Un čekista e un
poeta, un mistico e un assassino, amico dei più grandi poeti e dei
boia della Lubjanka. La vita di un uomo che incarnò le speranze e
gli orrori di un'epoca. Nel centenario della rivoluzione russa
Laterza pubblica la biografia di Jakov Blumkin, esponente di primo
piano del “terrore rosso”, fatto fucilare da Stalin nel 1929.
Dino Erba
La
mitologia bolscevica. Dall’assalto al cielo alla discesa agli
inferi
Nel centenario della
rivoluzione russa, o meglio della sua versione bolscevizzata, si è
detto e scritto di tutto e di più. Come ho avuto occasione di
osservare. (Dino erba, La rivoluzione russa. Cent’anni di equivoci.
Marx, i marxisti e i costruttori del socialismo, All’Insegna del
Gatto Rosso, Milano, 2017). In un panorama letterario spesso
banalotto, il libro di Christian Salmon offre spunti di riflessione
inediti, e spesso anomali, sulle suggestioni, e mitologie, che
suscitarono la rivoluzione e che essa, poi, suscitò, pervadendo
tutto il Novecento, ai quattro angoli della Terra. Un aspetto
certamente indagato ma che lascia molti lati in ombra. Mi riferisco a
quelle pulsioni ideologiche (o psichiche) che «pesano come un incubo
sul cervello dei viventi», per dirla con Marx e che, all’improvviso,
come un fiume carsico, emergono alla superficie. Si scatenano allora
forze e passioni imprevedibili, in cui politica e religione si
confondono, generando comportamenti apparentemente inconsulti,
irrazionali, fanatici ... l’«eclissi della ragione», secondo Max
Horkheimer.

Guerra, fame, stragi
... eclissi della ragione
A mio parere, l’eclissi
della ragione ebbe il suo esordio negli orrori della guerra mondiale,
orrori senza fine, mai conosciuti prima dall’umanità e che, in
Russia, in quegli anni, toccarono il culmine, preparando il terreno a
successivi orrori. Anche se i bolscevichi furono responsabili di
grandi orrori, essi vi furono trascinati per i capelli. Il colpo di
Stato bolscevico del 25 ottobre (7 novembre) 1917 provocò uno
spargimento di sangue a ben vedere limitato, considerando il clima
infuocato di tensioni e di scontri. La svolta cruenta avvenne con
l’occupazione di Ucraina, Bielorussia e di vaste aree della Russia
occidentale da parte della Germania, nonché di zone più limitate da
parte di Austria-Ungheria e Impero e Ottomano, durante e in seguito
le trattative di pace di Brest-Litovsk (inizio 1918).
Con il crollo degli
Imperi centrali e la conseguente evacuazione dei loro eserciti,
dilagarono le armate bianche zariste, sostenute dall’Intesa che,
già prima, si era preparata all’intervento. In quelle circostanze
caotiche, crebbe il marasma sociale, accompagnato da guerre, stragi,
carestie, malattie – i quattro cavalieri dell’Apo-calisse –,
esacerbate dalla sfacciata opulenza di pochi che strideva con la
miseria di molti. I bolscevichi, per farvi fronte, dovettero opporre
violenza a violenza. Non c’erano alternative, caso mai si potrebbe
ragionare come sarebbe stato meglio gestire la violenza. Senza fare
chiacchiere accademiche.
A questo proposito,
ritengo assai peregrina la tesi avanzata da Francesco Dei, nel suo
recente e poderoso studio (La rivoluzione sotto assedio. vol. I,
Storia militare della guerra civile russa 1917-1918, Vol. II, Storia
militare della guerra civile russa 1919-1922, Mimeis, Milano, 2018).
Dei sostiene che la propaganda bolscevica ingigantì, pro domo sua,
l’entità dell’intervento estero a favore delle armate bianche,
che giustificherebbe l’estrema violenza repressiva dell’Armata
Rossa. Non per nulla, Dei parla di guerra civile, mentre in realtà
ci fu una vera e propria aggressione contro la Russia sovietica,
soprattutto da parte di Inghilterra e Francia, nonché Polonia, con
sullo sfondo, Giappone e Stati Uniti. Oltre a queste evidenti
circostanze eccezionali, l’orrore bolscevico fu attizzato anche
dalla presunzione, conscia o inconscia, di redimere il mondo. Anche
col sangue.
Assalto al cielo e
discesa agli inferi
L’orrore bolscevico (il
terrore rosso) è noto fin dalle origini, e non per merito di
studiosi amanti dello status quo (per non dire reazionari), di ieri e
di oggi. Anzi, l’orrore è noto perché fu esaltato, fin
dall’inizio, dallo stesso regime bolscevico. Al Terzo congresso
panrusso dei soviet (10 gennaio 1918), il marinaio Anatolij
Zeleznjakov dichiarò: «Siamo pronti a fucilare non pochi, ma
centinaia e migliaia, se sarà necessario un milione: sì, un
milione».
La riflessione dovrebbe
volgersi all’atmosfera carica di esaltazione palingenetica, in cui
apparvero scritti come La scheggia. di Vladimir Zazubrin. Un «libro
terribile», secondo Lenin. Per tentare di capire l’origine di
questa caduta agli inferi, mi sembra utile porre attenzione a
un’affermazione di Salmon:
« [...] la gloriosa
rivoluzione d’Ottobre, fu oggetto di tre narrazioni successive:
all’inizio fu l’epopea collettiva e anonima, quella degli operai
e dei contadini, poi l’opera romanzesca dei teorici e degli
strateghi bolscevichi, infine la prova del genio di uno solo. Epopea,
romanzo, agiografia, sono i tre generi letterari ai quali la
storiografia sovietica si rifà in successione. Ma la transizione
dall’uno all’altro non è così immediata» (p. 64).
È proprio la
transizione, da un genere letterario all’altro, l’argomento
implicitamente affrontato da Salmon. Il filo conduttore della sua
ricerca sono le vicende di Jakov Blumkin che, pur abbracciando solo
un quindicennio, o poco più, (1914-1929), offrono una sintesi quanto
mai emblematica sulla nascente, e futura, civiltà bolscevica.
Laddove mi è possibile, evito fermamente di dire sovietica. Così
come evito di dire stalinista. Attributi entrambi fonte di equivoci.
Angeli e demoni di una
tragica mitologia
Jakov Blumkin nacque a
Odessa alle soglie del Novecento, in una famiglia ebrea di bassa
condizione sociale. Come lo era la maggior parte di loro. Una
situazione che contribuì a fargli abbracciare scelte politiche
radicali, eredi della tradizione populista e anarchica, con
corollario di espropri e attentati. La guerra esacerbò i suoi
orientamenti eversivi. Nel 1917, l’emergenza rivoluzionaria lo vide
aderire al Partito socialista rivoluzionario, schierandosi subito con
la tendenza di sinistra (Esse-Erre di sinistra). Nell’ottobre, i
socialisti rivoluzionari di sinistra sostennero i bolscevichi e
fecero parte della coalizione governativa sovietica, contribuendo in
primis alla legge agraria (la terra ai contadini).
I socialisti
rivoluzionari di sinistra condivisero cruciali responsabilità
governative, come l’adesione di molti di loro – tra cui Blumkin –
alla nascente Čeka (il servizio di sicurezza sorto il 20 dicembre
1917). Ciò nonostante, permanevano molte divergenze che esplosero
riguardo alla pace di Brest-Litovsk. Mal digerita anche da molti
esponenti bolscevichi. In quel clima di tensioni, maturò l’attentato
all’ambasciatore tedesco Wilhelm Mirbach (6 luglio 1918), di cui
Blumkin fu l’esecutore, favorito dal suo ruolo di cekista.
Formalmente, il governo
sovietico condannò l’omicidio, costringendo l’autore a darsi
alla macchia. L’imminente sconfitta degli Imperi Centrali contribuì
tuttavia a smorzarne le implicazioni politiche Tanto è vero che,
nella primavera del 1919, egli fu reintegrato, «con tutti gli
onori», nella Čeka, anche grazie alla sua dichiarazione di fede
bolscevica. Nel frattempo, dilagava la guerra civile. Blumkin vi
partecipò, svolgendo rischiose missioni. Fu inoltre a diretto
contato con Trotsky, col quale strinse un solido rapporto. Che, nel
1929, gli costò la fucilazione.
In quegli anni, la sua
vita si fuse con lo spirito dell’epoca. Sotto tutti gli aspetti.
Uno spirito pervaso da un’estrema presunzione di onnipotenza
(ὕβϱις, dicevano i greci), in tutto, nelle arti (il Proletkúl’t
ispirato da Aleksandr Bogdanov in primis) come nelle scienze (la
disastrosa agrobiologia di Trofim Lysenko). Passando attraverso i
chiari di luna di una politica sempre più succuba della ragion di
Stato, furono tentate sperimentazioni apparentemente ardite, ma il
più delle volte demenziali, culminate in quella disastrosa
ingegneria sociale che, per settant’anni, segnò l’esistenza dei
«sovietici».
Ho osservato che Lenin e
il bolscevismo rappresentano la sintesi teorica (alla «russa») tra
il volontarismo eversivo di Bakunin e l’oggettivismo evoluzionista
di Kautsky, apparentemente divergenti, ma entrambi fondati sulla
medesima fede nelle sorti progressive dell’umanità, protese verso
uno sviluppo senza limiti.
Per inciso, il
progressismo è una concezione insita nella civiltà occidentale,
madre del modo di produzione capitalistico, di cui i bolscevichi mai
si affrancarono. Anzi. Essi pretesero di innestare il capitalismo –
con la pretesa di controllarlo politicamente –, in un ambiente
assolutamente refrattario, col risultato di riprodurne una copia
mostruosa.
Dalle premesse di questo
nefasto esito, si dovrebbe iniziare, quando si parla della
rivoluzione russa. Altrimenti si cade nelle spire di una moralistica
politologia, più o meno reazionaria.
Il pathos del
rivoluzionario di professione
Seguendo l’accurata
ricostruzione di Salomon, vediamo Blumkin vivere il pathos di un eroe
romantico: egli fu «esportatore» della rivoluzione e visionario
«poeta», come molti «rivoluzionari di professione» del Novecento.
Quasi tutti fans di Josif Stalin e con una forte propensione al
martirio.
Esportando la rivoluzione
nell’Oriente, «rivoluzionari di professione» come Blumkin ne
rigenerarono il già dilagante fascino, ora non più in chiave
colonialista (alla Kipling), bensì in chiave eversiva, catartica,
con afflati mistici, sulla scia del colonnello Lawrence e del
professor Guénon. In quelle circostanze, ci furono ambigue
concessioni alla parapsicologia, sempre sulla spinta di un
incontrollabile delirio di onnipotenza.
Sono questi i risvolti di
un bolscevismo poco o per nulla conosciuto, ancor meno di quello
scientismo mistico che ebbe il suo antesignano nel medico bolscevico
Aleksandr Bogdanov (lo stesso del Proletkul’t). Un tema che Salmon
sfiora, parlando del Pantheon dei Cervelli di Mosca, con una
grottesca ironia, degna di Michail Bulgakov.
In luce gli
intellettuali, in ombra i proletari
Seppur a volo d’uccello,
ho ripercorso i molteplici aspetti che Salmon illumina. Devo però
concludere che egli si sofferma essenzialmente sull’«opera
romanzesca dei teorici e degli strateghi bolscevichi». Per quanto
ben sviluppato, il libro lascia quindi in ombra «l’epopea
collettiva e anonima, quella degli operai e dei contadini». Coloro
che la rivoluzione la fecero. E la difesero, tentando di portarla
alle sue conseguenze estreme. E auspicabili. Costoro, la makhnovcina,
Kronštadt ... nonché molti altri fatti e molte altre voci, fuori
dai convenzionali percorsi politici, restano avvolti nelle nebbie di
una storiografia conformista che sarebbe ora di spazzare via. Dopo
cent’anni.
Christian Salmon
Il progetto Blumkin,
Laterza,
€ 18.