TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 6 ottobre 2017

7. Karl Korsch critico di Stalin (1925-1926)

    Stalin (1925)

Qualche anno fa, uscì per la la Colibrì di Milano, Il "rinnegato" Korsch. Storia di un'eresia comunista, prima (e ci risulta ancora unica) biografia italiana del filosofo e esponente del comunismo dei consigli tedesco. Il libro andò subito esaurito e non è stato più ristampato. In attesa di una possibile riedizione aggiornata del libro, ne riproponiamo il contenuto. Oggi presentiamo il sesto capitolo relativo all'attività di Korsch come esponente della minoranza di sinistra nel partito tedesco e nell'internazionale.


Giorgio Amico

All'opposizione nel partito e nell'internazionale (1925-1926)

Agli inizi del 1925 la stabilizzazione della situazione economica e politica in Germania costringe la direzione della KPD ad attenuare il suo atteggiamento radicale e a adottare una tattica più realistica. In primo piano viene posta la parola d’ordine: “Andare verso le masse”. Questa svolta moderata che riprende di fatto molte delle critiche dell’ala destra del partito, si fonda sulla constatazione che in Germania “per il momento non esiste una situazione rivoluzionaria immediata”. 1

Il partito deve muoversi concretamente verso l’obiettivo della “conquista della maggioranza” della classe operaia il che in sostanza si traduce in una riproposizione della vecchia tattica del “fronte unito dal basso” con gli operai socialdemocratici. Abbandonata ogni velleità di costruzione di nuovi sindacati “rossi”, i comunisti devono orientano la loro azione in direzione di un lavoro in profondità nelle organizzazioni sindacali controllate dalla SPD. In ooccasione delle elezioni presidenziali Il presidente del comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista (CEIC), Zinov’ev, ribadisce che la KPD non può restare indifferente nello scontro tra reazione monarchica e democrazia. Si deve dunque appoggiare incondizionatamente il candidato socialdemocratico anche medianti accordi diretti con il vertice della SPD.

La svolta, sostanzialmente corretta sul piano dell’analisi, ma politicamente improvvisata e imposta con la brutalità burocratica che ormai contraddistingue i partiti comunisti bolscevizzati, non trova il consenso dell’estrema sinistra che, guidata da Werner Scholem, Arthur Rosemberg e Ivan Katz, prende le distanze della direzione accusata di aver ceduto alla destra e di aver svenduto il patrimonio di intransigenza della sinistra comunista. Nel caso poi specifico delle elezioni presidenziali per bocca di Arthur Rosemberg la sinistra denuncia come i due blocchi contrapposti siano entrambi espressione della grande borghesia: non si può dunque sostenere un gruppo contro l’altro senza tradire il carattere rivoluzionario del partito.

Korsch, redattore capo dell’organo teorico del partito e deputato al Reichstag, è tra i più accesi fautori di questa politica di “ultrasinistra” che si pone su di un piano di ininterrotta continuità con la vecchia teoria dell’offensiva. Egli non crede che la Germania sia entrata in una fase di stabilizzazione, tantomeno che l’economia mondiale abbia superato la fase recessiva postbellica. La conclusione politica è netta: la situazione è aperta a ogni sviluppo, la rivoluzione è ancora all’ordine del giorno.

L’ultrasinistra, frammentata in almeno una diecina di gruppi su molti temi in aspra polemica fra loro, si ritrova compatta, oltre che nella critica della “svolta a destra”, nell’imputare alla direzione la repressione di ogni forma dissenso e una pratica della bolscevizzazione fondata sull’idea “che l’esercito prussiano prima della guerra fosse all’incirca l’ideale incarnato di un partito bolscevico”. 2

Anche su questo punto Korsch è tra i critici più decisi. In questa polemica a partire dalla primavera del 1925 egli recupera molte delle sue precedenti posizioni consiliari. Se a fronte del fallimento del movimento dei consigli, egli aveva pensato di trovare la soluzione del dilemma rivoluzionario in un leninismo idealizzato e del tutto astorico, questa certezza pare ormai lasciare spazio ad una ripresa della speranza nell’azione autonoma della classe operaia. La stessa bolscevizzazione del Partito comunista tedesco fino ad allora sostenuta a spada tratta incomincia ad apparire a Korsch per quello che realmente è: la subordinazione dei partiti comunisti dell’Occidente al partito sovietico. In questo percorso di progressivo distacco dai dogmi imperanti nell’Internazionale e nel partito alla cui diffusione egli stesso, come caporedattore della rivista teorica della KPD, aveva non poco contribuito, Korsch giunge inevitabilmente a porsi il problema dell’Unione Sovietica. Pur non avvicinandosi a Trotsky, considerato una delle diverse possibili incarnazioni del dispotismo burocratico, la rottura con lo stalinismo è netta. La teoria del socialismo in un paese solo viene ora letta come la giustificazione nazionalistica della rinuncia alla rivoluzione mondiale, conseguenza diretta della costruzione di uno stato senza una base proletaria, diretto da un partito burocratizzato e economicamente connotato da un “capitalismo di stato”.

Gli sviluppi della NEP e la coesistenza dell’URSS con il capitalismo internazionale appaiono a Korsch e all’ultrasinistra i segni evidenti della sconfitta della rivoluzione d’Ottobre e del ripiegamento della Russia su stessa a spese del proletariato mondiale. Si assiste, dunque, ad un completo rovesciamento delle posizioni precedenti, dove anche i termini usati nella polemica mutano di significato. Attaccati come “antibolscevichi”, gli esponenti dell’estrema sinistra prendono questo insulto come un onore, almeno fino a che essere bolscevico significa identificarsi con l’URSS e di conseguenza rinunciare “agli interessi del proletariato internazionale a favore dello Stato russo, cioè di quella maggioranza contadina capitalistica”. 3

Partito da questi presupposti, in un processo sempre più accelerato di rottura con il suo stesso vissuto personale Korsch giunge nel 1926 a sostenere che come la Seconda anche la Terza Internazionale ha ormai del tutto abbandonato “ il problema del fine ultimo comunista” e che la rivoluzione russa, isolata, ogni giorno di più più mette in chiaro il suo autentico carattere “radicale-borghese”. Da ciò egli trae due conclusioni: la prima che nell’URSS è ormai in via di consolidamento “un termidoro già avanzato, non più evitabile, dilagante”; la seconda, che obiettivo prioritario diventa allora dar vita a una nuova Sinistra internazionale in grado di opporsi agli effetti catastrofici della “liquidazione della Terza Internazionale, ormai iniziata”. 4

Da questo momento, venuti meno i presupposti che fino ad allora avevano giustificato la fedeltà all’URSS, dovere di ogni vero rivoluzionario è smascherare l’inganno sovietico ed adoperarsi per garantire un’adeguata direzione politica al movimento di classe proletario.



Karl Korsch: teorico o militante rivoluzionario?

Per Miloš Hájek la partecipazione di Korsch all’opposizione di ultrasinistra nella KPD “rappresentò un breve e scarsamente importante capitolo della sua vita, senza un legame diretto con il suo lavoro teorico”. 5 Hájek, che considera l’estrema sinistra come un insieme di tendenze politicamente e teoricamente sterili, “giuntura tra anarchismo e sindacalismo rivoluzionario dei tempi della II Internazionale da una parte e la nuova sinistra dall’altra, […] espressione della continuità di una tendenza settario-utopistica forte nella critica, ma incapace di offrire una concreta alternativa politica”, 6 deve in qualche modo risolvere il problema rappresentato dalla presenza in questo contesto, secondo lui teoricamente così arido, di figure del calibro di Pannekoek, Gorter, Korsch. La soluzione è una totale svalutazione del loro impegno militante. Dissentiamo totalmente da questa analisi che ci pare rispondere ad un teorema politico più che alla realtà dei fatti. 7

Non esiste un Korsch “filosofo” avulso dal Korsch “militante politico”. Come crediamo di aver dimostrato nei capitoli precedenti, Korsch vive intensamente la sua militanza, non solo come base indispensabile per una riflessione e sistemazione concettuale a posteriori, ma come fondamento etico della sua più complessiva ricerca umana. Da qui la contradditorietà del personaggio e la vischiosità delle scelte e di un percorso che non si lascia contenere in facili e unilaterali schemi. Korsch non è uomo da etichette, come Walter Benjamin egli si colloca “al di fuori di tutte le correnti e al crocevia di tutte le strade”. 8

Ma il fatto che, come vedremo, a differenza di altri eretici del marxismo (Trotsky, Bordiga, Gramsci) egli non possa essere recuperato da nessuna scuola o chiesa marxista per quanto scimatica essa sia, non significa in alcun modo che la sua militanza politica sia stata una parentesi del tutto effimera. Al contrario, proprio dall’estrema radicalità del suo impegno politico egli ricava le motivazioni morali e gli strumenti concettuali per una critica talmente rigorosa e coerente dei fondamenti stessi del marxismo da essere del tutto inutilizzabile da chi è alla ricerca di sempre nuovi “ismi”. 9

E’ Korsch stesso, d’altronde, proprio nella introduzione alla seconda edizione di Marxismo e filosofia a fare nel 1930 il punto della situazione recuperando l’intero suo percorso di quegli anni in un quadro d’assieme che non tollera scissioni fra battaglia teorica e lotta politica nel partito e nell’internazionale:

“…nel periodo in cui dopo la morte di Lenin la lotta dei diadochi per la successione si era fatta ancora più aspra che nel periodo precedente la sua scomparsa […] aveva avuto inizio, sotto la parola d’ordine della ‘propaganda del leninismo’ , anche la battaglia per la ‘bolscevizzazione’ di tutti i partiti non russi aderenti all?Internazionale comunista, condotta da quello che allora era il gruppo dirigente del partito russo. In quest’ideologia ‘bolscevica’ svolgeva un ruolo centrale anche un’ideologia strettamente filosofica che si spacciava per restaurazione della filosofia marxista vera e non adulterata e su questa base tentava di dare battaglia a tutte le altre tendenze filosofiche esistenti all’interno del movimento operaio moderno. Questa filosofia marxista leninista che proprio allora stava penetrando in Occidente, si scontrò negli scritti di Lukács, nei miei e in quelli di altri comunisti d’Europa occidentale, con una tendenza filosofica opposta all’interno stesso dell’Internazionale comunista […] E se anche questa discussione filosofica, per ragioni storiche precise […], si è risolta soltanto in un’eco lontana delle discussioni politiche e tattiche condotte alcuni anni prima con ben maggiore energia, e se già poco più tardi è stata nuovamente respinta in secondo piano dalle lotte politiche di frazione riesplose nel partito russo a partire dal 1925 e combattute con violenza sempre crescente in tutti i partiti comunisti, ciò nondimeno nell’ambito dello sviluppo complessivo essa assumeva un significato transitorio non irrilevante, in quanto si trattava di un primo tentativo di spezzare quella ‘reciproca impenetrabilità’ che secondo le parole di un critico russo eccezionalmente bene informato sulla situazione teorica esistente nei due campi, era fino allora esistita fra l’ideologia complessiva del comunismo russo e di quello occidentale”.10



Il X congresso della KPD e la liquidazione della direzione Fischer-Maslow

La lotta di frazione interna alla KPD si inasprisce man mano che ci si avvicina alla data di svolgimento del X congresso, fissata per il luglio 1925. In vista di questa scadenza Ruth Fischer scrive un articolo in cui fa risalire al congresso di Francoforte le divergenze con l’estrema sinistra e ribadisce che il X congresso sarà il “congresso della bolscevizzazione”, ragion per cui il partito deve porsi sul terreno di un leninismo integrale senza più concessioni alle “scuole teoriche” di un presunto marxismo occidentale, anche se queste si mascherano da “leniniste”. 11 Nonostante la durezza degli attacchi anche personali portati ai rappresentanti dell’opposizione, 12 il X congresso si apre con la lettura di un messaggio di Zinov’ev in cui la direzione della KPD viene criticata per la troppa tolleranza mostrata nei confronti degli oppositori ed in particolare di Rosenberg, Scholem, Korsch. “I Rosemberg e gli Scholem – si legge nel messaggio – che hanno falsificato il comunismo, i Korsch e i Rolf che col comunismo non hanno nulla a che fare, non possono essere i maestri del partito”. 13

Intervenendo nel dibattito congressuale, il delegato del Comintern, Manuil’skij, rincara la dose degli attacchi all’opposizione, dietro la cui “fraseologia di estrema sinistra” si nasconde “soltanto una natura piccolo-borghese”. Seduta dopo seduta lo scontro cresce di intensità fino ad investire direttamente la stessa politica dell’ Internazionale comunista in Germania: parlando a nome dell’estrema sinistra, Arthur Rosemberg dichiara in risposta agli attacchi di Manuil’skij che è l’Internazionale ad aver abbandonato la corretta politica comunista sia sulla tattica del fronte unito che sulla dottrina dello stato. 14

Come previsto, il congresso si chiude con una schiacciante vittoria della direzione, celebrata dalla stampa comunista come il primo passo verso la creazione di un “partito di tipo nuovo” finalmente depurato dalle tare estremistiche tipiche del comunismo tedesco. Tornato a Mosca, Manuil’skij chiede non solo la cacciata degli estremisti, ma anche di Ruth Fischer, accusata di doppiezza e di tramare contro il Comintern. Il risultato sarà una lunga “Lettera aperta” in cui il Comintern accusa il gruppo Fischer-Maslow, che pure aveva seguito fedelmente le indicazioni del CEIC, di aver dato prova nella recente campagna presidenziale di deviazioni parlamentaristiche, ma soprattutto di non aver adeguatamente combattute nel partito le tendenze nominalmente di ultrasinistra ma “in realtà anticomuniste”, con l’auspicio finale che alla direzione del partito “vengano elette nuove forze dirigenti operaie”. 15

Seguendo disciplinatamente queste indicazioni il CC della KPD si sposta sulla nuova linea dettata dal Comintern. La direzione, uscita dal congresso viene rimaneggiata: Ruth Fischer deve abbandonare la segreteria sostituita dallo spregiudicato dirigente operaio August Thälmann già vicino alla sinistra radicale di Amburgo. La nuova direzione che, controllando i funzionari a tempo pieno, 16 ha saldamente in mano il controllo dell’organizzazione, estromette dall’Ufficio Politico i rappresentanti della sinistra e inizia l’epurazione del partito. Ancora una volta la rottura è avvenuta seguendo la linea di faglia della lotta di frazione interna al Partito comunista “bolscevico” russo. Come sempre sono i dirigenti sovietici, Stalin, Zinov’ev, Bucharin a guidare da dietro le quinte i cambiamenti negli assetti e nella composizione del gruppo dirigente tedesco. Sin da subito appare chiaro che, nonostante entrambe le componenti della ex-maggioranza si richiamino più o meno negli stessi termini alla campagna per la bolscevizzazione, il nuovo leader, Ernst Thälmann, è su posizioni nettamente filo-staliniane, mentre i vecchi dirigenti Ruth Fischer e Arkadij Maslow, che nel frattempo hanno costituito una nuova opposizione di sinistra, si identificano con Zinov’ev e la cosiddetta “Opposizione di Leningrado” ormai in piena rotta di collisione con la nuova direzione Stalin-Bucharin del partito russo. 17

Come abbiamo visto Korsch non crede nella stabilizzazione della situazione economica e politica tedesca, tanto meno ritiene che si debba trovare un accordo con la SPD per salvare la fragile democrazia weimariana dal pericolo della reazione “monarchica”. Mentre il partito vira a destra, egli (e con lui l’ala ultrasinistra) rimane fermo sulle posizioni che fino a pochi mesi prima erano state patrimonio comune dell’intera KPD: Lo Stato democratico, sempre più puro apparato repressivo del proletariato, è il migliore involucro del fascismo, così come fascista è la socialdemocrazia e l’insieme delle forze democratiche borghesi. Ma se la realtà è questa, cosa pensare allora della politica del Comintern che praticamente impone ai comunisti tedeschi di accordarsi con la direzione socialdemocratica ? E ancora: come valutare la politica estera dello Stato russo che intensifica i rapporti di collaborazione sul piano diplomatico, economico e militare con il governo tedesco? 18

Per Korsch non ci sono dubbi: lo Stato sovietico antepone gli interessi “nazionali” russi a quelli della rivoluzione proletaria e utilizza in modo spregiudicato il movimento comunista internazionale per la difesa di questi interessi. Una posizione delicatissima, difficile da sostenere per chiunque in un partito come la KPD in pieno processo di stalinizzazione, figurarsi per un personaggio così poco capace di mediazione come Karl Korsch. Durante un’accesissima discussione nel corso di una conferenza di partito a Francoforte, il 6 settembre 1925, sottoposto a un duro attacco da parte dei sostenitori della maggioranza, perde il controllo e nella foga della polemica definisce “imperialismo rosso” la politica estera russa. Nonostante le smentite successive, egli diventa grazie a questa infelicissima espressione il simbolo vivente dell’antisovietismo.

    Amadeo Bordiga

Korsch, Bordiga e il VI Esecutivo allargato del Comintern

Ormai apertamente all’opposizione nel partito, Korsch si lega strettamente all’ala più radicale dell’ultrasinistra, il gruppo guidato da Ivan Katz, particolarmente radicato fra gli operai della Bassa Sassonia. Nel gennaio del 1926 Katz e i suoi principali sostenitori vengono espulsi dopo che ad Hannover la lotta fra le frazioni si è trasformata in scontro armato. Korsch e gli altri deputati dell’ultrasinistra al Reichstag rifiutano di condannare Katz, ritenendo che la responsabilità principale per i fatti di Hannover spetti alla provocatoria condotta della direzione nei confronti delle minoranze interne a cui di fatto a partire dalla I Conferenza nazionale della KPD nel novembre 1925 è stata negata ogni agibilità politica. Di fronte all’epurazione in corso nel partito, l’estrema sinistra tenta di serrare le fila. Si costituisce così il gruppo delle “sinistre intransigenti”che il 24 gennaio 1926 tiene la sua prima conferenza. In questa occasione Korsch attacca duramente la politica dell’Unione Sovietica ed auspica una collaborazione incondizionata con Katz, provocando l’abbandono della riunione da parte di Scholem e Rosenberg che considerano questo atteggiamento troppo estremistico.

Ad una nuova conferenza nazionale dell’estrema sinistra nel marzo è la volta di Hans Weber, rappresentante della cosiddetta “Opposizione di Wedding” a rompere con Korsch per l’eccessivo radicalismo delle sue posizioni sulla politica dello “stato russo” e dell’Internazionale comunista. 19 Nonostante queste lacerazioni la frazione di Korsch raccoglie in pochi mesi alcune migliaia di aderenti, e non solo intellettuali come scrive Weber 20 ma anche molti operai e, pur restando nel partito, inizia ad organizzarsi su linee autonome attorno al quindicinale Kommunistische Politik. Diskussionblatt der Linken (Politica Comunista. Foglio di discussione delle Sinistre) con il nome di “sinistra decisa all’interno del Partito comunista tedesco”.

Dopo questi episodi Korsch è ormai la bestia nera della direzione staliniana del partito tedesco e dell’Internazionale, il bersaglio di tutti gli attacchi, tanto da essere il protagonista in negativo dei lavori della “commissione tedesca” del VI Esecutivo allargato del Comintern il mese successivo. A dimostrazione eloquente di quali fossero ormai i rapporti di forza negli organismi dirigenti internazionali e quale importanza venisse attribuita alla situazione del partito comunista in Germania, i due discorsi più importanti in seno alla commissione tedesca vengono tenuti da Bucharin e Stalin. Entrambi attaccano con estrema violenza le tesi dell’estrema sinistra ed in particolare le posizioni di Korsch secondo cui il Comintern seguiva ormai una politica esclusivamente determinata dagli interessi nazionali russi. Per Bucharin simili idee non hanno nulla in comune con il comunismo e non rappresentano niente altro che “un’allucinazione” piccolo-borghese.

Nel suo intervento Bucharin definisce “assolutamente falsi e tendenziosi” i timori espressi da Korsch e da altri esponenti dell’estrema sinistra in merito ad una presunta svolta a destra del partito russo e definisce le posizioni dei dissidenti come tipiche di “un’ideologia per metà socialdemocratica e per metà borghese”. Quanto a Stalin, egli si scaglia contro Korsch dapprima senza nominarlo, ma prendendo a bersaglio delle sue rozze invettive la categoria degli intellettuali. “Se gli intellettuali – grida, rivolgendosi al segretario tedesco Thälmann - vogliono servire realmente la classe operaia, metteteli al servizio del partito. Ma se invece vogliono comandare e dominare, costi quel che costi, mandateli pure al diavolo! Il fatto che nel Comitato centrale attuale gli operai siano in prevalenza torna soltanto a onore della KPD”. 21 Infine, entrando nel merito dei fatti di Hannover, Stalin dichiara che nel partito tedesco sta infuriando una lotta implacabile tra la “banda Katz” e il comitato centrale e non è possibile restare neutrali. Ciascuno deve scegliere da che parte stare: dalla parte del “meschino filosofo Korsch oppure dalla parte del CC”. 22 Il discorso di Stalin provoca un’animata discussione nella commissione tedesca. a difendere Korsch e l’opposizione di sinistra della KPD è soprattutto il rappresentante del Partito comunista d’Italia, Amadeo Bordiga, anche lui fra gli esponenti comunisti accusati di deviazionismo. 23

“Io credo – afferma con grande dignità Bordiga tra le interruzioni dei delegati – che la caccia al sedicente frazionismo continuerà e darà i risultati che ha dato finora. Lo vediamo anche nel modo in cui si cerca di risolvere la questione tedesca e diverse altre questioni. Devo dire che questo metodo dell’umiliazione personale è un metodo deplorevole, anche quando viene impiegato nei confronti di elementi politici che meritano di essere aspramente combattuti. Non credo che esso sia un sistema rivoluzionario. Penso che la maggioranza che oggi dà prova della sua ortodossia, divertendosi alle spalle dei peccatori perseguitati, sia composta con molte probabilità di ex oppositori umiliati. Sappiamo che questi metodi sono stati applicati, e forse lo saranno ancora, a compagni che non solo hanno una tradizione rivoluzionaria, ma rimangono elementi preziosi per le nostre lotte future. Questa mania della autodemolizione deve cessare se vogliamo davvero porre la nostra candidatura alla direzione della lotta rivoluzionaria del proletariato. Lo spettacolo che ci dà questa seduta plenaria mi apre fosche prospettive circa i cambiamenti destinati ad avvenire nell’Internazionale. Voterò quindi contro il progetto di risoluzione che è stato presentato. 24

Korsch e Bordiga si conoscono dai tempi del V Congresso dell’Internazionale Comunista. Allora nel corso del suo viaggio a Mosca Bordiga si era fermato per qualche tempo a Berlino dove viveva un piccolo gruppo di militanti comunisti italiani, diretto da Michelangelo Pappalardi che del rivoluzionario napoletano si considerava un fedele seguace e un buon amico. Non è certo se i due si siano conosciuti personalmente allora o qualche settimana più tardi a Mosca. Sicuramente in quell’occasione Bordiga ha modo di prendere diretta visione dei materiali prodotti dalla sinistra comunista tedesca e di incontrare di persona molti dei suoi esponenti. 25

Grazie alle informazioni di Pappalardi, che svolge un intenso lavoro politico nelle organizzazioni di base della KPD, egli possiede una buona conoscenza del dibattito in corso nel partito tedesco e dell’articolazione delle posizioni e delle tendenze. Tramite Pappalardi e gli altri compagni italiani a Berlino egli cerca in qualche modo di influire sul rapido degenerare dello scontro interno alla KPD, considerando del tutto inesistenti le condizioni di una scissione. In una lettera datata 25 ottobre 1925 egli raccomanda a Pappalardi di adoperarsi per evitare “la rottura come l’imbottigliamento” e aggiunge a proposito della difficile situazione creatasi nel PCd’I:

“ Ti dico chiaramente che la scissione la eviteremo anche con ingoiamenti di rospi: ma ciò non è necessario gridarlo sui tetti. Il nostro metodo farà la sua strada, come non si può ancora dirlo, ma malgrado tutto. Non sarà una strada agevole, questo è certo. Ma per ora non si può dire di più”. 26

E’ un chiaro invito alla prudenza. Bordiga teme che la situazione possa scappare di mano ai compagni tedeschi e che questi si trovino senza volerlo ad essere messi al bando dal partito. Come i fatti dimostreranno presto, non si tratta di timori infondati o dovuti ad una eccessiva prudenza. Inoltre egli non condivide i toni sempre più aspri della critica di Korsch alla politica sovietica. Per Bordiga, che pure è estremamente critico nei confronti del Partito russo e lo dimostrerà scontrandosi duramente con Stalin proprio sulla “questione russa” nel corso del VI Esecutivo allargato, nonostante la sua deriva a destra il Comintern resta nondimeno il partito mondiale della rivoluzione. Egli non crede esistano le condizioni minime sufficienti a giustificare la formazione di una frazione internazionale di sinistra e pertanto lascia cadere la proposta, che già nel 1925 Korsch gli avanza con uno scambio epistolare di cui non è rimasta traccia, di portare avanti una battaglia comune nell’Internazionale, ritenendo improponibile “un orientamento parallelo di estrema sinistra nei vari partiti. 27 Si può così tranquillamente sostenere che, nonostante la presa di posizione al VI Esecutivo allargato, su di un piano più squisitamente strategico dopo il V congresso Bordiga, sulla base di un giudizio assai severo pubblicamente esplicitato, non nutra più alcuna speranza nella sinistra comunista tedesca. 28



1 Cfr. a questo proposito H. WEBER, cit., p. 111 e sgg.
2 Citato in E. NOLTE, Nazionalsocialismo e bolscevismo, Sansoni, Firenze 1988, p. 124. La prima parte del libro di Nolte, dedicato al contrasto fra bolscevismo e nazismo nell’Europa fra le due guerre, presenta un’ interessante analisi in un’ottica liberal-democratica della politica della KPD nella repubblica di Weimar. Nell’opera, molto discussa, Nolte sviluppa il concetto di “guerra civile europea” il che, per l’intellighentsia progressista equivarrebbe a una relativizzazione e, di conseguenza, ad una giustificazione storica del “male assoluto” rappresentato dal nazionalsocialismo. In realtà, basta una semplice scorsa della pubblicistica dei primi anni del Comintern per comprendere che, pur nella sua genericità, il concetto di “guerra civile europea” non sarebbe spiaciuto a Lenin. Per una critica “marxista rivoluzionaria” delle tesi di Nolte cfr. E. TRAVERSO, Gli ebrei e la Germania, Il Mulino, Bologna 1994.
3 Ibidem.
4 M.L. SALVADORI, cit., p. 470.
5 M. HÁJEK, Il comunismo di sinistra, in AA.VV., Storia del marxismo, cit., p. 375.
6 Ibidem.
7 Un teorema, quello dei dissidenti capaci solo di una critica astratta ed impotente, tipico della scuola togliattiana. Già Vacca, tentando nel 1969 un primo bilancio degli studi italiani su Korsch, ne aveva privilegiato l’opera teorica rispetto all’impegno politico (Cfr. G. VACCA, Lukács o Korsch ?, De Donato, Bari 1969). Mentre Franco De Felice non trova di meglio che definire il suo ruolo nelle lotte politiche e sociali della Germania weimariana come quello di “un acuto osservatore dei fenomeni sociali del suo tempo e del significato che aveva l’ondata generale di insubordinazione sociale”. (cfr. F. DE FELICE, Serrati, Bordiga, Gramsci, De Donato, Bari 1971, p. 182n) Giustamente Danilo Montaldi definisce questa caratterizzazione una “burla”. (Cfr. D. MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani, cit., p.18n). Ultimo frutto di questa scuola di deformazioni, l’imponente Storia del marxismo, pubblicata da Einaudi fra 1978 e il 1982, rappresenta assieme alla di poco precedente Storia del Partito comunista italiano di Paolo Spriano il vero e proprio monumento storiografico di quello che, nel bene e nel male, per oltre mezzo secolo è stata la cultura del PCI. È con particolare riferimento a queste opere che ci sentiamo di definire il berlinguerismo come la più compiuta realizzazione [e di conseguenza in termini hegeliano-marxisti il “superamento”] sul piano teorico e politico del togliattismo, forma italiana dello stalinismo.
8 Un teorema, quello dei dissidenti capaci solo di una critica astratta ed impotente, tipico della scuola togliattiana. Già Vacca, tentando nel 1969 un primo bilancio degli studi italiani su Korsch, ne aveva privilegiato l’opera teorica rispetto all’impegno politico (Cfr. G. VACCA, Lukács o Korsch ?, De Donato, Bari 1969). Mentre Franco De Felice non trova di meglio che definire il suo ruolo nelle lotte politiche e sociali della Germania weimariana come quello di “un acuto osservatore dei fenomeni sociali del suo tempo e del significato che aveva l’ondata generale di insubordinazione sociale”. (cfr. F. DE FELICE, Serrati, Bordiga, Gramsci, De Donato, Bari 1971, p. 182n) Giustamente Danilo Montaldi definisce questa caratterizzazione una “burla”. (Cfr. D. MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani, cit., p.18n). Ultimo frutto di questa scuola di deformazioni, l’imponente Storia del marxismo, pubblicata da Einaudi fra 1978 e il 1982, rappresenta assieme alla di poco precedente Storia del Partito comunista italiano di Paolo Spriano il vero e proprio monumento storiografico di quello che, nel bene e nel male, per oltre mezzo secolo è stata la cultura del PCI. È con particolare riferimento a queste opere che ci sentiamo di definire il berlinguerismo come la più compiuta realizzazione [e di conseguenza in termini hegeliano-marxisti il “superamento”] sul piano teorico e politico del togliattismo, forma italiana dello stalinismo.
8 Abbiamo recuperato qui la suggestiva espressione che fa da titolo al bel saggio dedicato, nell’ambito di una più ampia ricerca sulla cultura ebraica mitteleuropea, a Benjamin da M. Löwy. Cfr. M. LÖWY, Redenzione e utopia, Bollati Boringhieri, Torino 1992.
9 Già Marx nell’ultima parte della sua vita aveva paventato la possibilità che il suo pensiero venisse in qualche modo recuperato all’interno dello stato di cose esistente. Da qui la sua paradossale affermazione di non volersi considerare in alcun modo “marxista”. Nonostante ciò – puntualizza amaramente Rubel - “non poteva certo immaginare […] che il pervertimento “marxista” avrebbe finito col degenerare in una nuova nuova superstizione ideologica di cui gli sarebbe stata attribuita la paternità!” [M. RUBEL, Karl Marx, Colibrì, Milano 2001, p 11] Sulla vita e il pensiero di Maximilien Rubel si può vedere il recentissimo importante lavoro di G. RAGONA, Maximilien Rubel (1905-1996). Etica, marxologia e critica del marxismo, FrancoAngeli, Milano 2003.
10 K. KORSCH, Marxismo e filosofia, cit., pp. 22-23.
11 H. WEBER, cit., p. 118.
12 Riferendosi a Korsch e ad altri intellettuali dissidenti, Ruth Fischer aveva invitato la base operaia del partito a “Senza troppe parole, gettare fuori i disertori e i vigliacchi che non sono all’altezza delle difficoltà di questo momento, e far invece entrare nel nostro partito sempre e soltanto elementi operai chiaramente rivoluzionari”. [Ivi, p. 119]
13 Citato in O.K. FLECHTHEIM, Il partito comunista tedesco (KPD) nel periodo della Repubblica di Weimar, cit., p. 243.
14 Ivi, p. 122. Sulla figura e l’opera di Arthur Rosemberg cfr. L. CANFORA, Il comunista senza partito, Sellerio, Palermo 1984; e soprattutto il ben più esaustivo e documentato L. RIBERI, Arthur Rosenberg. Democrazia e socialismo tra storia e politica, FrancoAngeli, Milano 2001.
15 Ivi, p. 127 e sgg.
16 Per valutare pienamente il peso dell’apparato nella lotta di frazione interna alla KPD si consideri che nel 1926 a fronte di circa centomila iscritti al partito si contavano oltre ventimila funzionari a tempo pieno stipendiati dall’organizzazione. (Cfr. H. WEBER, La KPD e l’opposizione di sinistra in Unione Sovietica, in AA.VV., Trockij nel movimento operaio del XX secolo, numero monografico de Il Ponte, novembre-dicembre 1980, La Nuova Italia, Firenze, p. 1269.) Alla luce di questi numeri si capisce meglio perché gli esponenti dell’ultrasinistra nella battaglia contro la Direzione Thälmann, dichiarassero nelle assemblee di partito che la KPD “senza gli aiuti finanziari russi non avrebbe potuto reggere un solo giorno”. [ H. WEBER, La trasformazione…, cit., p. 149
17 Nel corso del 1925 la trojka che dirige il Partito comunista russo si spacca. Zinov’ev e Kamenev rompono con Stalin, accusato di essere troppo morbido verso Trotsky di cui i due triumviri avevano chiesto inutilmente l’esclusione dall’ufficio politico, di sottovalutare il pericolo rappresentato dai culachi, di appoggiare troppo Bucharin e la sua linea di destra in campo economico. La nuova opposizione trova il principale centro nell’organizzazione di partito di Leningrado, rigidamente controllata da Zinov’ev. Da qui il nome di “Opposizione di Leningrado”. Per un approfondimento della questione cfr. P. BROUÉ, Storia del Partito comunista dell’URSS, Sugar, Milano 1966, p. 253 e sgg.; E.H. CARR, Il socialismo in un solo paese, vol. I, Einaudi, Torino 1968, p.555 e sgg. Per uno studio dettagliato dell’evoluzione organizzativa del PC sovietico anche alla luce delle lotte di frazione cfr. T.H. RIGBY, il partito comunista sovietico 1917/1976, Feltrinelli, Milano 1977.
18 Sulla base degli accordi di Rapallo del 1922 Russia e Germania stipulano negli anni successivi una serie di trattati segreti in campo militare che permettono alla Reichswehr di riorganizzarsi eludendo i severi vincoli del Trattato di Versailles. In base a questi accordi già dall’estate del 1922 i sovietici mettono numerose basi militari a disposizione dell’esercito tedesco per l’addestramento dei membri della Reichswehr nell’uso dell’aviazione, dei carri armati e dei gas tossici. (cfr. R.A.C. PARKER, Il XX secolo I. Europa 1918-1945, Feltrinelli, Milano 1969, p. 61 e sgg.) Da notare che nello stesso periodo quegli stessi generali tedeschi armano e inquadrano in funzione antioperaia le milizie di estrema destra e intervengono manu militari per deporre i governi di sinistra in Sassonia e Turingia.
19 H. WEBER, cit., p. 158.
20 Ivi, p. 23. Il gruppo di Entschiedene Linke contava nell’estate del 1926 circa 7000 membri ed era la più consistente fra le organizzazioni formatesi in seguito all’espulsione dell’ala sinistra dal KPD.
21 Ivi, p. 152 e sgg.
22 Ivi, p. 154.
23 Sui rapporti fra Korsch e Bordiga cfr. D. MONTALDI, Korsch e i comunisti italiani, cit.; per un’esame più ampio della questione alla luce del dibattito nel partito russo cfr. La crisi del 1926 nel partito e nell’internazionale. Quaderni del Programma Comunista, Milano 1980. Ampi stralci dell’intervento di Bordiga sono riportati in A. BORDIGA, La Sinistra Comunista nel cammino della rivoluzione, Edizioni Sociali, Roma 1976, pp. 172-184. Per un approfondimento della figura e l’opera di Amadeo Bordiga cfr. F. LIVORSI, Amadeo Bordiga, Editori Riuniti, Roma 1976; e il pù recente L. CORTESI (a cura di), Amadeo Bordiga nella storia del comunismo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1999, che raccoglie gli atti della giornata di studio tenutasi a Bologna nel giugno 1996. Per una storia della Sinistra Comunista italiana cfr. P. BOURRINET, La Sinistra Comunista Italiana 1927-1952, Corrente Comunista Internazionale, Napoli 1985.
24 A. Bordiga, La Sinistra Comunista nel cammino della rivoluzione, cit., pp. 180-181. Il resoconto dettagliato del discorso si può trovare in Prometeo, a. I, nn. 3-4-5-6, luglio-settembre 1928, Bruxelles.
25 Per una divertente ricostruzione del clima e dei dibattiti dell’epoca cfr. lo spumeggiante romanzo di D. GABUTTI, Un’avventura di Amadeo Bordiga, Longanesi, Milano 1982.
26 Riportato in D. MONTALDI, cit., p. 25.
27 “Lo riterrei cosa utile – scrive in un articolo su L’Unità del 22 luglio 1925 – e forse nell’avvenire necessaria, ma la sua realizzazione non dipende affatto dalla decisione mia o di chicchessia di intavolare rapporti epistolari, bensì da cause più profonde di cui lo scambio eventuale di lettere non potrebbe essere che uno dei tanti effetti esteriori.” ( A. BORDIGA, per finirla con le rettifiche, in L’Unità, 22 luglio 1925. Ora in La sinistra comunista e il Comitato d’Intesa, Editing, Torino 1996, p. 217) Sono i primi segni di quella sfiducia nell’azione pratica, considerata volontaristica e dunque velleitaria, che sfoceranno dopo il 1930 nell’abbandono da parte di Bordiga di ogni forma di impegno politico e nel ripiegamento in attesa di tempi migliori su se stesso. Nonostante il desiderio d’azione di Pappalardi, ma anche su di un altro piano del gruppo franco-belga di Bilan, vengono a fissarsi quelle che saranno le caratteristiche salienti del “bordighismo” del dopoguerra: un rigido determinismo, il rifiuto di ogni forma di “attivismo”, la negazione esasperata del “principio democratico” e quindi del confronto con altre esperienze e correnti del movimento operaio e comunista. Caratteristiche che porteranno alla scissione del 1952 del Partito Comunista Internazionalista e che troveranno una espressione sempre più esasperata in Programma Comunista e nella miriade di chiesuole originate dalla crisi di quest’ultimo. Per una più approfondita conoscenza della questione cfr. A. PEREGALLI-S. SAGGIORO, Amadeo Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri (1926-1945), Colibrì, Milano 1998. Per una efficace critica politica di questi aspetti della personalità di Bordiga cfr. Fra le ombre del bordighismo e dei suoi epigoni, Edizioni Prometeo, Milano 1997.

28 “I capi della sinistra tedesca non seppero tradurre l’esperienza acquistata nell’amara delusione del partito che rappresentavano e portarla nella sua pienezza al dibattito internazionale. Fecero al V congresso della diplomazia e della manovra, null’altro”. (A. BORDIGA, La politica dell’Internazionale, in L’Unità, 15 ottobre 1925) [Citato in A. DE CLEMENTI, Amadeo Bordiga, Einaudi, Torino 1971, p. 241]