TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 31 ottobre 2017

Diventa storia l'avventura eretica dei GAAP di Masini e Cervetto



Giorgio Amico

Diventa storia l'avventura eretica dei GAAP di Masini e Cervetto

E' finalmente disponibile il primo volume di un'opera importante che ricostruisce dettagliamente la storia dei Gruppi Anarchici d'Azione Proletaria, audace tentativo fra il 1949 e il 1957 di costruire un nuovo tipo di organizzazione politica capace di fondere al meglio anarchismo e marxismo. Rifiutata da gran parte degli anarchici come “partitista”, l'esperienza dei GAAP proseguì fino al 1957 quando il gruppo confluì nel nascente Movimento della Sinistra Comunista (Azione Comunista). Un'esperienza importante per molti motivi, non ultimo l'evoluzione teorico politica di Arrigo Cervetto, il fondatore di Lotta Comunista. Un momento poco conosciuto della storia recente del movimento operaio italiano che questa meritoria operazione editoriale di una piccola casa editrice  d'ambito libertario fa ora diventare patrimonio comune di militanti e studiosi. Ne riportiamo la presentazione editoriale.


Tra il 1949 e il 1957 si consuma all’interno dell’anarchismo italiano una profonda frattura, figlia della sua crisi politica e ideologica maturata dalla sconfitta degli anni Venti e Trenta. Una delle esperienze forse meno conosciute di quel periodo storico sono stati i Gruppi anarchici d’azione proletaria.

La scelta del gruppo di militanti che si aggregarono intorno a Pier Carlo Masini, il principale ispiratore e responsabile della nascita dei gaap, è stata quella di voler costruire un’organizzazione politica di «quadri», un «partito» libertario con una prospettiva internazionalista/libertaria, classista e consiliarista.

La loro parabola si chiuderà dopo il fatidico 1956 (Rivolta d’Ungheria) quando questa esperienza si fonderà con quella dei Gruppi d’azione comunista – movimento dissidente comunista ispirato da Giulio Seniga – formando il Movimento della Sinistra comunista. 

L’opera, di cui è per ora disponibile il primo volume, si compone di tre tomi, i primi due contengono gli atti e i documenti dell’organizzazione selezionati attraverso il riordinamento dell’archivio dell’organizzazione – conservato oggi dalla Biblioteca F. Serantini –, il terzo le biografie dei militanti e simpatizzanti che formarono il nucleo di questo “ardito” esperimento politico.

Si vuole offrire con questo lavoro per la prima volta in forma integrale agli studiosi e ai lettori il principale corpus documenta dell’organizzazione, uno strumento per colmare un vuoto di documentazione su questa pagina di storia dell’anarchismo del ’900 non sempre adeguatamente indagata e conosciuta.


Franco Bertolucci (a cura di)
Gruppi Anatchici d'Azione Proletaria. Le idee, i militanti, l'organizzazione
1. Dal fronte popolare alla "legge truffa": la crisi politica e organizzativa dell'anarchismo
Biblioteca Franco Serantini
Euro 40

domenica 29 ottobre 2017

mercoledì 25 ottobre 2017

Se questi sono uomini


Giorgio Amico

Se questi sono uomini

No, non è colpa della scuola che non fa più leggere il diario di Anna Frank.
Neanche l'ignoranza c'entra qualcosa.
Gli ultras della Lazio non hanno bisogno di andare ad Auschwitz per capire.
L'orrore di Auschwitz lo portano dentro, nella testa e nel cuore.
Nella miseria delle loro vite insignificanti, nella pochezza dei loro pensieri.
Nella totale incapacità d'amore.
Pieni d'odio verso tutto quello che non capiscono, che riflette la loro nullità.
"Ebreo" è la parola magica che apre le porte della cella oscura in cui vivono.
"Ebreo" l'incantesimo che scioglie le catene che paralizzano la loro vita.
"Ebreo" è tutto ciò che loro non riusciranno mai ad essere.
"Ebreo" è il fantasma che tormenta i loro giorni inutili.
"Ebreo" è il male assoluto da esorcizzare, il nemico da abbattere.
"Ebreo" è l'insulto peggiore. Da lanciare in faccia al nemico.
A chi non è come loro, anche solo per il colore della maglia.
Perchè l'ebreo non è uomo.
E anche molto meno di un animale.
L'ebreo è una cosa, che si può impunemente insultare e colpire.
Non è la prima volta che accade.
Così erano gli uomini di Hitler, così i guardiani dei forni di Auschwitz.
Per questo è inutile portarli ad Auschwitz.
Perchè ad Auschwitz vivono già.
Sono uomini questi?
Si. Sono uomini.
E anche fratelli. se tutti gli uomini davvero fra loro lo sono.
Ci vuole molta fede per accettarlo.
O una grande speranza...

sabato 21 ottobre 2017

15. Karl Korsch. Gli ultimi anni (1946-1961)



Ultimo capitolo del nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista". Le dieci tesi sul marxismo oggi e il lascito teorico di Karl Korsch.

Giorgio Amico

Gli ultimi anni (1946-1961)


Fin dagli anni giovanili Korsch si era identificato nella classe operaia, ma gli ideali giovanili non passano mai indenni la verifica della realtà. In quattro occasioni la sua vita si incrocia con grandiosi movimenti di massa che paiono porre all’ordine del giorno la possibilità concreta di costruire un ordine sociale superiore: le lotte di classe in Germania negli anni compresi fra il 1918 e il 1923, la rivoluzione russa e la costruzione dello Stato sovietico, la rivoluzione spagnola, la grande stagione di lotte operaie nell’America del New Deal.

Con l’eccezione della Spagna dove comunque l’insorgenza proletaria viene sanguinosamente schiacciata dalla controrivoluzione franchista e stalinista, 1 Korsch si confronta ogni volta con una realtà che non corrisponde alla teoria. Ogni volta il solco fra prassi concreta e teoria appare profondo. La teoria stessa via via perde i suoi connotati scientifici per trasformarsi in ideologia o sfumare nel mito. L’esperienza tedesca gli aveva offerto l’immagine di un proletariato esitante, incerto, incapace di svolgere il suo ruolo storico di affossatore della borghesia. La particolare storia del movimento operaio tedesco, il peso del revisionismo bersteiniano e dell’ortodossia kautskiana sembravano fornire una valida spiegazione dell’accaduto.

A Oriente, nella Russia arretrata e dispotica un proletariato ancora bambino, non corrotto dalle lusinghe del capitale, pareva essersi alzato in piedi e assumere statura di gigante. Anche questa illusione doveva dissolversi rapidamente: la Russia bolscevica simbolo di liberazione cambiava natura, si trasformava nel regno di un nuovo dispotismo, forma asiatica di una rinnovata fase di accumulazione del capitale. Anche qui la critica dell’ortodossia leninista pareva bastare.

Nell’America del New Deal, infine, le stesse lotte operaie e la crescita impetuosa del movimento sindacale diventavano veicolo della ripresa del capitale da una crisi devastante: il riformismo operaio funzionava da strumento di sostegno della domanda in un momento di forte stagnazione degli investimenti. Restava però la speranza che la guerra avrebbe fatto pulizia e generato una “rivoluzione proletaria mondiale” come risultato dialettico dell’inasprimento della contraddizione fra forze produttive e rapporti di produzione. Ma quando la guerra arriva, la situazione nei principali paesi imperialisti si caratterizza per la totale assenza di un’azione autonoma degli operai anche a livelli embrionali. Mandata al macello, la classe operaia resta passiva.

Posto di fronte a tutto questo, Korsch è portato a rimettere in discussione non più le varie interpretazioni del marxismo - il revisionismo di Bernstein, l’ortodossia di Kautsky, il bolscevismo di Lenin, la nuova ortodossia staliniana - ma lo stesso valore rivoluzionario del marxismo come scienza di classe. Altri in quegli anni si erano posti lo stesso problema. Trotsky ad esempio in un uno dei suoi ultimi scritti si interroga sulla natura del regime sovietico e ipotizza con grande lucidità e coraggio intellettuale tutte le possibili conseguenze che ne possono derivare a livello teorico:

“Portata sino in fondo, l’alternativa storica è la seguente: il regime staliniano costituisce una pausa ripugnante nel processo di trasformazione della società borghese in società socialista, oppure è la prima fase di una nuova società sfruttatrice. Se la seconda ipotesi dimostrerà di essere la più giusta, allora naturalmente la burocrazia diventerà una nuova classe sfruttatrice. Dovremo quindi riconoscere a malincuore che, se il proletariato mondiale dovesse realmente dimostrarsi incapace di compiere la missione che gli è stata affidata dal corso degli eventi, non rimarrebbe altro che riconoscere che il programma socialista basato sulle contraddizioni interne della società capitalista si sarà risolto in un’utopia. È chiaro che richiederebbe un nuovo programma minimo, per la difesa degli interessi degli schiavi della società burocratica”. 2

Per Trotsky la guerra rappresenta la cartina al tornasole della questione: egli è fermamente convinto che la guerra determinerà la rivoluzione e il crollo della corrotta ed inefficiente dittatura staliniana. Come tutti sanno, le cose presero un altro corso. Trotsky, assassinato nel 1940 da un sicario staliniano, non potè vedere come la guerra generasse un capitalismo trionfante destinato ad una trentennale espansione da un lato e rafforzasse il giogo staliniano sul proletariato dall’altro. I suoi seguaci rifiutarono di vederlo e si arrampicarono sugli specchi per far quadrare i conti, inventandosi teorie sempre più astruse su Stati operai deformati e/o degenerati da un lato e sulla crisi irreversibile del capitalismo dall’altro. 3 Cose non dissimili possono dirsi dei bordighisti. Certamente più lucidi nell’analisi del presente, ma egualmente sicuri del prossimo, inevitabile risollevarsi della rivoluzione proletaria. 4

Nel 1972 Jacques Camatte, in piena rottura con il marxismo terzinternazionalista, centra il problema, mettendo senza esitazione il dito nella piaga:

“I vari gruppuscoli che hanno fatto la loro comparsa a partire dal 1945, si sono sempre rifiutati di riconoscere la morte del vecchio movimento operaio. Avrebbero dovuto proclamare la loro stessa autonegazione. Ciò tuttavia non ha impedito loro di evocarla, interpretarla, teorizzarla nella solita rubrica: crisi del movimento operaio, concepita per lo più come una crisi di direzione rivoluzionaria. Molto raramente ciò ha comportato una ricerca delle cause di questa morte in seno alla classe stessa”. 5

Korsch, che ha ormai da anni definitivamente rotto con la logica paralizzante del “partito”, non indietreggia di fronte al compito ingrato di fare i conti con una realtà operaia che non segue i contorni del sogno rivoluzionario. Egli inizia a smontare il mito dall’interno. Dopo esserlo stato per gli stalinisti, egli torna ad essere il “rinnegato Korsch”, ma questa volta per i “marxisti rivoluzionari” che si sentono insidiati nelle loro certezze dalla sua lucida critica marxista del marxismo. Gabriella Bonnacchi nella sua corposa introduzione all’edizione italiana dei “New Essays” commenta così questo snodo cruciale della ricerca politica ed umana di un Korsch sempre più problematico:

“Il mancato ribaltamento rivoluzionario della crisi economica ( e, successivamente, della guerra) e il superamento ad opera del soggetto-stato (fascista e monopolistico) della vecchia separazione scolastico-marxista tra economia e politica gli apparve, di conseguenza, la dimostrazione della contradditorieà di una dottrina che, come quella marxista, aveva a suo soggetto proprio la classe operaia”. 6



Per un marxismo non dogmatico

Già nel 1935 in un breve articolo intitolato Perché sono marxista, Korsch aveva riformulato in quattro punti quelli che a suo parere erano le caratteristiche essenziali del marxismo:

“1. Tutte le affermazioni di principio del marxismo, anche quelle apparentement generali, sono specifiche.
2. Il marxismo non è positivo ma critico.
3. Il suo oggetto non è la società capitalistica esistente nel suo stato affermativo, ma la società capitalista in declino, come si rivela nelle tendenze al crollo e alla rovina in modo dimostrabile.
4. Il suo fine principale non è il piacere contemplativo del mondo esistente, ma la sua attiva trasformazione”. 7

Cosa fare, allora, se il capitale divenuto totale esercita un dominio così reale sulla società da riducrre il proletariato a spettatore passivo di conflitti interamente giocati all’interno del capitale stesso? In che modo pensare il superamento dell’esistente se la contraddizione capitale-lavoro diviene fittizia al punto che le lotte operaie ridanno vita al ciclo stesso dell’accumulazione? Prassi e teoria sono destinati a restare eternamente scissi o si può dialetticamente ricomporre la totalità che negli anni ’70 Jacques Camatte chiamerà, rifacendosi a un Marx in gran parte sconosciuto ai marxisti, Gemeinwesen? 8 Questi in sostanza gli interrogativi che Korsch si pone quando nella primavera del 1946 scrive un breve saggio per «Politics», intitolato significativamente Approccio non dogmatico al marxismo.

“A diverse persone – inizia Korsch – è stato chiesto tavolta perché sono o non sono marxiste, proprio come si sarebbe potuto chiedere loroperchè credono o non credono in Dio, nella scienza, nella morale, nella dottrina razzista, nella guerra, nella pace o nella minaccia di distruzione della civiltà con la bomba atomica. (…) Troppo spazio ha preso infine la questione - la più insensata di tutte – di cercare di chiarire quale particolare variante delle teorie di Marx, Engels o delle generazioni successive fino a Lenin, Stalin o Leontiev sia la versione più ortodossa della dottrina di Marx; oppure – ad un livello più alto – quale dei vari metodi applicati in tempi diversi da Hegel, Marx e dai marxisti sia veramente da considerarsi come il corretto metodo «dialettico».

Di contro a questa concezione assolutamente dogmatica, che ha reso sterile la teoria marxista rivoluzionaria in quasi tutte le fasi del suo sviluppo centenario in Europa e ha frustrato sin dall’inizio l tentativo di diffondere il marxismo negli Stati Uniti, proponiamo qui la rivalutazione dell’elemento critico, pragmatico e attivistico che nonostante tutto non è mai stato completamente assente nella teoria sociale di Marx e ha reso, nei brevi periodi del suo predominio, questa teoria l’arma più efficace nella lotta di classe proletaria”. 9

Elemento centrale di questa riproposizione di un marxismo critico, spogliato da ogni paludamento scientista, è ancora una volta la dialettica. Ma una dialettica di tipo nuovo. Non una specie di “superlogica”, per usare l’efficace espressione korschiana, bensì una pragmatica della conoscenza umana. Scrive Korsch:

“Il primo risultato non dogmatico di questo modo di considerare la dialettica è che non si diventa rivoluzionari con lo studio della dialettica, ma al contrario è la trasformazione rivoluzionaria della società ad agire tra l’altro anche sul modo in cui gli uomini di un determinato periodo tendono a produrre e a scambiarsi i loro pensieri. La dialettica materialista è quindi il modo in cui in un determinato periodo rivoluzionario e durante le varie fasi di questo periodo particolari classi sociali, gruppi, individui creano e assumono nuove parole e idee. È la ricerca delle forme, spesso inconsuete e sorprendenti, nelle quali essi collegano i propri pensieri e quelli di altri, collaborano nella dissoluzione di sistemi esistenti chiusi e li sostituiscono con altri sistemi più flessibili, anzi, nel migliore dei casi, con nessun altro sistema, ma con un nuovo movimento del libero pensiero senza impedimenti che percorre rapidamente le mutanti fasi di uno sviluppo più o meno continuo o discontinuo”. 10

Ancora una volta emerge l’anima libertaria di Korsch che non ha alcun timore a sviluppare un concetto di dialettica come libera espressione del pensiero. Korsch recupera qui e utilizza pienamente una serie di strumenti concettuali che si è andato via via costruendo nel lavoro di ricerca, iniziato già negli anni Trenta, assieme a Kurt Lewin sui costrutti matematici in psicologia e sociologia. Una ricerca che sfocia nello sviluppo da parte di Lewin della “teoria del campo”, frutto ultimo, genuinamente rivoluzionario, a livello della psicologia sociale della vecchia dialettica marxiana 11 e che condiziona fortemente l’angolazione metodologica da cui Korsch parte nella sua rivisitazione critica del marxismo.

In una relazione tenuta nel settembre del 1939 al Congresso per l’unità della scienza a Cambridge (Mass.), Korsch e Lewin avevano chiarito il legame profondo che la teoria del campo creava tra la psicologia e le scienze sociali:

“Uno dei prerequisiti più importanti di questo nuovo tipo di formalizzazione era una ricostruzione abbastanza radicale dell’idea generale di causa nei processi psicologici e sociali. Invece di riferirsi ad astratte relazioni tra classi di fenomeni, l’evento individuale fu considerato nella sua posizione particolare ad un dato momento. Ogni mutamento fu concepito come dovuto alle interrelazioni di tali fatti coesistenti. Questo approccio è generalmente chiamato «teoria del campo». (…) La sua introduzione in psicologia è all’origine di un cambiamento non poco rivoluzionario. (…) Una rivoluzione simile, anche se sotto nome diverso, è adombrata nello sviluppo delle scienze sociali. Mentre le tesi specifiche della cosiddetta concezione materialistica della storia, che insiste sull’importanza basilare dei rapporti economici per ogni comportamento e sviluppo sociale, ha trovato solo un esiguo numero di sostenitori, non c’è praticamente opposizione al principio generale che sottosta a quel teorema specifico. Questo principio corrisponde strettamente all’approccio della teoria del campo in psicologia. Come i teorici del campo considerano ogni evento psicologico nella sua collocazione particolare ad un dato momento, la sociologia materialistica considera ogni attività sociale, istituzione, processo come un risultato del campo sociale totale esistente in una determinata epoca. Da questo punto di vista, risulta un’integrazione dinamica in un tutto interconnesso di comportamento sociale e sviluppo, di campi apparentemente così separati quali la produzione materiale o economia, da un lato, e la politica, il diritto e tutte le cosiddette branche superiori del processo mentale e vitale dell’umanità, dall’altro”. 12

Come si vede l’assonanza tra questa presentazione della teoria del campo e la nuova formulazione korskiana della dialettica materialistica appare pressochè totale. Per Korsch chi si affanna a cercare di separare con pignoleria cause ed effetti dei fenomeni sociali, è condannato a non cogliere mai la dinamica profonda dei processi in atto. La società borghese va intesa come un organismo vivente, frutto dell’integrazione dinamica e complessa di una molteplicità di fattori. Il marxismo è teoria rivoluzionaria proprio per la sua capacità radicale di rappresentare questa complessità, cogliendo i nessi fra i singoli fattori non staticamente, ma nel loro movimento.

Chi in nome di un marxismo “scienza esatta” usa la teoria per fotografare la realtà non può che banalizzarla, appiattirla in una inquadratura unidimensionale, in una parola falsarla. Ciò che conta è cogliere il ritmo dei processi sociali, il loro reciproco e sempre cangiante interconnettersi. E più importante ancora, come ciò si rappresenta nella coscienza e nell’ operare di uomini e donne colti nella loro concreta quotidianetà.. Korsch, che ha fatto l’esperienza dei grandi partiti e dei piccoli gruppi, sa bene di cosa parla. Una rappresentazione statica del mondo, frutto di una visione determinista e scientista della realtà, rimanda alla teologia, non certo alla dialettica. In questa dimensione groppuscolare le idee di Marx perdono di significato, si trasformano in formule astratte. Il marxismo si tramuta in ideologia, visione ossificata del mondo. La teoria critica diventa fabbrica di miti. La pratica politica diviene rito. L’organizzazione assume le caratteristiche della setta. Il militante si ritrova trasformato in credente. Il marxismo diventa “coscienza repressiva”.



A mò di conclusione: abbandonare il marxismo per tornare a Marx

Dopo la guerra Korsch è solo. La sua produzione si dirada sempre di più col peggiorare delle sue condizioni di salute. Nei primi anni Cinquanta riesce ancora a compiere una serie di conferenze in Europa e a stendere il progetto di un Libro delle abolizioni, tentativo di costruire una teoria marxista dello sviluppo storico come tendenza all’abolizione di ogni separatezza, ricostituzione della totalità originaria. 13 Poche decine di pagine di appunti per il lavoro futuro di sistemazione teorica di una mole immensa di materiali, frutto di una vita intera dedicata alla militanza e allo studio. Un progetto che non vedrà mai la luce. Nel 1957 Korsch si ammala gravemente, da allora fino alla sua morte, sopravvenuta nel 1961, il suo sarà un lento, doloroso, progressivo spegnersi a livello fisico e intellettuale.

Considerato lo stato frammentario ed embrionale, poco più di una trentina di pagine, delle Abolizioni, la vera opera conclusiva di Korsch sono le 10 tesi sul marxismo oggi, che rappresentano un vero e proprio testamento politico. Stese nel 1950 come schema di una conferenza a Zurigo e non destinate alla pubblicazione, le tesi compendiano l’intero processo critico ed autocritico del marxismo di Korsch che è stato scritto resta, nonostante tutto e non senza contraddizioni e paradossi “fedele e fermo alle idee di Marx, se necessario contro lo stesso Marx”. 14

Per Korsch non ha più senso alcuno porsi la domanda in che misura sia ancora valida e praticamente applicabile la teoria di Marx (Tesi 1). La realtà stessa del capitalismo è profondamente cambiata. Il dominio del capitale sulla vita degli uomini è diventato totale. Ne consegue che ogni tentativo di restaurare come un tutto la dottrina marxista non rappresenta altro che una “utopia reazionaria” (Tesi 2). Un ritorno all’indietro che non può sortire effetti positivi. Ciò non toglie che importanti elementi della teoria marxista mantengano la loro validità (Tesi 3). Va chiarito dunque che

“Il primo passo per la ricostituzione di una teoria e prassi rivoluzionaria consiste nel rompere con la pretesa del marxismo di monopolizzare l’iniziativa rivoluzionaria e la sua direzione teorica e pratica” (Tesi 4) 15

In questo senso Marx è da considerarsi solo uno dei molti precursori e fondatori del movimento socialista. Altrettanto importanti sono uomini come Proudhon o Bakunin (Tesi 5). La frattura fra comunismo “scientifico” e comunismo “libertario” può essere finalmente colmata. Preliminare è, tuttavia, il riconoscimento che il marxismo presenta numerosi punti critici, quali la sopravvalutazione del ruolo dello Stato o l’identificazione dello sviluppo dell’economia capitalistica con la rivoluzione socialista (Tesi 6 e 7). Proprio su questi basi si è costruita la grande illusione per alcuni, la cinica menzogna per altri della natura socialista dell’Unione Sovietica.

Con il leninismo il marxismo si è trasformato definitivamente in ideologia, utilizzabile nei più diversi contesti e per i più vari obiettivi (Tesi 8 e 9). Il proletariato è stato così definitivamente spossessato della sua teoria. Ma la storia non finisce con il crollo delle speranze nell’URSS socialista e nel ruolo salvifico dell’Ottobre. Il socialismo resta una possibilità. Ma questa possibilità di costruire una società diversa può solo nascere dalla gestione pianificata dell’economia da parte degli esclusi di oggi (Tesi 10). In quali forme e con quali rappresentazioni teoriche sarà la storia a dirlo.

C’è chi ha visto nelle Tesi la manifestazione dell’abbandono definitivo del marxismo da parte di Korsch. In realtà, nonostante la radicalità della sua critica, egli continua a considerare Marx un punto di riferimento fondamentale. In una lettera a Partos, pur densissima di critiche a Marx e al marxismo, egli afferma che se

“l’attuale e futuro capitalismo rimane ancora, per profonde che siano le trasformazioni subite, il «capitalismo», sarà possibile anche in futuro chiamare ancora socialismo-comunismo-marxismo, la teoria e la prassi dell’unico movimento veramente anticapitalistico, per mutate che siano le forme sotto cui esso si presenterà”. 16

Molto tempo dopo, alla metà degli anni Cinquanta, in una lettera inviata a vecchi compagni degli anni dalla KPD egli chiarisce con grande chiarezza di che natura sia il suo rapporto con Marx:

“sono sempre preso dal mio sogno: restaurare teoricamente le ‘idee di Marx’ apparentemente distrutte dopo la conclusione dell’episodio Marx-Lenin-Stalin”. 17

Un’affermazione che pare in piena contraddizione con quanto sostenuto con la tesi 2, ma non è così. Si noti bene, Korsch parla di “idee di Marx” e non di marxismo. Una parola che volendo significare troppe cose, ha finito col tempo per non significare più nulla tanto da apparire oggi una specie di caos di ideologie contrapposte ciascuna delle quali pretende di essere il «vero marxismo». 18 Cosa accomuna Bernstein e Fidel Castro, Labriola e Mao tse Tung, Hilferding e Che Guevara, Rosa Luxemburg e Pol Pot ? In questo senso la storia della seconda metà del Novecento ha dato ampiamente ragione a Korsch.

Più che l’affermazione su scala planetaria delle idee di Marx, il XX secolo ha visto il trionfo del giacobinismo con la sua fede nello Stato rivoluzionario e nella dittatura del partito. Il prezzo pagato per questo trionfo è stato l’annientamento della classe operaia come autonomo soggetto sociale, protagonista della propria emancipazione. Nella sua polemica di inizio secolo con Lenin (e Plechanov) il giovane Trotsky lo aveva in qualche modo intuito.

Ancora una volta l’interpretazione autentica del reale pensiero di Korsch ci è offerta dai ricordi di Hedda, sua compagna di vita e di militanza, che riportiamo qui di seguito a conclusione di questo lavoro:

“ La sua conferenza del 1950, intitolata Dieci tesi sul marxismo, si presta facilmente a malintesi ma non costituiva un ripudio del marxismo. Quelle tesi non erano destinate alla pubblicazione, anche se in seguito io permisi che venissero date alle stampe. Fino alla fine, il perno centrale del suo interesse fu il marxismo. Ma egli cercò di adattare il marxismo, così come lo intendeva, ai nuovi sviluppi (…). L’altra sua preoccupazione principale a quell’epoca era l’ampliamento del marxismo per far fronte all’avanzare delle altre scienze. Pensava che, nella misura in cui la società capitalista si era sviluppata dai tempi di Marx, anche il marxismo dovesse essere sviluppato per capirla. Il suo testo incompiuto, il Manoscritto delle abolizioni, costituisce un tentativo di sviluppare una teoria marxista dello sviluppo storico in termini di futura abolizione delle divisioni che costituiscono la nostra società – come quelle tra le diverse classi, tra città e campagna, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale”. 19

Leggendo queste parole ci è venuto di pensare che a Korsch sarebbe piaciuto il ’68. Vi avrebbe trovato il segno di quella tendenza alla «abolizione delle divisioni» che aveva visto all’opera in Spagna e in cui non aveva mai realmente smesso di credere. Proprio per questo ai giovani del ’68 è piaciuto Korsch. Non poteva essere diversamente per una generazione di giovani rivoluzionari che coglievano la “separazione” come caratteristica fondamentale del dominio ormai totale del capitale sulla specie umana. 20

Qualcuno ha definito il maggio-giugno 1968 come il momento del «disvelamento». Un momento di rottura fondamentale: «l’emergere della rivoluzione, ma non la rivoluzione stessa». 21 Un momento di generale rimessa in discussione dell’esistente che trovava nell’estrema radicalità del pensiero korschiano, così come nelle opere di Marcuse, alimento e stimolo per andare oltre ad una semplice denuncia dell’integrazione delle organizzazioni operaie nell’ambito della società industriale avanzata che in realtà non spiega nulla.

Da qui la fortuna che gli scritti di Korsch hanno avuto in quel periodo, come testimonia anche la sua fugace riscoperta in Italia. Il recupero del “maggio” da parte del capitale mediante un’ulteriore accelerazione della spettacolarizzazione della società da un lato e la degenerazione groppuscolare del movimento con il ritorno immaginario ad un marxismo-leninismo “restaurato” dall’altro, avrebbero determinato il rapido richiudersi già dai primi anni Settanta di questi spazi di ricomposizione e con essi la pressochè totale perdita di visibilità delle idee di Korsch. Eppure in un momento di grande disincanto come l’attuale il pensiero di Korsch, così radicale nella sua critica di ogni visione consolatoria del reale, così estremo nel suo rifiuto di ogni schema preconfezionato, ma anche così carico di speranza può ancora dirci qualcosa. Il suo coraggioso abbandono del marxismo in favore di un recupero radicale delle idee di Marx può ancora una volta parlare alla mente (e al cuore) di una nuova generazione di giovani.



1 Considerato l’ambito di questo lavoro riteniamo di maggior interesse sottolineare rispetto alla reazione fascista, il ruolo controrivoluzionario giocato in Spagna dallo stalinismo. Rimandiamo pertanto il lettore curioso ai seguenti testi: P. BROUÉ-E. TÉMIME, La rivoluzione e la guerra di Spagna, Mondadori, Milano 1980; F. MORROW, L’opposizione di sinistra nella guerra civile spagnola, Samonà e Savelli, Roma 1970; G. ORWELL, Omaggio alla Catalogna, Mondadori, Milano 1982; C. SEMPRUN MAURA, Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna, Edizioni Antistato, Milano 1976.
2 L. TROTSKY, In difesa del marxismo, Samonà e Savelli, Roma 1969, p. 48.
3 Fedeli alla lettera dei testi di Lenin e Trotsky dei primi anni Venti, i trotskisti di tutte le tendenze per l’intera durata dello straordinario boom economico del dopoguerra hanno continuato in ogni occasione a ripetere che le forze produttive avevano ormai da decenni “cessato di crescere”.
4 Con l’eccezione di alcune parti dell’enorme lavoro teorico svolto nel dopoguerra da Amadeo Bordiga e dai contributi di bordighisti dissidenti come Jacques Camatte.
5 J. CAMATTE, Il capitale totale, Dedalo, Bari 1976, p. 429.
6 G.M. BONACCHI, Teoria marxista e crisi: i «comunisti dei consigli» tra New Deal e fascismo, in Capitalismo e fascismo, cit., p.LIV.
7 K. KORSCH, Perché sono marxista, in Dialettica e scienza nl marxismo, cit., pp. 172-173.
8 Gemainwesen=comunità materiale.
9 K. KORSCH, Approccio non dogmatico al marxismo, in Dialettica…, cit., p. 190.
10 Ivi, pp. 193-194.
11 Sulle teorie di Lewin cfr. A. PALMONARI, Teoria di campo e psicologia sociale, in K. LEWIN, Teoria e sperimentazione in psicologia sociale, il Mulino, Bologna 1990.
12 K. KORSCH, Costrutti matematici in psicologia e sociologia, in Dialettica e scienza nel marxismo, cit., pp. 100-101.
13 Sul Libro delle abolizioni cfr. R. DUTSCHKE, Lenin rimesso in piedi, La Nuova Italia, Firenze 1979, pp. 304-305.
14 G.E. RUSCONI, Autonomia operaia e controrivoluzione, cit., p. XLIV.
15 K. KORSCH, 10 tesi sul marxismo oggi, in Scritti politici, 2, cit., p. 429.
16 K. KORSCH, Lettera a Partos del 25.11.1935, in Marxiana 2, cit., pp.160-161.
17 Citato in G.E. RUSCONI, Autonomia operaia…, cit., p. XLI.
18 P. SOUYRI, Il marxismo dopo Marx, Mursia, Milano 1973, pp. 98-99.
19 H. KORSCH, cit., p. 15
20 “Con la separazione generalizzata tra il lavoratore e il suo prodotto, si perde ogni punto di vista unitario sull’attività compiuta, ogni comunicazione personale diretta tra i produttori. Con il progredire dell’accumulazione dei prodotti separati, e della concentrazione del processo produttivo, l’unità e la comunicazione diventano l’attributo esclusivo della direzione del sistema. La vittoria del sistema economico della separazione è la proletarizzazione del mondo”. G. DEBORD, La società dello spettacolo.
21 J. CAMATTE, Il disvelamento, La Pietra, Milano 1978, pp. 31 e sgg.

venerdì 20 ottobre 2017

14. Karl Kosch. Verso la guerra (1938-1945)



XIII capitolo del nostro “Il «rinnegato» Korsch. Storia di un'eresia comunista". L'incontro con Paul Mattick e i comunisti dei consigli americani permette a Korsch di affinare la sua analisi del modo di produzione capitalistico e della condizione della classe operaia di una grande metropoli imperialista.

Giorgio Amico

Verso la guerra (1938-1945)

L’incontro con i comunisti dei consigli americani

Nel 1935 mentre è ancora in Europa Korsch prende contatto, tramite i comunisti consiliaristi olandesi del Räte-Korrespondenz, 1 con il piccolo gruppo americano dell’United Workers’ Party (UWP) e con la rivista International Council Correspondence animata da Paul Mattick, un operaio tedesco emigrato già dal 1926 negli Stati Uniti. 2 Cristiano Camporesi nel suo lavoro sul marxismo americano, pur dedicandogli uno spazio adeguato, sottolinea con eccessiva insistenza il carattere ultraminoritario di questo filone. 3 In realtà, pur trattandosi di realtà molto piccole, con un’influenza politica reale limitatissima, esse tuttavia esprimono una lucida analisi della realtà capitalistica e della situazione della classe operaia americana. Nella sua introduzione al reprint della rivista dei «gruppi di comunisti dei consigli» in America, New Essays, Paul Mattick sintetizza efficacemente l’origine e la natura di questo filone americano del comunismo di sinistra:

“Questa serie di pubblicazioni, che apparve durante gli anni 1934-1943 sotto il titolo di «International Council Correspondence», ribattezzata poi «Living Marxism» ed infine «New Essays», esprimeva le linee politiche di un gruppo di operai americani riguardo alla lotta di classe proletaria, alle condizioni della depressione economica e alla guerra mondiale. Denominandosi «Comunisti dei Consigli» il gruppo intendeva prendere le distanze dal Partito socialista tradizionale, dal nuovo Partito comunista e dai vari partiti di opposizione interna a questi movimenti. Esso rigettava le ideologie e le concezioni organizzative dei partiti della II e della III Internazionale, così come quelle della neonata «IV Internazionale». Basandosi sulla teoria marxista, il gruppo aderiva al principio dell’autodeterminazione della classe operaia mediante la costituzione dei consigli operai per la presa del potere politico e la trasformazione del sistema capitalistico di produzione e di distribuzione in senso socialista. Esso poteva però essere considerato soltanto un’organizzazione di propaganda dell’autonomia della classe operaia (…) I tedeschi del gruppo americano provenivano dal movimento consiliare tedesco. Gli operai americani con un retroterra politico provenivano o dagli Industrial Workers of the World (IWW) 4 oppure dall’ala sinistra del Proletarian Party, 5 il più «americano» dei tre gruppi socialisti che avevano rivendicato da Mosca il riconoscimento come Partito comunista «ufficiale»”. 6

Testimoni della deriva riformista del movimento operaio ufficiale e dell’impotenza dei partitini “neobolscevichi” e dei gruppi rivoluzionari, i comunisti dei consigli americani mantengono tuttavia una ferma fiducia nelle potenzialità di lotta della classe operaia.

“(…) L’impotenza dei piccoli gruppi leninisti esistenti – scrive nel 1939 Sam Moss – indica ancora una volta l’obsolescenza dei piccoli gruppi rivoluzionari riguardo ai reali bisogni proletari (…).La classe operaia soltanto può promuovere la lotta rivoluzionaria, anche se oggi si limita a promuovere la lotta di classe non rivoluzionaria, e la ragione per cui i lavoratori ribelli dotati di coscienza di classe si uniscono in gruppi al di fuori delle sfere della lotta di classe reale è soltanto che non vi è ancora alcun movimento rivoluzionario fra loro”. 7

Si tratta di un modo di vedere le cose con cui Korsch si sente in totale sintonia come si evince dall’articolo che con cui egli inizia la collaborazione con Mattick e in cui ribadisce la sua ferma opposizione ad ogni pretesa di egemonia sulle lotte operaie da parte di presunte avanguardie politiche o sindacali:

“Una autentica combinazione della lotta economica e di quella politica e di ogni altra forma di attività della classe lavoratrice in un tutto unico della lotta direttamente rivoluzionaria è l’obiettivo necessario di ogni rivoluzionario proletario, sia che concepisca questa alleanza alla maniera «comunista-leninista» - come unificazione di tutte le forme isolate di lotta nella lotta politica rivoluzionaria – o alla maniera «sindacalista» - come una estensione ed intensificazione dell’azione direttamente economica nel tutto di una lotta direttamente rivoluzionaria e sociale. Su queso punto non c’è grande differenza tra le due tendenze che oggi sono in competizione e conflitto fra loro. (…) La coincidenza delle due concezioni sul rapporto della lotta economica con quella politica emerge tuttavia in pratica solo nel momento o nel periodo in cui, nell’azione rivoluzionaria diretta dei consigli operai, politica ed economia di fatto si fondono. Fino a quel momento la pretesa all’egemonia avanzata da entrambe le tendenze, da quella «politica» dei marxisti-leninisti non meno che da quella «economica» dei sindacalisti, contiene una unilateralità che restringe ed indebolisce la lotta di classe pratica del proletariato. L’identità che è presente all’inizio della lotta di classe politica ed economica degli operai può essere completamente realizzata solo nel pieno sviluppo della lotta direttamente rivoluzionaria. Non può essere prodotta in anticipo mediante una «subordinazione» meramente formale delle «organizzazioni di massa sindacali» al punto di vista di un partito rivoluzionario come neppure mediante un rifiuto non meno formale di tutta la «politica», nell’altro campo”, 8

Sottoponendo ad una minuziosa critica le posizioni dell’American Workers Party, un’ organizzazione politica a sinistra del PCUSA che si proclama il “partito” della classe operaia, 9 Korsch esprime tutto il suo disincanto nei confronti di ogni tentativo autoproclamatorio che sotto il massimalismo delle enunciazioni teoriche non può che esprimere un orizzonte limitato e parziale:

“(…) Si rivela qui, [nel] tirarsi indietro pratico dell’AWP di fronte alle enormi difficoltà dei suoi compiti rivoluzionari proclamati teoricamente, l’inevitabile tendenza di sviluppo di un partito politico che, invece di inserirsi come parte precisa, con importanti compiti parziali, nel movimento della classe operaia esistente, si fa avanti con una pretesa «teorica» di totalità, nel nome di una teoria «rivoluzionaria» che, nei rapporti dati, inevitabilmente si trasforma in una glorificazione ideologica di una pratica molto più limitata”. 10

Partito dal riformismo fabiano, passato attraverso gli anni di piombo della militanza nel partito comunista, bruciata l’esperienza del partitino rivoluzionario, Korsch non crede più nel ruolo salvifico del partito, di qualunque partito.Il che non significa un rifiuto tout court dell’organizzazione politica: egli non diventerà mai, nonostante le forti simpatie che nutre per i libertari spagnoli, un anarchico. Piuttosto si traduce in una ferma consapevolezza che il partito politico, ogni partito politico, non può che svolgere un ruolo parziale e che solo la classe operaia nella sua concreta prassi rivoluzionaria è in grado di esaurire quel bisogno di «totalità» che i marxisti chiamano comunismo.

La collaborazione fra Korsch e il gruppo dei comunisti consiliari americani, cementata dalla profonda amicizia personale con Mattick, si traduce in una lunga serie di articoli, saggi, interventi su temi di politica internazionale (la Spagna, la guerra, la geopolitica), di politica economica (la crisi) e di teoria (la crisi del marxismo). Presente praticamente in ogni numero delle riviste che via via esprimono le posizioni del gruppo (International Council Correspondence, Living Marxism, New Essays), Korsch per numero e valore dei contributi rappresenta dopo Mattick la voce più importante di questo filone marxista che solo a partire dagli anni Settanta ha ottenuto un adeguato riconoscimento dalla critica storica. Come nelle precedenti esperienze politiche anche questa volta la sua partecipazione è totale: egli non si limita a scrivere per la rivista del gruppo o a dibattere con Mattick sui temi in discussione, ma si fa carico della diffusione militante del giornale e della ricerca di nuovi abbonati. È quanto emerge da una lettera inviata nel giugno 1938 a Mattick da Seattle, dove in quel momento risiede:

“Caro Paul,
Scusami per il mio lungo silenzio. Ho ricevuto 8 o 10 giorni fa il pacco con le copie del n.3 di L(iving) M(arxism). (…) È un peccato che abbia ricevuto il pacco solo dopo la mia conferenza nel Forum della «Peoples Church»; la sala era piena zeppa e l’impressione forte; avrei potuto facilmente vendere diversi fascicoli e acquisire nuovi abbonati. Adesso nella cerchia ristretta dei conoscenti è più difficile; alcuni (in grado di pagare) hanno paura di incontrare difficoltà per la tanto attesa naturalizzazione, altri (desiderosi di abbonarsi) hanno poco denaro. Penso, tuttavia che alcuni si abboneranno, soprattutto se avrò ancora occasione di parlare. Mandami in ogni caso qualche scheda di abbonamento; le poche che avevo con me sono già usate”. 11



Crisi, guerra, rivoluzione

Già dalla lettera sopra citata emergono le non facili condizioni in cui si colloca la vita di Korsch negli Stati Uniti. Sempre più isolato, tagliato fuori dalla grande politica, il suo unico rapporto con la realtà e le lotte degli operai americani avviene ormai solamente tramite le riviste edite da Paul Mattick. Anche nel privato le cose non vanno bene: egli non riesce ad ottenere la cittadinanza americana, né ad inserirsi pienamente nel mondo accademico. Con sempre maggiore frequenza nelle sue lettere traspare un senso di fallimento, di inutilità, di impotenza conseguenza anche delle sue precarie condizioni economiche che lo distolgono da quel lavoro sistematico di ricerca e di studio che egli ha sempre considerato l’asse portante del suo impegno politico.

“Quanto a me – scrive ad esempio in una lettera a Partos dell’estate del 1939 – purtroppo neanche in questo paese sono riuscito ad approdare a qualcosa. Questa volta ciò è da ascrivere, molto più del solito, alle mie –a te ben note- «qualità» di inerzia e di inettitudine al comportamento realistico. Certo potrei ancora trovare , nonostante l’età, un job 12 accademico; i miei libri sul marxismo, la mia fama tra gli emigrati tedeschi e last non least, la assai attiva resistenza del C.P. 13 sono handicaps molto forti per tutto, perfino per la collaborazione alle riviste, per la pubblicazione di libri e per conferenze e corsi, gratuiti o meno. (…) La mia impotenza mi fa star male, soprattutto per la perdita di ogni effettiva possibilità di aiutare gli amici che essa comporta. (…) Non ho ancora del tutto abbandonato il mio programma di lavorare su rivoluzione e controrivoluzione (…). [Unica consolazione] qui il paesaggio e il clima sono indescrivibilmente belli”. 14

Nonostante questi momenti di depressione, anche negli Stati Uniti Korsch si dedica ad un instancabile lavoro di ricerca e di studio da un lato sulla realtà politica e sociale americana e mondiale, dall’altro sui fondamenti stessi del marxismo che continua quanto già avviato negli anni precedenti. Già nel 1935, un anno prima di stabilirsi definitivamente negli USA, egli aveva inviato un lungo saggio a Mattick in cui venivano delineati gli assi portanti di una più complessiva analisi della fase economica e politica a partire dalla grande crisi del 1929. Uno studio importante perché fornisce le coordinate entro cui collocare le sue analisi successive sulla mutazione della natura dello Stato e dello stesso sistema capitalistico.

Per Korsch la crisi, scoppiata nel 1929, non solo ancora perdura, ma si è addirittura approfondita e inasprita determinando le condizioni per lo scoppio di una nuova, devastante, guerra mondiale. Va pertanto decisamente combattuta ogni ipocrita contrapposizione tra pace e guerra. Il nuovo capitalismo monopolistico si presenta oltre che sotto la forma dell’interventismo statale (fascismo, nazismo, stalinismo, new deal), anche come una produzione di guerra. La guerra dunque come tentativo di uscita dalla crisi, come stato permanente dell’economia capitalistica anche nei periodi di “pace”. Un’analisi lungimirante che precorre di molti anni le tesi dei teorici della “permanent war economy” come Tony Cliff o per altri versi del capitalismo monopolistico come Paul Sweezy. 15

Contro le tesi dei pacifisti e dei “democratici” che vedono la guerra come una alterazione del normale stato delle cose Korsch utilizza a fondo gli strumenti analitici forniti da un marxismo depurato da ogni incrostazione ideologica.:

“(…) lo specifico modo di produzione della guerra moderna – un modo di produzione che non produce prodotti e mezzi di produzione, bensì distruzione e mezzi di distruzione – non rappresenta niente altro che una normale manifestazione della produzione capitalistica. Il modo di produzione capitalistico contiene in sé, da sempre, a tutti i suoi livelli di sviluppo, entrambi i generi di produzione, quello della creazione e quello della distruzione dei prodotti. Assieme essi costituiscono, infatti, le due inseparabili componenti della produzione capitalistica nella sua specifica forma sociale di «produzione di merci», vale a dire produzione non semplicemente di prodotti, ma di prodotti come merci sulla cui intima dialettica è basato questo modo storico di produzione. La specificità della forma attuale di capitalismo è costituita dal fatto che oggi tendono sempre più a scomparire perfino certe residue distinzioni formali tra le due forme fenomeniche di produzione capitalistica (la cosiddetta produzione pacifica «normale» e l’altra – in realtà non meno normale – per la guerra e di guerra), in un processo di reciproca assimilazione che rende così manifesta l’intima identità di questi due, egualmente legittimi, settori della produzione capitalistica. In un’epoca in cui anche una parte della «normale» produzione pacifica consiste nella distruzione di massa, cosciente e programmata, di prodotti, di mezzi di produzione, di forze produttive e di produttori, in cui perfino in tempo di pace il peso relativo della cosiddetta «industria di guerra» supera di gran lunga e in misura rapidamente crescente quello di ogni altro settore produttivo, ed in cui ogni singolo settore di produzione viene considerato perfino in pace - e all’approssimarsi della guerra, quindi, anche praticamente gestito – come un mero dipartimento subalterno di un’unica industria bllica unitaria: in tali condizioni, appare perfettamente logico affermare che nemmeno nel pensiero va più distinta dagli altri settori della produzione capitalistica di merci una guerra divenuta ormai, nei fini e nel modo di esistenza, indistinguibile dall’industria di guerra e di pace”. 16

Ne consegue l’obsolescenza della vecchia distinzione tra economia e politica, tra Capitale e Stato che tendono ormai a divenire un'unica cosa. Per Korsch - ed è il senso che attribuisce al termine “totalitarismo”e al contempo il filo sottile che lega fenomeni fra loro apparentemente diversissimi come il fascismo, lo stalinismo e lo statalismo rooseveltiano - lo Stato si è ormai trasformato

“da mero capitalista ‘ideale’ nell’attuale «Capitalista Complessivo» e la fusione del cieco soggetto «Capitale» con lo «Stato» - mallevadore come organo speciale in un «soggetto-complessivo Capitale unitario». La lotta contro lo Stato capitalista è divenuta, in effetti, molto più direttamente una componente della lotta di classe proletaria contro il dominio capitalistico di quanto non lo fosse in passato, quando il movimento operaio socialista, prigioniero della falsa alternativa tra riforma sociale e rivoluzione (soltanto) politica, aveva completamente perso di vista la concreta totalità della lotta social-rivoluzionaria della classe operaia”. 17

Totalità che riappare ora in tutta la sua esaltante concretezza nella Spagna rivoluzionaria. Tra il 1938 e il 1939 fa uscire su «Living Marxism» due lunghi articoli sulla rivoluzione spagnola in cui prende le difese degli anarchici accusati di aver sottovalutato il problema cruciale della presa del potere politico. Contro i critici prevenuti che, in nome di una presunta purezza bolscevica, criticano i tentativi di collettivizzazione messi in atto dagli anarchici spagnoli e catalani, egli esalta la grandezza di questo movimento, certo non privo di contraddizioni, ma che può a pieno titolo collocarsi a fianco della Comune di Parigi, dell’occupazione delle fabbriche nell’Italia del 1920, dalle lotte degli operai tedeschi e ungheresi negli anni 1918-1923. Quanto all’esperienza russa, presentata dai “leninisti” come quanto di più avanzato prodotto dal proletariato, vero e proprio metro di paragone per le lotte rivoluzionarie future, Korsch ha buon gioco nell’esaltarne la portata grandiosa a ricordare come proprio i bolscevichi ne divenissero già dai primi anni Venti gli affossatori:

“Analogamente i risultati temporanei più vasti e certo molto più famosi ottenuti dagli operai rivoluzionari russi nella fase di una reale sperimentazione comunista nel 1918-1920 non ebbero alcuna importanza pratica per il successivo sviluppo della cosiddetta «costruzione socialista» nella Russia sovietica. Essi furono ben presto denunciati dai bolscevichi stessi come una mera «forma negativa» di comunismo, imposta ad una riluttante leadership bolscevica dalle necessità della guerra e della guerra civile. Così il grande esperimento storico del cosiddetto «comunismo di guerra», che di fatto rappresentò un passo in avanti verso una società comunista molto più positivo delle misure di qualsiasi NEP 18 o neo-NEP o altre varianti delle politiche non più socialiste o proletarie, che furono più tardi inaugurate dalle varie combinazioni della burocrazia post-leninista e stalinista, divenne un episodio negletto e dimenticato proprio in quel paese che anche oggi pretende di marciare alla testa del proletariato internazional in virtù della cosiddetta «costruzione del socialismo in un solo paese»”. 19

Per Korsch l’importanza della rivoluzione spagnola al di là delle concrete possibilità di vittoria – che al momento dell’uscita del secondo articolo sono già evidenti i primi segni dell’imminente disfatta repubblicana – consiste proprio nel carattere di lezione per il futuro. In un mondo caratterizzato dal decadimento e la corruzione delle “vecchie” organizzazioni operaie, socialiste e comuniste, politiche e sindacali, la Spagna ha offerto un esempio vivo ed esaltante di un nuovo tipo di organizzazione politico-sindacale delle lotte operaie capace di superare le fratture del passato e far rivivere dal basso quella visione della rivoluzione come totalità che sostanzia l’opera del giovane Marx. In particolare l’esperienza delle collettivizzazioni spagnole ha saputo offrire un modello di ricomposizione di quella separazione fra politica ed economia che tanto aveva pesato in negativo sulle esperienze rivoluzionarie del proletariato europeo dopo il 1848, Russia compresa:

“(…) il nostro interesse principale va al ruolo importante assunto dal tipo particolare di sindacato, rappresentato nel modo più caratteristico dai lavoratori della Catalogna e di Valencia, che fino all’epoca presente era disprezzato e criticato dai ricchi sindacati inglesi e dalle potenti organizzazioni marxiste dell’Europa centrale e meridionale come una forma utopica destinata al fallimento in qualsiasi situazione critica. Queste formazioni sindacaliste , anticentralistiche e antipartitiche erano interamente basate sulla libera azione delle masse lavoratrici. Le loro attività di routine come d’emergenza erano guidate sin dall’inizio non da una burocrazia professionale ma dall’élite dei lavoratori nelle rispettive industrie. Quella stessa élite cosciente rappresentata dai comitati d’azione rivoluzionari creati dai lavoratori in lotta all’interno e fuori dei sindacati per affrontare i vari problemi a mano a mano che sorgevano, fornì l’iniziativa , la consistenza, l’esempio e l’azione per le conquiste fondamentali del nuovo periodo rivoluzionario. Questa lezione storica della collettivizzazione è di importanza permanente per lo sviluppo organizzativo e tattico del movimento rivoluzionario”. 20

Ma quello che in fondo maggiormente colpisce Korsch è la carica rivoluzionaria immediatamente antistatale del proletariato spagnolo. Per la prima volta il proletariato non si ferma davanti al tabù rappresentato dalla proprietà “pubblica”, non scambia nazionalizzazione per socializzazione. Spontaneamente i proletari spagnoli e catalani rispondono alla domanda su cosa sia la socializzazione che Korsch si era posto venti anni prima assistendo agli incerti tentativi dei consigli operai tedeschi. Ed egli ne resta affascinato:

“Il vigore dell’atteggiamento anti-Stato del proletariato rivoluzionario spagnolo, libero da impedimenti organizzativi o ideologici autoimposti, spiega tutti i suoi sorprendenti successi di fronte a difficoltà schiaccianti. Spiega il fatto senza precedenti nell’esperienza europea che la collettivizzazione rivoluzionaria fu estesa sin da principio e come cosa naturale allo Stato e alle imprese municipali così come alle aziende capitalistiche”. 21



Guerra imperialistica e classe operaia

Lo scoppio del secondo conflitto mondiale e ancora di più l’entrata in guerra degli Stati Uniti nel dicembre 1941 dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor modificano radicalmente la situazione già di per sé critica in cui Korsch vive. Gran parte dell’intellighentsia progressista appoggia lo sforzo bellico americano considerato parte integrante della lotta al fascismo e della difesa dell’Unione Sovietica. Ancora più forte è la mobilitazione fra i tedeschi rifugiatisi negli Stati Uniti dopo il 1933. Molti di essi sono di origine ebraica, per cui la guerra antinazista acquista quasi i connotati di una vera e propria guerra di liberazione. Cosi Alice Mayer, segretaria di Horkheimer a New York descrive il clima esistente all’interno dell’Istituto per le ricerche sociali:

“Eravamo tutti posseduti, per così dire, dall’idea di dover battere Hitler e il fascismo, e questo ci teneva uniti. Tutti noi, comprese le segretarie e quelli che frequentavano l’Istituto o vi lavoravano, sentivamo di avere una missione da compiere che ci dava una sensazione di reciproca fedeltà e affinità”. 22

Già dai primi giorni di guerra molti di questi intellettuali iniziano a collaborare con le autorità governative e militari. I più promettenti vengono reclutati dai servizi segreti come consulenti o analisti e in qualche caso anche come agenti. È il caso ad esempio di Franz Neumann rappresentante del Research and Analysis Branch dell’OSS, di Leo Lowenthal capo di una sezione dell’Office of War Information (OWI), di Paul Sweezy, agente dell’Office of Strategic Service in Inghilterra, Francia e Germania, e ancora di Herbert Marcuse che, vero caso limite, al termine della guerra non smobilita come gli altri, ma decide di restare a lavorare nei Servizi, prima nell’OSS e poi dal 1947 fino alla guerra di Corea nella neocostituita Central of Intelligence Agency (CIA). 23

Korsch, Mattick e gli altri componenti la piccola cerchia dei comunisti dei consigli risentono fortemente di questa situazione di progressiva chiusura di ogni spazio libero di dibattito o di dissenso. La preoccupazione di Horkheimer che prima o poi la destra più radicale si sarebbe scatenata contro «un gruppetto di intellettuali stranieri che ficcano il loro naso nei fatti privati dei lavoratori americani» 24 vale a maggior ragione per chi come loro non solo non gode di alcuna protezione, ma continua in qualche modo a collocarsi in un’ottica di classe. La guerra segna dunque la fine di questa esperienza. Living Marxism si trasforma nel più anonimo New Essays di cui usciranno appena tre numeri tra l’autunno del 1942 e l’inverno 1943. Poi, più nulla. Con gli stalinisti scatenati contro chiunque si opponga alla guerra, con l’intera dirigenza del trotskista SWP processata e condannata per sabotaggio dello sforzo bellico, l’estrema sinistra è condannata al silenzio.

Negli anni della guerra, dunque, Korsch produce pochissimo. Non più giovanissimo e con qualche problema di salute, anch’egli si deve in qualche modo piegare alla nuova situazione e rassegnarsi a tenere alcune conferenze in scuole militari sulla storia della Germania e la politica tedesca. Riesce, tuttavia, prima che ogni spazio si chiuda, a pubblicare alcuni articoli sul fascismo e la guerra di grande spessore teorico in cui sviluppa la tesi, già avanzata negli anni Trenta, del fascismo come faccia della modernità. Del totalitarismo, insomma, come espressione diretta di un nuovo tipo di società capitalistica radicalmente differente da quella studiata da Marx. Sempre più gli appare evidente che contrariamente alla visione catastrofista dei marxisti rivoluzionari di inizio secolo, Lenin compreso, il capitalismo non ha ancora sviluppato a fondo le forze produttive. Il fascismo, ma in altra forma anche lo stalinismo, si presenta allora

“come una transizione dalla forma privata ed anarchica di capitalismo ad un sistema monopolistico o capitalistico di stato basato su di un capitalismo pianificato ed organizzato”. 25

Questa considerazione lo porta ad un certo fatalismo. Ripetutamente egli ribadisce che si tratta di una tendenza inarrestabile e che sarebbe pertanto “pura follia” pensare che la tendenza mondiale al capitalismo di stato possa in qualche modo essere fermata. La corsa al fascismo, identificato con l’economia organizzata dallo Stato, gli pare inarrestabile anche negli Stati Uniti dove assume la forma di una democrazia irregimentata. Non è più possibile tornare indietro. Le vecchie forme dell’agire economico e politico in Occidente gli appaiono appartenere ormai al passato. Anche in caso di vittoria delle potenze Alleate

“né il libero scambio (che dopo tutto non era poi per gli operai così libero) né gli altri elementi della tradizionale democrazia borghese – libertà di stampa, di parola, di comunicazione – potranno essere ripristinati; né del resto, erano mai esistiti per la classe oppressa e sfruttata”. 26

Sono tesi che in qualche modo riecheggiano la teoria del «collettivismo burocratico». 27 Certamente Korsch non conosce l’opera di Bruno Rizzi, ma proprio in quegli anni è apparsa in America La rivoluzione dei tecnici, il discusso pamphlet dell’ex-trotskista James Burnham che all’italiano molto deve sul piano delle idee. 28 Se a ciò aggiungiamo il fatto che verso la fine della guerra Korsch partecipa alla nascita di «Politics», rivista che si caratterizza fin dai suoi primi numeri proprio per la difesa della tesi del collettivismo burocratico, l’ipotesi di una qualche forma di contaminazione rizziana del pensiero di Korsch non appare poi così peregrina. 29

In particolare Korsch si dedica a studiare l’influenza sull’economia e sulla società americana delle grandi Corporation, ricavandone la visione di una società “ad una dimensione” rigidamente organizzata:

“L’economia americana non trae più oggi gli impulsi decisivi dalla concorrenza delle imprese individuali in un mercato incontrollato («libero»), ma è diventata, nel suo complesso, un sistema manipolato. (…) La gran massa dei «prezzi», compresi i salari non viene più stabilita nel mercato libero, bensì manipolata mediante decisioni amministrative che sono sì influenzate in varia misura, ma non più strettamente e direttamente determinate – come in passato – dalle condizioni di mercato. (…) Questi controlli possono emanare da uno o più centri di potere; per quanto riguarda la politica del lavoro, ad esempio, le fila vengono di regola tirate dalla corporazione e da un sindacato che si dividono più o meno equamente i campi decisionali, mentre alcuni aspetti dell’intero settore rimangono di competenza del governo, come avviene nel caso dei minimi lavorativi o della regolamentazione dei servizi pubblici (…). Non si può continuare a considerare l’influenza esercitata sul mercato da alcuni potenti gruppi di pressione come un intervento transitorio (…). La costituzione della comunità corporata è diventata la vera costituzione degli Stati Uniti”. 30

Si tratta, come si può vedere, di riflessioni modernissime riprese e sviluppate a partire dagli anni Sessanta dai movimenti della nuova sinistra che riscopriranno e rivaluteranno l’opera di un Korsch, ormai quasi dimenticato.

In una società capitalistica totalitaria anche la guerra è ormai divenuta totale. Korsch si rifà a Marx per il quale il mutameno delle forme di produzione si esprime prima a livello bellico che non nella produzione pacifica di merci.

“L’attuale guerra anticipa quelle nuove forme economiche cui si giungerà poi, attraverso la transizione di tutti i paesi capitalistici ad un modo di produzione non più basato sul mercato e sulla concorrenza dei privati produttori, bensì sulla pianificazione – statale o meno – di tutte le attività economiche. Ed è principalmente per questo che la guerra attuale, lungi dall’essere una «ripetizione» del conflitto del 1914-18, se ne differenzia in maniera così profonda. (…) Questa volta i principi dell’ «economia di guerra» erano già in vigore nel tempo di pace precedente. L’intero sistema industriale di nazioni come la Germania o la Russia è stato metodicamente subordinato in anticipo alle esigenze di una guerra che doveva cominciare solo molti anni dopo. Sotto tutti questi aspetti, la «guerra totale» nazista differisce profondamente dalle forme precedenti di strategia militare che costituivano un riflesso dello spirito prevalentemente concorrenziale delle prime fasi del capitalismo. La guerra odierna appare così come una forma di guerra totale nuova: una guerra totale del capitalismo monopolistico e del capitalismo di stato”. 31

Se l’analisi della fase riprende e sviluppa in modo organico temi già toccati negli anni precedenti, la vera novità di questi scritti consiste nel profondo pessimismo che traspare da ogni riga. La passività della classe operaia americana ed europea che accetta la guerra senza gli entusiasmi patriottici del 1914, ma neppure senza la rivolta delle trincee del 1917, lo tocca in profondità. Ancora due anni prima Korsch si esaltava per il radicalismo spontaneo del proletariato spagnolo e ciò lo portava a credere che la guerra avrebbe creato di per se le condizioni di una situazione rivoluzionaria di portata mondiale. In realtà ciò non si è verificato ed egli incomincia a trarne le necessarie conclusioni:

“Il significato della guerra per il futuro movimento rivoluzionario della classe operaia è oggi estremamente oscuro ed incerto. Qualunque sia l’esito dell’attuale guerra «totale», è chiaro che per gli operai questa guerra «rivoluzionaria» non costituisce altro che un inasprimento delle loro condizioni di sfruttamento e di oppressione. (…) La guerra capitalistica ha esaurito tutte le sue potenzialità rivoluzionarie”. 32



1 “Corrispondenza dei Consigli”, organo di discussione internazionale (1934-1937) del GIC (Gruppo Comunisti Internazionali) olandese. Cfr. P. BOURRINET, Alle origini del comunismo dei consigli, Graphos, Genova 1995, p. 220 e sgg.
2 Per una conoscenza più approfondita di questo filone del marxismo americano cfr. B. BONGIOVANNI, La tradizione rivoluzionaria americana e i comunisti dei consigli europei, in Movimento Operaio e Socialista, XXIII, 4, Genova 1977; e C. CAMPORESI, Il marxismo teorico negli USA 1900-1945, Feltrinelli, Milano 1973, che ne offre però una visione riduttiva, viziata da una pregiudiziale ostilità. Di grande interesse sono le raccolte di testi MATTICK-KORSCH-LANGERHANS, Capitalismo e fascismo verso la guerra, La Nuova Italia, Firenze 1976; e (in francese) KORSCH/MATTICK/PANNEKOEK/RÜHLE/WAGNER, La contre-révolution bureaucratique, UGE, Paris 1973. Per conoscere Mattick cfr. C. POZZOLI, Paul Mattick e il comunismo dei consigli, in P. MATTICK, Ribelli e rinnegati, Musolini, Torino 1976. Un’utile Bibliografia su Paul Mattick e il comunismo dei consigli si può trovare in Marxiana 1, Bari 1976. Esiste infine una traduzione italiana di quella che si può considerare la principale opera di Mattick. Cfr. P. MATTICK, Marx e Keynes, De Donato, Bari 1972.
3 Per Camporesi la pubblicazione di questa rivista “servì tutt’al più a educare i suoi creatori e un certo numero di lettori e, nella peggiore delle ipotesi, ad aumentare l’amarezza per le occasioni perdute”. (C. CAMPORESI, cit., p. 142)
4 Sugli IWW cfr. P. RENSHAW, Il sindacalismo rivoluzionario negli Stati Uniti, Laterza, Bari 1970. Per una più approfondita conoscenza del movimento operaio americano cfr. fra gli altri: L. ADAMIC, Dynamite, Libri Rossi, Milano 1977; BOCK/CARPIGNANO/RAMIREZ, La formazione dell’operaio massa negli USA 1898/1922, Feltrinelli, Milano 1976; R.O. BOYER-H.M. MORAIS, Storia del movimento operaio negli Stati Uniti 1861-1955, De Donato, Bari 1974; J. BRECHER, Sciopero!, La Salamandra, Milano 1976; F. FOX PIVEN-R.A. CLOWARD, I movimenti dei poveri, Feltrinelli, Milano 1980; M. GLABERMAN, Classe operaia imperialismo e rivoluzione negli USA, Musolini, Torino 1976; D. GUERIN, Il movimento operaio negli Stati Uniti, Editori Riuniti, Roma 1975. Per una conoscenza “strutturale” della classe operaia americana nel secondo dopoguerra resta fondamentale H. BRAVERMAN, Lavoro e capitale monopolistico, Einaudi, Torino 1978.
5 Gruppo di esigue dimensioni, il Proletarian Party of America abbandona presto ogni suggestione bolscevica per un operaismo radicale fortemente segnato dalla storia particolare delle lotte di classe in America. Negli anni Trenta una parte del Partito si sposta sulle posizioni del comunismo dei consigli europeo e assieme a ex-wobblies costituisce l’effimero United Workers’ Party. Sulle origini e la storia del Partito comunista americano cfr. J.P. CANNON, I primi 10 anni del Partito comunista americano, Jaca Book, Milano 1977; A. DONNO, La «Questione comunista» negli Stati Uniti, Milella, Lecce 1983; J. WEINSTON, Storia della sinistra in America, il Mulino, Bologna 1978.
6 P. MATTICK, Introduzione a New Essays, Greenwood Reprint Corporation, Westport (Conn) 1970, p. I e VIII. Citato in G.M. BONACCHI, Teoria marxista e crisi: i «comunisti dei consigli» tra New Deal e fascismo, in MATTICK-KORSCH-LANGERHANS, cit., p. V.
7 S. MOSS, On the Impotence of Revolutionary Groups, in «Living Marxism», IV, 7, 1939, p. 218.
8 K. KORSCH, Sul nuovo programma dell’«American Workers Party», in Scritti politici, 2, cit., pp. 403-404.
9 Nato nel 1933 dalla Conference for Progressive Labor Action (CPLA), un movimento radicale interno alle organizzazioni sindacali e diretto dall’ex pastore A.J. Muste, l’American Workers Party nel dicembre 1934 si fonde con la piccola organizzazione trotskista (Communist League of America - CLA) di J.P. Cannon a formare il Workers Party of United States (WPUS). Il nuovo partito si spaccherà presto sull’ipotesi entrista, caldeggiata da Trotsky, nel Socialist Party.
10 K. KORSCH, Sul nuovo programma…, cit., p. 405.
11 K. KORSCH, Lettera a Mattick del 3.6.1938, in Marxiana 1, cit., pp. 159-160.
12 “Lavoro”, in inglese nel testo.
13 CP=Communist Party. Gli stalinisti americani si opposero in tutti i modi all’inserimento di Korsch nel mondo accademico, denunciandolo come un nemico dell’Unione Sovietica e quindi indirettamente come un fiancheggiatore del fascismo. Una interessante ricostruzione dell’ambiente intellettuale “radical” americano di quegli anni dove forte permaneva l’influenza del PC e dell’URSS staliniana è contenuta in A. DONNO, Dal New Deal alla Guerra Fredda. Aspetti del radicalismo statunitense negli anni ’40, Sansoni, Firenze 1983.
14 K. KORSCH, Lettera a Partos del 12.6.1939, in Marxiana 2, cit., p. 177-179.
15 Non esiste uno studio italiano sulla vita e l’opera di Tony Cliff, rimandiamo pertanto all’autobiografia apparsa nel 2000: T. CLIFF, A world to win, Bookmarks, London 2000. Per la teoria della “permanent war economy” cfr. T. CLIFF, Marxist Theory After Trotsky, Bookmarks, London 2003. Per un’analisi interessante del pensiero di Sweezy cfr. A.M. BERTANI, Keynes nel marxismo di P.M. Sweezy, CLUSF, Firenze 1975.
16 K. KORSCH, Osservazioni sulle Tesi concernenti la prossima crisi mondiale, la seconda guerra mondiale e la rivoluzione mondiale, in Capitalismo e fascismo verso la guerra, cit., pp. 46-47.
17 Ivi, pp. 48-49.
18 NEP=Nuova Politica Economica. Adottata da Lenin nel 1921in sostituzione della politica del comunismo di guerra e caratterizzata da una larga apertura ai contadini e al capitale straniero. Per un approfondimento cfr. E.H. CARR, La rivoluzione bolscevica 1917-1923, Einaudi, Torino 1964. Per una trattazione dei risvolti sociali della NEP cfr. R. LINHART, Lenin i contadini e Taylor, Coines, Roma 1977.
19 K. KORSCH, Economia e politica nella Spagna rivoluzionaria, in Scritti politici, 2, cit., p. 291.
20 K. KORSCH, Collettivizzazione in Spagna, in Scritti politici, 2, cit., pp. 299-300. Sui tentativi di collettivizzazione presenti nella rivoluzione spagnola cfr. F. GARCÍA, Collettività contadine e operaie durante la rivoluzione spagnola, Jaca Book, Milano 1980; C. MAROTTA, La breve estate dell’autogestione, in Volontà, XL, n.4, ottobre-dicembre 1986. Di particolare interesse (e impatto emotivo) è anche la bella antologia Chi c’era racconta. La Rivoluzione Libertaria nella Spagna del 1936, Editrice Zero in Condotta, Milano 1996.
21 Ivi.
22 M. JAY, cit., p.224.
23 Ivi, pp. 259 e sgg.
24 Ivi, p. 318
25 K. KORSCH, La controrivoluzione fascista, in Capitalismo e fascismo verso la guerra, cit., p. 164.
26 Ivi, p. 165.
27 Cfr. B. RIZZI, La burocratizzazione del mondo, Edizioni Colibrì, Paderno Dugnano (MI) 2000. Per una discussione delle tesi di Rizzi cfr. R. TACCHINARDI-A. PEREGALLI, L’URSS e i teorici del capitalismo di stato, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 1990.
28 Per una trattazione esaustiva della figura e dell’opera di Burnham cfr. G. BORGOGNONE, James Burnham, Stylos, Aosta 2000.
29 “Verso la fine della guerra, un gruppo composito di ex-trotzkisti americani fondò la rivista «Politics», - alla cui redazione parteciparono vecchi rivoluzionari europei come Karl Korsch e Ruth Fischer – il cui principale teorico era Dwight Macdonald, che riprese la tesi del collettivismo burocratico.” (P. SENSINI, Saggio introduttivo a RIZZI, la burocratizzazione del mondo, cit., p. LXXXII.
30 K. KORSCH, La lotta operaia contro il fascismo, in Capitalismo e fascismo verso la guerra, cit., pp. 216-219.
31 K. KORSCH, Guerra e rivoluzione, in Capitalismo e fascismo…, cit., pp. 245-247.
32 Ivi, p. 249.

martedì 17 ottobre 2017

"Stare al mondo". Rassegna di filosofia ad Imperia



"Stare al mondo" è il titolo che quest'anno abbiamo voluto dare alla nostra settima rassegna  di filosofia. Un titolo generico, se volete, perché "al mondo" ci si può stare in tanti modi, ma ad un tempo significativo per coloro che non vogliono solo guardare come "si sta" al mondo, ma soprattutto come ci si "potrebbe" e "dovrebbe" stare. Questo spiega anche il carattere multidisciplinare della rassegna,  che incrocia filosofia, antropologia, psicologia, società, come potrete vedere dal programma. In questa prospettiva abbiamo voluto inserire due "eventi" solo in apparenza estranei: la presentazione del libro di Angelo D'Orsi su Gramsci, una biografia che da tempo mancava sulla figura di un pensatore che in questi ultimi anni conosce in tutto il mondo una rinnovata stagione di studi; e la rievocazione, nel 60° anniversario della sua nascita, del "Situazionismo", un movimento politico-artistico le cui analisi critiche sugli aspetti alienanti della società contemporanea sono sopravvissute alla sua breve vita.  



Associazione Culturale Michele De Tommaso


SCUOLA DI ALTA FORMAZIONE RICONOSCIUTA DALL’ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI

STARE AL MONDO
FILOSOFIA E SCIENZE UMANE NEL TEMPO PRESENTE

SETTIMO CICLO DI INCONTRI
IMPERIA, OTTOBRE 2017-MAGGIO 2018

BIBLIOTECA CIVICA “L. LAGORIO” (ore 16.30)

Venerdì 27 ottobre: “Stranieri a noi stessi”: l’identità tra alterità e singolarità
(Pasquale Indulgenza, Associazione Culturale “M. De Tommaso”)

Venerdì 10 novembre: Le radici che non gelano: cultura e controcultura tra antropologia e filosofia
(Francesco Spagna, Università degli Studi di Padova)
con la collaborazione dei Dipartimenti di Filosofia e Storia e di Scienze Umane dell'I.I.S. Amoretti e Artistico

Venerdì 24 novembre: “La linea di polvere”: l’antropologia visuale tra villaggio e metropoli nel contesto della rivoluzione digitale
(Massimo Canevacci, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Instituto de Estudos Avançados di São Paulo, Brasile)
con la collaborazione dei Dipartimenti di Filosofia e Storia e di Scienze Umane dell'I.I.S. Amoretti e Artistico

Sabato 2 dicembre: Filosofia e psichiatria in dialogo
(Francesca Brencio, Universidad de Zaragoza)

Sabato 16 dicembre: La figura ed il pensiero di Antonio Gramsci a ottant’anni dalla morte
(Angelo D’Orsi, Università degli Studi di Torino)
EVENTO SPECIALE in collaborazione con l’Istituto Storico della Resistenza e l’Età contemporanea

Venerdì 12 gennaio: Sfere e Atmosfere: spazi, luoghi e modi del vivere collettivo
(Claudio Badano, Associazione Culturale “M. De Tommaso”)

Venerdì 26 gennaio: L’arte della vita: la “cura di sé” tra Socrate e Foucault
(Silvio Zaghi, Associazione Culturale “M. De Tommaso”)

Sabato 9 febbraio: L’umano come corpo incarnato: una traiettoria post-fenomenologica
(Maria Sepe, Associazione Culturale “M. De Tommaso”)

Venerdì 16 febbraio: “L’anti-Narciso”: soggetto e oggetto nell’antropologia post-strutturale
(Roberto Beneduce, Università degli Studi di Torino)
con la collaborazione dei Dipartimenti di Filosofia e Storia e di Scienze Umane dell'I.I.S. Amoretti e Artistico

LIBRERIA “MONDADORI” (ore 17,30)

Sabato 3 marzo: La comunità possibile: la problematica del con-vivere e del vivere-con
(Claudio Badano, Associazione Culturale “M. De Tommaso”)

Sabato 17 marzo: Essere nel mondo: paura, fragilità, fiducia
(Silvio Zaghi, Associazione Culturale “M. De Tommaso”)

Sabato 14 aprile: “Sole nero”: sofferenza contemporanea e possibilità di trasformazione
(Pasquale Indulgenza, Associazione Culturale “M. De Tommaso”)

CIRCOLO ARCI “GUERNICA” (ore 16.30)

Venerdì 4 maggio: Debord e il Situazionismo
(Giorgio Amico, “Vento largo”)
EVENTO SPECIALE in occasione del 60° anniversario della nascita dell’Internazionale Situazionista

TEATRO “L’ATTRITO” (ore 16.30)

Venerdì 18 maggio: Il corpo come luogo dell’identità di genere e dell’identità sessuale: soggettività vulnerabili alla ricerca di un approdo sicuro
(Maria Sepe, Associazione Culturale “M. De Tommaso”)

Le date degli appuntamenti in programma potranno subire variazioni, comunque interne al calendario proposto, per ragioni di forza maggiore.
In caso di indisponibilità della Biblioteca, gli incontri ivi programmati si terranno presso la sala convegni del Palazzo Municipale in Piazza Dante (“Cremlino”)