TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 11 ottobre 2024

Ciao, Tino

 


Ciao, Tino

E così se ne è andato anche Tino Gaggero. Compagno di lavoro e amico fraterno. Uso volutamente il termine "compagno", nel suo senso profondo di cumpanis, persona con cui si condivide il pane, perchè esprime perfettamente il suo modo di approcciarsi agli altri, fossero i suoi allievi, i colleghi o i genitori.

Tino accoglieva tutti con il sorriso, una garbata ironia e un'aria disincantata che non lasciava indifferente chi lo incontrava. Vero educatore, sapeva infondere fiducia ai ragazzi, farli sentire apprezzati e amati.

Siamo stati amici dal primo incontro nel 1990 quando assunsi la direzione della scuola "Della Rovere". Aveva un modo di sorridere, strizzando gli occhi, che immediatamente ti metteva in contatto non coll'insegnante, ma con l'uomo.

In dieci anni di lavoro insieme sono state tante le occasioni in cui mi sono rivolto a lui per un parere. Perché Tino, capiva le persone, sapeva valutarle e i suoi consigli erano preziosi.

Ma il meglio di sè lo dava nell'attività di ceramista, Lo era per vocazione, lo faceva con amore. Lo scoprivi visitando la sua bottega, dall'entusiasmo quasi infantile con cui ti mostrava i pezzi e te ne spiegava la lavorazione.

Non credo si sia mai considerato un artista, ma un artigiano si, e bravo. Uno dei pochi a coltivare ancora con maestria l'arte antica della terra e del fuoco.

Non ci vedevamo da qualche anno, ma l'amicizia restava profonda. Una amicizia fra uomini che avevano condiviso esperienze, gioie, difficoltà. "Compagni" appunto.

Un grande abbraccio Tino, dovunque tu sia ora.


lunedì 7 ottobre 2024

Chi sono gli amici di Hamas in Italia



Il 7 ottobre segna un anno da quando Hamas ha invaso le difese di confine nel sud di Israele, attaccato obiettivi militari, preso ostaggi – per lo più civili – ed è tornato alle sue basi.

Questo l'inizio del delirante comunicato con cui un sedicente Partito comunista dei lavoratori rivendica il pogrom antisemita di Hamas.
Evidentemente per questi "comunisti rivoluzionari" erano obiettivi militari i bambini, gli anziani, le donne trucidati in modo orribile nelle case dei kibbutz invasi, i ragazzi e le ragazze uccisi a centinaia mentre partecipavano a un concerto, le centinaia di ragazze violentate o gli ostaggi esibiti come trofei nelle strade di Gaza.

Ma se è così, se ogni ebreo è in quanto tale un obiettivo militare, con che coerenza definire genocidio la risposta militare di Israele a Gaza?

In realtà, ciò che li anima è una avversione totale all'Occidente e a tutto ciò che questo rappresenta. Per questo oggi sono sostenitori di Hamas, come lo furono del terrorismo islamico ai tempi della guerra in Iraq, quando il loro leader, allora ancora in Rifondazione, coniò lo slogan "Uno, cento, mille Nassyria" presentando come una azione rivoluzionaria la strage dei soldati italiani in missione di pace, o quando, dopo l'11 settembre, dichiararono il loro pieno appoggio ai Talebani afghani.

Una gruppettino insignificante, si dirà, che esaspera i toni per far vedere che esiste e reclutare qualche militante nell'ala estrema del movimento pro Palestina. Certo, ma sufficiente a rendere sempre più impronunciabile la parola comunismo e ad alimentare l'antisemitismo ancora ben presente fra noi.

In ricordo delle vittime del terrorismo palestinese in Israele e in Italia

 In ricordo delle vittime del massacro del 7 ottobre 2024 e di quelle del terrorismo palestinese in Italia. 






domenica 6 ottobre 2024

Mai credere ai numeri

 


Nel 2011 lo “scienziato cognitivo”, così si autodefiniva, Steven Pinker pubblicò un saggio, di grandissimo successo, dal titolo “The Better Angels of Our Nature: Why Violence Has Declined”. Poi pubblicato nel 2016 da Mondadori con il titolo:“Il declino della violenza. Perché quella che stiamo vivendo è probabilmente l'epoca più pacifica della storia”.

Nel saggio, che ebbe diffusione mondiale, l'autore sosteneva che la violenza nel mondo era diminuita in modo significativo, tanto da far pensare che l'umanità vivesse ormai nella fase più pacifica di tutta la sua storia. Il suo non voleva essere un auspicio, né una ipotesi, ma un dato assolutamente certo, fondato su una quantità di dati che dimostravano, a suo parere, un massiccio calo della violenza in tutte le sue forme, dalla guerra al miglioramento del trattamento dei bambini e delle donne.

Un progresso dovuto alla maggiore alfabetizzazione e allo sviluppo dei mezzi di comunicazione che permettendo una migliore conoscenza reciproca dei singoli e dei popoli aveva provocato la tendenza a una risoluzione razionale dei problemi sia nei rapporti individuali che internazionali e dunque al rifiuto della violenza.

A distanza di pochi anni possiamo tranquillamente dire che mai un libro è stato tanto rapidamente e clamorosamente smentito, a dimostrazione che in una società come la nostra fondata sul feticcio della oggettività dei numeri, con un uso acconcio delle statistiche si può dimostrare qualunque tesi.

giovedì 3 ottobre 2024

I Brignone signori del corallo

 





mercoledì 25 settembre 2024

 


martedì 10 settembre 2024

Grande arte in piccoli borghi, un'alchimia affascinante

 Viviamo in tempi di mostre-spettacolo e di turismo culturale di massa, dove l'importante è poter dire "l'ho vista", con lo stesso spirito del bimbo che parla ai compagni delle sue figurine.

Ma l'incontro con l'arte può anche essere occasione di scoperta del territorio. Grande arte in piccoli borghi, un'alchimia affascinante.





lunedì 9 settembre 2024

Come indiani sulle colline

 


Tra il 1975 e il 1978 trasmise a Savona RS 102. Questo è un abbozzo di storia di quell'esperienza pensato per una pubblicazione collettiva.

Il testo è consultabile e scaricabile dal sito www.academia.edu

venerdì 30 agosto 2024

mercoledì 21 agosto 2024

Quanto è utile Orwell a capire la politica di Putin (Ucraina compresa)

 


Quanto può essere ancora utile l'opera letteraria di George Orwell per capire la Russia di oggi e la politica di Putin, invasione dell'Ucraina compresa? Noi crediamo ancora molto. Ce lo ha confermato la lettura di questo saggio, uscito l'anno scorso a cura di una prestigiosa casa editrice britannica e scritta da una autorevole studiosa russa che dall'inizio degli anni Novanta vive e lavora nel Regno Unito. Ne consigliamo la lettura, anche se purtroppo il libro non è stato tradotto, proponendone l'introduzione.

G.A.

Leggendo Orwell in Russia e Gran Bretagna

"È sicuro tenere questo libro a casa durante la notte?" - mi chiese mia madre, quando a Leningrado, a metà degli anni Settanta, i miei amici mi avevano dato una copia del proibito 1984 per un paio di giorni e lo stavamo leggendo entrambi. La sua esperienza le aveva insegnato che perquisizioni e arresti "avvenivano invariabilmente di notte" e, sebbene fosse l'epoca di Brežnev piuttosto che di Stalin, la spaventosa somiglianza della vita cupa e crudele in Oceania con la nostra era schiacciante. "Come faceva a saperlo?" ci chiedevamo. La stessa domanda è stata posta da numerosi altri lettori che hanno avuto la fortuna di mettere le mani sull'ultimo romanzo di Orwell nell'Unione Sovietica e in tutta l'Europa orientale tra gli anni Cinquanta e la fine degli anni Ottanta.

Poi, con la perestrojka di Gorbachev, le cose iniziarono a cambiare, i libri non furono più vietati, ma, sfortunatamente, dopo settant'anni di governo comunista, la vera trasformazione si rivelò troppo difficile per la Russia: non riuscì a eliminare il totalitarismo dal suo sistema. Sotto Putin divenne ovvio che Orwell era di nuovo rilevante. "Come faceva a saperlo?", si chiedevano i nuovi lettori nel 2022, trovando difficile credere che lo stato russo nella sua sinistra assurdità avesse improvvisamente lanciato una guerra brutale, che stava uccidendo migliaia di persone e radendo al suolo città fiorenti, ma non era consentito chiamarla guerra. Quando Putin riportò indietro l'orologio, divenne chiaro che non solo gli slogan dell'Oceania, ma quasi tutte le altre caratteristiche totalitarie identificate da Orwell tornarono più o meno nella stessa forma in cui le aveva descritte.

È sempre sembrato un miracolo a coloro che si trovavano dalla parte sbagliata della cortina di ferro che uno scrittore straniero riuscisse a "trasmettere pienamente cosa significhi un regime totalitario in termini di individui che vi vivono" e a farlo in modo tale che questi non solo accettassero completamente l'autenticità della sua descrizione, ma si meravigliassero della sua capacità di dire loro cose che sentivano, ma che non sempre riuscivano ad articolare. Sembra un miracolo oggi che le osservazioni di Orwell del 1948 si siano dimostrate accurate non solo nel 1984, ma anche nel 2022.

Questo libro fu originariamente concepito come un tentativo di esplorare la natura di questo miracolo. Orwell non parlava né leggeva il russo, né mise mai piede in Unione Sovietica, ma non riusciva a smettere di pensare al paese, poiché era sgomento per la sua cupa traiettoria dalla rivoluzione contro una autocrazia alla creazione di una nuova autocrazia. L'impatto di 1984 fu raggiunto, come Orwell aveva sperato, dalla fusione di politica e arte: dalla sua miscela unica di profonde intuizioni sociologiche su un regime totalitario (qui era, senza dubbio, influenzato dalla sua amicizia con il sociologo ormai quasi dimenticato Franz Borkenau, un pioniere della teoria del totalitarismo) e dalla sua immaginazione letteraria che gli consentì di mettersi nei panni di coloro che avevano vissuto il regime in prima persona. "Sentiva la tragedia russa come se fosse la sua", scrisse Victoria Chalikova, la prima studiosa di Orwell in Russia, notando la sua "capacità di immergersi completamente nel ruolo di una vittima riflessiva e consapevole del terrore politico".

Eppure non fu solo la compassione per le vittime del totalitarismo a spingere Orwell a scriverne. Nonostante la sua preoccupazione per la Russia, evidente non solo nella sua narrativa ma anche nei suoi saggi, nella sua rubrica sul Tribune, nei suoi diari e nella corrispondenza, la sua preoccupazione principale era per il suo paese. Orwell vide con notevole chiarezza il pericolo che il sistema sovietico e i suoi "agenti pubblicitari", come chiamava sprezzantemente i comunisti britannici, rappresentavano per la Gran Bretagna. "Non ho alcun desiderio di interferire con il regime sovietico, anche se potessi", scrisse nel 1945. "Semplicemente non voglio che i suoi metodi e le sue abitudini di pensiero vengano imitati qui". Tutti i suoi scritti politici, il suo giornalismo, la sua "favola", il suo ultimo romanzo, deliberatamente ambientato a Londra, sono indirizzati ai suoi compatrioti, all'intellighenzia britannica di sinistra che, con poche eccezioni, era infatuata del "mito russo". "È innanzitutto necessario far vedere alla gente il regime russo per quello che è realmente", scrisse nella stessa lettera, aggiungendo con sorprendente modestia tra parentesi "(vale a dire quello che penso che sia)".

In effetti, La fattoria degli animali e 1984 contribuirono a smascherare il regime sovietico. Ma subito dopo il crollo dell'Unione Sovietica nel 1991, la comprensione del messaggio di Orwell iniziò a svanire, non dagli studi su Orwell, che si sono sviluppati e ampliati, ma dalla politica contemporanea e di conseguenza dalla più generale visione culturale. Poiché il 1991 fu l'anno in cui mi trasferii a Londra, potei vedere quanto rapidamente i media britannici iniziarono a trattare la visione politica di Orwell come obsoleta.Il pericolo del totalitarismo divenne sempre più vago e obsoleto nella mente delle persone e nel ventunesimo secolo. L’ultimo romanzo di Orwell fu sempre più letto come un avvertimento contro la tecnologia piuttosto che contro il sistema politico che la sosteneva.

Nel 2013, quando nel Regno Unito fu celebrato il 110° anniversario di Orwell, la parola “totalitarismo” sembrava essere completamente caduta in disuso. Numerosi tributi elogiarono la prosa limpida dello scrittore, la sua denuncia dell’imperialismo britannico e la sua condanna della disuguaglianza sociale. Fu elogiato per la sua precoce consapevolezza dei problemi ambientali, per la sua sfacciata celebrazione del carattere nazionale inglese e persino della cucina inglese. Non c'era quasi una parola sui media sul principale obiettivo degli ultimi dodici anni della sua vita: mettere in guardia contro l'attrattiva di un regime basato sulle menzogne. I politici semplicemente non ne erano più interessati.

Questa era un'illusione, e anche Orwell aveva messo in guardia contro di essa, solo che il suo consiglio era stato quasi completamente ignorato.

"Per quanto ne so, al momento della pubblicazione del mio libro la mia visione del regime sovietico potrebbe essere quella generalmente accettata. Ma a cosa servirebbe di per sé? Scambiare un'ortodossia con un'altra non è necessariamente un progresso. Il nemico è la mente del grammofono, che si sia o meno d'accordo con il disco che si sta ascoltando in quel momento".(Orwell, "La libertà di stampa", in The Complete Works of George Orwell, a cura di Peter Davison, 20 voll. (Londra: Secker & Warburg, 1998), Vol. XVII, 259)

Nei trent'anni e passa in cui ho vissuto in Gran Bretagna ho avuto molte opportunità di osservare il lavoro della "mente del grammofono" e le apparizioni di nuove ortodossie, a volte sospettosamente simili a quelle vecchie.

Ho assistito alla creazione del nuovo "mito russo". Qui si credeva ampiamente che, dopo aver detto addio al passato sovietico, la Russia fosse diventata quasi da un giorno all'altro una democrazia capitalista come tutte le altre, forse con le sue peculiarità, ma almeno la sua "ideologia", così si sosteneva, non differiva da quella degli altri tanto quanto era stato per il comunismo. Né l'estrema brutalità delle sue due guerre cecene, né la sua guerra in Georgia nel 2008, l'annessione della Crimea e l'invasione del Donbass nel 2014, gli assassinii di giornalisti e oppositori politici in patria e all'estero, le leggi repressive contro la società civile, né la corruzione, che si è spostata oltre i confini e ha colpito politici e commentatori occidentali, sono stati in grado di infrangere questa immagine radiosa. Se ai tempi di Orwell il mito era creato e sostenuto dall'ingenuo idealismo e dall'ignoranza della sinistra, ora era un'incredibile mancanza di giudizio politico, unita a un'avidità sfrenata, a spingere gruppi e individui di ogni tendenza ad accaparrarsi i finanziamenti generosamente offerti dalle autorità russe – insieme, naturalmente, all’abile propaganda e alla profonda infiltrazione della Russia.

Da nuova arrivata, sono rimasto anche stupita nello scoprire che coloro che in Occidente, come Orwell, simpatizzavano con le persone che vivevano sotto il totalitarismo sovietico e cercavano di aiutarle, sia attirando l'attenzione sulla loro situazione, sia trasmettendo e inviando libri al "blocco sovietico", venivano definiti con disprezzo "cold warriors" - ed era ovvio che Orwell si era sottratto a questo soprannome dispregiativo solo perché morì all'inizio del 1950. E in seguito, quando si discuteva della "Guerra fredda", spesso mi sembrava che oratori e scrittori non vedessero alcuna differenza tra la posizione delle democrazie occidentali, che, con tutti i loro numerosi difetti, cercavano ancora di difendere i valori liberali, e l'aggressivo impero sovietico, una minaccia sia per i propri cittadini che per quelli di altri paesi. Inoltre, coloro che tentavano di criticare ciò che avveniva nella Russia di Eltsin e Putin venivano regolarmente rimproverati di riportare in auge gli "atteggiamenti della Guerra fredda", come se dire qualcosa di disapprovante nei confronti del Cremlino fosse necessariamente offensivo e sbagliato.

Nel febbraio 2022, la Russia ha avviato una guerra criminale su vasta scala in Europa e ha utilizzato il ricatto nucleare per impedire a chiunque di interferire. È iniziata una nuova era e non sappiamo ancora come finirà. Una cosa è, tuttavia, chiara: questi sviluppi disastrosi sono stati, purtroppo, resi possibili dal rifiuto ostinato di "vedere il regime russo per quello che è realmente".

Spero che questo libro susciti la curiosità di coloro che hanno un interesse per Orwell, che potrebbero apprezzare un punto di vista russo su di lui, e di coloro che hanno un interesse per la Russia, che potrebbero essere stimolati dall'opportunità di guardarla attraverso gli occhi di Orwell. Nella prima parte del libro, esploro le circostanze che hanno determinato l'atteggiamento di Orwell nei confronti dell'URSS prima che andasse in Spagna alla fine del 1936 (capitoli 1 e 2); esamino i cambiamenti che la guerra civile spagnola portò alla sua percezione del comunismo sovietico (capitolo 3) e considero cosa lo aiutò ad ampliare e affinare la sua comprensione della Russia al suo ritorno (capitoli 4 e 5). La seconda parte descrive i tentativi di Orwell di combattere il totalitarismo non solo scrivendone, ma anche attraverso l'attivismo sociale (capitolo 6); il suo atteggiamento controverso nei confronti del socialismo (capitolo 7); i tentativi disperati ma falliti delle autorità sovietiche di impedire che i libri di Orwell entrassero nel paese e lo sforzo profuso per resistere a questi tentativi (capitolo 8); e infine, i tratti che rendono l'Oceania di Orwell così simile all'Unione Sovietica (capitolo 9) e alla Russia contemporanea (capitolo 10)


George Orwell and Russia
Masha Karp
Bloomsbury Adademic
London 2023

(Traduzione nostra)

mercoledì 14 agosto 2024

Società segrete e Prima Internazionale

 


Le società segrete, esteriormente di forma massonica, hanno svolto un ruolo decisivo nella formazione della Prima Internazionale. La lotta tra i membri e gli alleati di queste società (fra cui gli italiani Mazzini e Garibaldi) da una parte, e Karl Marx e i suoi sostenitori dall'altra, ha costituito la vita interiore dell'Internazionale nei suoi primi anni e alla fine è stata responsabile della sua fine.

Il saggio, fondamentale per la conoscenza dell'attività settaria nella Francia e Inghilterra di metà Ottocento, appare per la prima volta in traduzione italiana ed è liberamente scaricabile dal sito www.academia.edu

domenica 4 agosto 2024

Ma Parigi è davvero romantica come un pissoir ingorgato?

 


Oggi il supplemento culturale di Repubblica dedica l'apertura a Truman Capote nella ricorrenza dei sessant'anni dalla tragica morte. Nonostante il titolo "Colazione da Truman", non tanto demenziale (che sarebbe stato almeno un merito) quanto banale che campeggia in prima pagina, il fascicolo ospita un intrigante articolo di Natalia Aspesi incentrato soprattutto sul rovinoso declino dello scrittore successivo alla pubblicazione del suo libro "Preghiere esaudite" in cui Capote metteva crudelmente alla berlina, mettendone in piazza vizi e segreti inconfessabili, l'élite intellettuale di New York. Una colpa che non gli fu mai perdonata e che gli costò una sorta di damnatio memoriae e l'esclusione definitiva da quel mondo.

Recuperato nel loculo dei libri a suo tempo comprati e mai letti, il libro che non è un capolavoro, ma merita comunque, se non altro per la ferocia gelida  della scrittura che porta un po' di aria fresca in una giornata afosa, contiene perle affascinanti. Fra le tante una crudelissima descrizione di Parigi di cui in questi giorni , fra pugili dalla sessualità discussa e grandeur macroniana andata a male (vedi la Senna inquinata),  si parla tanto, a proposito e a sproposito.


"Se penso a Parigi, mi sembra romantica come un pissoir ingorgato, allettante come un nudo strangolato che galleggia nella Senna. I ricordi sono limpidi e azzurri, come scene che affiorano tra le languide cancellature di un tergicristallo; e mi vedo saltare da una pozzanghera all’altra, perché è sempre inverno e piove; o se no seduto da solo a sfogliare «Time» sulla terrazza deserta dei Deux Magots, perché è sempre anche una domenica pomeriggio d’agosto. Mi vedo svegliarmi in camere d’albergo non riscaldate, camere deformate e ondeggianti nei postumi di una sbornia di Pernod. Attraversare la città, passare i ponti, percorrere il deserto corridoio fiancheggiato da vetrine che collega i due ingressi dell’Hôtel Ritz, aspettare nel bar del Ritz una faccia d’americano danaroso, scroccare bibite lì e poi al Boeuf-sur-le Toit e alla Brasserie Lipp e poi sudare sino all’alba in qualche localaccio stipato di puttane, reso eccitante dai negri e azzurrato da Gauloises bleu; e svegliarmi di nuovo in una camera inclinata e oscillante con cadaverica esuberanza. Certo la mia vita non era quella di un normale indigeno; ma neanche i francesi riescono a sopportare la Francia. O meglio, adorano il loro paese, ma disprezzano i propri compatrioti – incapaci come sono di perdonarsi i loro comuni peccati: la diffidenza, la spilorceria, l’invidia, la grettezza generale".

martedì 30 luglio 2024

Lascerem la Testafochi...

 


Sembra ieri, ma sono giusto in questi giorni cinquant'anni che finivo il servizio militare e ritonavo alla vira civile dopo quasi due anni passati in divisa, prima come assaltatore e poi (titolo di studio obblige) come magazziniere di battaglione.

Quattordici mesi alla Testafochi (oggi demolita per far spazio ai moderni edifici dell' Università) , un niente paragonato ai miei 75 anni, ma sufficienti per innamorarmi di Aosta e sentirmi per sempre valdostano d'adozione, parte di quel mondo e di quella città.. Tanto che ancora oggi Aosta resta per me un luogo del cuore.

Più che Savona, città in decadenza e senza identità, in cui vivo dal 1962 ma sempre più da straniero, da meteco, come i Greci chiamavano gli estranei allo spirito della polis..

Certo, come sempre, il ricordo degli anni giovanili attenua le contraddizioni e tende a mettere in risalto solo gli aspetti positivi legati alla vitalità della giovinezza.

In realtà, furono mesi duri in una caserma dura, ma questo non attenua il mio amore per Aosta, anche se la sera del congedo, ubriaco perso, saltellavo seminudo in camerata con altri venti invasati cantando.


E' finita
E' finita per davvero
Lascerem la branda e il telo
Lascerem la Testafochi
Per chiavare come pochi...

Avevo venticinque anni e gli ormoni andavano a mille.
Oggi di quel periodo resta il ricordo
e qualche amicizia che ha resitito agli anni (vero Bobo?)
e l'immagine di un giovane che guardava con occhi critici ma fiduciosi all'avvenire.
Un giovane che, nonostante il mezzo secolo passato, ancora vive dentro di me.
Accanto al bambino curioso e vivace che sono stato.
Un giovane e un bimbo che nei momenti critici escono fuori.
Mi guardano seri e mi ricordano chi sono veramente.
E mi impediscono così  di affogare nella opacità del presente.



venerdì 12 luglio 2024

Antifascismo come lotta di classe

 


Riprendiamo la premessa a un libro uscito all'inizio degli ormai lontani anni Settanta. Un documento di oltre cinquant'anni fa ma sempre molto attuale. Con una differenza fondamentale. Allora la coscienza politica e sociale era viva e suscitava una voglia diffusa di approfondimento e confronto, di cui questo libro, contenente gli atti di un convegno delle forze della nuova sinistra è testimonianza. Oggi ci si limita a ripetere slogan usurati dal tempo, pensando che basti cantare "Bella ciao" per fare i conti con il fascismo.

In questo secondo quaderno di «Unità Proletaria» vengono pubblicati gli atti del convegno che il quindicinale del PdUP organizzò lo scorso anno (9 e 10 giugno 1973) a Firenze, sul tema Per un nuovo antifascismo militante —L'involuzione autoritaria oggi in Italia.

L'idea di organizzare un momento collettivo di riflessione su questa problematica era partita da un gruppo di compagni, e particolarmente da Luciano Della Mea, in seguito ad un dibattito, apertosi sulle colonne del giornale, e al quale avevano partecipato alcuni comandanti partigiani.

Fortunato Avanzati, il famoso «Viro», comandante della brigata «Spartaco Lavagnini» si era fatto portatore di una proposta precisa: rivitalizzare L'ANPI con l'ingresso delle nuove generazioni, toglierla dal clima decrepito delle mere celebrazioni, ridare slancio all'azione antifascista, conferendole un carattere militante di vigilanza e di controinformazione.

Da poco erano stati assassinati Mario Lupo, un giovane di Parma, dai fascisti e Franco Serantini, un altro giovane pisano, dalla polizia; da pochi anni l'iniziativa fascista aveva ripreso vigore e baldanza, con la complicità dello Stato e della DC in primo luogo.

In più si veniva già profilando una crisi economica di dimensioni internazionali che acutizzava il contrasto di classe e lasciava prevedere l'intensificazione dello scontro sociale.

D'altra parte la sinistra si presentava divisa e incerta di fronte all'attacco reazionario, la stessa unità sindacale conosceva i suoi momenti più difficili.

In questo contesto maturava, dentro il PdUP e fuori di esso, l'esigenza di ripensare le esperienze sin lì compiute, elaborare nuove proposte, costruire i presupposti per una unità antifascista fondata su una chiara visione di classe.

Il convegno, organizzato dalla redazione di UP insieme con îl comitato regionale toscano di coordinamento del PdUP, ha avuto dal compagno Della Mea (che poi, per malattia, non poté partecipare direttamente ai lavori) un insostituibile contributo sia per il documento preparatorio sia per la collaborazione nello stendere la relazione introduttiva insieme con il compagno Frolli.

La partecipazione di molte centinaia di militanti, la presenza di varie forze della sinistra (Lotta Continua, PCI, PSI, Manifesto, Movimento Studentesco, Acli, PCd'I m-l), di rappresentanti delle organizzazioni partigiane., e quindi il livello qualitativo degli interventi hanno fornito gli elementi principali per il successo del convegno, di cui in questo quaderno riportiamo larga parte del dibattito.


mercoledì 3 luglio 2024

Il Partito comunista italiano e il mutamento sociale nell'Italia degli anni Ottanta


 

E' disponibile sul sito academia.edu il sedicesimo quaderno della serie Archivi per la storia del movimento operaio. Ne proponiamo l'introduzione.


Il saggio che presentiamo in questo quaderno, uscito su Rinascita esattamente quaranta anni fa, rappresenta un documento di eccezionale valore. Colpisce la precisione con cui l'autore individua le profonde trasformazioni in atto nel sistema produttivo italiano e nella composizione di classe, così come nelle aspettative dei giovani a partire dall'atteggiamento verso il lavoro in fabbrica.

Il documento è importante perché per la prima volta in un organo a larga diffusione, come Rinascita, destinato ai quadri di base del partito, si abbandona ogni visione mitologica della classe e si vanno ad individuare con estrema precisione quelli che saranno poi i processi centrali nei decenni successivi a partire dalla scomparsa, non della classe operaia, ma della configurazione che questa aveva assunto a partire dagli anni del boom.

Fine dell'operaio massa, frammentazione crescente del lavoro, perdita di una identità di classe ben definita sono gli elementi centrali di questa realtà che, come si è detto, avrà nei decenni succesivi ulteriori sviluppi e determinerà il crollo dell'impalcatura sociale e dei miti su cui si reggeva lo stesso Partito comunista e più in generale la sinistra, compresa la componente rivoluzionaria in tutte le sue declinazioni.

Proprio dalle profonde trasformazioni negli assetti di classe che il saggio analizza con estrema lucidità deriverà il crollo della combattività operaia, la crisi della rappresentanza sindacale, ma soprattutto la fine di quella tradizione politica iniziata a Genova nel 1892, continuata a Livorno nel 1921 e rilanciata dal nuovo "biennio rosso" 1968-69.

Molto correttamente l'autore dello studio avvertiva che non di scomparsa della classe operaia si trattava, ma di mutazione profonda e invitava nelle conclusioni il partito a prenderne atto. La perdita di centralità della grande fabbrica e la frammentazione sociale che inevitabilmente ne derivava avrebbe richiesto uno svecchiamento radicale del partito ma al contempo un radicamento ancora più profondo nella società. La scelta del gruppo dirigente comunista postberlingueriano fu diversa. Si preferì la via del "nuovo", seguendo il percorso già iniziato con il Congresso di Rimini dal PSI craxiano. Si iniziò a parlare di "partito leggero", le sezioni furono abbandonate a se stesse, "luoghi bui e polverosi" le definì un giovane dirigente destinato poi a una brillante carriera, fu radicalmente ridimensionato l'apparato di propaganda a favore dell'occupazione di spazi televisivi (la terza rete) ritenuti mezzo più efficace di comunicazione con la società. Alla verifica impietosa della storia il partito non resse. Il crollo rovinoso della esperienza sovietica, vide un partito indebolito e privo ormai di identità, totalmente a rimorchio degli avvenimenti che infatti lo travolsero.

Tutti elementi rintracciabili anche nell'esperienza della componente diventata poi il Partito della Rifondazione comunista, incapace non solo di rifondare la teoria, ma anche di ricostruire un minimo di radicamento sociale. La stagione farsesca di Bertinotti, tutta giocata fra salotti televisivi e uscite estemporanee (il partito dei movimenti, la sinistra arcobaleno, lo zapatismo e via discorrendo) ne fu la manifestazione più evidente e portò alla fine stessa del PRC destinato poi a vivacchiare sempre più stentatamente ai margini del sistema..

Non migliore fu la sorte della sinistra rivoluzionaria, con l'eccezione di Lotta comunista, unica realtà sopravvissuta a quel mutamento epocale grazie ad un lavoro sistematico di radicamento nella CGIL e allo spostamento del baricentro dell'attività dall'agitazione a tutto campo alla diffusione porta a porta con criteri "manageriali" del giornale.

Ma di tutto questo tratteremo in altra occasione.


Savona, luglio 2024


venerdì 21 giugno 2024

I senza memoria. A proposito del Manifesto di oggi.

 


I senza memoria

Se "il Manifesto" scrive sul '68 come "Il Giornale" e "Il foglio"


Il 31 dicembre 1968 centinaia di giovani studenti e operai di Pisa e Livorno andarono a contestare il "capodanno dei ricchi" alla Bussola di Viareggio, il locale allora più in voga in Italia. La manifestazione, indetta dal Potere Operaio pisano, fu attaccata dai carabinieri intervenuti in forze che aprirono il fuoco ferendo gravemente Soriano Ceccanti, un ragazzo di 16 anni, che rimase paralizzato e da allora fu costretto a vivere su una sedia a rotelle. Era la prima volta che la polizia sparava sugli studenti. I fatti della Bussola scatenarono proteste violentissime in tutta Italia.

Oggi, in un articolo sulla storia di Sergio Bernardini, il patron della Bussola una sorta di Briatore di allora, diventata film, il Manifesto ricostruisce così quei fatti tragici:

"Ai tavolini della Bussola siedono artisti, teatranti, le stelle dello sport, i politici: è il centro dell'Italia del boom. Ma diventa nel '68 anche bersaglio delle proteste. Bernardini si mette in prima linea, parla con i contestatori, ci scappa anche un ferito".

Grande giornalista Stefano Crippa, autore dell'articolo che esalta per mezza pagina il genio imprenditoriale di Bernardini , definito retoricamente " un artigiano dello spettacolo" ma liquida in mezza riga quello che fu uno dei momenti più drammatici del 1968.

"Ci scappa anche un ferito", scrive senza vergogna quasi che Soriano Ceccanti si fosse preso un cazzotto e non un proiettile nella schiena mentre cercava di sfuggire allle cariche dei carabinieri. Di quei fatti evidentemente costui non sa nulla. A lui basta solo esaltare l'imprenditore.

Che la memoria storica sia andata persa è un fatto che non richiede commenti tanto è evidente. Ciò non toglie che questo articolo rappresenti una vergogna per un giornale che si definisce "quotidiano comunista".

Giorgio Amico

lunedì 17 giugno 2024

giovedì 13 giugno 2024

Ciao Rosasco, libraio controcorrente



 Ciao Rosasco, libraio controcorrente


E così, in silenzio, a 85 anni, se ne è andato anche Rosasco, libraio controcorrente per oltre vent'anni. Aperta nel 1975 in via Torino, nei locali di una vecchia osteria, quasi di nascosto, con la porta di legno a vetri oscurata da spessi fogli di carta rossa,  sede di un'associazione culturale inesistente dal nome francese (Joie de lire) con tanto di finti tesserati, perché il Comune ritardava la concessione della licenza,  la libreria di Rosasco rappresentava l'erede naturale della vecchia Libreria dello Studente del dottor Fontana, luogo di perdizione culturale negli anni caldi della contestazione.

Già la scelta di aprire una libreria al di fuori del centro cittadino in un quartiere operaio come era Villapiana allora, rappresentava un evento rivoluzionario. Poi la scelta attenta dei libri: molta scolastica, tanta politica, tantissima cultura francese, frutto quest'ultima dei periodici viaggi di esplorazione nelle librerie di Nizza di Luigi Lirosi, vero mentore di Rosasco. E poi la collaborazione con il libraio genovese Tassi, la cui libreria nei vicoli del centro storico puzzava di sovversione e di eresia.

Rosasco amava i libri, per questo aveva deciso di cambiare vita e da agente di commercio reinventarsi come libraio. E proprio perché amava i libri, e li leggeva – cosa rara oggi fra i librai – decideva lui cosa tenere e cosa assolutamente non vendere..

Epiche certe sue litigate contro clienti, entrati per sbaglio, che si lamentavano di non trovare il bestseller di moda.

Non si era mai visto a Savona, e credo raramente anche altrove, un libraio che cacciava in malo modo i clienti che non gli piacevano. Rosasco lo faceva, capace nonostante la sua mitezza, di collere improvvise. Ed erano allora libri che volavano attraverso il negozio per atterrare sul marciapiedi davanti all'ingresso, dove sostava sempre gente perché c'era la fermata degli autobus. Volti stupiti a fissare quell'uomo minuto in piedi sulla soglia a sbraitare contro il rincoglionimento di massa voluto dal potere e dall'industria della "cultura".

Da lui potevi trovare riviste, volantini e opuscoli rintracciabili solo a Genova o addirittura a Milano. Da lui passavano periodicamente missionari delle varie chiese bordighiste e trotskiste ad annunciare la lieta novella e a lasciare i loro materiali, qualcuno anche dalla Francia. 

Una libreria controcorrente che non piaceva ai benpensanti di sinistra, vecchi stalinisti in primis, che sentivano puzza di eresia in quelle pubblicazioni e guardavano con sospetto i frequentatori abituali di quel locale. Una fauna eterogenea, un mix di cento tribù: cattolici del dissenso, anarchici, militanti di quello che restava dei gruppi extraparlamentari, ma anche fricchettoni dei primi centri sociali e femministe. Insomma, tutti coloro che non si riconoscevano nel compromesso storico e nel conformismo moralistico berlingueriano che tanti guasti avrebbe provocato. Ma anche, va detto, non priva di personaggi ambigui, al limite fra il provocatore e il confidente di Questura. Gente che ti prendeva da parte e sottovoce ti faceva discorsi neppure troppo allusivi sui "compagni che sbagliano ma...".

Libreria anomala, rimasta per molti aspetti osteria, luogo di incontri e di discussioni accanite nella saletta interna, riservata a pochi, vero e proprio sancta sanctorum, attorno a una vecchia stufa, unica forma di riscaldamento in inverno, su cui il buon Rosasco, più vecchio di noi di una decina di anni, si ostinava a coltivare l'antico uso delle bucce di mandarino sulla piastra incandescente a combattere il fumo aspro della legna con aromi e fragranze sicuramente più simpatiche dell'odore inconfondibile delle prime canne rigorosamente bandite da quegli spazi.

Un luogo magico, una sorta di caverna primordiale che ti avvolgeva e ti faceva sentire bene.

E questo Rosasco cercava. Non tanto e non solo vendere libri o comunque far cultura, ma gestire uno spazio che fosse prima di tutto comunità di uomini liberi, di menti critiche.

Savona gli deve molto, noi gli dobbiamo molto.

Un abbraccio vecchio libertario brontolone in guerra accanita con il mondo della mediocrità culturale e del politicamente corretto che avanzava a larghi passi e che non volevi a nessun costo accettare.

Non hai vinto la tua battaglia, ma ci hai aiutato a salvarci da tutta la merda che incominciava a pioverci addosso. E di questo ti saremo  eternamente grati.



martedì 11 giugno 2024

SIMONDO & CO. - Genova, Galleria Entr'acte

 


SIMONDO & CO.
a cura di Sandro Ricaldone
Entr’acte
via sant’Agnese 19r – Genova
13 giugno – 12 luglio 2024
orario: mercoledì- venerdì 16-19
inaugurazione: giovedì 13 giugno, ore 17


Entr’acte chiude la stagione con una rassegna dedicata a Piero Simondo (Cosio d’Arroscia, 1928 – Torino, 2020) membro del Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista, cofondatore del Laboratorio sperimentale di Alba (1955) e dell’Internazionale situazionista (Cosio, 1957), animatore del C.I.R.A. (Centro Internazionale per un Istituto di Ricerche Artistiche, Torino, 1962-1967), in seguito responsabile dei laboratori di attività sperimentali presso l'Istituto di Pedagogia dell’Università di Torino e docente di Metodologia e didattica degli audiovisivi.

Nel suo lungo percorso pittorico Simondo ha attraversato diverse fasi: dai monotipi iniziali, alle grandi topologie degli anni ’60 (esposte a Genova allo Studio Leonardi nel 1994), ai “quadri manifesto” del periodo successivo al 1968 (esposti qui alla Libreria Sileno sempre nel 1994), per passare poi alle “Ipopitture” e ai “Nitroraschiati”, ricercando sempre - nella varietà delle tecniche e dei procedimenti – un’“immagine imprevista”.

In mostra tre monotipi degli anni ’50-60 e un grande trittico (“Attenuazione/Aumento”) degli anni ’90, accompagnati dalle litografie realizzate nel 1956 da Asger Jorn, Sandro Cherchi e Franco Garelli, oltreché da Simondo stesso, in occasione della manifestazione per l’Urbanismo unitario all’Unione Culturale di Torino e da documenti d’epoca.

Tra le sue mostre recenti si segnala l’ ampia retrospettiva allestita nel 2021, a cura di Luca Bochicchio, presso l’Accademia Albertina di Torino che aveva frequentato in gioventù nella classe di Felice Casorati. Nel maggio 2004 l’Accademia Ligustica di Belle Arti gli ha riservato un incontro di studio con la partecipazione dell’artista e di Guido Curto, Sandro Ricaldone, Carlo Romano, Sandra Solimano e Cesare Viel. 



venerdì 7 giugno 2024

Fascismo: non limitarsi agli slogan

 










Risposta ad una cara amica che su Facebook posta alcune foto di edifici del periodo fascista e aggiunge che, nonostante la negatività del periodo, li trova splendidi:

Assolutamente d'accordo. Il che ci ricorda che il fascismo fu anche (o soprattutto) un tentativo (fallito) di modernizzare l'Italia, dall'alto, in modo autoritario. Da rivoluzionario deluso, Mussolini pensava che da solo il popolo italiano non avrebbe mai avuto la forza di superare secoli di abulia dovuti alla frantumazione politica e alla egemonia straniera. L'esaurirsi rapido della carica rivoluzionaria delle lotte risorgimentali stava a dimostrarlo. Ancora minore era la fiducia nelle classe dirigente e nella monarchia.

Da qui il tentativo di forgiare una gioventù nuova che avesse tra l'altro il senso del bello. L'arte doveva diventare esperienza quotidiana, fruibile da tutti. Pensiamo al Pegaso del fascistissimo Arturo Martini sulla facciata del palazzo delle Poste di Savona.

L'ironia della storia ha voluto che quella gioventù nuova nascesse non nei Littoriali, dove comunque si era formata, ma nella scelta della via della montagna quando il fascismo crollò come un castello di carte.

Come ogni grande fenomeno storico (e il fascismo lo è stato, tanto da segnare profondamente fino ad oggi la storia dell'Italia repubblicana) il fascismo è realtà complessa da affrontare con serietà Dunque rifiuto netto dell'ideologia fascista in qualunque forma si manifesti, ma anche non abbassarsi al livello delle polemiche sul "Mussolini ha fatto anche cose buone".

La storia va studiata non ridotta a slogan. L'antidoto al ripetersi di tragedie come i totalitarismi del Novecento sta nel non demonizzare con formule prive di contenuto, ma capire, capire, capire.

L'ultimo blues di Ben Vautier

 


L'ultimo blues di Ben Vautier


Il 4 giugno mi arrivava la newsletter che Ben Vautier mandava periodicamente a collaboratori e amici. Tra i vari materiali raccolti nella voluta sovrapposizione di testi diversissimi fra loro, tipica del suo modo di fare arte e scrittura, mi aveva particolarmente colpito una traccia di blues.


BEN CHANTE LE BLUES
1234
i want to be myself
i don’t know who I am
help me be myself
J’aurais aimé être chanteur de blues
au Cessole
je chante le blues avec Steiner

Il giorno stesso moriva improvvisamente di un ictus fulminante la moglie. Poche ore dopo Ben si suicidava.

Addio, caro Ben, amico fraterno e compagno libertario. Mi mancherà il tuo costante ricordarci che la vera arte è vivere quotidianamente la propria vita da uomini liberi, senza vincoli né padroni.

domenica 2 giugno 2024

Tra una settimana si vota. Cambierà qualcosa?

 Tra una settimana si vota. Cambierà qualcosa?


Solitamente non sto molto su FB, anche perché per ogni post ci sono almeno quattro o cinque comunicati pubblicitari o comunicazioni di nessun interesse e di cui spesso fatico a capire il senso. Quindi scorro un paio di paginate e poi chiudo. Oggi, avendo un'ora libera, l'ho completamente dedicata alla consultazione di FB.

A parte alcuni post di foto molto belle, che comunque seguo già, o di alcuni amici speciali (Sandro, Bobo, Giuliano, Adriano, Marcello e pochi altri) che anche in questo caso seguo già con attenzione proprio perché speciali, ho verificato per l'ennesima volta come il mezzo scateni pulsioni violente che evidentemente molti si portano dentro.

Soprattutto nelle reazioni a post su Gaza o sul governo Meloni ho trovato una massa di odio contro gli ebrei (sempre definiti sionisti) e contro chi manifesti idee di destra anche molto moderate (tutti indistintamente definiti fascisti) pari solo alla del tutto manifesta ignoranza della estrema complessità dei temi trattati. Insomma slogan al post delle idee e certezze al posto dei dubbi e delle domande.

L'area dei miei contatti è in larga parte di sinistra, ma credo che la situazione non sarebbe diversa se fosse di destra. troverei, ne sono sicuro, lo stesso odio viscerale ma verso i comunisti, intendendo con questo termini tutti coloro che la pensano diversamente.

In questa rabbia diffusa che si fa odio verso chi pensandola diversamente deve essere considerato un nemico da schiacciare, in questa convinzione ostinata di essere comunque i detentori della verità e dunque di non dover fare alcuno sforzo per capire - tanto è tutto chiaro: i buoni di qua, i cattivi di là - nella tendenza al complottismo e alla ricerca del capro espiatorio su cui scaricare le proprie frustrazioni e non nei presunti silenzi sul fascismo della Meloni, vedo attecchire e svilupparsi i germi di un nuovo totalitarismo.

Né mi rassicura l'uso compulsivo del termine antifascismo, usato per giustificare di tutto, dalla politica di Putin (gli ucraini sono tutti nazisti) ai crimini di Hamas. 

Tra qualche giorno si vota e queste persone voteranno. Qualunque sia il loro voto, lo spaccato d'Italia che ho attraversato oggi mi toglie ogni illusione che possa uscirne qualcosa di buono.


martedì 28 maggio 2024

Il paradiso degli inglesi

 


"In un bello e splendido giorno di aprile del 1840, una elegante carrozza da viaggio tirata da quattro cavalli di posta correva di pien galoppo nella strada della Cornice, famosa fra gli eleganti giramondo: strada, come ognun sa, che percorre da Genova a Nizza tutta la riviera di ponente. Poche strade più belle di questa sono in Europa; - e poche certamente, come questa, riuniscono in sè tre condizioni di bellezza naturale: il Mediterraneo da un lato, dall'altro gli Appennini, e di sopra il puro cielo d'Italia".

Inizia così "Il dottor Antonio" di Giovanni Ruffini, sodale di Mazzini e carbonaro esiliato in Inghilterra, pubblicato nel 1853 in inglese e amato da generazioni di inglesine che in quella cronaca romantico-patriottica di un grande amore infelice vedevano descritta un terra antica e misteriosa, ricca di sole e di una vegetazione quasi tropicale.

Nasceva il mito del paesaggio ligure

Immediatamente generazioni di ricchi inglesi avrebbero iniziato a colonizzare la Liguria, soprattutto quella di ponente, costruendo ovunque ville, giardini, chiesette anglicane, introducendo piante dalle colonie dell'impero che attecchirono benissimo nel nuovo habitat e divennero elementi fondamentali di quel paesaggio.

E' quello che ci racconta Edmondo De Amicis nel passo che pubblichiamo, capitolo di un libro, oggi dimenticato, ma comunque di piacevole lettura.

Da mito letterario la Liguria diventava mito turistico, per tornare poi nel Novecento, nelle opere di quella che sarà chiamata "scuola ligure del paesaggio" mito letterario.

Parliamo di Guido Seborga, vero autore seminale, a partire dal suo "L'uomo di Camporosso" del 1939, e poi della prima stagione di Italo Calvino, di Francesco Biamonti, e dei suoi romanzi dove il paesaggio non è sfondo ma protagonista, e infine di Nico Orengo, Elio Lanteri, Marino Magliani.

G.A.


Il quaderno è scaricabile da www.academia.edu

I misteri del vino e la Massoneria

 

Nuovo quaderno dedicato al simbolismo del vino nel mondo classico e in quello cristiano e infine nei riti massonici.

Scaricabile da www.academia.edu

domenica 26 maggio 2024

A proposito di islamofilia

 

 Ragazza israeliana rapita il 7 ottobre (e poi assassinata)

A PROPOSITO DI ISLAMOFILIA

di Michele Nobile


Ferma restando la giusta richiesta di cessazione delle ostilità, sono atterrito dal fatto che in queste proteste circolino posizioni che in pratica - ma anche consapevolmente - siano di sostegno ad Hamas. Atterrito per il presente e ancor più per il futuro.

Specialmente chi non da ieri ha sostenuto la causa palestinese e ne conosce la storia, ha la responsabilità di prendere una posizione cristallina e rigorosamente conseguente nella pratica nei confronti di Hamas e fare alcune domande agli studenti che inneggiano alla resistenza palestinese (cioè Hamas e soci). 

La reazione israeliana al pogrom di Hamas e soci era perfettamente prevedibile e, a meno di non considerare i capi di Hamas dei perfetti idioti, essi non possono non aver messo in conto che sarebbe costata alcune decine di migliaia di morti. 

È paradossale, ma la verità è questa: Netanyahu sarà pure il carnefice, ma i mandanti della strage sono i capi di Hamas. 

E quindi: si vuole dire o no che Hamas e alleati sono co-responsabili della strage?

Si vuole dire o no che Hamas e alleati sono nemici del popolo palestinese che pretendono di rappresentare? Nemici che ci si deve augurare siano eliminati dagli stessi palestinesi? 

Si vuole dire o no chiaro e forte che l’azione di Hamas è soci è il più grande pogrom antisemita dopo il genocidio hitleriano? E che nulla, ma proprio nulla, può giustificarla? Che questo è un orrore, e che la barbarie non si valuta solo con la proporzione dei morti?

Quando si tace su questo o quando la condanna di Hamas è solo formale - e subito indebolita dall’accusa di genocidio rivolta a Israele, passando sopra la logica genocida di Hamas – ci si rende complici di un’azione antisemita, di un prolungamento dell’Olocausto nazista. Inconsapevolmente, ma non per questo la realtà cambia, non per questo non si crea un precedente, che predispone a non vedere la barbarie del mondo in tutte le sue forme. 

E cosa vuol dire nel 2024 «Palestina libera»? Libera da chi? Dagli ebrei? Uno Stato islamico? 

Ci si vuol rendere conto che il problema non è solo il sionismo ma anche l’islamismo politico? E che Hamas e soci sono nemici di qualunque ragionevole soluzione della tragedia palestinese, si tratti due Stati o di uno Stato binazionale o confederale?  

Quali disastri politici autoinflitti attendono una generazione di militanti che non riesce a porsi queste domande?


www.utopiarossa.blogspot.com

lunedì 20 maggio 2024

sabato 18 maggio 2024

Gino Doné compie 100 anni

 Oggi Gino Doné, l’italiano del Granma, compie 100 anni.

Auguri a un grande militante rivoluzionario-




venerdì 10 maggio 2024

Francesco Biamonti. Le carte, le voci, gli incontri

 


Nell''ambito del "Maggio dei libri" e in collaborazione con il Comune di Imperia e la Biblioteca Civica "L. Lagorio, l'Associazione Amici di Francesco Biamonti è lieta di presentare,

domenica 12 maggio,

alle ore 17,00,

presso la Biblioteca Civica di Imperia,

il volume "Francesco Biamonti, la carte, le voci, gli incontri", curato da Matteo Grassano e Claudio Panella, edito da Il Canneto Editore. Il volume raccoglie gli atti del convegno svoltosi a San Biagio della Cima e Ventimiglia nell'ottobre del 2021 in occasione del ventennale della scomparsa di Francesco Biamonti. Interverranno: il prof. Vittorio Coletti, Il prof. Matteo Grassano e Corrado Ramella.

mercoledì 8 maggio 2024

LILIANA BASTIA Nel giardino di Flora e altre prove d’autore



LILIANA BASTIA
Nel giardino di Flora e altre prove d’autore
a cura di Sandro Ricaldone
testo di Stefano Patrone
Entr’acte
via sant’Agnese 19r – Genova
10 maggio – 5 giugno 2024
orario: mercoledì- venerdì 16-19
inaugurazione: venerdì 10 maggio, ore 17

Nel suo percorso, iniziato alla metà degli anni ’70 del Novecento, Liliana Bastia ha dato vita ad una produzione ad ampio raggio, misurandosi con l’insieme delle tecniche consolidate nella tradizione artistica: dalla pittura all’incisione, nelle sue diverse declinazioni; dalla scultura alla ceramica, affrontando, volta a volta, soggetti diversi, dalla figura umana, maschile dapprima e quindi femminile, alla rappresentazione del mondo animale, all’illustrazione di personaggi appartenenti ai classici della letteratura, dalla Commedia dantesca al Don Chisciotte. A questo suo impegno multiforme si richiama Stefano Patrone nel testo che accompagna la mostra, definendo Liliana “una giocoliera che passa da una tecnica ad un’altra, da un trucco ad un altro”. Da Entr’acte espone tre xilografie in diversi stati di impressione, con le relative matrici: Nel giardino di Flora, Nel giardino di Marvi, Leda e il cigno. Ha scritto al riguardo Vico Faggi: “Le figure da cui Liliana prende le mosse hanno spesso il loro habitat nella mitologia e sono dunque figure che trascinano con sé, con il loro stesso nome, un’aura di lontananza nel tempo e, paradossalmente, di prossimità psicologica. (…) Ed è per questo che le predilige: per il loro prestigio culturale, ma più ancora per la forza, che hanno, di alludere a pulsioni ed emozioni, scatenando associazioni di idee e visioni”.

LILIANA BASTIA

Liliana Bastia è una giocoliera, a volte un’illusionista gioca con le figure e ti attira con un astrattismo che è solo l’illusione di un non figurativo ma le cose rimangono lì e lei ci gioca è abile nel mischiare le carte ed anche i colori ma non devi dimenticare che è una giocoliera che passa da una tecnica ad un'altra da un trucco ad un altro anche quando pensi di avere afferrato il senso la forma e l’attitudine lei cambia le regole e il bianco e nero si colora spiazzandoti e reinventandosi perché il suo più grande gioco che però non è un’illusione è questo: Liliana Bastia rinasce continuamente.

Stefano Patrone

fine aprile 2024


Liguria e questione morale

 Proponiamo la stimolante nota di Franco Astengo sulla questione Toti e le nostre considerazioni in merito.

Franco Astengo

Liguria e questione morale


Premessa la debita considerazione di garantismo e di colpevolezza da dichiarare soltanto al momento di sentenze passate in giudicato il terremoto giudiziario che sta devastando la Liguria politica e imprenditoriale non può rimanere sotto silenzio.

Ancora una volta la magistratura si è mossa in un'ottica di supplenza della politica e l'analisi dei diversi intrecci rilevabili dai provvedimenti giudiziari fin qui assunto consentono alcune precise affermazioni proprio sul piano politico:

1) dagli atti fin qui portati avanti dall'autorità giudiziaria appare rilevarsi il profilo di un vero e proprio "sistema di potere" collocato ben al di fuori da un contesto di esercizio della responsabilità democratica. Le scelte fin qui compiute dal Presidente della Regione Liguria nel corso del suo mandato hanno avuto l'evidente destinazione proprio del consolidamento di questo sistema di potere attraverso scelte di carattere corporativo sia sul piano economico sia sul piano delle destinazioni territoriali (ultima in ordine di tempo ma non ultima per importanza quella della destinazione della nave -rigassificatore a Vado Ligure);

2) Questo sistema di potere (da confermare giudizialmente ma ben presente sul piano politico) può sfruttare ( e fin qui ha sfruttato) il mutamento di natura dell'Ente Regione che proprio in Liguria ha assunto caratteristiche particolarmente spiccate. Attraverso l'elezione diretta del Presidente della Giunta (che poi mezzi di comunicazione di massa e giornali hanno facilonescamente definito "Governatore") ha definito la fisionomia dell'Ente in soggetto di nomina e di spesa (anziché di coordinamento legislativo come stava nelle intenzioni di chi aveva proceduto a normare l'indicazione costituzionale);

3) In questo intreccio tra potere di nomina e potere di "elargizione di spesa" può diventare facile l'introduzione di un sistema di potere capace di connettere politica e affari in vari campi ( per quel che riguarda la Liguria oltre al sistema infrastrutturale realizzato in particolare attorno al porto di Genova non può essere dimenticato il tema del rapporto pubblico/privato in sanità: tanto per fare soltanto degli esempi).

Questi sono alcuni dei temi politici suggeriti dall'avanzare dell'inchiesta che ha messo a soqquadro vertici istituzionali, economici e imprenditoriali in Liguria.

Il pensiero non può che correre all'affare Teardo di oltre quarant'anni fa: anche in quel caso emerse un ritardo della politica nell'individuare responsabilità e natura dei fatti (così la magistratura già svolse un ruolo di supplenza) in una fase in cui l'approccio alla modernità mutava la natura dell'antica questione morale di marca democristiana: in allora ci si fermò presto e non si riuscì a vedere oltre il fatto locale (pur molto rilevante). Eppure dietro l'angolo ci stava Tangentopoli


Giorgio Amico

Ritardo o morte della politica?


Caro Franco,

qui di seguito alcune riflessioni a caldo su quanto accaduto a Genova e sulle tue considerazioni-

Rispetto al caso Teardo, qui siamo oltre. Teardo rappresentava un gruppo di potere all'interno del PSI ligure. Oggi, se le accuse saranno confermate in giudizio, è il cuore della portualità e quindi dell'economia ligure a essere coinvolto. Ci troveremmo dunque di fronte non semplicemente ad un uso disinvolto o criminale del potere politico per fini personali, ma un sistema di gestione dell'economia  regionale che va dai grandi lavori pubblici, alla speculazione edilizia, passando per la gestione di terminal e aree portuali.

Stando a quanto al momento comunicato il perno attorno a cui ruota la vicenda sarebbero infatti alcune grandi operazioni economiche già in atto o in via di progettazione e non l'azione amministrativa del presidente della Regione che semmai avrebbe avuto, sempre che le accuse siano confermate, il ruolo di facilitatore dell'iter burocratico e non certo del regista occulto.

Secondo gli atti processuali Teardo imponeva le sue scelte nel quadro di un progetto amministrativo e di potere ben preciso e la cosa aveva dunque una sua centralità politica anche se deviata, 

Qui, sempre secondo quanto fatto circolare dagli inquirenti, più che un sistema di potere e di governo locale, saremmo in presenza di un personaggio pubblico pronto a fornire i suoi servizi a chi lo sponsorizza e lo finanzia. 

Detto questo che, se vuoi, è colore, non credo si possa parlare di ritardi della politica,  ma di totale assenza della politica. Il fatto è che probabilmente non c'è regione in Italia dove ormai non prevalgano  logiche simili che sono prima di tutto il frutto della morte dei partiti come comunità di persone e luoghi di elaborazione collettiva di un progetto di società e di governo.

La frammentazione sociale, di cui la passività ormai quarantennale della classe operaia è la principale manifestazione, si rivela ogni giorno e in mille modi anche come frammentazione di una politica dove ai partiti si è costituito il personaggio salvifico, l'uomo solo al comando, lo showman che buca lo schermo, il boss padrone di pacchetti di voti dalla provenienza dubbia.

Teardo rappresentava, qualunque cosa si pensi in merito della sua vicenda, l'estrema degenerazione di una storia gloriosa .e quasi secolare, questi personaggi, solo la propria miseria individuale.