domenica 31 ottobre 2010
sabato 30 ottobre 2010
Materia e memoria di Morlotti
Francesco Biamonti e Ennio Morlotti
Prima di essere conosciuto come scrittore, Francesco Biamonti si dedicò per anni alla critica d'arte. Intensissimo fu il sodalizio, intellettuale e umano, con Ennio Morlotti, conosciuto nel 1959 quando il pittore, già affermato, era arrivato a Bordighera in cerca, come Monet nel 1884, di colori e luce. Colori e luce che diverranno poi elementi centrali nella produzione letteraria dello scrittore.
Francesco Biamonti
Materia e memoria di Morlotti
Materia e memoria di Morlotti
Un “uliveto” dalle ombre viola si stranisce e sogna nel sole, i “passion fruits” si corrompono, un “teschio” su rive cimmerie manda l’ultimo bagliore: è una vicenda di eros caduta e morte. Sono i motivi con cui la pittura di Morlotti risponde agli assedi del nulla. La materia che li sostiene, classico crepaccio, si lacera in grumi di polvere, si serra in tensioni violacee, in grandi piaghe dorate e brulle.
Quella pittura ha attraversato l’espressionismo e l’informale ed è giunta ad un nucleo più vero e segreto.
Da essa sembra guardarci l’antico volto della terra nel trascorrere del tempo. Della terra c’è la dura materia, la malinconia e la vita dì un nodo protetto da tracce dolorose d’inconscio, da incisioni e colate, erosioni e da morsicati confini.
Giacometti, Sutherland, Morlotti, De Staël (cavalieri dell’apocalisse esistenziale dilagata sul mondo cubista e surrealista) hanno dato inizio e forse posto anche fine ad un’appassionata riscoperta delle cose. Queste hanno preso in Morlotti l’aspetto più vivido ma anche più intriso di fango, anzi più vivido perché più materico.
E. Morlotti, Paesaggio (1964)
La materia ha strane fascinazioni che Pollock e De Staël hanno pagato ben duramente. Fa tendere ad essa l’esasperazione del fiume eracliteo, dove le cose tendono al loro contrario e il giorno si fa notte, la vita si fa morte. Il rombo funereo di quel fiume genera in Morlotti un grave travaglio. Nella sua pittura, che va dalla carne al teschio e dal seme al fiore, freme tutta la malinconia dell’essere nell’arginare il mare della materia, che tuttavia non è inerte ed opaca, ma commista alle cose, un regno delle madri portato alla luce, una sterpaia verso cui un vento di miraggi piega la vita, piante orti e sangue inchiodati da dolcissime folate. Questo richiamo materico non manca mai: la pittura di Morlotti è una negazione-genesi modulata in una luce naturale...
Materia e memoria di Morlotti, in "Lo spazio", Napoli, Ottobre 1971
mercoledì 27 ottobre 2010
Il senso delle cose: a proposito di Marchionne e... Cechov
Giorgio Amico
Il senso delle cose: a proposito di Marchionne e... Cechov
Le esternazioni dell'amministratore delegato della Fiat hanno colpito anche noi non tanto per la loro arrogante banalità quanto per l'assoluta insensibilità mostrata verso le donne e gli uomini costretti per vivere a lavorare nei suoi stabilimenti. Marchionne ragiona come i generali che a tavolino pianificano battaglie che costeranno migliaia di vite. Lo stesso disprezzo per la vita degli altri, la stessa noncuranza. Come per i generali i soldati esistono solo per combattere, così per Marchionne gli operai vivono solo per produrre. La loro vita, i loro problemi non interessano, non contano nelle scelte. Non sono uomini e donne, portatori di diritti sogni e speranze, ma semplici pedine sulla scacchiera del mercato e dunque sacrificabili a piacere.
Ascoltavamo le frasi di Marchionne, assistevamo a questa esibizione arrogante di potere e ci tornavano in mente le domande che si poneva molto tempo fà un autore non “schierato” come Anton Cechov, forse il più “borghese” dei grandi autori russi, che ad uno dei suoi personaggi, il dottor Koriolov, faceva dire mentre attraversava il cortile di una fabbrica diretto alla casa padronale:
Qui c'è un malinteso, di certo... pensava. […] Millecinquecento, duemila operai lavoravano senza riposo, in un ambiente malsano, fabbricando un cattivo cotone stampato, non si tolgono la fame e solo ogni tanto, alla bettola, si riscuotono da quest'incubo; un centinaio di persone sorvegliano il lavoro e tutta la vita di questi cento se ne va nel segnar multe, in ingiurie e ingiustizie, e soltanto due o tre, i cosiddetti padroni, godono dei vantaggi, benché non lavorino affatto e disprezzino il cattivo cotone. […] E ne viene dunque che tutti questi cinque corpi di fabbrica lavorano e sui mercati orientali si vende un cattivo cotone stampato perchè Christina Dmitrievna possa mangiare storioncini e bere madera.
(A. Cechov, Anima cara, Rizzoli 1957, p.23)
martedì 26 ottobre 2010
UNIVALBORMIDA 2010/2011
Sedi dei corsi
Sala Riunioni Biblioteca Civica – Carcare
Via Barrili, 12 – Tel. 019 5154152
Orario delle lezioni
Tutti i corsi dalle ore 16.00 alle ore 18.00 o dalle ore 17.00 alle ore 19.00
Laboratorio di Acquagym – ore 10.30 / 11.15
Laboratorio di Cucina – ore 19.00 / 22.00
Laboratorio di Cucina 2 – ore 18.00 / 22.00
Laboratorio Motorio Terza Età – ore 18.30 / 19.30
Laboratorio di Pittura – ore 15.00 / 18.00
Laboratorio di Ricamo – ore 15.00 / 17.00
Tutti gli altri Laboratori – ore 20.00 / 22.00
Quota di iscrizione ai Corsi € 40.00
più eventuali integrazioni per i vari laboratori. I costi vivi di eventuali attività fuori sede saranno a carico dei partecipanti. Prenotazione obbligatoria per i laboratori a numero chiuso da effettuarsi prima del pagamento della quota di iscrizione.
Segreteria, informazioni, moduli di iscrizione:
Biblioteca Civica “A.G. BARRILI” - Carcare – Via Barrili, 12 – Tel. 019 5154152
mercoledì 20 ottobre 2010
Cultura Occitana 2010
Nel mese di novembre la Provincia di Cuneo, al fine di promuovere e valorizzare la minoranza linguistica occitana fortemente radicata nel proprio territorio, presenta nuovamente il consueto programma Cultura Occitana che quest’anno propone una rassegna musicale, aperta a tutti e ad ingresso gratuito, secondo il seguente programma:
Martedì 2 novembre COROU DE BERRA - Canto polifonico delle Alpi del Mediterraneo. Direzione Michel Bianco. Il sestetto di Nizza, uno dei migliori gruppi corali d’Europa sulla scena da oltre un ventennio, si è esibito nei maggiori festival ed ha all’attivo 11 album: proporrà un repertorio a cappella di arie popolari delle Alpi Marittime.
Martedì 9 novembre GAI SABER - Di Macabrè la danza. Un nuovo spettacolo musicale dei Gai Saber con la regia della Compagnia Melarancio per la parte teatrale e la presenza delle coreografie di Valentina Taricco per la danza; spettacolo ispirato agli affreschi della danza macabra di Macra. Precederà lo spettacolo una presentazione del tema iconografico e della lingua della danza macabra a cura della Dott.ssa Rosella Pellerino.
Martedì 23 novembre AZIMANTS AMOR VERAIA. Arriva da Torino il sestetto nato dall’incontro di musicisti e linguisti, che si propone di offrire letture della lirica monodica profana medievale rigorosamente filologiche nell’interpretazione testuale e musicale, restituendo, allo stesso tempo, al documento storico vitalità e freschezza espressiva anche grazie a parti delle Vidas dei trovatori recitate dall’attore Mario Brusa.
Martedì 30 novembre A FIL DE CIEL – Vertigo. Il quintetto cuneese, che dopo dieci anni di attività ha aggiunto alla propria formazione contrabbasso e viola, proporrà, per voce ed oltre 20 strumenti, brani sacri e popolari occitani con incursioni nelle tradizioni musicali di minoranze linguistiche europee.
Tutti gli appuntamenti sono previsti per le ore 21 presso la Sala B, Centro incontri della Provincia di Cuneo in Corso Dante 41 a Cuneo.
L’iniziativa è finanziata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per il programma degli interventi previsti dalla Legge 482/99 coordinato dalla Regione Piemonte.
L’organizzazione è curata da Espaci Occitan: per informazioni tel 0171 904075, segreteria@espacioccitan.org e www.espaci-occitan.org
Retrospettiva di Renzo Bonfiglio alla Galleria d'Arte del Cavallo
Dal 23 ottobre al 23 novembre 2010
Inaugurazione 23 ottobre 2010, ore 17.00
Presso la Galleria d'Arte del Cavallo
Via Fratelli Cervi 1, Valleggia di Quiliano
Orario Mostra: tutti i giorni dalle ore 17.00 alle 19.00
Dopo 25 anni la Galleria d' Arte del Cavallo offre l'opportunità di proporre una nuova retrospettiva del pittore Renzo Bonfiglio, infatti l'ultima grande mostra a lui dedicata risale al 1985, poco prima della sua morte.
La figura di Bonfiglio è molto nota e la sua fama radicata nel territorio. Nato e cresciuto a Vado Ligure ha operato in loco per tutta la sua lunghissima vita.
Figlio d'arte, il padre Giuseppe, noto decoratore della seconda metà del XIX sec., ha lavorato molto a Vado e dintorni e ha trasmesso al figlio il suo “mestiere”, non facile se non supportato da una autentica abilità personale che Bonfiglio ha affinato frequentando l'Accademia Albertina di Torino al tempo del suo servizio militare in quella città . Ha iniziato giovanissimo a produrre opere personali e decisamente interessanti sul piano artistico ...
Nella sua pittura c'è una accurata ricerca nella composizione, la luce che contribuisce a creare profondità, il colore solitamente pacato in alcune opere si accende e contribuisce a dare drammaticità alla scena. In molti quadri le figure vengono stilizzate in netto contrasto con altri lavori dove la figura, che è uno dei temi ricorrenti nelle sue opere, è trattata in modo assolutamente accademico sia nelle proporzioni che nella stesura del colore, con pennellate rigorose, con luci e ombre naturali che scivolano lente sulle superfici ben trattate o un ulteriore modo di esprimersi fatto di pennellate rapide, imprecise, ma cariche di suggestioni cromatiche e colpi di luce e ombre decisamente espressionista."
La curatrice della mostra Roberta Porsenna
" Le opere di questo artista, che fece della riservatezza uno stile di vita difeso anche a costo di rinunciare a ben meritati onori, colpiscono anche chi dell’arte non sappia decifrare i linguaggi per il senso di vicinanza all’uomo, a tutti gli uomini, che da esse traspare, per la schiettezza degli sguardi che Bonfiglio sa fermare sulla tela. Credo che per questi motivi debba essere maggiormente conosciuto e apprezzato...."
" Le opere di questo artista, che fece della riservatezza uno stile di vita difeso anche a costo di rinunciare a ben meritati onori, colpiscono anche chi dell’arte non sappia decifrare i linguaggi per il senso di vicinanza all’uomo, a tutti gli uomini, che da esse traspare, per la schiettezza degli sguardi che Bonfiglio sa fermare sulla tela. Credo che per questi motivi debba essere maggiormente conosciuto e apprezzato...."
Alberto Ferrando
Sindaco di Quiliano
domenica 17 ottobre 2010
Guerre & Pace 160 - Contraddizioni cinesi
E' appena uscito il n.160 di Guerre & Pace, interamente dedicato alla Cina, di cui presentiamo l'editoriale e il sommario.
Contraddizioni cinesi
Volendo utilizzare una consueta citazione cinematografica verrebbe banalmente da scrivere che “la Cina è vicina”, ma questa ormai è una definizione, oltre che abusata, troppo ristretta, perché la Cina è dappertutto, dal punto di vista politico, economico e in molti casi anche culturale.
Forse parlare di un “oscuro oggetto del desiderio” sarebbe più adatto, visto che sono in molti, spesso insospettabili, a sognare di “fare come in Cina”: imprenditori ed economisti neoliberali affascinati da una crescita di profitti e rendite per loro inimmaginabile; politici di entrambi gli schieramenti pronti a favorire ogni tipo di scambio commerciale con la Cina - ovviamente sollevando ipocritamente qualche protesta a bassa voce sul mancato rispetto dei diritti umani; qualche esponente di una sinistra “radicale” orfano di qualche modello e pronto a salutare con favore il “socialismo” cinese e il ruolo dello stato nell’economia.
In questo nostro monografico abbiamo cercato di indagare le contraddizioni della politica - internazionale, economica, sociale - di un paese che è sempre più presente nelle diverse regioni del pianeta e ovunque riesce a essere un protagonista fondamentale con il quale tutti i governi (e non solo) devono fare i conti. Non ci interessa tanto inseguire definizioni di quanto succede in Cina (“socialismo alla cinese”, “capitalismo di stato” e così via - anche se esiste un interessante dibattito intellettuale anche in Cina, come si vede dall’articolo sulla nuova sinistra), quanto provare a mettere in fila alcune analisi di quelle contraddizioni, una lettura di cosa produce la politica cinese.
Perché è evidente che dietro un tasso di sviluppo così alto ci sono scelte di politica economica e strategie, rapporti di lavoro e di classe che non possono essere rimossi, ma vanno invece indagati, provando a cogliere anche le novità di un movimento operaio non così subalterno e piegato come lo si dipinge; è chiaro che la politica economica e imprenditoriale cinese produce conseguenze sociali molto gravi e che queste possono dare vita a movimenti anche interessanti, non semplicemente raffigurabili nel quadro dell’attivismo “per i diritti umani”; è sicuro che il protagonismo globale cinese rappresenta un fattore internazionale importante e che nei prossimi anni determinerà nuovi rapporti di potere mondiali, certamente economici e politici, senza escludere quelli militari.
Gli articoli che presentiamo, in gran parte tradotti, cercano di dare questo quadro complessivo, senza la pretesa di una completezza impossibile in queste pagine e provando ad aprire uno spazio di attenzione e di riflessione sulla politica cinese che non si esaurisce in questo numero, ma che potrà avere altre voci e angoli di visuale nei prossimi mesi. Perché qualsiasi sia il tema di politica internazionale che si affronta non manca mai l’interrogativo che riguarda il ruolo cinese, soprattutto di fronte a una crisi globale che in Italia (come in Europa e in tutto l’Occidente) continua e continuerà a lungo, e segnerà profondamente le condizioni di vita di lavoratrici e lavoratori a causa delle politiche economiche messe in campo dalle autorità dell’Unione europea, mai così compatte come ora nella definizione delle misure antisociali. Una crisi che ha toccato anche la Cina e a cui il gruppo dirigente del Pcc ha provato a dare una risposta più complessa, sul piano interno e internazionale.
A questo è legata quella che è probabilmente l’unica convinzione certa che ci sentiamo di esprimere: le sorti delle lavoratrici e dei lavoratori europei dipenderanno anche dal grado di ripresa della lotta di classe in Cina e delle capacità di vittorie del movimento operaio cinese. Conseguentemente ci sorregge un punto di vista, che ha in qualche modo guidato la scelta degli articoli e che ci porta a essere poco interessati alle definizioni in sé: quello che guarda alle condizioni materiali, sociali e politiche di lavoratrici e lavoratori cinesi per provare a capire meglio cosa rappresenti davvero il “modello cinese”.
Vogliamo ringraziare in particolare Angela Pascucci de “il manifesto” per averci dato il permesso di pubblicare i suoi articoli e per i preziosi consigli sulle fonti a cui attingere; ovviamente non ha alcuna responsabilità sulle nostre scelte e sull’uso da noi fatto dei suoi stessi consigli.
SOMMARIO
Presentazione monografico (Piero Maestri)
Un nuovo modello? (Au Loong Yu)
La risposta alla crisi globale (David Whitehouse)
13 Monografico Conseguenze sociali del mercato (Martin Hart- Landsberg)
Un paese, due classi operaie (Virginia de la Siega)
Lavoratori in sciopero (Piero Maestri)
Dialettica sindacale
La lunga corsa (Angela Pascucci)
Africa, la grande contesa (a.p.)
La scoperta dell’America (a.p.)
Medio Oriente o degli equilibrismi (a.p.)
Russia e Asia centrale, gioco ad alto rischio (a.p.)
Sud Est asiatico: petrolio e nuove alleanze (a.p.)
Rassicurazione strategica (Peter Lee)
Capitalismo e crisi (Martin Hart-Landsberg)
Spesa militare: necessità o minaccia? (Sean Chen e John Feffer)
“Nuova sinistra” e alternativa (Lance Carter)
La rivoluzione dell’acqua (Marco Bersani)
Privi di classe (Bruno Ciccaglione)
Da Ps a Finmeccanica (Gigi Malabarba )
Il nuclerare non ci serve (Angelo Baracca)
Sicurezza nucleare all’italiana (a.b.)
Razzismo padano (Walter Peruzzi)
Anche la Patria dei diritti contro i Rom (Gianluca Paciucci)
Recensioni (Gianluca Paciucci)
Richiedi copia o informazioni a guerrepace@mclink.it
Il costo del numero monografico CONTRADDIZIONI CINESI è di euro 8 (comprensivo delle spese di spedizione)
L’abbonamento annuo -5 numeri- costa euro 40,00.
Il versamento va effettuato ccp 24648206 intestato GUERRE E PACE, MILANO.
venerdì 15 ottobre 2010
Alla ricerca delle botteghe dimenticate e degli artigiani di Pigna
Riprendiamo dal blog Isolacometivorrei, che invitiamo tutti a visitare (è veramente bello), uno studio sugli antichi mestieri nel paese di Pigna nell'estremo Ponente ligure. Ricordiamo che Pigna merita una visita anche per il grandioso ciclo di affreschi del Canavesio conservati nella Parrocchiale di S. Michele. Ringraziamo l'amica Roberta Sala per averci permesso di riprendere l'articolo.
Christiane Eluère
Alla ricerca delle botteghe dimenticate e degli artigiani di Pigna
L’indagine nella strada: un’iniziativa partita dal Museo “La Terra e la Memoria”
Oggi, nel 2006, per circa 950 abitanti registrati a Pigna, esistono nel centro quattro alimentari, di cui uno è anche tabaccaio e un altro trattoria, una macelleria, una farmacia, tre bar, un bar-pasticceria, un panettiere, tre falegnami, un barbiere, un’edicola e casalinghi, un “bazar”, una fiorista. Intanto, per la più parte abbandonate sono ancora visibili in tutto il paese, particolarmente nel centro storico, numerose bottegucce e chioschi con la struttura caratteristica. Ci spingono a chiederci: che cosa c’era dietro queste porte e queste “vetrine-finestre” ormai chiuse? Sarebbe ancora possibile identificare tutti gli artigiani e negozianti, protagonisti della vita quotidiana cinquanta o magari cento anni fa? La curiosità ci ha portati ad iniziare un’indagine concretizzatasi in una mostra provvisoria (1). È il complemento logico di una sala permanente esistente già nel museo “La Terra e la Memoria”, dove si possono vedere il deschetto del calzolaio con tutti gli attrezzi, quello del fabbro, del falegname, ecc.
I ricordi ancora vivi nella memoria collettiva, raccolti intervistando i parenti e i più anziani Pignaschi(2) hanno costituito il nostro punto di partenza. Queste informazioni sono state confrontate e arricchite con alcuni documenti ritrovati nell’archivio comunale (ad esempio, elenchi dei Pesi e Misure ritrovati per gli anni 1950 e 1980). Certi dati ogni tanto ci hanno permesso di risalire fino all’Ottocento, ad esempio le autorizzazioni di licenze per gli alimentari e le osterie (anni 1839-42 e anni 1850). Alla fine dell’Ottocento, i Pignaschi erano più di tre mila (esattamente 3.515 nel 1871 cifra massimale nelle statistiche ufficiali): nel borgo l’attività artigianale e commerciale contribuì a mantenere le basi di una società dinamica che viveva in autarchia.
Questa situazione perdurerà sino alla prima metà del Novecento. Poi a partire degli anni ’60 l’emigrazione, l’esplosione dei mezzi di comunicazioni e dei trasporti, lo spostamento dei nuovi centri economici, saranno la causa di un relativo spopolamento e di cambiamenti di vita, fenomeno generale non soltanto nell’entroterra ligure.
Precedenti operazioni di censimento del patrimonio sono già state condotte dal museo, sia sul tema della pastorizia (3), sia su quello dell’acqua e l’uomo nell’alta Val Nervia (4). Per proseguire il nostro sforzo di catalogazione del patrimonio abbiamo scelto nel 2005 di dedicare la nostra ricerca alla vita quotidiana nel centro di Pigna: strada per strada, abbiamo ricercato l’identità e i nomi degli artigiani che occupavano ogni bottega, con la cronologia delle diverse attività.
È stato scelto il principio di usare i soprannomi, perché, ancora oggi utilizzati, permettono di individuare le famiglie e gli omonimi. Inoltre tutto un gruppo di soprannomi interessano il nostro tema perché evocano i mestieri risalenti spesso a parecchie generazioni: è il caso per “Baster”, “Caregar”, “Cuperativa”, “Fabbri”, “Ferrei”, “Giachei”, “Gibassei”, “Magnin”, “Mercanti”, “Murignar”, “Scurtur”,”Ramassé”, “Capelei”.
Le categorie di artigiani e l’ubicazione delle botteghe
I mestieri artigianali, al di fuori degli ambulanti, comprendono tre grandi categorie: a) quelli legati all’alimentazione: i fornai, i panettieri, gli alimentaristi, i macellai, gli osti; b) quelli legati all’abbigliamento o alla valorizzazione degli individui: i barbieri, i sarti, i calzolai, indirettamente i farmacisti; c) quelli legati alla casa, ai trasporti con le prime diligenze: i fabbri, i maniscalchi, i bastee , i cestai. gli stagnini, i falegnami, i materassai.
Risultano alcune osservazioni di tipo generale: - In certe botteghe, l’attività è stata sempre la stessa, invece in altre è stata diversificata: per esempio in corso De Sonnaz, dove, dopo un ufficio postale, hanno istallato una bottega di barbiere-parrucchiere e un’edicola, poi un negozio di concimi, poi in fine una merceria.
Di fronte, nell’attuale bar “da Daniele” ci fu prima una rosticceria, poi una bottega di calzolaio. Nell’attuale farmacia, all’angolo di via San Rocco, un’osteria esisteva per molto tempo, e così via. - La facoltà di adattamento: capitava che gli artigiani praticassero diversi mestieri: “Gigiù” era calzolaio ma anche barbiere, a Buggio “Lui de Cuje” era falegname e barbiere, e Nello Pastor, prima era calzolaio poi gestore di trattorie.
- La mobilità: alcuni artigiani hanno cambiato spesso indirizzo - l’alimentarista di “Tainin dell’Angioretta”, il barbiere “Jean de Bedoli”, il calzolaio “Nani de Pelun” che si istallò nell’ex bottega del sarto Giacomo Littardi, ne sono alcuni esempi. - La permanenza: le famiglie che hanno praticato lo stesso mestiere o gestirono la stessa bottega per generazioni; questo è evidente per la famiglia dei “Titen”, calzolai per quattro generazioni di cui una con quattro fratelli tutti calzolai, o per questa “dinastia” di macellai “ i Ciuchin”: fino al 2000 “Jeannetta” ne era l’ultima rappresentante, in fine Maria Teresa ancora oggi attiva rappresenta la quarta generazione di un’altra famiglia di macellai, i Salamito, originari di Castelvittorio.
Tuttavia si osserva, col tempo, uno spostamento progressivo della vita economica di Pigna. Nella via Piazza, che comincia di fronte alla chiesa parrocchiale San Michele, dove oggi, un alimentari e un falegname sono le uniche botteghe esistenti, erano attivi più o meno contemporaneamente nella prima metà del Novecento almeno due bar-osterie, due alimentari, uno o due fruttivendoli, due falegnami, un fabbro, due o tre calzolai, uno o due barbieri, un macellaio e uno speziale !
A Pigna le strade più commerciali erano infatti fino alla fine dell’Ottocento ubicate nel borgo o “centro storico”.
Documenti d’archivio menzionano negli anni 1840-1850 parecchie botteghe in questi quartieri centrali: in “La Tagliaa”, in “Li Banchetti”, a “Fornetto”, a “Capoana”, vecchi toponimi che coincidono con le attuali via Roma, via Colla, via Carriera Piana, tutte sotto la piazza Castello. Dunque occupavano ancora il cuore del borgo medioevale.
Per le botteghe di commestibili, che erano una ventina, le autorizzazioni o rinnovi di licenza precisano spesso “farina, pasta, riso ed altri commestibili”, ogni tanto anche “formaggio”. Per le osterie, ce ne sono una decina che sono aperte tra gli anni 1840 e 1850, sia in “Valùn”, in “La Tagliàa”, in via Colla (“contrada Colla”, in “Li Banchetti”), in via Carriera Piana, in strada Pecastel, in via Borgo. Nella redazione delle concessioni rilasciate c’è sempre la menzione “oste sotto l’insegna del ramo di pino” che risale ad un’antichissima tradizione(5).
Probabilmente un lontano ricordo di questa tradizione esisteva anche in un’osteria vicina alla piazza Castello, chiusa alla metà del Novecento, che portava ancora il nome “Frasca di Pino”. Inoltre a Buggio alcuni abitanti si ricordano di aver visto questo tipo d’insegna vegetale sopra la porta di alcune osterie. Nelle parti più recenti del paese, periferiche rispetto al borgo medioevale, sono state censite numerose botteghe probabilmente non anteriori alla fine dell’Ottocento, quando vennero aperti il corso Isnardi e il corso De Sonnaz, strade per arrivare rispettivamente dall’ovest e dall’est del borgo, e soprattutto lungo il fiume Nervia, la via San Rocco che coincide con la strada provinciale, inaugurata nel 1881.
I negozi e le osterie si concentrarono allora anche in queste “nuove” zone. In breve si può dire che verso la fine del primo novecento Pigna ha contato numerosissimi artigiani e botteghe: una buona ventina di caffè-osterie e trattorie, lo stesso numero importante di botteghe di commestibili, fino a quattro o cinque macellerie, sei forni, una decina di sarti, quattro o cinque botteghe di calzolai, e in più tutti quelli che lavoravano in casa. Nella frazione di Buggio che conta oggi soltanto come unico negozio un alimentari, i più anziani abitanti si ricordano ancora di cinque osterie, di almeno tre alimentari, un tabaccaio, tre macellai, tre falegnami, due barbieri, due calzolai, due o tre forni, esistiti nel corso del Novecento.
Le strade di Pigna erano sicuramente molto rumorose e animate, e questa attività degli artigiani, dei negozi, delle osterie, rivela un aspetto oggi troppo dimenticato: quello di un modo di vita “urbano”, verosimilmente come altre comunità della zona – Triora, Tenda, Briga, ecc. Nel passato, Pigna non era soltanto un centro rurale, ma una cittadina con un’organizzazione economica prospera e autonoma, forse non tanto differente dal modo di vita che esisteva qualche secolo fa.
Nel Cinquecento(6), la grande epoca di sviluppo di questi borghi del ponente ligure appartenenti alla casa Savoia, la popolazione di Pigna e di Buggio era approssimativamente di tre mila abitanti, essenzialmente agricoltori, boscaioli, allevatori e pastori. Una parte minore, però significativa, era infatti costituita da commercianti ed artigiani.
La prova: negli statuti comunali risalenti a questo periodo, su un totale di più di trecentoquaranta, una trentina di capitoli riguardano la regolamentazione delle attività dei mugnai, macellai, osti, tavernieri e “gabellotti”.
Alcuni esempi: Molinari devono molere per uno moturale staro due/Fornari che tirano legne domestiche/ Le fornari cocerano il pane di trenta uno/ Vender pane e vino a tutti/ Tavernari e panateri/ Niuno possa vendere pane/ Vendere il latte/ Comprare da figli di famiglia/ Comprare merci in grosso/ Hosti possono vendere pane e vino del suo/ Non si giochera in taverna/ Chi farà carne eccetto il macellaro/ Scorticare di notte/ Lasciar le pelli alle bestie, ecc, ecc...
Lungi dal pretendere di presentare uno studio esauriente, il primo scopo di questa indagine sugli artigiani e sulle botteghe di Pigna è di conservare un pezzo della fragile memoria ancora esistente nel paese e di tracciare per questa parte importante della società pignasca, una prima panoramica. Un tale lavoro di catalogazione è urgente e indispensabile, se vogliamo in seguito realizzare progetti più larghi. Questa ricerca s’inserisce nel programma museografico stabilito dal museo “La Terra e la Memoria” già dal 1997 e approvato dalla Regione Liguria(7) allo scopo di costruire le base di un museo del territorio con la vocazione di riunire l’informazione sull’insieme del patrimonio locale.
Libro della mostra:
C. Eluère, A.-M. Sicardi,, T. e A. Pastor, C. Allavena, 2005, Botteghe ed Artigiani, guida 2, Museo di Pigna “La Terra e la Memoria”, 80 pagine disponibile nel museo di Pigna)
(1) Mostra organizzata dal Museo comunale di Pigna “La Terra e la Memoria”, 14 agosto-30 aprile 2006 nella chiesa San Bernardo a Pigna (im) - www.comune.pigna.im.it - mail: museo@comune.pigna.im.it - tel. 0184.24.10.16 (comune) fax 0184.24.10.59.
(2) È stato possibile realizzare questa indagine grazie alla collaborazione di numerosi pignaschi e particolarmente grazie a: Giulia e Anna Ughetto, Annamaria Sicardi, Cristofino Allavena, Marilena Littardi, Tilde e Alessio Pastor, Carla Rebaudo.
(3) Eluère Christiane e Trutalli Roberto, Dal museo all’alpeggio, la pastorizia a Pigna e a Buggio, Intemelion, 6, 2000, p. 145-170
(4) Eluère Christiane et alii, L’acqua racconta, Pigna, 2004, 80 p.
(5) Infatti, già nel Medioevo le taverne erano i primi negozi che possedevano un’insegna segnaletica sopra la porta. L’albergo pubblico che serviva a garantire alloggio e vitto agli stranieri di passaggio o agli abitanti del luogo era anche distinto da un’insegna visibile che doveva rappresentare un simbolo di pace: rami verdi, ghirlande, botti o banderuole. Nelle grandi città questi simboli erano completati da nomi e altri immagini evocanti un lungo viaggio, come i Re Magi o certe figure di santi.
(6) Cassioli Marco, Pigna e Buggio nel XVI secolo, economia, società, istituzioni attraverso gli statuti comunali e altre fonti inedite, Intemelion, 6, 2000, p. 33-76
(7) Eluère Christiane, Verso un progetto museografico per Pigna, Intemelion, n° 3, 1997, p.
(Da: http://www.isolacometivorrei.com)
giovedì 14 ottobre 2010
Quando muoiono gli olmi
Scoprire che i figli sono diversi da come li immaginiamo e che un "estraneo", diversissimo da noi, può esserci invece tanto vicino da aiutarci a reggere il peso e le ferite della vita: questo il senso di un piccolo/grande film che merita di essere visto.
Armida Lavagna
London River
Un africano con l’argento fra le trecce rasta lotta contro la morte degli olmi francesi. E’ musulmano, si inginocchia a pregare in direzione de La Mecca.
Una donna forte e sola, in Inghilterra, si prende cura dei suoi asini e dei suoi ortaggi. E’ protestante, canta alle funzioni religiose.
Nulla li accomuna, tutto li divide. Finché entrambi si ritrovano a Londra, lei alla ricerca della figlia, lui alla ricerca del figlio; dai due giovani arriva alle famiglie lontane solo silenzio dal giorno dei sanguinosi attentati del 2005 al cuore della capitale inglese, ancora impegnata, all’arrivo dei protagonisti, nel doloroso riconoscimento delle proprie vittime.
I due si ritrovano scomodamente accomunati da qualcosa che lei soprattutto fatica a capire e ad accettare, pur di fronte ad un crogiuolo di colori, di etnie, di cibi e costumi la cui evidenza è incontestabile e incontrastabile.
Alla stazione di polizia, alla domanda se sia musulmano, l’africano risponde “lo siamo”.
Alla scuola di arabo, la donna costernata domanda all’insegnante chi mai parli l’arabo a Londra, e di fronte all’imbarazzata risposta “Un po’ tutti...” reagisce con uno stizzito “non io”, per poi rivelare terrorizzata al fratello che in quella città così irreparabilmente lontana dal fieno della sua fattoria e dal suo mare “sono tutti musulmani”.
Eppure i due hanno molto di più in comune, qualcosa di raro e prezioso: gli anticorpi all’indifferenza e alla diffidenza. Lo rivela lei quando posa le dita intimidite sulle corde di quello strumento musicale di cui nemmeno sospettava l’esistenza, maneggiandolo con una delicatezza che tradisce rispetto. Lo rivela lui quando, giunto a Londra con andatura claudicante e solenne, annusa il profumo dei fiori di un albero, compiendo il gesto con una sacralità che supera il contingente e travalica differenze di paesaggi, culture, preghiere, richiamandosi ad una natura che in ogni luogo si può riconoscere e nella quale dovunque si può riconoscere chi ha mantenuto durante la vita contatto con essa.
Sono gli anticorpi che vaccinano lei dalla paura oscura viscerale del “diverso” che i suoi correligionari spesso dimenticano essere quello che chiamano “prossimo”, lui dalla collera che alcuni suoi fratelli hanno nel cuore, conficcata tanto in profondità da condurli ad uccidere in nome di un dio, collera che egli non esclude possa aver animato il proprio figlio, a lui tanto estraneo.
Anticorpi che bisognerebbe fossero contagiosi, e forse un poco lo sono, se quando vediamo lei percuotere irata la terra, lui arrendersi alla morte di un albero, ci scopriamo a sperarli insieme dove sopravvivono gli ultimi olmi, a dispetto di tutto ciò che li divide. Non importa se non sarà quello il finale, importa che lo abbiamo considerato possibile e desiderabile. Nessuna prova più evidente di quanto sia poco scontato alla prova dei fatti quello che unisce o divide le persone fra loro: un figlio può essere un universo amato ma sconosciuto, un estraneo può aver vissuto una vita uguale o complementare alla nostra abbastanza da permetterci di rispecchiarci in lui e da ringraziarlo con un abbraccio per ciò che intimamente ha condiviso con noi.
London River
Un africano con l’argento fra le trecce rasta lotta contro la morte degli olmi francesi. E’ musulmano, si inginocchia a pregare in direzione de La Mecca.
Una donna forte e sola, in Inghilterra, si prende cura dei suoi asini e dei suoi ortaggi. E’ protestante, canta alle funzioni religiose.
Nulla li accomuna, tutto li divide. Finché entrambi si ritrovano a Londra, lei alla ricerca della figlia, lui alla ricerca del figlio; dai due giovani arriva alle famiglie lontane solo silenzio dal giorno dei sanguinosi attentati del 2005 al cuore della capitale inglese, ancora impegnata, all’arrivo dei protagonisti, nel doloroso riconoscimento delle proprie vittime.
I due si ritrovano scomodamente accomunati da qualcosa che lei soprattutto fatica a capire e ad accettare, pur di fronte ad un crogiuolo di colori, di etnie, di cibi e costumi la cui evidenza è incontestabile e incontrastabile.
Alla stazione di polizia, alla domanda se sia musulmano, l’africano risponde “lo siamo”.
Alla scuola di arabo, la donna costernata domanda all’insegnante chi mai parli l’arabo a Londra, e di fronte all’imbarazzata risposta “Un po’ tutti...” reagisce con uno stizzito “non io”, per poi rivelare terrorizzata al fratello che in quella città così irreparabilmente lontana dal fieno della sua fattoria e dal suo mare “sono tutti musulmani”.
Eppure i due hanno molto di più in comune, qualcosa di raro e prezioso: gli anticorpi all’indifferenza e alla diffidenza. Lo rivela lei quando posa le dita intimidite sulle corde di quello strumento musicale di cui nemmeno sospettava l’esistenza, maneggiandolo con una delicatezza che tradisce rispetto. Lo rivela lui quando, giunto a Londra con andatura claudicante e solenne, annusa il profumo dei fiori di un albero, compiendo il gesto con una sacralità che supera il contingente e travalica differenze di paesaggi, culture, preghiere, richiamandosi ad una natura che in ogni luogo si può riconoscere e nella quale dovunque si può riconoscere chi ha mantenuto durante la vita contatto con essa.
Sono gli anticorpi che vaccinano lei dalla paura oscura viscerale del “diverso” che i suoi correligionari spesso dimenticano essere quello che chiamano “prossimo”, lui dalla collera che alcuni suoi fratelli hanno nel cuore, conficcata tanto in profondità da condurli ad uccidere in nome di un dio, collera che egli non esclude possa aver animato il proprio figlio, a lui tanto estraneo.
Anticorpi che bisognerebbe fossero contagiosi, e forse un poco lo sono, se quando vediamo lei percuotere irata la terra, lui arrendersi alla morte di un albero, ci scopriamo a sperarli insieme dove sopravvivono gli ultimi olmi, a dispetto di tutto ciò che li divide. Non importa se non sarà quello il finale, importa che lo abbiamo considerato possibile e desiderabile. Nessuna prova più evidente di quanto sia poco scontato alla prova dei fatti quello che unisce o divide le persone fra loro: un figlio può essere un universo amato ma sconosciuto, un estraneo può aver vissuto una vita uguale o complementare alla nostra abbastanza da permetterci di rispecchiarci in lui e da ringraziarlo con un abbraccio per ciò che intimamente ha condiviso con noi.
giovedì 7 ottobre 2010
Ilaria Caprioglio, Gomitoli srotolati
Ilaria Caprioglio
Venerdì 8 ottobre 2010 alle ore 17.45 la Libreria Economica con il patrocinio del Circolo degli
Inquieti presenta al Teatro Sacco di Savona “Gomitoli srotolati” il nuovo romanzo di Ilaria
Caprioglio, Liberodiscrivere edizioni.
“Un nuovo inizio nasce sempre da una fine”
riflessioni fra scrittura, musica e pittura con la partecipazione del Maestro Dario Caruso e del Maestro Gianni Celano Giannici. Introduce Gloria Bardi.
Dalla collaborazione tra l'autrice Ilaria Caprioglio e Gianni Celano Giannici è nato il progetto “Art'è vita”a sostegno dell'Associazione Amici Centro Oncologico “Pietro Bianucci”. I fondi raccolti dall'Associazione saranno devolti a sostegno dell'Unità Operativa di Oncologia dell'Ospedale San Paolo di Savona.
Ilaria Caprioglio, oltre che scrittrice, è avvocato tributarista e collabora con la riviste specializzate in diritto tributario “Pratica fiscale”, “Corriere tributario” e “GT-Rivista di giurisprudenza tributaria”. Scrive articoli per il bimestrale culturale “La Civetta”.
Il suo primo romanzo “Milano - Collezioni andata e ritorno”, Liberodiscrivere edizioni, nasce dalla sua personale esperienza di modella, e offre una testimonianza concreta e assolutamente non retorica di quello che è il mondo della moda , oltre che affrontare lo spinoso problema dei disturbi alimentari così attuale e presente nella realtà delle adolescenti di oggi.
A questo primo libro è collegato il progetto di educazione alimentare “In lotta con il cibo”, rivolto alle scuole secondarie di primo e secondo grado. L'autrice, affiancata da dietisti e psicologi, ha visitato numerose scuole affrontando i problemi legati ai disturbi alimentari indotti dallo specchio deformante della nostra società e illustrando i principi alla base di una corretta alimentazione.
mercoledì 6 ottobre 2010
Tiziano Terzani: il kamikaze della pace
Incontro
Immagini, messaggi,valori, scritti: le parole altre di uno
dei più grandi e qualificati giornalisti-scrittori dei nostri tempi
TIZIANO TERZANI:
IL KAMIKAZE DELLA PACEfilm-documentario di riflessione e di introduzione al
confronto - dibattito con la partecipazione di
Immagini, messaggi,valori, scritti: le parole altre di uno
dei più grandi e qualificati giornalisti-scrittori dei nostri tempi
TIZIANO TERZANI:
IL KAMIKAZE DELLA PACEfilm-documentario di riflessione e di introduzione al
confronto - dibattito con la partecipazione di
GIANLUCA PACIUCCI
poeta e scrittore
della Redazione della rivista
GUERRE & PACE
VENERDI' 8 OTTOBRE h.21
Salone via Cavour, 65 - Ventimiglia
L'ingresso è libero !
Organizzano:
Associazione culturale Circolo culturale XXV Aprile/Arci P.P.Pasolini
L'incontro si inserisce nel contesto di "OTTOBRE DI PACE 2010": un contenitore di diverse iniziative sul tema della "pace" nella sua più ampia e varia accezione promosse da una rete di organizzazioni attive sul territorio della provincia di Imperia.
GUERRE & PACE
VENERDI' 8 OTTOBRE h.21
Salone via Cavour, 65 - Ventimiglia
L'ingresso è libero !
Organizzano:
Associazione culturale Circolo culturale XXV Aprile/Arci P.P.Pasolini
L'incontro si inserisce nel contesto di "OTTOBRE DI PACE 2010": un contenitore di diverse iniziative sul tema della "pace" nella sua più ampia e varia accezione promosse da una rete di organizzazioni attive sul territorio della provincia di Imperia.
sabato 2 ottobre 2010
Sandro Lorenzini, Composizioni sospese
Riflettere sull'arte non è un puro esercizio estetico. In una società che ha ridotto ogni forma della vita a spettacolo e in cui l'eccesso e l'urlo regnano sovrani, riscoprire la leggerezza come elemento costitutivo della bellezza significa ripensare un mondo in cui lo stupore e la meraviglia tornino ad essere forme primarie di conoscenza.
(Ringraziamo il Maestro Sandro Lorenzini per l'autorizzazione a riprodurre questo testo introduttivo della Personale "Composizioni sospese” tenuta nel 2007 in Giappone al Shigaraki Ceramic Cultural Park)
Sandro Lorenzini
Composizioni sospese
L’Arte è capace di dare forma bella ad ogni pensiero dell’uomo.
La percezione sensoriale è attratta dal bello, è capace di riconoscerlo e la mente sa risalire dalle percezioni all’idea che sta all’origine dell’evento d’Arte.Questa capacità di risalire all’origine dei fenomeni, di comprenderla e di farla propria è una delle più formidabili facoltà dell’intelligenza.
Tra le categorie che l’uomo sa definire ed in cui l’Arte sa riconoscersi, ve n’è una che è al tempo stesso semplice e rara, pulita e preziosa, autentica e chiara: la leggerezza.
Quelle che amo chiamare “composizioni sospese” sono oggetti dell’arte che abitano il territorio della leggerezza, perché nascono e traggono forma da riflessioni sui concetti di levità, bellezza e verità.
Nel nostro mondo ogni cosa che è grave tende a cadere verso il basso, ineluttabilmente, premendo lungo un asse verticale, adagiando il suo peso sul suolo o sullo statico volume di un inerte piedistallo.
La scultura, da sempre, dichiara un’appartenenza quasi inevitabile alla categoria del peso: i materiali stessi di cui molto spesso è composta (pietre, marmi, metalli, argilla) e l’esser fatta per stare “posata” la costringono a vivere in uno spazio predefinito, non mutevole, dove può accadere che le occasioni per generare stupore siano molto spesso tarpate da posture e collocazioni scontate.
Una scelta di campo in favore della leggerezza implica una variazione drastica dei parametri di collocazione sia fisici che letterari.
Lo stupore e la meraviglia sono strumenti formidabili per attivare meccanismi di conoscenza e di riconoscimento, generando domande sui come e sui perché e stimolando curiosità relative al mistero eterno dell’arte.
Un oggetto di forma bella che vive lo spazio in modo imprevisto, immerso in esso, libero da vincoli statici apparenti, “sospeso” in senso fisico, metaforico, temporale e filosofico, può essere un formidabile generatore di stupore.
Ecco che la scultura, prima ancora di dichiarare i suoi attributi di volume e di armonia, di materia e di colore, di simbolo e di narrazione, si qualifica come fenomeno appartenente alla “leggerezza”.
Una sfera, un cono, sono belli di per sé.
E’ la perfezione astratta delle forme primarie a significare con assolutezza i perfetti valori estetici e la naturale armonia che la geometria contiene in sé.
Lo stesso può dirsi per tutte quelle forme geometriche che potremmo definire secondarie, generate cioè dalla traslazione nello spazio di forme primarie (sfere e coni, appunto) lungo direttrici a loro volta geometriche (rette, curve, spezzate).
Proprio perché manifestazioni visibili dei concetti assoluti che contengono, queste forme primarie o secondarie possiedono nel nostro immaginario fortissimi valori semantici.
Inconsciamente l’uomo cerca nelle forme pure delle identificazioni narrative: ecco che la sfera diviene il sole, il cono il monte, una linea spezzata il fulmine, una sinusoide l’onda.
L’identità semantica suggerita dalla forma assume lo stesso valore assoluto della forma stessa: forma primaria e significato semantico si fondono nel simbolo.
L’immagine diventa un’icona.
Vi sono infinite forme possibili: distaccandosi via via dalla generazione geometrica, operando scelte creative autografe, ci si può addentrare in una selva di altre icone, in cerca di una narrazione più diretta, morfologica, metaforica. Ecco che allora la scelta cade su infiniti possibili archetipi: la mano, il pesce, la fiamma, la nuvola, il fiore e via via.
E’emozionante preparare molteplici moduli ripetuti e ripetibili e costituire un corpus di possibili lettere di un alfabeto universale costituito da forme iconiche, con il quale scrivere parole, o parole con cui scrivere versi, o note con cui scrivere melodie: è il momento sublime in cui la creatività forza il linguaggio a scegliere.
Il lungo, accurato lavoro preparatorio dei moduli, la scelta cosciente delle argille e degli smalti, l’attenzione prestata ad ogni singolo pezzo scopre infine la sua meta creativa nella composizione di un’immagine definita, fatta di alcune forme diverse e simili, contrapposte e rispondenti, dissonanti ed armoniche.
Ecco dunque le mie “composizioni”.
Sospese, se voglio farle vivere nella leggerezza, fluttuare in uno spazio rarefatto, stare, ferme, sulla retta verticale di un semplice filo.
Composizioni sospese
L’Arte è capace di dare forma bella ad ogni pensiero dell’uomo.
La percezione sensoriale è attratta dal bello, è capace di riconoscerlo e la mente sa risalire dalle percezioni all’idea che sta all’origine dell’evento d’Arte.Questa capacità di risalire all’origine dei fenomeni, di comprenderla e di farla propria è una delle più formidabili facoltà dell’intelligenza.
Tra le categorie che l’uomo sa definire ed in cui l’Arte sa riconoscersi, ve n’è una che è al tempo stesso semplice e rara, pulita e preziosa, autentica e chiara: la leggerezza.
Quelle che amo chiamare “composizioni sospese” sono oggetti dell’arte che abitano il territorio della leggerezza, perché nascono e traggono forma da riflessioni sui concetti di levità, bellezza e verità.
Nel nostro mondo ogni cosa che è grave tende a cadere verso il basso, ineluttabilmente, premendo lungo un asse verticale, adagiando il suo peso sul suolo o sullo statico volume di un inerte piedistallo.
La scultura, da sempre, dichiara un’appartenenza quasi inevitabile alla categoria del peso: i materiali stessi di cui molto spesso è composta (pietre, marmi, metalli, argilla) e l’esser fatta per stare “posata” la costringono a vivere in uno spazio predefinito, non mutevole, dove può accadere che le occasioni per generare stupore siano molto spesso tarpate da posture e collocazioni scontate.
Una scelta di campo in favore della leggerezza implica una variazione drastica dei parametri di collocazione sia fisici che letterari.
Lo stupore e la meraviglia sono strumenti formidabili per attivare meccanismi di conoscenza e di riconoscimento, generando domande sui come e sui perché e stimolando curiosità relative al mistero eterno dell’arte.
Un oggetto di forma bella che vive lo spazio in modo imprevisto, immerso in esso, libero da vincoli statici apparenti, “sospeso” in senso fisico, metaforico, temporale e filosofico, può essere un formidabile generatore di stupore.
Ecco che la scultura, prima ancora di dichiarare i suoi attributi di volume e di armonia, di materia e di colore, di simbolo e di narrazione, si qualifica come fenomeno appartenente alla “leggerezza”.
Una sfera, un cono, sono belli di per sé.
E’ la perfezione astratta delle forme primarie a significare con assolutezza i perfetti valori estetici e la naturale armonia che la geometria contiene in sé.
Lo stesso può dirsi per tutte quelle forme geometriche che potremmo definire secondarie, generate cioè dalla traslazione nello spazio di forme primarie (sfere e coni, appunto) lungo direttrici a loro volta geometriche (rette, curve, spezzate).
Proprio perché manifestazioni visibili dei concetti assoluti che contengono, queste forme primarie o secondarie possiedono nel nostro immaginario fortissimi valori semantici.
Inconsciamente l’uomo cerca nelle forme pure delle identificazioni narrative: ecco che la sfera diviene il sole, il cono il monte, una linea spezzata il fulmine, una sinusoide l’onda.
L’identità semantica suggerita dalla forma assume lo stesso valore assoluto della forma stessa: forma primaria e significato semantico si fondono nel simbolo.
L’immagine diventa un’icona.
Vi sono infinite forme possibili: distaccandosi via via dalla generazione geometrica, operando scelte creative autografe, ci si può addentrare in una selva di altre icone, in cerca di una narrazione più diretta, morfologica, metaforica. Ecco che allora la scelta cade su infiniti possibili archetipi: la mano, il pesce, la fiamma, la nuvola, il fiore e via via.
E’emozionante preparare molteplici moduli ripetuti e ripetibili e costituire un corpus di possibili lettere di un alfabeto universale costituito da forme iconiche, con il quale scrivere parole, o parole con cui scrivere versi, o note con cui scrivere melodie: è il momento sublime in cui la creatività forza il linguaggio a scegliere.
Il lungo, accurato lavoro preparatorio dei moduli, la scelta cosciente delle argille e degli smalti, l’attenzione prestata ad ogni singolo pezzo scopre infine la sua meta creativa nella composizione di un’immagine definita, fatta di alcune forme diverse e simili, contrapposte e rispondenti, dissonanti ed armoniche.
Ecco dunque le mie “composizioni”.
Sospese, se voglio farle vivere nella leggerezza, fluttuare in uno spazio rarefatto, stare, ferme, sulla retta verticale di un semplice filo.
Sandro Lorenzini nasce a Savona nel 1948. Diplomatosi in scenografia all'Accademia di Belle Arti di Brera lavora alla Scala e al Piccolo Teatro di Milano. Intorno alla metà degli anni Settanta prende a frequentare l'ambiente artistico albisolese e a dedicarsi alla ceramica e poi alla scultura. Dal 1984 tiene corsi di ceramica all' Università di Berkeley e alla California State University di San Josè. Intensa la sua attività espositiva in Italia e all'estero, soprattutto in Francia, Germania, Stati Uniti, Cina e Giappone.
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