

La sinistra italiana e Stalin

 


Simul stabunt vel simul cadent.

La sinistra italiana e Stalin





In questo quaderno pubblichiamo, riprendendolo dagli atti parlamentari, il resoconto delle sedute che il 6 marzo 1953 Senato e Camera dei deputati della Repubblica dedicarono alla commemorazione di Stalin. Una documentazione importante non solo per comprendere meglio il clima di quel particolare momento della storia politica italiana, ma anche per approfondire la conoscenza di alcuni degli esponenti principali di una sinistra quasi interamente asservita allo stalinismo e alla propaganda sovietica.

L'intervento di Scoccimarro in rappresentanza del Partito comunista ne è forse l'esempio più chiaro e, nella sua brutale ottusità ideologica, segna una delle pagine più buie della storia del Senato. Il discorso dell'esponente comunista, che riprende senza batter ciglio una ad una le peggiori menzogne della propaganda staliniana, al punto di esaltare come una conquista della civiltà quella collettivizzazione forzata delle campagne costata la vista a milioni di piccoli contadini, è paragonabile per il disprezzo della verità e dell'autorità morale del Parlamento solo ai discorsi tenuti nella stessa aula da Benito Mussolini negli anni infausti della dittatura. E non cambia ovviamente nulla che l'esponente comunista fosse fanaticamente convinto delle sue idee. Anche Mussolini era convinto di ciò che sosteneva e di essere la guida di una rivoluzione di tipo nuovo che avrebbe trasformato in meglio l'Italia. Insomma, anche se espresse in buona fede, le menzogne restano comunque menzogne.

Che dire poi della celebrazione apologetica di Pertini, che interviene per il Partito socialista ? Frase dopo frase vediamo crollare il mito costruito su di lui durante e dopo gli anni della Presidenza della Repubblica, portando alla luce il cinismo di quello che fu in realtà un politico mediocre, prima autonomista, poi stalinista, poi di nuovo autonomista. A differenza di Nenni, personaggio altrettanto contraddittorio ma che ragionava secondo una visione politica di prospettiva, Pertini si dedicò soprattutto a difendere la rendita di posizione derivante dal suo comunque importante passato antifascista, appoggiando di volta di volta chi gli pareva potesse garantirgli meglio gli spazi di potere, peraltro esigui, detenuti all'interno del gruppo dirigente socialista. Un cinico, lo definirà Panzieri e anche in questa occasione Pertini si mostrerà attento a non eccedere nei toni, allineandosi allo stalinismo imperante nella sinistra ma con moderazione. Limitandosi, insomma, a fare della mera retorica da comizio.

Più calibrato l'intervento di Togliatti alla Camera, ulteriore prova, se ce ne fosse bisogno delle capacità dialettiche dell'uomo, ma anche del suo insopportabile vezzo a posare da professorino. La sua citazione manzoniana, che di fatto assimila Stalin a Napoleone, è un pezzo da antologia.

Quanto a Nenni, non può non colpire, nonostante dall'inizio degli anni Trenta a decine si contassero le testimonianze sui metodi usati nella gestione del potere dall'autocrate del Cremlino, la asserita, ma chissà quanto sincera, convinzione che parlare per la Russia di dittatura fosse una mera calunnia a fini propagandistici di un Occidente guerrafondaio e bellicista che in Stalin combatteva soprattutto l'eterno anelito dell'umanità alla pace.

La storia, si sa, è impietosa e non fa sconti. Tre anni dopo, proprio uno dei principali complici di Stalin, quel Chruščëv responsabile dello sterminio per fame dei contadini ucraini insofferenti del potere sovietico, rivelerà al mondo gli orrori della dittatura staliniana. Era la conferma di ciò che Souvarine, Serge, Silone – giusto per citare alcuni dei testimoni più noti di quegli orrori – avevano coraggiosamente sostenuto già dalla fine degli anni Venti. Ma non servirà a molto. La verità rende libero solo chi vuole essere libero. Lo dimostrerà sempre in quel 1956 la difesa ostinata dell'URSS in occasione della rivoluzione ungherese fatta da Togliatti e da un Ingrao chissà perché ancora oggi da qualcuno visto come un “eretico” del comunismo.

Abbiamo, per completezza di documentazione, aggiunto poi in appendice l'articolo che Enrico Berlinguer, allora segretario dei giovani comunisti, scrisse in quei giorni sulla rivista “Pattuglia”. Colpisce in quell'ossessivo invito all'impegno, ripetuto come una formula religiosa o un giuramento solenne, già un accenno di quel moralismo curiale, spacciato per etica, che caratterizzerà gli interventi del futuro segretario comunista negli anni del compromesso storico. A dimostrazione di una continuità di pensiero e di un Partito incapace di affrontare realmente le contraddizioni della propria storia e di fare una volta per tutte i conti con lo stalinismo.

Sarà solo nel dicembre 1981 che Berlinguer parlerà di “fine della spinta propulsiva” del comunismo sovietico. Una affermazione a cui non seguirà però alcuna riflessione autocritica né alcun atto concreto. Una semplice presa d'atto da spendersi nel teatrino angusto della politica italiana. Come se sessant'anni prima, nel marzo 1921, non ci fosse stata la Comune di Kronstadt, e poi la collettivizzazione forzata delle campagne, lo sterminio per fame dei contadini ucraini, l'industrializzazione fondata sul lavoro schiavo fornito dai Gulag, le grandi purghe di fine anni Trenta, il patto Ribentropp-Molotov e l'alleanza di fatto con il nazismo che aprì le porte alla guerra, il XX Congresso, l'asservimento dei popoli di mezza Europa e la repressione sanguinosa della rivoluzione ungherese, l'URSS era restata fino ad allora il faro del socialismo che segnava con la sua luce la rotta dell'umanità verso un avvenire radioso di civiltà e di pace. Solo nel 1981, lo ripetiamo, ci si accorgerà che quel faro non faceva più luce. Una presa d'atto tardiva e neppure condivisa da tutti, come dimostrerà l'opposizione prima della componente cossuttiana e poi la storia fallimentare del Partito della Rifondazione comunista.

Simul stabunt vel simul cadent, verrebbe da dire. PCI e stalinismo erano dal 1926 indissolubilmente legati. Lo dimostrerà nel 1991, a 38 anni dalla morte di Stalin, il crollo parallelo dell'impero sovietico e del Partito comunista italiano.


Giorgio Amico


Il quaderno è liberamente scaricabile dal sito www.academia.edu