TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 30 novembre 2016

Italia e Americhe attraverso le migrazioni


martedì 29 novembre 2016

Omaggio a Libereso


lunedì 28 novembre 2016

Le Tagliate. Un bosco, un villaggio, il silenzio



sabato 26 novembre 2016

Da una Liguria devastata. Francesco Biamonti, l'uomo e l'acqua


Il giorno dopo che una nuova disastrosa alluvione ha sconvolto il Ponente ligure riprendiamo due interventi di Francesco Biamonti. Una testimonianza e un testamento che ci ricordano come la scrittura sia prima di tutto comprensione e dunque impegno civile.

Francesco Biamonti. L'uomo e l'acqua


Dal vecchio frantoio, Biamonti si è messo a guardare la pioggia a scrosci, il torrente che rompe gli argini, i ponti che cadono giù, il mare che "si prepara a riprendersi lo spazio che gli hanno tolto". Se lo aspettava. Era la sua "attesa sul mare". Perché "l' Angelo del Progresso vuole sempre più vittime". Il suo racconto del disasrro, scorre via senza enfasi, con un cinismo d' amore verso la sua terra, e di disprezzo per chi l' ha violata. Sta piovendo adesso? "Ora no"

Una alluvione ogni due settimane, mai successo, nelle colline di Ventimiglia. Se lo aspettava? "Doveva succedere, prima o poi". Lei guardava la pioggia, le frane, che cosa provava? Rabbia? "Rabbia? No, forse uno stupore momentaneo, ma era logico che succedesse. I danni? Non sono così gravi, qui c' è un torrente, il Verbone, che non è il Mississipi o il Rio della Plata, è un ruscello da niente, ma gli hanno tolto il greto...".

Nei suoi libri, descrive sempre la sua terra, parla del profumo d' assenzio e d' ulivo. Com' è adesso? "Sono rimasti lì, assenzio e ulivo. Al loro posto. La macchia mediterranea ha retto. Non resistono le stupidaggini degli uomini. Il maltempo arriva e va via, anche a San Biagio, non è stato tanto tremendo. Il paesaggio l' avevano già stravolto, almeno più giù a valle. Quassù hanno levato gli eucaliptus, non era necessario". Perché? "Così, hanno esposto i muri alla violenza del tempo".


E il mare? "Gli hanno mangiato gli arenili. Hanno tolto spazio al mare, per costruire le passegiate da turisti, con le speculazioni. E il mare, prima o dopo, quello spazio se lo riprende". Siete rimasti isolati, voi a San Biagio. "Per un giorno, isolati e senza luce". Biamonti, perché è successo? "Da noi le colline sono fragilissime e coperte da uno strato di rocce. Ora, alle colline, è arrivato addosso un peso enorme. E io ne aspetto altri". Tutta colpa dell' uomo? "Una volta il lavoro dell' uomo era positivo, si costruivano terrazze da zero fino a ottocento metri. Adesso le colline sono state cementificate, sopportano quel peso. E' una casualità che non sia successo prima, dovevamo aspettarcelo, era un voler chiudere gli occhi".  


(Da un'intervista del 15 novembre 2000 a La Repubblica)


L'uomo e l'acqua

Si chiama  "L'uomo e l'acqua", il docu-film di Francesco Biamonti,  grande scrittore ligure di San Biagio della Cima (IM), realizzato dopo l'alluvione del 2000: tragedia che ferì il Ponente ligure, da Albenga fino al confine. Bordighera, Vallecrosia, Soldano, San Biagio della Cima furono colpite da frane ed esondazioni dei torrenti. 

Si tratta di un documentario-intervista, poco conosciuto, in cui lo scrittore raccontava del fragile territorio di Liguria: Biamonti, a partire da quella terribile esperienza, che aveva visto avverarsi le previsioni da lui fatte a partire dagli anni '70, riflette sulla fragilità del territorio ligure, sull'urbanizzazione selvaggia e il consumo di suolo, sulle coltivazioni in serra e sull'abbandono delle campagne, sugli interventi non fatti e sulla mancata regimentazione delle acque. 

Una testimonianza accorata e lucida di grande interesse non solo perché sottolinea il legame di Biamonti col proprio territorio, ma anche perché mette in evidenza come un uomo di lettere e scrittore avesse osservato e studiato in modo approfondito questo territorio e le sue trasformazioni degli ultimi 50 anni e fosse in grado non solo di fornire una lucida analisi sulle cause del disastro, ma anche di proporre soluzioni, anche pratiche, e percorsi di corretta gestione del territorio. 

Francesco Biamonti, scomparso nel 2001 è stato ed è una bandiera di una Liguria fragile, racchiusa fra mare e collina: una Liguria di "frontiera", dell'estremo Ponente, che lo scrittore  ha saputo raccontare e romanzare con grande passione e lirismo, trasmettendo al lettore emozioni, profumi, il rumore del vento e delle onde, con una bravura assoluta. Tanti gli interventi di Biamonti sul "paesaggio perduto" conosciuto dalle diverse generazioni,una sorta di Eden, raccontava, che gli uomini e, soprattutto gli scrittori, hanno bisogno di ricostruire, sia pure solo immaginandolo col pensiero".

Come grappoli d'uva... Il corpo delle donne nei conflitti


E' morto Fidel Castro


E' morto Fidel Castro, un mito per la nostra generazione e un punto di riferimento. Poi con gli anni e una maggiore consapevolezza il giudizio si è stemperato, sono aumentate le ombre come la persecuzione degli anarchici e dei trotskisti, gli omosessuali inviati nei campi di rieducazione, le epurazioni interne al regime con tanto di processi e fucilazioni, la repressione del dissenso. Ma per un giudizio storico meditato c'è tempo, oggi ci piace ricordarlo nel 1953 giovane intellettuale libertario rivendicare davanti ai giudici della dittatura il diritto degli oppressi alla ribellione.


Fidel Castro

La storia mi assolverà

Cuba sta soffrendo un crudele e ignobile dispotismo e voi non ignorate che la resistenza di fronte al dispotismo e' legittima; questo e' un principio universalmente riconosciuto e la nostra Costituzione del 1940 lo consacro' espressamente nell'articolo 40: "E' legittima la resistenza adeguata per la protezione dei diritti individuali garantiti anteriormente"  [...] Il diritto di insurrezione dinanzi alla tirannia e' uno di quei principi che, sia o no incluso nella Costituzione Giuridica, ha sempre piena vigenza in una societa' democratica.[...]

Il diritto alla ribellione contro il dispotismo, Signori Giudici, e' stato riconosciuto dalla piu' lontana antichita' sino al presente, da uomini di tutte le dottrine, di tutte le idee e di tutte le credenze. Nelle monarchie teocratiche della piu' remota antichita' in Cina, era praticamente un principio costituzionale che quando il re governasse in modo turpe e dispotico, fosse deposto e rimpiazzato da un principe virtuoso.



I pensatori dell'antica India impararono la resistenza attiva contro gli arbitri dell'autorita'. Giustificarono la rivoluzione e tradussero molte volte le proprie teorie in pratica. [...]

San Tommaso di Aquino, nella "Summa Theologica" rifiuto' la dottrina della tirannide, e sostenne, senza dubbio, la tesi che i tiranni devono essere deposti dal popolo.
Martin Lutero proclamo' che quando il governo degenera in tirannide ferendo la legge, i sudditi sono liberati dal dovere dell'ubbidienza. [...]Calvino, il pensatore piu' notevole della Riforma dal punto di vista delle idee politiche, postula che il popolo ha diritto a prendere le armi per opponersi a qualsiasi usurpazione.

Niente meno che un gesuita spagnolo dell'epoca di Filippo II, Juan Mariana, nel suo libro "De Rege et Regis Institutione", afferma che quando il governante usurpa il potere, o quando eletto, regge la vita pubblica in maniera tirannica, e' lecito l'assassinio [...] direttamente, o avvalendosi dell'inganno, con il minor disturbo possibile. […]



Gia' nel 1649 John Milton scrive che il potere politico risiede nel popolo, il quale puo' nominare o destituire i re […]

John Locke nel suo "Trattato di Governo" sostiene che quando si violano i diritti naturali dell'uomo, il popolo ha il diritto e il dovere di sopprimere o cambiare il governo: "L'unico rimedio contro la forza senza autorita' sta nell'opporre ad essa la forza". Jean Jacques Rousseau dice con molta eloquenza nel suo "Contratto Sociale": "Mentre un popolo si vede forzato a obbedire e obbedisce, fa bene; e non appena puo' strapparsi il giogo e se lo strappa, fa meglio, recuperando la sua liberta' con lo stesso diritto che gli e' stato tolto". [...]

Rinunciare alla propria liberta' e' rinunciare alla qualita' dell'uomo, ai diritti dell'umanita', e anche ai doveri. [...] Tale rinuncia e' incompatibile con la natura dell'uomo; e togliere tutta la liberta' alla volonta' e' togliere ogni moralita' alle azioni. […]

La famosa Dichiarazione Francese dei Diritti dell'Uomo lascio' alle generazioni future questo principio: "Quando il governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione e' per questo il piu' sacro dei diritti e il piu' imperioso dei doveri" "Quando una persona si impossessa della sovranita' deve essere condannata a morte dagli uomini liberi"


Credo di aver giustificato sufficientemente il mio punto di vista [...] Pero' c'e' una ragione che ci assiste piu' potente di tutte le altre: siamo cubani ed essere cubano implica un dovere, non compierlo e' un crimine ed un tradimento. Viviamo orgogliosi della storia della nostra patria; la apprendiamo a scuola e siamo cresciuti udendo parlare di liberta', di giustizia e di diritti. [...] Tutto questo apprendemmo e non lo dimenticheremo [...] Nascemmo in un paese libero che ci lasciarono i nostri padri, e sprofondera' l'Isola nel mare prima che acconsentiremo ad essere schiavi di qualcuno. [...]

Termino la mia difesa, pero' non lo faro' come fanno sempre tutti gli avvocati, chiedendo la liberta' del difeso; non posso chiederla quando i miei compagni stanno soffrendo nell'Isola dei Pini una prigionia ignobile. Inviatemi insieme a loro a condividere la loro sorte, e' concepibile che gli uomini che hanno onore siano morti o prigionieri in una repubblica dove e' presidente un criminale e un ladro.


Ai Signori Giudici, la mia sincera gratitudine per avermi permesso di esprimermi liberamente senza meschine coazioni [...] Resta tuttavia all'Udienza un problema piu' grave: qui stanno le cause iniziate per i settanta omicidi, cioe' per il piu' grande massacro che abbiamo conosciuto, e i colpevoli restano liberi con l'arma in mano che e' una minaccia perenne per la vita dei cittadini; se non cade sopra di essi tutto il peso della legge, per codardia o perche' ve lo impediscono, e non rinunciano in pieno tutti i giudici, io ho pieta' della vostra dignita' e compassione per la macchia senza precedenti che cadra' sopra il Potere Giuridico.

In quanto a me so che il carcere sara' duro come non lo e' mai stato per nessuno, pieno di minacce, di vile e codardo rancore, pero' non lo temo, cosi' come non temo la furia del tiranno miserabile che ha preso la vita a settanta fratelli miei.

Condannatemi, non importa, la storia mi assolvera'.


giovedì 24 novembre 2016

"L'ex alunno" al Teatro Sacco di Savona


SABATO 26 NOVEMBRE ORE 21.00
DOMENICA 27 NOVEMBRE ORE 16.30
ANTICO TEATRO SACCO  
SAVONA

Regia di Lazzaro Calcagno e Giovanni Mosca
Con: Lazzaro Calcagno, Antonio Carlucci, Alessio Dalmazzone, Giovanni Mosca, Manuela Salviati.
Assistente alla regia: Sara Damonte
Scenografia: Gaia Sommariva
Luci: Andrea Salviati e Sara Damonte


Commedia brillante scritta nel 1941 dal celebre umorista Giovanni Mosca (1908-1983) e adattata per i giorni nostri da Giovanni Mosca, giornalista e nipote dell'autore, e dal direttore artistico del Il Sipario Strappato Lazzaro Calcagno, che ne firmano insieme anche la regia.

L'EX ALUNNO mette in scena le vicende del professor Mornese, grigio insegnante di provincia, sposato alla giovane e sognatrice Evelina. 
Un pomeriggio, mentre il professore è impegnato con un ispettore scolastico, si presenta alla porta un prestante poeta che dichiara di essere un ex alunno del professore, ma che in realtà ha ben altre mire…
La commedia affronta il tema del tradimento e del rapporto tra i poeti romantici e quelli moderni come in un duello tra generazioni diverse.
In un continuo gioco di ironici colpi di scena, L'EX ALUNNO sorprende e  diverte  nei suoi tre atti e dove  la risata è a volte amara, anche perché, come diceva Mosca parafrasando Voltaire,"… è preferibile ridere pensando, che pensare solo a ridere".

INFO E PRENOTAZIONI:info@teatrosacco.com
tel: 3317739633 - 3286575729


Terre in Vista, approdo nella Ceramica Contemporanea



Terre in Vista, approdo nella Ceramica Contemporanea

Quattordici artisti del panorama nazionale protagonisti di una mostra che indaga i linguaggi della ceramica.

Terre in Vista, Approdo nella Ceramica Contemporanea inaugura Sabato 26 novembre ore 18,30 presso la galleria d’arte SUKIYA, dimora di raffinatezza a Lamezia Terme.

La mostra è pensata come una prima rassegna che di anno in anno andrà a indagare i vari aspetti e a individuare scuole, personaggi e territori che hanno maggiormente influito sulla cultura della ceramica quale espressione della scultura contemporanea.

“Terre in vista” è per indagare e conoscere le diverse materie con le quali gli artisti lavorano, per comprendere le diverse tecniche, per perlustrare le diverse geografie in cui operano, fonti molte volte di ispirazione ma anche per scrutare e lasciarsi incantare dalle diverse forme espressive.


La nave è salpata per un lungo viaggio e prevede molti approdi, il primo del quale ha portato nella galleria Sukiya quattordici opere degli artisti: Luigi Belli, Pino Deodato, Guido De Zan, Yvonne Ekman, Evandro Gabrieli, Sandro Lorenzini, Massimo Luccioli, Simone Negri, Tonino Negri, Jasmine Pignatelli, Carlo Pizzichini, Antonio Pugliese, Gabriella Sacchi, Serena Zanardi, diversi per formazione, appartenenza geografica e generazionale ma uniti  da un progetto che mira alla divulgazione della scultura ceramica contemporanea nelle sue diverse possibilità espressive.

La mostra è a cura di Felicia Pugliese che nel testo introduttivo in catalogo scrive:“[…] Una prospettiva, quella presocratica, di cui l’arte ci dà continua prova e che pertanto l’artista ha maggiore possibilità di comprendere. Egli vede l’argilla divenire vaso mantenendosi argilla, vede i colori divenire dipinto senza scadere nel nulla, al pari di un Demiurgo seleziona una materia attraverso la quale plasmare e modellare il mondo di cui è fautore e artefice”.


mercoledì 23 novembre 2016

U Bastu, cuore antico del Parco letterario Francesco Biamonti



Sabato 26 Novembre 2016 a San Biagio della Cima alle ore 17.30 verrà inaugurato “U Bastu”: un aggregato di cantine e stalle nel cuore del centro storico unite da un antico carruggio oggi annesso ai locali.

"Dopo un lavoro di restauro e allestimento il nuovo Bastu, richiamandosi ai “bistrot de pays” ed ereditando il patrimonio del vecchio locale, rinasce come caffè multimediale della cultura mediterranea: luogo di aggregazione, di scambio e di inclusione per la comunità ma anche luogo di informazione per il turista; luogo di conoscenza delle risorse produttive del territorio; luogo interattivo di memoria, di lettura e di ascolto" - spiegano gli organizzatori.

"L’inaugurazione, ideale chiusura dei lavori del Parco Biamonti, sarà preceduta dal convegno "Dal parco letterario al parco produttivo" con interventi relativi al progetto realizzato con il contributo della Compagnia di San Paolo e presentazione del volume che raccoglie i risultati della ricerca sulla storia del paesaggio rurale di San Biagio della Cima realizzata dal Laboratorio Archeologia e Storia Ambientale dell’Università di Genova"

PROGRAMMA

ORE 10 Saluti
(Comune di San Biagio della Cima, Associazione Amici di Francesco Biamonti, Università di Genova, Compagnia di San Paolo)

PRIMA SESSIONE
- Introduce e coordina D. Moreno, Parco “letterario” e parco produttivo. Presentazione del progetto e del volume che raccoglie i risultati della ricerca
- C. Traldi e P. Alborno, il Parco Biamonti, dal paese al paesaggio: storia di un progetto e possibili sviluppi
- A. Fortini, N. Gabellieri, Per la storia di un paesaggio individuale. Dalla ricerca storica-archeologica sul Mesco  alla ricerca sul territorio di S. Biagio
- A. Marson e A. Magnaghi, Discussione del volume - Dal parco “letterario”al parco produttivo.  
L’eredità culturale di Francesco Biamonti   - (a cura di D. Moreno, M. Quaini, C. Traldi),  Oltre Edizioni, 2016
ORE 12,15 - Dibattito
ORE 13 – 14 - Pausa pranzo

SECONDA SESSIONE

ORE 14,15 – 17.00
- Introduce e coordina M. Quaini: Parco ”letterario” e parco produttivo.  Limiti,  possibilità e strumenti dell’azione locale per una nuova agricoltura.
- E. Fenzi  e  S. Morando, Biamonti, i suoi paesaggi e il mondo rurale.
- M. Sargolini, “Aree protette” e “aree interne”.  Comparazioni e confronti con altre esperienze in corso.
Saverio Chiappalone - Lo sguardo del fotografo sul Parco Biamonti
- Interventi dei produttori - Il parco e le produzioni locali: problematiche e prospettive
ORE 16,15 - Dibattito
ORE 17, 30 - Inaugurazione “U Bastu”
Accoglienza a cura dei bambini della scuola elementare di San Biagio della Cima;
Raccolta fotografica di Saverio Chiappalone;

Aperitivo con intrattenimento musicale

"Tutte le attività sono a partecipazione libera. Il progetto è stato sviluppato dal Comune di S. Biagio della Cima, dall'Università di Genova e dall'Associazione Amici di F. Biamonti e sostenuto dalla Compagnia di San Paolo.
Maggiori informazioni: http://www.parcobiamonti.it" 



Ligustro il ricercatore di arcobaleni


Giovanni Berio (Ligustro) nasce nel 1923 a Imperia. Nella sua attività artistica si è dedicato principalmente allo studio della tecnica di incisione della xilografia giapponese, in particolar modo secondo la tecnica di stampa policroma nishiki-e, legata soprattutto al periodo Edo. Significativa è la sua produzione artistica raffigurante immagini della Liguria, utilizzando il tipico stile giapponese.

Suo opere sono o sono state esposte a Berlino e Bruxelles, tra le altre città. Numerose sue opere di vario genere sono presso la Biblioteca Civica di Imperia.

Ligustro dal suo amato Giappone, racchiuso nel piccolo studio di Imperia Oneglia, ha lasciato straordinarie idee da intuire e fantastiche opere da ammirare.




martedì 22 novembre 2016

Spotorno ricorda Giacinto Menotti Serrati


Giacinto Menotti Serrati (1872-1926)

Nato nel 1872 a Spotorno da Giacinto – piccolo armatore decaduto, costruttore edile e commercinte, seguace di Mazzini e Garibaldi, sindaco di Oneglia nel 1865-1866 e nel 1867-1870 –, e da Caterina Brunengo. Primogenito di sei fra fratelli e sorelle, trascorre l’infanzia ad Oneglia e nel 1889-1891 segue gli studi liceali a Mondovì, che però interrompe per dedicarsi alla politica. Nel 1892, collaboratore del settimanale sanremese Il Pensiero, è tra i promotori della prima Lega socialista di Oneglia e, l’anno dopo, è tra i fondatori del suo organo, La Lima.

Trasferitosi nel 1893 a Milano, dove collabora alla Lotta di classe, partecipa in agosto al Congresso internazionale socialista di Zurigo, il mese seguente al ii Congresso del Psi e subito dopo subisce il primo arresto, a causa delle manifestazioni seguite all’eccidio di Aigues Mortes. In questi anni che volgono alla fine del secolo, colpito più volte dalla repressione, come anche i fratelli Ricciotti e Manlio, è costretto a riparare a Marsiglia: una prima volta nel 1894 e una seconda volta tre anni dopo.

Dopo aver fatto in precedenza il guardiano dei docks, il garzone di farmacia e lo scaricatore di carbone dai piroscafi, è in questa circostanza, agli inizi del 1898, che si imbarca per l’Oceano indiano dal quale torna soltanto nell’autunno dell’anno seguente. Stabilitosi in Svizzera, riprende subito la militanza nelle fila dell’Unione socialista di lingua italiana (Usli) che, divenutone il segretario nel 1900, contribuirà in seguito alla sua trasformazione in Partito socialista italiano in Svizzera (Psis), collaborando all’Avvenire del lavoratore.

Nel 1902 si lega sentimentalmente ed ha un figlio, Libero, con Cesarina (Rina) Marsanasco che, già sposata e madre di cinque figli, potrà riunirsi a Serrati solo nel 1905 anche perché, nello stesso 1902 Serrati parte alla volta di New York, dove assume la direzione de Il Proletario. Due anni dopo ritorna in Svizzera e nel 1905 diviene segretario del Psis.

Avverso sia al sindacalismo rivoluzionario che al riformismo, ed ormai anche all’“integralismo” sempre più trasformistico di Enrico Ferri, al IX (1906), al x (1908) e all’XI (1910) Congresso del Psi si schiera a favore delle posizioni “intransigenti” (nel 1909 era nel frattempo rientrato in Italia). Alla fine del 1911 ottiene la segreteria della Cdl di Oneglia e la direzione della Lima. Dopo un’attiva partecipazione alle vicende del movimento operaio imperiese e savonese, dove collabora al periodico socialista locale Il Diritto, nell’ottobre del 1912 si trasferisce a Venezia come segretario della Cdl e direttore de Il Secolo nuovo di Elia Musatti.

Sempre nello stesso anno avversa l’avventura coloniale tripolina, coniando la parola d’ordine “Vinca il Turco!”, e accentua la sua battaglia contro la corrente riformista del partito. Candidato non eletto alle elezioni politiche del 1913, nell’aprile dell’anno seguente, al XIV Congresso del Psi, è eletto nella Direzione del partito e in novembre viene chiamato alla direzione dell’Avanti!, che orienta fortemente in senso internazionalista e contro la guerra. Membro della delegazione italiana alla conferenza di Zimmerwald nel 1915, nel 1917 si schiera con la rivoluzione russa.

Nel “processone” del giugno 1918, a seguito dei moti scatenatisi nel capoluogo piemontese nell’agosto dell’anno precedente, è condannato a tre anni e mezzo di carcere. Riacquistata la libertà nel febbraio del 1919, grazie all’amnistia per la vittoria, riprende il suo posto di direttore dell’Avanti! e con oltre il 72% dei voti alla sua mozione “massimalista elezionista” domina il xvi Congresso del Psi in ottobre. Subito dopo promuove la nuova rivista Comunismo e nell’estate del 1920 partecipa al ii Congresso dell’Internazionale comunista. Pensando di portare tutto il Psi sulle posizioni della nuova Internazionale, non accetta i “21 punti” stabiliti a Mosca e non segue quindi la frazione comunista nella scissione operatasi nel corso del XVII Congresso del Psi (Livorno, gennaio 1921), che riserva alla sua mozione dei “comunisti unitari” quasi il 57% dei voti. Una scelta “centrista” che non paga, dal momento che sono proprio i riformisti di Turati e Treves a lasciare il partito nel successivo congresso dell’ottobre e a dare vita al Psu. Mentre in Italia il fascismo sta conquistando il potere, nel novembre 1922 si apre a Mosca il IV Congresso dell’Ic.

In rappresentanza del Psi Serrati raccoglie ora l’invito del gruppo dirigente dell’Internazionale all’unificazione con il Pcd’i, nonostante i dissapori mostrati dai comunisti italiani verso tale decisione. Ma a questo punto, subito dopo il rientro in Italia, è proprio il suo partito a tradirlo. Complice un nuovo arresto nel marzo 1923, al XX Congresso del Psi, svoltosi a Milano il mese dopo in sua assenza, Nenni, capo del “Comitato di difesa socialista”, fa passare una mozione contraria all’unificazione con i comunisti. Estromesso dall’Avanti! e dalla Direzione del partito, nel giugno 1923 dà vita al quindicinale Pagine rosse, nel giugno-luglio 1924 partecipa ancora a Mosca al V Congresso dell’Ic e in agosto entra definitivamente con la frazione dei “terzini” di Fabrizio Maffi nel Pcd’i. Cooptato da subito nel suo Comitato centrale e direttore de Il Sindacato rosso, partecipa ancora al III Congresso del partito (Lione, gennaio 1926), ma pochi mesi dopo muore per un attacco cardiaco.






sabato 19 novembre 2016

Wounded Knee 1973. Territorio libero d'America


Donald Trump sostiene che i migranti clandestini vanno espulsi. Chissà cosa ne pensano i nativi americani che non ci risulta abbiano mai concesso ai "visi pallidi" permessi di immigrazione e di soggiorno. Nel 1973 a Wounded Knee gli Indiani Americani insorsero contro la distruzione della loro cultura e il non rispetto dei trattati. Dopo 71 giorni di autogoverno tribale la protesta fu repressa con i carri armati. Una pagina da ricordare oggi mentre in America tornano a soffiare i freddi venti dell'intolleranza e della supremazia bianca.

Giorgio Amico

Wounded Knee 1973. Territorio libero d'America

Nell'estate del 1968, duecento membri delle comunità Indiane Americane si riunirono per discutere della condizione dei nativi americani ed in particolare della brutalità della polizia, della disoccupazione e della politica federale. Da questo incontro nacque l'American Indian Movement, meglio conosciuto come AIM.

L'AIM iniziò fin da subito una vivace attività per il rispetto dei trattati siglati dal governo americano e contro la corruzione delle amministrazioni tribali delle riserve. Questa campagna terminò con uno scontro armato, il primo dopo un secolo, tra giovani guerrieri Lakota e truppe americane. Fu l'assedio di Wounded Knee, luogo simbolo della resistenza nell'Ottocento contro le giacche blu.


Nell'inverno 1973 un gruppo di giovani Indiani Americani della Nazione Lakota occupava, armi alla mano il territorio di Wounded Knee richiedendo il rispetto degli accordi siglati nel 1868, il controllo delle Black Mountains (territorio sacro per i Lakota), la rimozione delle corrotte autorità delle riserve, la fine dello sfruttamento e della distruzione dei territori da parte delle grandi compagnie minerarie americane. Tragica la situazione della Riserva di Pine Ridge, dove l'uso incontrollato di agenti chimici nelle ricerche minerarie aveva causato l'avvelenamento delle falde acquifere con la conseguente larga diffusione delle malattie tumorali e delle nascite di bambini deformi.


Quando l'AIM prese il controllo di Wounded Knee, nella riserva arrivarono giovani nativi da tutti gli Stati Uniti e fu creato un consiglio formato dai rappresentanti di 75 Nazioni Indiane. Nonostante le leggi americane permettano di portare in pubblico armi, il governo federale denunciò come terrorismo l'occupazione e invio contingenti di truppe e dello FBI.


Il comitato di occupazione non si lasciò intimidire e richiese la fine delle aggressioni contro il popolo indiano, lo scioglimento delle amministrazioni corrotte, una ridiscussione dei 371 trattatvi tra le Nazioni Native e il governo federale, non uno dei quali in un secolo risultava rispettato. In attesa di una risposta da parte delle autorità, i  giovani Lakota rifiutarono di consegnare le armi. Il governo rispose tagliando l'elettricità e impedendo ogni rifornimento di viveri dall'esterno.


Nonostante la durezza del clima, spesso molto sotto lo zero, per tutto l'inverno i ragazzi e le ragazze di Wounded Knee rifiutarono di arrendersi e vissero secondo i costumi tradizionali, celebrando nascite e matrimoni secondo gli antichi riti.

La lotta non fu senza vittime: due occupanti furono assassinati e di altri dodici, usciti dalla riserva in cerca di viveri, non si seppe più nulla, probabilmente sequestrati e fatti sparire dalle squadracce armate che fiancheggiavano le forze di polizia e i militari.


Dopo 71 giorni, l'esercito diede l'assalto con i mezzi corazzati alla riserva. 1200 occupanti furono arrestati. Fu l'inizio di un regime di terrore attuato dalle corrotte autorità tribali restaurate nel loro potere: in tre anni 64 membri dell'AIM furono assassinati, 300 sequestrati e sottoposti a torture, 562 arrestati. 


Nonostante ciò Wounded Knee resta una grande vittoria per gli Oglala Sioux come per tutte le altre Nazioni Indiane, che per un breve periodo erano ritornate ad essere un popolo libero.


(Nostra rielaborazione di materiali dell'AIM)

martedì 15 novembre 2016

Magie delle Manie e del Finale


Disumanità della religione



E’ da poco uscito presso l’editore Massari (www.massarieditore.it) il saggio di Raoul Vaneigem Disumanità della religione. L’originale è apparso in Francia nel 2000, per conto dell’editore Denoel. La curatela del volume è opera di Andrea Babini (sua la traduzione, suo uno dei tre testi posti in appendice), l’introduzione è stata scritta da Federico Battistutta (suo un altro degli scritti in appendice; il terzo è dello stesso Vaneigem dal titolo “Per un superamento della religione”).

In questo libro l’autore (esponente di punta del situazionismo negli anni Sessanta/Settanta) compie un’appassionata ricostruzione della nascita delle religioni e della loro sopravvivenza fino ai nostri giorni. E’ un’analisi critica, originale e anche impietosa nei confronti delle istituzioni religiose e delle società all’interno delle quali continuano a prosperare, seminando e coltivando infelicità presso gli esseri umani. Per la modalità con cui affronta l’argomento (critica le religioni senza cadere nell’elogio del pensiero laico e razionalista) è un libro raro che merita conoscere.


“In queste pagine vediamo emergere in maniera netta il conflitto tra religio e religione. Per Vaneigem, con il termine «religione» si intende quel complesso di istituzioni, gerarchie, credenze, riti, scritti e dogmi, sorto come esito indiretto della rivoluzione neolitica in cui l’uomo, addomesticando animali e piante, alla fine ha addomesticato se stesso, divenendo sedentario, cittadino, produttore e infine consumatore. È all’interno di questa divisione del lavoro che sorge il ruolo degli specialisti del sacro, di mediatori tra l’umano e il divino, tra la vita e la morte, proprio delle caste sacerdotali, che trovarono ben presto la loro collocazione sociale nel sostenere il potere costituito, giustificando e benedicendo lo sfruttamento in atto.

Per questo Vaneigem afferma che la religione vedrà la sua fine solo con la scomparsa di un mondo che riduce l’uomo al lavoro, che lo strappa al destino di potersi creare, ricreando il mondo. Occorre, secondo l’Autore, rintracciare fin dentro le pieghe delle coscienze e dei vissuti individuali quei tratti morbosi che inducono all’assenza di vita, alla rinuncia, al sacrificio, alla colpevolezza e alla mortificazione per proiettarsi nel cielo degli dei e delle idee” (dall’introduzione di F. Battistutta).



giovedì 10 novembre 2016

La bandiera dei fratelli Arnaud



La bandiera dei fratelli Arnaud. Storia, conservazione e restauro di un tessuto seicentesco.

Presentazione del restauro della bandiera
a cura del conservatore del museo, Samuele Tourn Boncoeur e delle restauratrici Cinzia Oliva e Tiziana Assegna

Sabato 19 novembre, alle ore 17:00
presso la Fondazione Centro Culturale Valdese
Via Beckwith 3 – Torre Pellice (To)

Il restauro e la conservazione della seicentesca bandiera di Arnaud sarà il tema dell'incontro con le restauratrici Cinzia Oliva e Tiziana Assogna e il conservatore del Museo valdese Samuele Tourn Boncoeur che si terrà a Torre Pellice sabato 19 novembre alle 17 alla Fondazione Centro Culturale Valdese.

L'incontro si tiene in occasione della mostra La collezione di bandiere stendardi e fazzoletti da collo del Museo valdese (Torre Pellice, Fondazione Centro Culturale Valdese, Sala Paolo Paschetto, prorogata e quindi visitabile sino al 27 novembre 2016) che espone una ricca selezione di tessuti di maggior pregio tra quelli conservati dal Museo valdese.


Tra questi spiccano un vessillo che i valdesi donarono a Carlo Alberto per la concessione delle libertà civili nel febbraio del 1848 e soprattutto una bandiera antica di grandi dimensioni appartenuta ad Henri Arnaud, pastore e condottiero dei valdesi durante il Glorioso Rimpatrio del 1689-90, o al fratello Daniel, che la ricevettero durante il loro incarico di guida dei rifugiati valdesi. Questo prezioso tessuto, un taffetas in seta gialla ricamato ad intarsio con fiamme in seta nera, reca al centro lo stemma del duca di Württemberg.

Questa grande bandiera, uno degli oggetti più preziosi custoditi dal Museo valdese, dopo un lungo, complesso e accurato lavoro di restauro, è nuovamente esposta al pubblico dopo molti decenni di permanenza in deposito.

Sabato 19 novembre, alle ore 17.00, dopo un saluto introduttivo di Davide Rosso, direttore della Fondazione Centro Culturale valdese, Samuele Tourn Boncoeur (Conservatore del Museo valdese), Cinzia Oliva e Tiziana Assogna (Restauratrici) presentano la storia del prezioso manufatto in seta e il complesso lavoro di restauro eseguito nel 2016 che ha permesso di poterlo nuovamente ammirare.


D'autunno Francesco. In ricordo di Giorgio Bertone



D'autunno Francesco

13 novembre 2016
Centro Polivalente “Le Rose”
San Biagio della Cima (IM)



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