TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 2 ottobre 2010

Sandro Lorenzini, Composizioni sospese


Riflettere sull'arte non è un puro esercizio estetico. In una società che ha ridotto ogni forma della vita a spettacolo e in cui l'eccesso e l'urlo regnano sovrani, riscoprire la leggerezza come elemento costitutivo della bellezza significa ripensare un mondo in cui lo stupore e la meraviglia tornino ad essere forme primarie di conoscenza.
(Ringraziamo il Maestro Sandro Lorenzini per l'autorizzazione a riprodurre questo testo introduttivo della Personale "Composizioni sospese” tenuta nel 2007 in Giappone al Shigaraki Ceramic Cultural Park)

Sandro Lorenzini

Composizioni sospese


L’Arte è capace di dare forma bella ad ogni pensiero dell’uomo.
La percezione sensoriale è attratta dal bello, è capace di riconoscerlo e la mente sa risalire dalle percezioni all’idea che sta all’origine dell’evento d’Arte.Questa capacità di risalire all’origine dei fenomeni, di comprenderla e di farla propria è una delle più formidabili facoltà dell’intelligenza.
Tra le categorie che l’uomo sa definire ed in cui l’Arte sa riconoscersi, ve n’è una che è al tempo stesso semplice e rara, pulita e preziosa, autentica e chiara: la leggerezza.
Quelle che amo chiamare “composizioni sospese” sono oggetti dell’arte che abitano il territorio della leggerezza, perché nascono e traggono forma da riflessioni sui concetti di levità, bellezza e verità.
Nel nostro mondo ogni cosa che è grave tende a cadere verso il basso, ineluttabilmente, premendo lungo un asse verticale, adagiando il suo peso sul suolo o sullo statico volume di un inerte piedistallo.
La scultura, da sempre, dichiara un’appartenenza quasi inevitabile alla categoria del peso: i materiali stessi di cui molto spesso è composta (pietre, marmi, metalli, argilla) e l’esser fatta per stare “posata” la costringono a vivere in uno spazio predefinito, non mutevole, dove può accadere che le occasioni per generare stupore siano molto spesso tarpate da posture e collocazioni scontate.
Una scelta di campo in favore della leggerezza implica una variazione drastica dei parametri di collocazione sia fisici che letterari.
Lo stupore e la meraviglia sono strumenti formidabili per attivare meccanismi di conoscenza e di riconoscimento, generando domande sui come e sui perché e stimolando curiosità relative al mistero eterno dell’arte.
Un oggetto di forma bella che vive lo spazio in modo imprevisto, immerso in esso, libero da vincoli statici apparenti, “sospeso” in senso fisico, metaforico, temporale e filosofico, può essere un formidabile generatore di stupore.
Ecco che la scultura, prima ancora di dichiarare i suoi attributi di volume e di armonia, di materia e di colore, di simbolo e di narrazione, si qualifica come fenomeno appartenente alla “leggerezza”.
Una sfera, un cono, sono belli di per sé.
E’ la perfezione astratta delle forme primarie a significare con assolutezza i perfetti valori estetici e la naturale armonia che la geometria contiene in sé.
Lo stesso può dirsi per tutte quelle forme geometriche che potremmo definire secondarie, generate cioè dalla traslazione nello spazio di forme primarie (sfere e coni, appunto) lungo direttrici a loro volta geometriche (rette, curve, spezzate).
Proprio perché manifestazioni visibili dei concetti assoluti che contengono, queste forme primarie o secondarie possiedono nel nostro immaginario fortissimi valori semantici.
Inconsciamente l’uomo cerca nelle forme pure delle identificazioni narrative: ecco che la sfera diviene il sole, il cono il monte, una linea spezzata il fulmine, una sinusoide l’onda.
L’identità semantica suggerita dalla forma assume lo stesso valore assoluto della forma stessa: forma primaria e significato semantico si fondono nel simbolo.
L’immagine diventa un’icona.
Vi sono infinite forme possibili: distaccandosi via via dalla generazione geometrica, operando scelte creative autografe, ci si può addentrare in una selva di altre icone, in cerca di una narrazione più diretta, morfologica, metaforica. Ecco che allora la scelta cade su infiniti possibili archetipi: la mano, il pesce, la fiamma, la nuvola, il fiore e via via.
E’emozionante preparare molteplici moduli ripetuti e ripetibili e costituire un corpus di possibili lettere di un alfabeto universale costituito da forme iconiche, con il quale scrivere parole, o parole con cui scrivere versi, o note con cui scrivere melodie: è il momento sublime in cui la creatività forza il linguaggio a scegliere.
Il lungo, accurato lavoro preparatorio dei moduli, la scelta cosciente delle argille e degli smalti, l’attenzione prestata ad ogni singolo pezzo scopre infine la sua meta creativa nella composizione di un’immagine definita, fatta di alcune forme diverse e simili, contrapposte e rispondenti, dissonanti ed armoniche.
Ecco dunque le mie “composizioni”.
Sospese, se voglio farle vivere nella leggerezza, fluttuare in uno spazio rarefatto, stare, ferme, sulla retta verticale di un semplice filo.


Sandro Lorenzini nasce a Savona nel 1948. Diplomatosi in scenografia all'Accademia di Belle Arti di Brera lavora alla Scala e al Piccolo Teatro di Milano. Intorno alla metà degli anni Settanta prende a frequentare l'ambiente artistico albisolese e a dedicarsi alla ceramica e poi alla scultura. Dal 1984 tiene corsi di ceramica all' Università di Berkeley e alla California State University di San Josè. Intensa la sua attività espositiva in Italia e all'estero, soprattutto in Francia, Germania, Stati Uniti, Cina e Giappone.