TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 29 maggio 2011

I teatri di Renzo Aiolfi




Sabato 4 giugno 2011, ore 17.00, presso la sala conferenze di Villa Rosa - Museo del Vetro ad Altare, presentazione del libro "I teatri di Renzo Aiolfi", Editore Bonanno, a cura della Dr.ssa Emanuela E. Abbadessa e della Dr.ssa Silvia Bottaro.


venerdì 27 maggio 2011

Kotoko Warriors, cavalieri contro la follia






KOTOKO WARRIORS, CAVALIERI CONTRO LA FOLLIA

Dal 30 maggio al 5 giugno presso l'Antico Oratorio della Passione presso la Basilica di Sant'Ambrogio in Milano in Piazza Sant'Ambrogio 4 si svolgerà la mostra





KOTOKO WARRIORS , CAVALIERI CONTRO LA FOLLIA





Talismani del popolo Kotoko (Ciad) contro la follia e la possessione

La mostra è promossa dal MAP, Museo di Arti Primarie di Savona. Si tratta di oltre 150 piccole sculture in bronzo realizzate con la tecnica della fusione a cera persa, alcune sigillate dentro contenitori rituali in cuoio, tutte provenienti dalla collezione Pierluigi Peroni.
Verranno inoltre esposte le radiografie di quelle sculture che sono sigillate dentro in contenitori rituali: è la prima volta che si fa un'operazione del genere, che è interessante sotto il profilo scientifico perché consente di osservare il contenuto rituale dei talismani, ma è sopratutto pensata come gesto artistico contemporaneo per le implicazioni e le suggestioni del "guardare dentro" .






Nel corso della mostra verrano presentate le seguenti iniziative:

Venerdì 3 giugno
ore 10.30
Presentazione dell'A.I.A.P. Archivio Italiano di Arti Primarie e del libro Kotoko Warriors, cavalieri contro la follia (edizioni tribaleglobale primay art) di Pierluigi Peroni.
Incontro con i collezionisti interessati al progetto A.I.A.P.

ore 18.
Conversazione sul tema "Bellezza e terapia"
partecipano

Carla Stroppa,psicanalista, scrittrice, membro ordinario dell’ARPA (Associazione per la Ricerca in Psicologia analitica) e del Comitato di formazione, con funzioni di docenza e di supervisione. Inoltre è membro ordinario della IAAP(International Association of Analitical Psychology)e Direttore editoriale del settore Scienze umane della casa Editrice Moretti e Vitali

Sandro Lorenzini
Scultore

Coordina

Giorgio Amico
Direttore Editoriale di Tribaleglobale Primary Art

giovedì 26 maggio 2011

"Es", poesie di Marcella Formisano


Parole sospese come nuvole nel cielo, avvolgenti come il rumore delle onde del mare.

Marcella Formisano

Es


''Groppo''

Avvolta in un viluppo caldo di dolore
figure 'parlanti' irrompono il silenzio
Uno spettacolo senza 'trama'
di comparse e teatranti
su questo grottesco 'palco'
volando sull'indifferenza dei 'paganti'
mentre la mia Anima posa su cenere
delle andate illusioni e...
scavo con le unghie fino al magma
per portare in vita
un germoglio di verità...
per non ardere di 'Vuoto'


''Se potessi''

Ricolmerei quel vuoto che
conferisce la tua gestualità
placherei quella paura che
esplode dignitosamente
dai tuoi occhi
strapperei quella melanconica delusione che
...ti vince!




''Barefoot''

Danzi su trame di colore come fossero
raffinati semi di vino
Nudi piedi
...estremità proibite...
lambiscono il manto asfaltato
...baciando...
con sensuali movimenti
tappeto di coriandoli



''Es''

Irreale come le diversità delle Tue sensazioni
Semplice, perché pura, come fossi una bambina
Femmina, perché vibri oltre le Tue essenze
Icastica come vento che spazza via rumori assordanti
Donna, perchè sprigioni quei sorrisi da disegnare, di svariati colori, il
cielo
Sensuale, perché silenziosa quasi come fossi assente
Es...mia Anima!





Marcella Formisano è nata a Napoli, ma da anni risiede a Savona. Insegnante precaria dal 1982, attiva nel volontariato, si interessa di poesia, musica e pittura ed in genere di tutto ciò che ha a che fare con la creatività.

mercoledì 25 maggio 2011

sabato 7 maggio 2011

Insieme per la scuola pubblica



giovedì 5 maggio 2011

Museo dei mestieri itineranti a Celle di Macra (CN)



MUSEO MULTIMEDIALE “SELES” A CELLE DI MACRA



Proseguono durante il 2011, con la gestione di Espaci Occitan, le aperture del Museo multimediale dei mestieri itineranti “Seles” a Celle di Macra (b.ta Chiesa - c/o ex cappella di San Rocco).

L’esposizione, che si prefigge di ricostruire la storia dei mestieri itineranti della Valle Maira e gli aspetti culturali e antropologici di questo fenomeno economico, con particolare attenzione verso le vicende degli acciugai, commercianti ambulanti di acciughe nelle città di tutto il Nord Italia sarà visitabile gratuitamente in orario 10-13 e 15-18 nelle giornate del 8, 15, 22 e 29 maggio; 5, 12, 19 e 26 giugno; 3, 10, 17, 24 e 31 luglio; 7, 14, 15, 21 e 28 agosto; 4 e 11 settembre 2011.

Allestito all’interno dell’ex Confraternita di San Rocco, edificio seicentesco di recente ristrutturazione, il percorso si articola in tre sezioni: una prima parte dedicata agli acciugai, con esposizione di abiti e strumenti da lavoro, oltre ad una raccolta di manifesti e locandine legate alle manifestazioni degli acciugai; una seconda sezione approfondisce il tema della pesca e del trasporto del pesce, con esposizione di una lampara ed attrezzature per la pesca, casse di legno e in cartone per il trasporto e il tipico carretto. La terza parte è dedicata al commercio delle acciughe, con la raccolta di documenti e registri risalenti al 1800. Il percorso museale è completato da proiezioni video, interviste e testimonianze di ex acciugai e da postazioni multimediali con ulteriori approfondimenti.




Per informazioni: Espaci Occitan - Via Val Maira 19 - Dronero (Cn), tel/fax 0171 904075 segreteria@espaci-occitan.org e www.espaci-occitan.org


mercoledì 4 maggio 2011

C'era (quasi) una volta in Liguria


“Era la regione che assomigliava a più cose, un pettine leggermente piegato dal sole e ogni dentino era una valle, un boomerang che lo lanci e ritorna, una fetta d'anguria per l'estate, persino a un sorriso se un giorno una fiaba fosse riuscita a capovolgerla”. (Marino Magliani)

Una originale raccolta di fiabe liguri, che raccontano un territorio straordinario di montagna e di mare insieme. Colline coperte da ulivi ed attraversate da torrenti di fondovalle caratterizzano una terra resa incantevole da profumi emozionanti e colori sorprendenti. Ma nel libro si trova anche il mondo mattiniero - come lo chiamava - Calvino illuminato dall'alba o dall';aurora e quello della notte incantata. Un catalogo di fiabe illustrate con disegni che ne colorano ed esaltano la magia delle trame. Una pubblicazione rivolta ai grandi ed ai bambini e che contiene anche un forte messaggio di solidarietà e speranza: i diritti d'autore saranno destinati a sostenere il progetto di adozioni a distanza a Santo Domingo della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova guidata da Don Andrea Gallo.

“Una raccolta di fiabe liguri, o meglio, di fiabe (quasi) liguri, - spiega Marino Magliani curatore con Achille Maccapani di questo progetto - mi è venuta in mente perchè l'editore Senzapatria mi aveva chiesto di curare un libro di quasi fiabe italiane. Inizialmente, il progetto era quello di tornare in Liguria un inverno e dedicarmi all'ascolto. Andare a Badalucco o a Dolcedo, a Triora o Apricale, sulle colline gelide a Savona o nei carruggi pieni di voci di Genova, sul porto di Oneglia, oppure, semplicemente nel carruggio in salita a Prelà dove posseggo un rifugio, e chiedere alla gente di raccontarmi le storie che ascoltavano e ascoltano ancora oggi nelle nottate di vento, assieme ai rumori delle grondaie.
Ringrazio Achille Maccapani per il lavoro svolto, Giovanni Agnoloni per la sua lettura tolkiniana e i fiabisti e gli illustratori e l'editore con cui abbiamo sognato. E Don Gallo, che attraverso le quasi fiabe liguri sono sicuro riuscirà a far sorridere bambini sofferenti. Siccome ad ogni fiaba è legata una tavola, ho scelto anch'io per questa quasi postfazione il lavoro di un'artista. Si chiama Gloria Fava e lavora tra Andora e Torino e una casa in montagna. Si tratta di un incanto notturno, un pesce, stupito forse, come si stupiscono i pesci, che spunta dall'acqua e guarda la grotta dorata e le scogliere nere che mi sembrano, ora che le guardo bene, quelle di un posto che conosco bene, alla foce di un torrente”.


Fiabe di: Giorgio Amico, Fabio Beccacini, Bruno Bianchi, Valentina Bosio, Gabriele Virgillito Cassini, Marco Cassini, Chiara Daino, Sira De Guglielmi, Stefano Delfino, Enzo Ferrari, Dino Gambetta, Ino Gazo, Riccardo Gorlero, Raffaella Gozzini, Laura Guglielmi, Mara Pardini, Alberto Pezzini, Giovanna Profumo, Massimo Raineri, Giacomo Revelli, Marco Scullino, Viviana Spada, Aldo Trucco, Maria Pia Viale.

Illustrazioni di: Magda Bernini, Marco Cassini, Tiziana Di Cicco, Monica Di Rocco, Silvia Ferrari, Massimo Galleano, Massimo Gilardi, Libereso Guglielmi, Stefano Gurnari, Ksenja Laginja, Andrea Pisano, Daniela Rossi, Camilla Traldi, Aldo Trucco, Cesare Viel.

C’era (quasi) una volta in Liguria
a cura di: Marino Magliani e Achille Maccapani
Zem Edizioni: Via San Rocco n.4 - 18019 Vallecrosia (IM), 2011
14 €


Carlo Romano, Situazionismi



Una rivisitazione della storia dell'Internazionale Situazionista collocata nel contesto più complessivo delle avanguardie artistiche del secondo Novecento.

Carlo Romano

Situazionismi


Con la morte di Guy Debord, alla fine del 1994, l’Internazionale Situazionista -la quale sopravviveva per un verso nei discorsi di piccoli e stanchi, ma più che altro uggiosi, gruppi radicali e per l’altro nelle distratte, ma più che altro insicure, menzioni di pochi cronisti affaccendati nelle cose d’arte- otteneva un posto nell’opinione pubblica che mai aveva avuto. A quel punto, anche il posto nella storia, già blandamente assicurato, acquisiva lo spazio che compete agli eventi d’un qualche peso. Sotto l’ala protettrice di uno di quei tipici intellettuali che con la storia sembrano avere soltanto conti da regolare, e non hanno altro modo di farlo che rilasciando pareri, Philippe Sollers, usciva qualche tempo dopo da Gallimard un libro di Cécile Guibert il quale, intitolato a Debord, faceva scoprire una scrittrice che, forse tentata da un’improbabile vena sentimentale, invece d’una ragionata sequenza di appassionate cartoline riusciva a dare la più svenevole ed insincera collezione di necrologi a memoria d’uomo. Quantunque superfluo, si poteva tuttavia riscontrare nel libro la testimonianza della scarsa dimestichezza che l’intellighenzia francese aveva con le faccende relative ai situazionisti. Fra le poche eccezioni, spiccava quella di Regis Debray, autore di un saggio per nulla indulgente nei confronti di Debord ma perlomeno pertinente e non banale, riprova del fatto che nella sua recente veste di "mediologo" il vecchio guerrigliero poteva finalmente esprimere una riserva di finezza rimasta troppo a lungo surrogata nei servizi resi a Fidel Castro e a François Mitterand. Altrettanto non si poteva dire del pur diligente biografo di Georges Bataille, Michel Surya, mentre con un certo imbarazzo si assisteva ai capricci di un professore del gauchisme, Michael Lowy, per assegnare Debord al "romanticismo nero": "Debord è una macchina infernale difficile da disinnescare"... In fin dei conti c’era da rallegrarsi per il dossier che dopo il suicidio di Debord compariva su "les Inrockuptible", rivista di musica, moda e cultura giovanile, che, al pari di altre dello stesso genere, gravate dal peso della ricerca del nuovo, trovava da qualche tempo nei situazionisti, nati quattro decenni prima e da venti dissolti, un elemento di originalità.

Negli stessi paraggi, per la verità, già dai tempi della cosiddetta "punk explosion", nella seconda metà degli anni settanta, si era manifestato, tramite il manager dei Sex Pistols, Malcom McLaren, sedicente situazionista, un certo brusio tendente a conferire ai suoi istigatori il rango di più trasgressivi, di più dada, di più sulla cresta dell’onda e, in definitiva, di più furbi, chissà se altrimenti raggiungibile. E’ però alla fine degli anni ottanta, quando esce Tracce di Rossetto di Greil Marcus, giornalista musicale americano, autore di Mistery Train, un bel libro sulle origini del rock ‘n roll, che il brusio si addensa. Il libro aveva il merito di raccogliere per il grande pubblico quell’insieme di informazioni che la cultura ufficiale aveva largamente disatteso, ancorché lo stile un po’ "new journalism" alla Tom Wolfe e un po’ "storia segreta" alla Louis Pauwels (e più questa che l’altro) creasse l’involontaria comicità di chi scopre l’acqua calda. Quand’anche - con uno di quei ragionamenti snobistici e capziosi coi quali si pensa di salvaguardare chissà quale proprietà intellettuale - si abbia voglia di considerare questo testo fra i responsabili di uno sperpero dell’Internazionale Situazionista, esso resta comunque il lavoro di un’entusiasta la cui schiettezza nella scoperta, ovviamente, non costituiva in sé un difetto quale viceversa poteva esserlo l’enfasi esoterista di cui era pervaso.

Con maggior cura sono da vedere piuttosto i lavori di Stewart Home, in specie il suo Assalto alla Cultura del 1988. Propugnatore, con riserve, di un’ennesima ultima avanguardia, il "neoismo" (fondata da Zack, Ackerman e Kantor) essendo nato nel 1962 (mentre Marcus è del ‘45) Home è da ritenersi immune dal discorso dell’acqua calda, e sarebbe semmai da prendere in considerazione come esempio della più disinvolta ricezione delle cose situazioniste tra chi non aveva vent’anni nel 1968, o prima, e non ha patito dell’atteggiamento elitario (meglio ancora, inibitorio) che i situazionisti avevano nei confronti degli eventuali seguaci. Critico di Debord, Home rovescia la comune opinione dei gruppi radicali, punta sull’elemento artistico -che costituisce il primo dei due tronconi nei quali viene canonicamente divisa la storia dell'IS- e si appoggia poi strumentalmente proprio sulle obiezioni mosse da quei pochi elementi "linkscomunisti" (che dimostra almeno di conoscere) la cui attenzione nei confronti dei situazionisti è stata sì genuina ma anche di aperta condanna a cagione della loro "artisticità".



La divisione in fasi nella storia dell’IS, è ragionevolmente sorretta dal suo sviluppo come "organizzazione". Per Debord, fondamento di tale sviluppo sono "il superamento" e "la coerenza", la quale ultima, tuttavia, non riguarda solo le conclusioni ma investe direttamente le remote premesse. L’orientamento impresso all’Internazionale Situazionista negli anni sessanta è di certo interessante per i testi prodotti, principalmente quelli di Debord e Vaneigem, ma non lo è meno per il suo svolgere, perlappunto coerentemente, gli ambiziosi programmi delle avanguardie artistiche -fra l’altro, per quanto riguarda i testi, più ancora de La Società dello Spettacolo di Debord, è paradigmatico, a questo proposito, il Trattato di Saper Vivere di Vaneigem. La fase finale dell’IS, nel momento in cui si ponga il problema, riguarda la storiografia artistica allo stesso titolo della prima. In un certo senso, d’altronde, la vicenda dell’IS è più credibile in questa luce che come tentativo di riprendere la storia dell’Internazionale di Marx e Bakunin là dove si era interrotta. Contrapporre "artistico" e "radicale", o sostenere che l’artistico è il radicale come fa Home, significa alla fine assecondare la stessa interpretazione che i situazionisti hanno indotto a prendere per buona.

Nello sfoggio situazionista della nozione hegeliana di "superamento", tanto per prendere la questione di petto, si infittiscono litigi e sconfessioni come in uno psicodramma stalinista dove le morti, per fortuna, dolorose che siano, rimangono simboliche. Ciò nondimeno questi avvenimenti, nonostante l’apparente formalizzazione organizzativa dei situazionisti, sono estranei al dominio della "civiltà giuridica" e, per tanta crudeltà possano rivelare, essi sembrano più intrinseci alla fine di un’amicizia che ad altro. E’ questo che i situazionisti prendono terribilmente sul serio ed è, fra l’altro, in questo che la personalità di Debord esprime i suoi indubbi lati spiacevoli. Sono nient’altro che quest’ultimi, i quali pergiunta darebbero luogo a dei raggiri (non solo intellettuali), i fondamenti della critica di Home, la cui sensatezza, in ogni caso, è pari al partito preso. L’elaborazione situazionista nella sua fase finale, sarebbe in realtà ben poca cosa e, con lo stesso tipo di intransigenza che condanna in Debord, Home vi coglie solo miserabili fallimenti contrabbandati per teorie rigorose.

E' chiaro che, a dispetto delle pretese di Debord e compagni, punti risolutivi quali la nozione di "vita quotidiana" o la tradizione "consiliare" (vale a dire dei "consigli operai") hanno una loro storia che prescinde dai situazionisti, per quanto questi entrino a pieno titolo a farne parte. La stessa metafora debordiana dello "spettacolo" è del resto di origine popolare o, altrimenti, manieristico-barocca. A proposito, invece, del "superamento dell’arte", origini hegeliane a parte, viene da osservare che nell’anno in cui andava stampato il primo bollettino dell’IS, il 1958, usciva negli Stati Uniti la nuova edizione (la prima era del 1946, prefata da John Dewey) di un libro che si chiamava perlappunto The Way Beyond "Art" (in tedesco, lingua madre dell’autore, Ueberwindung der Kunst, il superamento dell’arte). Non è inoltre privo di comicità che dieci anni dopo, nel fatidico 1968, in Francia, i due più violenti pamphlet contro l’arte fossero scritti l’uno da un affermatissimo artista, Jean Dubuffet (Asphyxiante Culture) e l’altro da un "raffinato", come si suol dire, collezionista (nonché storico dell’arte gotica), Jean Gimpel (Contre l’Art et les Artistes). Biasimare delle pretese è dunque opportuno, ma il biasimo di Home prepara un altro genere di condanna: "idealismo"!


Volendo, la vicenda dell’IS nel modo in cui ci é stata tramandata, puo' rispondere a dei criteri definibili come "storicismo idealistico", o magari come "bergsonismo", non per questo è meno interessante. D’altra parte, vi si può anche scorgere una sorta di determinazione "work in progress" che fa pensare all’opera d’arte, ed ad un'opera d'arte il cui artefice pressoché unico sarebbe Guy Debord e tutti gli altri comparse o quasi. Armando Plebe, negli anni sessanta, attaccando la letteratura d’avanguardia, usò quest’espressione: "opera in progresso, lettori in fuga" dove per lettori, nel nostro caso, varrebbe la pena di intendere la caratteristica congerie di espulsioni. Le fonti bistrattate, gli artisti fuoriusciti, i fermenti "creativi" cui vanno, non senza motivo, le simpatie di Home, meritano senz'altro gli onori -che in gran parte hanno di fatto ricevuto nella storia dell’arte- ma non le geremiadi, tanto più rammentando che non sono la fragilità personale e la modestia dei propositi a rappresentarli tutti -se è vero che il famigerato Jorgen Nash, per il quale l’Internazionale di Debord e Vaneigem aveva coniato il dispregiativo "nashista", ha decapitato la statua della "sirenetta" anderseniana.

Quella dell’Is è fra l’altro una storia quasi privata, scarsamente vissuta all’esterno e, a differenza di quella del surrealismo e delle altre avanguardie -profondamente intrecciata, nel bene e nel male, con quella delle più autorevoli voci della cultura moderna- è rimasta, nonostante l’influsso esercitato su taluni eventi e gli obiettivi di scandalo che si prefiggeva, pressoché dietro le quinte e ignorata dall’opinione pubblica. Chi aveva mezzi e opportunità, ha potuto conquistarsi tranquillamente la fama artistica e su di essa non ha agito alcun favore o sfavore legato alla dissidenza nell’IS. I curriculum dei cataloghi delle mostre (e in misura assai minore anche le bandelle dei libri) potevano benissimo prescindere dal coinvolgimento coi situazionisti tanto non ne sarebbe derivato un superiore consenso. Paradossalmente i "cattivi", vale a dire Debord e compagni, confidavano invece nel rispetto che avrebbe suscitato il sapere della pur temporanea appartenenza al loro gruppo. Se ciò è avvenuto solo molto tardi, sostanzialmente a ridosso della morte di Debord e ancor più dopo, lo si deve al conformismo e alla superficialità degli storici dell’arte. L'unica eccezione è stata, a metà degli anni Settanta, Mirella Bandini con L'Estetico e il Politico, un libro che rimane ancora oggi indispensabile (in Francia, e ciò la dice lunga sulla sbadataggine del paese di Debord, è stato tradotto soltanto poco tempo fa). Fatto sta che, eluso per lungo tempo il significato delle vicende personali e di gruppo nella prospettiva dell’IS, la prospettiva della loro autonomia non sembra esser stata affrontata col dovuto vigore nei suoi contenuti intellettuali, interamente confiscati, nel migliore dei casi, da quelli artistici.

Un conto è però farsi interpreti del risentimento degli esclusi, un altro cercare di valutare l'attività e il potenziale di tutti, esclusi o meno. Cosa che, e qui conveniamo con Home, a molti infatuati di Debord -per i quali Co.Br.A., Spur, Bauhaus Situazionista, Sitationist Time, Istituto di Vandalismo Comparato sono solo episodi di un avvenire più grande che, quando va bene, si vuole di preferenza in debito soprattutto col lettrismo- riserverebbe non poche sorprese.


(Da: http://ciaomondoyeswecan.myblog.it/)

martedì 3 maggio 2011

"Carta vetrata" al Museo dell'arte vetraria altarese


Danzare tra i narcisi in Val Varaita


lunedì 2 maggio 2011

Il coltivatore di mimose a 50 anni si scopre scrittore


Pubblichiamo la prima intervista "importante" concessa da Francesco Biamonti, apparsa nel 1983 sul supplemento librario de La Stampa in concomitanza con l'uscita in libreria de L'angelo di Avrigue, il romanzo che impose lo scrittore all'attenzione della critica e del pubblico.

Nico Orengo

Il coltivatore dì mimose a 50 anni si scopre romanziere

E' della Liguria di roccia, nell'ultimo Ponente, prima del confine con la Francia: di quella Liguria di valli, aspra, sbarbariana, appesa agli ulivi e alle vigne antiche di rossese e massaira. Si chiama Francesco Biamonti, ha cinquantanni, una volta faceva il bibliotecario, un pò di vita politica, poi i libri «erano stati letti tutti», la politica era diventata «troppo aggressiva, senza commozioni», e ha smesso. E' tornato a coltivare in campagna le sue mimose: a San Biagio, un paese nell'interno fra Ventimiglia e Bordighera E si è messo a scrivere, lentamente, pazientemente con la stessa cura, parola per parola, con cui i suoi nonni costruivano le terrazze in pietra, le piramidi di Liguria, dove coltivare i limoni, le ginestre, la vigna, l'ulivo.

A San Biagio, dove ognuno ha un suo nomignolo, lo chiamano «il poeta». "Avere un soprannome è un segno di ricchezza, di impegno — dice Biamonti — Questo è stato nel passato un paese poverissimo, emigravano tutti in Francia, a Marsiglia, all'inizio del Novecento. A Marsiglia c'era un ciabattino di qua. Sapeva leggere e scrivere. Lo chiamavano il "Console" e trovava lavoro nel porto. Poldo lo stranome di "Inventore'' se lo è guadagnato un anno che aveva nevicato e temendo di perdere le ulive aveva congegnato delle piccole cariche di tritolo che avrebbero dovuto far cadere la neve e salvare il raccolto. Risultato: svegliò nel cuore della notte cinque paesi, venne giù la neve, le ulive e gli ulivi".

Con Biamonti i1 soprannome era meno ironico. Dopo il lavoro nelle mimose, il mercato, lo vedevano chiudersi in casa, o andare a fotocopiare fogli e fogli, aveva la macchina piena di libri e giornali francesi, accompagnava il pittore Ennio Merlotti a cercare le sue rocce da dipingere. Erano sicuri che prima o poi un libro lo avrebbe "stampato". E ora il libro esce da Einaudi, con una presentazione di Italo Calvino. Si chiama L'angelo di Avrigue, è la storia di un'attesa, di una vertigine. Un marinaio, che il male dell'orizzonte costringe a terra, scopre la morte — accidentale o no? — di un giovane in un crepaccio sopra il paese. C'è un silenzioso interrogarsi fra gli abitanti che sconvolge gesti e ritmi quasi immobili del tempo, la consapevolezza che un "male", la barbarie turistica, la droga, sta salendo lentamente da quell'altra Liguria, quella del basso, di scoglio, un modo diverso di sentire levita.

Come è nato, questo romanzo?

Biamonti ci riflette, con una apparente modestia che in realta è lotta di orgoglio e consapevolezza:

Avevo l'ossessione dei contrafforti delle Alpi Marittime, di un certo substrato linguistico lirico e antico, della degradazione della vita.

Cosa racconta in L'angelo di Avrigue?

Una perlustrazione intorno a un crepaccio. Un marinaio scopre nella luce del paesaggio un male profondo. La luce copre e svela un duro inverno.

Per lei cosa vuol dire scrivere?

E' contraddittorio. E' un atto e una contemplazione. Fantasia e bilancio. Affondo sempre nella stessa materia: la natura e la condizione umana, colte nel loro lato storico e temporaneo e nel loro lato umano.

Quali sono i suoi autori, chi legge?

Quelli dall'andamento meditabondo e dallo stile lucido: Camus e Calvino. Anni fa mi è piaciuto molto Julien Greco de La presqu'ile. Anche Jean Daniel in Les refuges et la source ha pagine molto belle, ma manca di concisione, del fascino che viene dall'inventare. E' bella l'idea del rifugio. Il Camus del deserto e della chute. il Calvino delle nostre colline mi piace senza riserve. Anche Char mi piace, riflette una terra aspra.

Cosa significa scrivere lontano dai grandi centri culturali e industriali?

Più sguardo e meno rumore. Forse sono presuntuoso, l'importante è essere sinceri, parlare di cose che si conoscono..

E Calvino cosa dice di questo nuovo scrittore? «E' una voce grave, e pausata con una naturale propensione per i toni lirici sospesi; ma il suo vocabolario è ricco di parole vere e insolite e precise, che vengono dal linguaggio parlato a ridosso delle Alpi Marittime».

(Da: Tuttolibri - La Stampa del 29 gennaio 1983)

domenica 1 maggio 2011

Edmondo De Amicis, Primo Maggio


Nel 1891 Edmondo De Amicis inizia la stesura di un romanzo, Primo maggio, che riflette il suo avvicinamento al socialismo e la sua visione della questione sociale. Il romanzo racconta la storia di un intellettuale torinese che diventa socialista e si scontra per questo con i pregiudizi dei benpensanti. Primo maggio rimase incompiuto e fu pubblicato solo nel 1980 per iniziativa del Comune di Imperia. Ne pubblichiamo l'incipit.

Edmondo De Amicis

Primo Maggio

Alle sette in punto il signor cavaliere Bianchini saltò giù dal letto e, affacciandosi alla finestra, ebbe due dispiaceri: vide che il cielo era tutto azzurro e che il muratore Peroni non era andato al lavoro. Questi se ne stava seduto, con la giacchetta sulle spalle, sullo scalino del suo uscio a vetri, in fondo al lungo terrazzino della casa bassa che formava un cortile triangolare con le due grandi ali dell'isolato. Diamine! Se festeggiava il 1° Maggio il Peroni, un operaio vecchio e tranquillo, c'era da credere che lo festeggiassero tutti gli operai di Torino.
Questo pensiero spiacevole fece dimenticare al signor Bianchini di esaminarsi il viso e la lingua allo specchietto per la barba, come faceva ogni mattina, compiacendosi della floridezza ammirabile, benché un po' pingue, dei suoi sessant'anni.
Vestito che fu, uscì dalla camera, e udendo nella cucina una voce d'uomo che discorreva con le donne di servizio, si fermò ad origliare all'uscio socchiuso. Era il garzone panattiere, a cui Rosa, la cameriera, saldava il conto del mese, contando delle lire sulla tavola. Il giovane diceva: - Dell'argento?... Ah! sta bene, perché i biglietti... Presto ha da accadere qualche cosa di grosso, per cui i biglietti dei signori non varranno più niente. - La cameriera gli diede dello spaccone. Ma Antonia, la vecchia cuoca, biascicando le parole con voce acre, confermò la profezia. Fin dall'alba giravano per Torino pattuglie di fanteria e di cavalleria. Essa aveva inteso dire nelle botteghe che nella giornata del 1° Maggio sarebbero venuti in città i contadini, con le falci e i tridenti, ad aiutare gli operai, e assicurava che molte famiglie avevan fatto provvista di pane e di carne per tre o quattro giorni, in previsione d'una rivoluzione.
Il signor Bianchini tirò via, seccato. Erano due o tre giorni che quella vecchia ciaccolona riportava in casa tutte le più sinistre e strampalate pastocchie che sentiva dire in mercato, con l'evidente proposito di destare inquietudine nei padroni...
Il Bianchini andò nella sala da desinare, che aveva due grandi terrazzini, l'uno su piazza dello Statuto, l'altro sul corso Beccaria, e s'affacciò al terrazzino della piazza. Questa aveva l'aspetto solito di quell'ora: non c'era nessun capannello; coppie e gruppi di ragazzi s'avviavano alle scuole. Egli scrollò una spalla e disse: - Non seguirà nulla -. Poi, guardando con occhio sereno le Alpi azzurre, sorbì lentamente il caffè, che gli portò la cuoca. Era questo uno dei più vivi piaceri della sua vita. I suoi piaceri erano molto modesti. Una passeggiata igienica la mattina per i viali di piazza d'armi, leggendo la Gazzetta del popolo, due buoni pasti fatti con buon appetito, il vermouth, il sigaro Cavour, gli amici del caffè Londra la sera, quando non accompagnava moglie e figliuola in società o al teatro, e un buon sonno filato di otto ore: non gli bisognava a coronare la propria felicità; il cui fondamento era un affetto grandissimo, misto a una profonda ammirazione, che aveva per il suo unico figliuol maschio, Alberto, professore di lettere nel liceo Brofferio.
Preso il caffè, entrò nella stanza accanto, dov'egli aveva una piccola biblioteca, di cui non apriva mai un volume. Fu stupito di trovarvi già la sua figliuola, Ernesta...
- Ebbene -, gli domandò la ragazza, porgendogli la fronte, come soleva fare ogni mattina - che cosa accadrà quest'oggi?
- Che vuoi che accada? - rispose il padre - Un po' di chiasso, tutt'al più.
- Non dovrà mica intervenire la truppa?
- E quando dovesse intervenire?... Suonan la tromba e tutti scappano, come in tutte le dimostrazioni. T'hanno lasciata quetare questa notte?
In quel punto entrò la signora Bianchini, alta e maestosa, già stringata nel busto, coi capelli tinti ben pettinati, con la sua larga faccia bruna ben depilata, mostrando i bei denti incisivi da un marengo l'uno. E rispose, entrando, alla domanda del marito: - Se ci hanno lasciato quetare?... È stato un chiasso indemoniato fino alle tre della mattina. Io non ho chiuso occhio. Non è possibile tirare avanti in questa maniera. È tempo che tu ci metta rimedio.
Alludeva al chiasso fatto sotto le finestre della sua camera, sul corso Beccaria, dov'erano due sedili di pietra in mezzo agli alberi, e vi si radunavano quasi ogni notte dei giovinastri brilli o briachi, che cantavano, ballavano, leticavano, senza che comparisse mai una guardia.
- Questa notte poi, - soggiunse, sogguardando la figliuola, che abbassò gli occhi -, c'erano anche delle donne, e si son sentiti dei discorsi... Insomma, se non ti decidi una buona volta a andar dal Questore, gli scriverò io!
Il Bianchini rispose che ci sarebbe andato; ma non quel giorno, di certo, perché in questura dovevano aver ben altro da pensare che agli schiamazzi notturni del corso Beccaria.
- Ah! giusto -, esclamò la signora, ricordandosi; - oggi è il 1° Maggio. Un altro regalo. - E dopo aver dato uno sguardo scrutatore alla piazza, domandò: - Ma, in conclusione, che cosa vogliono questi operai?
Il marito rispose che volevano ridotto a otto ore il lavoro giornaliero, per avere otto ore da dormire e otto ore di libertà.
- E che vogliono farne di queste otto ore di libertà? - domandò la signora.
Il Bianchini che, per antica abitudine, quando non aveva naturalmente un'opinione opposta a quella di sua moglie, fingeva d'averla, rispose, con l'aria di giustificar gli operai: - Oh bella!... Vogliono otto ore per star con la propria famiglia,... per coltivar lo spirito, istruirsi.
- E cosa ne voglion fare dell'istruzione? - domandò la moglie. Poi soggiunse: - Non hanno mica da fare i professori. Vorranno le otto ore per passarle all'osteria. Già, son tutti eguali. Io li giudico da quelli che passan la notte sotto le mie finestre.
- Eh, andiamo -, disse il Bianchini - non bisogna metterli tutti in un mazzo. Vedi il muratore Peroni, per esempio. È un ottimo uomo.
- Sarà un'eccezione, di certo. Del resto... ha una faccia scura. Non è rispettoso.