TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 15 ottobre 2010

Alla ricerca delle botteghe dimenticate e degli artigiani di Pigna


Riprendiamo dal blog Isolacometivorrei, che invitiamo tutti a visitare (è veramente bello), uno studio sugli antichi mestieri nel paese di Pigna nell'estremo Ponente ligure. Ricordiamo che Pigna merita una visita anche per il grandioso ciclo di affreschi del Canavesio conservati nella Parrocchiale di S. Michele. Ringraziamo l'amica Roberta Sala per averci permesso di riprendere l'articolo.


Christiane Eluère

Alla ricerca delle botteghe dimenticate e degli artigiani di Pigna





L’indagine nella strada: un’iniziativa partita dal Museo “La Terra e la Memoria”

Oggi, nel 2006, per circa 950 abitanti registrati a Pigna, esistono nel centro quattro alimentari, di cui uno è anche tabaccaio e un altro trattoria, una macelleria, una farmacia, tre bar, un bar-pasticceria, un panettiere, tre falegnami, un barbiere, un’edicola e casalinghi, un “bazar”, una fiorista. Intanto, per la più parte abbandonate sono ancora visibili in tutto il paese, particolarmente nel centro storico, numerose bottegucce e chioschi con la struttura caratteristica. Ci spingono a chiederci: che cosa c’era dietro queste porte e queste “vetrine-finestre” ormai chiuse? Sarebbe ancora possibile identificare tutti gli artigiani e negozianti, protagonisti della vita quotidiana cinquanta o magari cento anni fa? La curiosità ci ha portati ad iniziare un’indagine concretizzatasi in una mostra provvisoria (1). È il complemento logico di una sala permanente esistente già nel museo “La Terra e la Memoria”, dove si possono vedere il deschetto del calzolaio con tutti gli attrezzi, quello del fabbro, del falegname, ecc.
I ricordi ancora vivi nella memoria collettiva, raccolti intervistando i parenti e i più anziani Pignaschi(2) hanno costituito il nostro punto di partenza. Queste informazioni sono state confrontate e arricchite con alcuni documenti ritrovati nell’archivio comunale (ad esempio, elenchi dei Pesi e Misure ritrovati per gli anni 1950 e 1980). Certi dati ogni tanto ci hanno permesso di risalire fino all’Ottocento, ad esempio le autorizzazioni di licenze per gli alimentari e le osterie (anni 1839-42 e anni 1850). Alla fine dell’Ottocento, i Pignaschi erano più di tre mila (esattamente 3.515 nel 1871 cifra massimale nelle statistiche ufficiali): nel borgo l’attività artigianale e commerciale contribuì a mantenere le basi di una società dinamica che viveva in autarchia.
Questa situazione perdurerà sino alla prima metà del Novecento. Poi a partire degli anni ’60 l’emigrazione, l’esplosione dei mezzi di comunicazioni e dei trasporti, lo spostamento dei nuovi centri economici, saranno la causa di un relativo spopolamento e di cambiamenti di vita, fenomeno generale non soltanto nell’entroterra ligure.
Precedenti operazioni di censimento del patrimonio sono già state condotte dal museo, sia sul tema della pastorizia (3), sia su quello dell’acqua e l’uomo nell’alta Val Nervia (4). Per proseguire il nostro sforzo di catalogazione del patrimonio abbiamo scelto nel 2005 di dedicare la nostra ricerca alla vita quotidiana nel centro di Pigna: strada per strada, abbiamo ricercato l’identità e i nomi degli artigiani che occupavano ogni bottega, con la cronologia delle diverse attività.
È stato scelto il principio di usare i soprannomi, perché, ancora oggi utilizzati, permettono di individuare le famiglie e gli omonimi. Inoltre tutto un gruppo di soprannomi interessano il nostro tema perché evocano i mestieri risalenti spesso a parecchie generazioni: è il caso per “Baster”, “Caregar”, “Cuperativa”, “Fabbri”, “Ferrei”, “Giachei”, “Gibassei”, “Magnin”, “Mercanti”, “Murignar”, “Scurtur”,”Ramassé”, “Capelei”.



Le categorie di artigiani e l’ubicazione delle botteghe

I mestieri artigianali, al di fuori degli ambulanti, comprendono tre grandi categorie: a) quelli legati all’alimentazione: i fornai, i panettieri, gli alimentaristi, i macellai, gli osti; b) quelli legati all’abbigliamento o alla valorizzazione degli individui: i barbieri, i sarti, i calzolai, indirettamente i farmacisti; c) quelli legati alla casa, ai trasporti con le prime diligenze: i fabbri, i maniscalchi, i bastee , i cestai. gli stagnini, i falegnami, i materassai.
Risultano alcune osservazioni di tipo generale: - In certe botteghe, l’attività è stata sempre la stessa, invece in altre è stata diversificata: per esempio in corso De Sonnaz, dove, dopo un ufficio postale, hanno istallato una bottega di barbiere-parrucchiere e un’edicola, poi un negozio di concimi, poi in fine una merceria.
Di fronte, nell’attuale bar “da Daniele” ci fu prima una rosticceria, poi una bottega di calzolaio. Nell’attuale farmacia, all’angolo di via San Rocco, un’osteria esisteva per molto tempo, e così via. - La facoltà di adattamento: capitava che gli artigiani praticassero diversi mestieri: “Gigiù” era calzolaio ma anche barbiere, a Buggio “Lui de Cuje” era falegname e barbiere, e Nello Pastor, prima era calzolaio poi gestore di trattorie.
- La mobilità: alcuni artigiani hanno cambiato spesso indirizzo - l’alimentarista di “Tainin dell’Angioretta”, il barbiere “Jean de Bedoli”, il calzolaio “Nani de Pelun” che si istallò nell’ex bottega del sarto Giacomo Littardi, ne sono alcuni esempi. - La permanenza: le famiglie che hanno praticato lo stesso mestiere o gestirono la stessa bottega per generazioni; questo è evidente per la famiglia dei “Titen”, calzolai per quattro generazioni di cui una con quattro fratelli tutti calzolai, o per questa “dinastia” di macellai “ i Ciuchin”: fino al 2000 “Jeannetta” ne era l’ultima rappresentante, in fine Maria Teresa ancora oggi attiva rappresenta la quarta generazione di un’altra famiglia di macellai, i Salamito, originari di Castelvittorio.
Tuttavia si osserva, col tempo, uno spostamento progressivo della vita economica di Pigna. Nella via Piazza, che comincia di fronte alla chiesa parrocchiale San Michele, dove oggi, un alimentari e un falegname sono le uniche botteghe esistenti, erano attivi più o meno contemporaneamente nella prima metà del Novecento almeno due bar-osterie, due alimentari, uno o due fruttivendoli, due falegnami, un fabbro, due o tre calzolai, uno o due barbieri, un macellaio e uno speziale !
A Pigna le strade più commerciali erano infatti fino alla fine dell’Ottocento ubicate nel borgo o “centro storico”.
Documenti d’archivio menzionano negli anni 1840-1850 parecchie botteghe in questi quartieri centrali: in “La Tagliaa”, in “Li Banchetti”, a “Fornetto”, a “Capoana”, vecchi toponimi che coincidono con le attuali via Roma, via Colla, via Carriera Piana, tutte sotto la piazza Castello. Dunque occupavano ancora il cuore del borgo medioevale.
Per le botteghe di commestibili, che erano una ventina, le autorizzazioni o rinnovi di licenza precisano spesso “farina, pasta, riso ed altri commestibili”, ogni tanto anche “formaggio”. Per le osterie, ce ne sono una decina che sono aperte tra gli anni 1840 e 1850, sia in “Valùn”, in “La Tagliàa”, in via Colla (“contrada Colla”, in “Li Banchetti”), in via Carriera Piana, in strada Pecastel, in via Borgo. Nella redazione delle concessioni rilasciate c’è sempre la menzione “oste sotto l’insegna del ramo di pino” che risale ad un’antichissima tradizione(5).
Probabilmente un lontano ricordo di questa tradizione esisteva anche in un’osteria vicina alla piazza Castello, chiusa alla metà del Novecento, che portava ancora il nome “Frasca di Pino”. Inoltre a Buggio alcuni abitanti si ricordano di aver visto questo tipo d’insegna vegetale sopra la porta di alcune osterie. Nelle parti più recenti del paese, periferiche rispetto al borgo medioevale, sono state censite numerose botteghe probabilmente non anteriori alla fine dell’Ottocento, quando vennero aperti il corso Isnardi e il corso De Sonnaz, strade per arrivare rispettivamente dall’ovest e dall’est del borgo, e soprattutto lungo il fiume Nervia, la via San Rocco che coincide con la strada provinciale, inaugurata nel 1881.
I negozi e le osterie si concentrarono allora anche in queste “nuove” zone. In breve si può dire che verso la fine del primo novecento Pigna ha contato numerosissimi artigiani e botteghe: una buona ventina di caffè-osterie e trattorie, lo stesso numero importante di botteghe di commestibili, fino a quattro o cinque macellerie, sei forni, una decina di sarti, quattro o cinque botteghe di calzolai, e in più tutti quelli che lavoravano in casa. Nella frazione di Buggio che conta oggi soltanto come unico negozio un alimentari, i più anziani abitanti si ricordano ancora di cinque osterie, di almeno tre alimentari, un tabaccaio, tre macellai, tre falegnami, due barbieri, due calzolai, due o tre forni, esistiti nel corso del Novecento.



La riscoperta del carattere urbano di Pigna

Le strade di Pigna erano sicuramente molto rumorose e animate, e questa attività degli artigiani, dei negozi, delle osterie, rivela un aspetto oggi troppo dimenticato: quello di un modo di vita “urbano”, verosimilmente come altre comunità della zona – Triora, Tenda, Briga, ecc. Nel passato, Pigna non era soltanto un centro rurale, ma una cittadina con un’organizzazione economica prospera e autonoma, forse non tanto differente dal modo di vita che esisteva qualche secolo fa.
Nel Cinquecento(6), la grande epoca di sviluppo di questi borghi del ponente ligure appartenenti alla casa Savoia, la popolazione di Pigna e di Buggio era approssimativamente di tre mila abitanti, essenzialmente agricoltori, boscaioli, allevatori e pastori. Una parte minore, però significativa, era infatti costituita da commercianti ed artigiani.
La prova: negli statuti comunali risalenti a questo periodo, su un totale di più di trecentoquaranta, una trentina di capitoli riguardano la regolamentazione delle attività dei mugnai, macellai, osti, tavernieri e “gabellotti”.
Alcuni esempi: Molinari devono molere per uno moturale staro due/Fornari che tirano legne domestiche/ Le fornari cocerano il pane di trenta uno/ Vender pane e vino a tutti/ Tavernari e panateri/ Niuno possa vendere pane/ Vendere il latte/ Comprare da figli di famiglia/ Comprare merci in grosso/ Hosti possono vendere pane e vino del suo/ Non si giochera in taverna/ Chi farà carne eccetto il macellaro/ Scorticare di notte/ Lasciar le pelli alle bestie, ecc, ecc...
Lungi dal pretendere di presentare uno studio esauriente, il primo scopo di questa indagine sugli artigiani e sulle botteghe di Pigna è di conservare un pezzo della fragile memoria ancora esistente nel paese e di tracciare per questa parte importante della società pignasca, una prima panoramica. Un tale lavoro di catalogazione è urgente e indispensabile, se vogliamo in seguito realizzare progetti più larghi. Questa ricerca s’inserisce nel programma museografico stabilito dal museo “La Terra e la Memoria” già dal 1997 e approvato dalla Regione Liguria(7) allo scopo di costruire le base di un museo del territorio con la vocazione di riunire l’informazione sull’insieme del patrimonio locale.

Libro della mostra:
C. Eluère, A.-M. Sicardi,, T. e A. Pastor, C. Allavena, 2005, Botteghe ed Artigiani, guida 2, Museo di Pigna “La Terra e la Memoria”, 80 pagine disponibile nel museo di Pigna)

(1) Mostra organizzata dal Museo comunale di Pigna “La Terra e la Memoria”, 14 agosto-30 aprile 2006 nella chiesa San Bernardo a Pigna (im) - www.comune.pigna.im.it - mail: museo@comune.pigna.im.it - tel. 0184.24.10.16 (comune) fax 0184.24.10.59.
(2) È stato possibile realizzare questa indagine grazie alla collaborazione di numerosi pignaschi e particolarmente grazie a: Giulia e Anna Ughetto, Annamaria Sicardi, Cristofino Allavena, Marilena Littardi, Tilde e Alessio Pastor, Carla Rebaudo.
(3) Eluère Christiane e Trutalli Roberto, Dal museo all’alpeggio, la pastorizia a Pigna e a Buggio, Intemelion, 6, 2000, p. 145-170
(4) Eluère Christiane et alii, L’acqua racconta, Pigna, 2004, 80 p.
(5) Infatti, già nel Medioevo le taverne erano i primi negozi che possedevano un’insegna segnaletica sopra la porta. L’albergo pubblico che serviva a garantire alloggio e vitto agli stranieri di passaggio o agli abitanti del luogo era anche distinto da un’insegna visibile che doveva rappresentare un simbolo di pace: rami verdi, ghirlande, botti o banderuole. Nelle grandi città questi simboli erano completati da nomi e altri immagini evocanti un lungo viaggio, come i Re Magi o certe figure di santi.
(6) Cassioli Marco, Pigna e Buggio nel XVI secolo, economia, società, istituzioni attraverso gli statuti comunali e altre fonti inedite, Intemelion, 6, 2000, p. 33-76
(7) Eluère Christiane, Verso un progetto museografico per Pigna, Intemelion, n° 3, 1997, p.



(Da: http://www.isolacometivorrei.com)