TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 28 novembre 2012

La Riviera Ligure: Ripensando Calvino


E' disponibile l'ultimo quaderno de “La Riviera Ligure”, il bel quadrimestrale della Fondazione Novaro di Genova, interamente dedicato ai quarant'anni de Le città invisibili di Italo Calvino. Ulteriore testimonianza, se mai ce ne fosse bisogno, di quanto ancora l'opera dello scrittore sanremese rimanga attuale e aperta a continui approfondimenti e riflessioni. Del quaderno, davvero assai ricco e stimolante, pubblichiamo l'incipit del corposo saggio di apertura di Giorgio Bertone e l'indice.

Giorgio Bertone

Quarant'anni dopo

Che cosa ci dicono, che cosa ci suggeriscono, insegnano Le città invisibili a quarant'anni dalla loro apparizione meravigliante? (E, fra poco, aggiungiamo, a novant'anni dalla nascita di Calvino, se si vuole cogliere anche questo pretesto aritmetico).

Che cosa ci dicono, al di là dell'eleganza, del tenace e minuzioso gioco combinatorio, persino ascetico (la griglia precisa delle cinquantacinque città divise in nove gruppi e a loro volta divisi in rubriche cicliche: Le città e la memoria, Le città e i segni, Le città e i desideri eccetera), della perfezione stilistica e definitoria (“L'atrove è uno specchio in negativo.

Il viaggiatore riconosce il posto che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà”) dell'agilità linguistica (“[Armilla] non ha nulla che la faccia sembrare una città, eccetto le tubature dell'acqua, che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove dovrebbero esserci i piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni troppopieni”), ancor oggi intatta, ammirevole, godibile, persino di per sé accresciuta nel valore pedagogico-sociale di una lingua che è l'opposto della banalità, dell'imprecisione quotidiana, anche scritta (nuovi sistemi di comunicazione digitale subito inclusi, perchè primeggianti), senza mai essere puro esercizio formale e retorico tanto la figura, l'emblema ci impegna la mente.

(...)



Sommario

Giorgio Bertone
Quarant'anni dopo

Gerson Maceri
La cinquantaseiesima città invisibile

Giorgio Bertone- Loretta Marchi
La formica argentina

Veronica Pesce
La formica in biblioteca

Claudio Bertieri
Lo sguardo di Palomar, “l'uomo-cinema”. Dalla pagina allo schermo televisivo

Leo Lecci
Qualche nota su Calvino e l'arte figurativa

“Città invisibili”
Dodici artisti per Italo Calvino: testi e immagini



Ripensando Italo Calvino
La Riviera Ligure
Quaderni quadrimestrali della Fondazione Mario Novaro
Anno XXIII – Numero 2 (69), settembre-dicembre 2012

Per informazioni e richieste:


Città invisibili è anche una mostra:




martedì 20 novembre 2012

Partigiani martiri della Resistenza


Per capire il presente: due nuove opere pubblicate da Massari Editore

Roberto Massari, sincero amico e compagno di tante battaglie, oltre che editore di qualche nostro libriccino, ritorna in libreria con due volumi di grande utilità per comprendere il presente di questo nostro malandato Paese e non solo.

giovedì 8 novembre 2012

Savona: Concerto per San Martino






















CONCERTO PER SAN MARTINO
Musica Rinascimentale e Barocca

DOMENICA 11 NOVEMBRE, ore 21
Oratorio di San Dalmazio, Lavagnola (Savona)

martedì 6 novembre 2012

Franco Astengo, Non deporre il filo rosso del ragionamento



L'anniversario della rivoluzione d'ottobre come occasione per un ripensamento dell'esperienza e della teoria socialista, questo l'invito di Franco Astengo tanto più attuale nel vuoto assoluto di pensiero critico che oggi affligge la sinistra (e non solo in Italia).

Franco Astengo


7 Novembre 1917: non deporre il filo rosso del ragionamento

Scrive Lucio Magri nel suo “Sarto di Ulm”: sono infatti diventato comunista, per ragioni d’età, quando la temperie del fascismo e della Resistenza si era chiusa da un decennio, anzi dopo il XX congresso del PCUS e i fatti d’Ungheria, e dopo aver letto oltre a Marx, Lenin e Gramsci anche Trockij e il marxismo occidentale eterodosso. Non posso dunque dire: l’ho fatto per combattere meglio il fascismo, oppure dello stalinismo e delle “purghe” non sapevo nulla. Ci sono entrato, perché credevo, come ho continuato poi a credere, a un progetto radicale di cambiamento della società di cui occorreva sopportare i costi”.

A 95 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, da cui giorno che John Reed definì come “ I dieci giorni che sconvolsero il mondo”, prendo a prestito le parole di Magri per cercare di argomentare ciò che ho cercato di descrivere nel titolo: non deporre il filo rosso del ragionamento.

Argomenterò questa mia necessità seguendo il filone indicato da un grande pensatore marxista, Eric J. Hobsbawn nel suo “Il Secolo Breve, 1914-1991”, riprendendo letteralmente dal suo testo una citazione di Marx del 1859 : “ Nella produzione sociale dei loro mezzi di sussistenza gli esseri umani entrano in relazioni determinate e necessarie, indipendenti dalla loro volontà, relazioni produttive che corrispondono a uno stadio determinato nello sviluppo delle forze produttive materiali…In una certa fase del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con le relazioni produttive esistenti, ossia, ciò che non è altro che l’espressione legale di queste, con le relazioni di proprietà entro le quali esse si erano mosse precedentemente. Da forme di sviluppo della forze produttive queste relazioni si sono trasformate nelle loro catene. Entriamo allora in un’epoca di rivoluzione sociale”.

Ecco descritto, profeticamente in anticipo, il conflitto tra le forze di produzione e la sovrastruttura sociale, istituzionale ed ideologica che, dalla Rivoluzione d’Ottobre in avanti, aveva trasformato una economia agraria in una economia industriale avanzate, dentro alle grandi temperie del ‘900 tra le quali si è collocata, al centro, la grande tragedia della Seconda Guerra Mondiale e poi il dipanarsi complesso e difficile di quella che è stata definita “Guerra Fredda”.

I problemi che “l’umanità” o piuttosto i bolscevichi si erano posti nel 1917 non erano risolubili nelle loro circostanze di tempo e di luogo, o lo erano solo molto parzialmente. Oggi ci vorrebbe un grado di fiducia molto alto per sostenere che è visibile una soluzione nel futuro prossimo per i problemi scaturiti dal crollo del comunismo sovietico o per affermare che ogni soluzione che si offrirà nella prossima generazione potrà rappresentare un punto di progresso.

La situazione che si trova di fronte a noi appare chiara: con il crollo dell’URSS l’esperimento del “socialismo reale” è terminato. Infatti, anche dove sono sopravvissuti regimi comunisti come in Cina essi hanno abbandonato l’idea originale di una economia controllata dal centro e pianificata dallo stato in una società completamente collettivizzata, oppure l’idea di una economia cooperativa senza mercato né proprietà privata. Non possiamo però cedere senza combattere la battaglia delle idee rispetto alle tesi di Huntington e Fukuyama : la storia non è finita!

Il punto sul quale ragionare ancora, proprio oggi nella ricorrenza della data della presa del potere da parte dei bolscevichi, riguarda il fatto che l’esperimento sovietico non era stato concepito come alternativa globale al capitalismo, ma come risposta specifica alla situazione peculiare di un paese come la Russia. Il fallimento della rivoluzione mondiale, tra la fine degli anni’10 e l’inizio degli anni’20 nell’immediato indomani della seconda guerra mondiale, portò così all’emergere della linea del “socialismo in un paese solo” e, quindi, all’assunzione di quel compito di alternativa globale, sulla base del quale l’URSS ottenne comunque notevoli risultati, a partire dalla costruzione degli altri Partiti Comunisti e della vittoria nella seconda guerra mondiale.
L’esito, però, è stato quello già rilevabile nel vizio d’origine (Plechanov scrisse: che la Rivoluzione d’Ottobre potrà portare, nel migliore dei casi, ad un “Impero cinese tinto di rosso”). L’impossibilità di rappresentare, da parte del comunismo sovietico, una alternativa globale al capitalismo ha così portato, alla fine, al rivelarsi di una economia senza sbocchi e ad un sistema politico al riguardo del quale non è possibile esprimere certamente un giudizio positivo.

Il nocciolo della nostra riflessione deve però risiedere, oggi come oggi (dopo almeno due decenni di arresto di qualsiasi tentativo di sviluppo in avanti di un pensiero “critico”, al di fuori dalle logiche della globalizzazione e dell’altermondismo, ma considerando tutti gli sviluppi verificatisi sul terreno dell’economia, dell’innovazione tecnologica, del ruolo degli “Stati-nazione”, della diversità e complessità dei livelli di sviluppo nell’ambito del pianeta) nel cercare di comprendere fino a che punto il fallimento dell’esperimento sovietico abbia messo in dubbio l’intero progetto del socialismo tradizionale, cioè il progetto di una economia basata essenzialmente sulla proprietà sociale e sulla direzione pianificata dei mezzi di produzione, di distribuzione e di scambio. Si tratta di aprire un vero e proprio filone di pensiero, tante volte enunciato, ma mai praticato: si tratta di separare la questione del socialismo in generale da quello dell’esperienza specifica del “socialismo reale”, con coraggio e curiosità intellettuale.

Proprio l’incapacità dell’economia di tipo sovietico a riformarsi in un “socialismo di mercato”, come pure si è tanto di fare dimostra con chiarezza come il fallimento del socialismo sovietico non intacchi la possibilità di esplorare la possibilità di altri tipi di socialismo, intesi – davvero – come alternativa di società e quindi di espressione di una cultura politica assolutamente autonoma ed in grado di affrontare le grandi contraddizioni dell’oggi, dal punto di vista della difficoltà della condizione sociale delle grandi masse.

Non mi addentro nell’analisi delle visioni profetiche di cui pure disponiamo (Hilferding sulla finanziarizzazione, Luxemburg sul “socialismo o barbarie”, Gramsci sull’egemonia, tanto per fare soltanto alcuni esempi). Concludo ribadendo, appunto: non deponiamo il filo rosso del ragionamento.

lunedì 5 novembre 2012

Beppe Dellepiane, Ombra e sogno sono il peso della luce




BEPPE DELLEPIANE
OMBRA E SOGNO SONO IL PESO DELLA LUCE
a cura di Sandro Ricaldone

Palazzo Ducale, Cortile maggiore, Spazio 42R
Piazza Matteotti – Genova
dal 9 novembre all’8 dicembre 2012

orario: martedì – domenica 15-19
Inaugurazione: venerdì 9 novembre 2012, ore 18,00


Beppe Dellepiane presenta, nella mostra allestita nello Spazio 42R di Palazzo Ducale, unitamente ad alcune opere che documentano fasi antecedenti della sua ricerca, un vasto insieme di lavori su carta realizzati nel corso del 2011.

In queste opere, realizzate come sempre con materiali e procedimenti non tradizionali, con un segno ottenuto dall’addensarsi della tempera nelle incisioni praticate sul foglio, condensa nella superficie schiarita un’atmosfera onirica dove le figure spiccano, circoscritte in profili elementari, come parvenze cristalline.

Beppe Dellepiane è nato nel 1937 a Genova, nel quartiere di Bolzaneto, caratterizzato da una forte presenza di stabilimenti industriali ma contiguo ad un ambiente naturale ricco di fascino, fattori entrambi che segnano profondamente la sua formazione. Dopo gli studi secondari si impiega in un negozio di arredamento, attività che proseguirà in proprio dopo il matrimonio nel 1963 con Nelly Riva. Le sue prime prove artistiche risalgono agli anni ’50 e si intensificano nel decennio successivo con il ciclo delle “radici della terra” dove la lezione dell’Informale viene legata alla materia vegetale, per poi accostarsi in maniera autonoma all’ambito della poesia visiva. A partire dagli anni ’70 intraprende un’intensa attività di performer che lo porta alla ribalta nazionale. Nel contempo realizza grandi assemblaggi di oggetti degradati dal forte substrato simbolico. Nel 1984 la scomparsa della figlia Francesca determina una profonda crisi esistenziale che lo porta a sospendere l’attività espositiva, che poco prima aveva toccato una delle sue punte più alte con la mostra “A Guido Gozzano” allestita a Genova, nel Museo di Palazzo Bianco. Il suo ritorno, nel 1998, è segnato dalla grande retrospettiva “Metafore, metonimie, trasmutazioni”, curata da Sandra Solimano per il Museo di Villa Croce. Negli ultimi anni il suo lavoro si orienta verso una produzione grafica d’impronta visionaria, esposta in diverse sedi italiane ed estere.




Sanremo: Città invisibili. Dodici artisti per Italo Calvino




“CITTÀ INVISIBILI”
Dodici artisti per Italo Calvino

Una mostra allestita al
MUSEO CIVICO di PALAZZO BOREA D’OLMO - SANREMO
16 novembre 2012 - 26 gennaio 2013


La Fondazione Mario Novaro prosegue la quasi trentennale attività di studio e approfondimento intorno alla cultura ligure, realizzando una mostra dedicata a Le città invisibili di Italo Calvino, nel quarantennale della sua prima edizione (Einaudi, 1972). L’esposizione, promossa dalla Fondazione Novaro e dal Museo civico di Sanremo, con il patrocinio della Regione Liguria e dell’Archivio d’Arte Contemporanea dell’Uni­ver­sità di Genova, con il sostegno del Comune di Sanremo e dell’associazione “Mete di Liguria”, sarà inaugurata il 16 novembre (ore 18) a Palazzo Borea d’Olmo (via Matteotti 143), dove si potrà visitare fino al 26 gennaio 2013 (dal martedì al sabato, ore 9-19).

Curata da Walter Di Giusto, la mostra riunisce le opere di dodici artisti o gruppi: Maria Rebecca Ballestra, Piergiorgio Colombara, Walter Di Giusto, Mario Dondero, Luca Forno, Raffaele Maurici, Giuliano Menegon, Plinio Mesciulam, Raimondo Sirotti, Luiso Sturla, Lara Stuttgard e Gruppo Wabi. Gli autori si sono ispirati al tema delle città invisibili, lontane nel tempo e nello spazio, entità che vivono grazie al racconto per parole e immagini. Nelle pagine di Calvino, i resoconti di Marco Polo a Kublai Kan qualificano i luoghi stranieri incontrati nel corso del viaggio.

Oggi sono i protagonisti di questo progetto a fare lo stesso, attraverso la pittura, la fotografia, l’architettura, il web, addirittura il modello di abiti futuri, immaginando nuovi luoghi dove la vita sia possibile, diversa, migliore. Perché se è vero che il mondo contemporaneo è globalizzato, quindi risente di ciò che avviene anche molto lontano, è pur vero che la nostra vita quotidiana si svolge qui e ora, in una dimensione locale da ripensare con le nuove leggi imposte da una comunicazione velocissima.

Negli ambienti del museo Borea d’Olmo vengono esposte, oltre alle opere degli artisti, alcune edizioni del testo calviniano, fotografie, lettere e documenti sulla vita dello scrittore ligure. La mostra “Città invisibili” parte dalla città dove egli è vissuto in giovinezza, ma proseguirà tra marzo e aprile all’Accademia Ligustica di Genova. Entrambe le inaugurazioni saranno arricchite da una minisfilata di abiti e da alcune iniziative collaterali, tra cui incontri con studiosi e critici e laboratori con le scuole.

Il catalogo si intreccia con una delle attività della Fondazione Novaro: l’edizione della “Riviera Ligure”, quaderni monotematici che dal 1990 hanno ripreso la tradizione sostanziata da Mario Novaro all’inizio del secolo scorso, dando origine a uno straordinario caso letterario.

Il quaderno numero 69 rilegge la figura e l’opera di Italo Calvino, di cui scrivono Giorgio Bertone, Loretta Marchi, Leo Lecci, Claudio Bertieri, Gerson Maceri e Veronica Pesce (anche curatrice del quaderno). Ai loro saggi seguono pagine dedicate agli artisti invitati a partecipare alla mostra “Città invisibili”, ognuno presente con la riproduzione di una delle opere esposte accompagnata da una personale testimonianza: parole spesso poetiche, riflessive, originali quanto piccoli racconti.

Un catalogo-rivista, dunque, da cui ripartire per altri viaggi mentali o reali.