TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 29 dicembre 2015

Presentazione del volume “Toponimi del Comune di Spotorno”



Presentazione del volume “Toponimi del Comune di Spotorno”

Sabato 16 gennaio 2016
alle ore 16.30
Spotorno
Sala convegni Palace


Toponimi del Comune di Spotorno è il fascicolo numero trentadue del Progetto Toponomastica Storica: si tratta di una raccolta di toponimi effettuata a partire da documenti scritti, in larga parte inediti, verificandone sul campo la localizzazione con l’ausilio dei residenti.

Il valore culturale intangibile della toponomastica è ormai un dato acquisito. Il Progetto si propone la valorizzazione e la tutela dei nomi di luogo storici: fino ad ora ne ha schedato cinquantamila nei territori comunali delle province di Savona, Cuneo e Asti. Le principali fonti usate a Spotorno sono state numerosi documenti medievali, tra cui atti di notai savonesi inediti del XV secolo, e lo spoglio dei tre catasti storici più antichi rinvenuti: il primo, conservato a Torino, è della fine del XVIII, mentre gli altri due, conservati a Savona, risalgono al XIX secolo.

Oltre che da Furio Ciciliot, responsabile del progetto, la pubblicazione è stata curata dallo storico spotornese Giuliano Cerutti e da Nicolò Cassanello e Rosella Ricci, già coinvolti in altri lavori toponomastici simili.

La ricerca ha portato a novità storiche interessanti - soprattutto relative al primo Medioevo ed al bosco dell’Eliceta - che saranno divulgate per la prima volta durante la presentazione del fascicolo e che forniranno spunti promettenti sull’origine stessa di Spotorno.  


mercoledì 23 dicembre 2015

Antifascisti savonesi nella Guerra di Spagna



Numerosi furono gli antifascisti savonesi andati a combattere in Spagna in difesa della repubblica. Considerati sovversivi dopo la guerra (e la caduta del fascismo) continuarono per anni ad essere spiati e schedati dagli apparati dello Stato democratico.

Giorgio Amico

Antifascisti savonesi nella Guerra di Spagna.

Quarant'anni fa, il 20 novembre del 1975, moriva dopo 36 anni di dittatura Francisco Franco. Con il crollo del regime falangista, ultima sopravvivenza del fascismo storico, si chiudeva un'epoca buia per la Spagna e l'Europa. Iniziava un processo di transizione che avrebbe riportato la democrazia nel paese iberico. Un percorso non privo di contraddizioni. Secondo José Álvarez Junco, professore di Storia del pensiero e dei movimenti sociali all’Università Complutense di Madrid, la destra, che non aveva un progetto né un leader, «si assicurò che non ci sarebbero state epurazioni nella polizia, tra i militari e nella magistratura; la sinistra, dinanzi a un regime franchista comunque ancora forte e strutturato e al rischio di una nuova guerra civile, ottenne l’amnistia e le elezioni democratiche» (Il Sole 24Ore del 15 novembre 2015).

Un accordo, definito il “Patto dell'oblio” che di fatto rimuoveva dal dibattito politico il passato franchista. Calava un velo su quattro decenni di violazioni dei diritti umani e di crimini efferati, mentre gli esponenti più giovani del regime continuavano tranquillamente la loro carriera nei partiti del centrodestra. Un fenomeno che ricorda molto da vicino la mancata epurazione dell'apparato statale dopo la Liberazione in Italia.

Secondo Almudena Grandes, una scrittrice molto impegnata politicamente conosciuta e apprezzata anche in Italia, la Spagna soffre ancora oggi per l'occasione mancata quaranta anni fa di democratizzare radicalmente il paese. Per lei la crisi di rappresentanza dello Stato spagnolo, evidenziata sia dal successo di Podemos sia dalla crisi catalana, trova le sue ragioni in una transizione alla democrazia che non ha saputo realmente fare i conti con il passato:

“Credo che la crisi che la democrazia spagnola sta vivendo sia legata alla transizione democratica che ha reso la Spagna un Paese fragile: non ci fu una rottura estesa ed efficace con la dittatura, le istituzioni conservano molto di quell’epoca. C’è dunque all’origine un problema sentimentale e morale, e il problema territoriale è la manifestazione di un Paese che non si riconosce nei simboli nazionali spagnoli, perché non si è fatto un progetto rotondo e la transizione è stata ambigua». (Il Sole 24Ore, cit.).

Particolarmente sentito il problema dei caduti repubblicani. Sono infatti centinaia le fosse comuni sparse nel Paese, molte delle quali mai aperte. 150mila cadaveri restano senza un nome, mentre più di 1000 famiglie di caduti riconosciuti non possono recuperarne i corpi. Una ferita aperta a cui la legge della «Memoria histórica», approvata alla fine del dicembre 2007 dal Governo Zapatero, aveva cercato di dare soluzione, ma che il governo di centrodestra di Mariano Rajoy ha sostanzialmente congelato.



Contraddizioni della transizione che emergono anche dalle pagine di un libro appena edito a cura dell'ISREC di Savona e dedicato alla figura di Umberto Marzocchi, esponente di primo piano del movimento anarchico italiano e internazionale, fiorentino per nascita, ma savonese d'adozione, avendo risieduto nella nostra città dal 1921 fino alla morte nel 1986, con l'interruzione forzata dell'esilio (1923-1945) in Francia e appunto nella Spagna repubblicana e rivoluzionaria.

Leggiamo infatti di come Marzocchi, già dirigente dell'ANPI e della Camera del Lavoro, recatosi nel 1977 ad un convegno anarchico a Barcellona venisse arrestato assieme a un altro antifascista savonese [Oreste Roseo, recentemente scomparso] da poliziotti in borghese con i mitra spianati.

“In quell'istante – ricorda Marzocchi in un'intervista ripresa nel volume – abbiamo pensato a una carneficina, ritenendo si trattasse di un commando fascista. Fummo caricati su auto cellulari, condotti al commissariato principale di via Layetana e rinchiusi in celle separate, isolati gli uni dagli altri, fino al momento del rilascio , avvenuto la sera del 4 febbraio. Dopo aver confermato al giudice il verbale dei nostri interrogatori, siamo stati espulsi ed accompagnati dalla polizia fino alla frontiera francese”. (Vincenzo D'Amico- Giuseppe Milazzo- Giacomo Checcucci, Umberto Marzocchi, ISREC, p. 39-40)

Liberato dopo cinque giorni di prigionia grazie ad una mobilitazione internazionale subito attivatasi, Marzocchi denuncerà i limiti della transizione postfranchista in una grande manifestazione antifascista convocata a Savona dalle associazioni partigiane che vede la partecipazione di Umberto Terracini.

Iniziativa non isolata, ma ultima tappa di un costante impegno dell'antifascismo savonese a fianco dei democratici spagnoli contro il regime di Franco, testimoniato anche dalla pubblicazione nel 1961 a cura dell'ANPI di un quaderno su “L'epopea antifascista spagnola. Cenni storici sulla Guerra di Spagna”. Un impegno unitario che vede la partecipazione di tutta la sinistra, comunisti, socialisti e anarchici, al di là dei contrasti ideologici e delle lacerazioni provocate dai tragici fatti di Barcellona del maggio 1937 e dall'assassinio degli anarchici italiani Berneri e Barbieri.

Un conflitto aspro, scaturito da due concezioni diverse della lotta in corso: quella rivoluzionaria dei comunisti dissidenti del POUM e degli anarchici che legava indissolubilmente la resistenza antifascista alla partecipazione popolare dal basso, al potere dei consigli operai e contadini e all'approfondimento del processo rivoluzionario a partire dalla riforma agraria e dall'espropriazione di latifondisti e magnati della finanza e dell'industria. E quella patriottica e repubblicana del Partito comunista (e della Russia di Stalin) che non intende andare oltre la fase antifascista e che in nome dell'unità nazionale antifranchista respingeva fermamente ogni ipotesi di rivoluzione proletaria. Da qui lo scontro fratricida in Catalogna e la messa fuorilegge di anarchici e poumisti.



Una divisione destinata a durare a lungo, se ancora nel 1962, in piena destalinizzazione, Giacomo Calandrone, un altro savonese illustre impegnato nella guerra civile spagnola, nel suo libro di memorie “La Spagna brucia” ricostruiva contro ogni evidenza storica e la mole di materiali e documenti ormai disponibili la rivolta del POUM a Barcellona come opera di “agenti del nemico, lieti di coprirsi con una bandiera politica, per poter meglio svolgere la loro opera di provocazione”.

Eppure, nonostante la durezza dei contrasti, l'impegno antifascista a Savona riesce a mantenersi unitario, come unitaria era stata la lotta ai tempi della guerra civile, quando fra il settembre 1936 e l'estate 1937 ben 27 savonesi erano andati a combattere e a morire per la libertà del popolo spagnolo, mentre altri 19 risultano essere stati inquisiti, processati e confinati per attività di appoggio alla causa repubblicana.

Vicende ricostruite in un libro di Antonio Martino, “Antifascisti savonesi e guerra di Spagna”, edito anch'esso a cura dell'ISREC. Una ricerca incentrata sullo spoglio scrupoloso dei fascicoli della Regia Questura oggi depositati presso l'Archivio di Stato di Savona. Dalle schede biografiche dei personaggi studiati non emergono tanto le motivazioni politiche e i percorsi individuali, quanto la vigilanza assidua esercitata su di loro dall'apparato repressivo del regime (ma anche in qualche caso dello Stato repubblicano). Un limite che si spiega con la natura di carte di polizia dei materiali analizzati, più rivolti alla scoperta della attività pratica e dei contatti personali dei potenziali antifascisti che alla definizione delle loro effettive posizioni politiche e ideologiche.

27 savonesi di cui 21 già residenti all'estero, per lo più in Francia, espatriati per motivi politici o di lavoro, in larghissima parte giovani e di condizione operaia. Dati in sintonia con il quadro complessivo dei 4000 combattenti italiani in Spagna, in gran parte già residenti all'estero (in Francia soprattutto, ma anche in Belgio, Svizzera, Stati Uniti, Unione Sovietica e Argentina), con un'età media di trent'anni, di condizione prevalentemente operaia.

    Giacomo Calandrone

Di questi 27 antifascisti 3 (Giuseppe Dughetti, Francesco Siri e Attilio Strazzi) cadranno in combattimento , mentre altri 8, rifugiatisi in Francia dopo la caduta della Repubblica, verranno consegnati alle autorità italiane dopo lo scoppio della guerra e l'armistizio fra i due paesi. Elevatissimo è il numero di coloro fra questi ex combattenti di Spagna che continueranno la lotta armata antifascista nella Resistenza francese dopo l'invasione nazista e poi dopo l'8 settembre 1943 in quella italiana. Sono 14 (Emilia Belviso, Libero Bianchi, Giacomo Calandrone, Tommaso Carpino, Costanzo Cecchin, Carlo Gazzaniga, Stefano Giordano, Amedeo Isolica, Umberto Marzocchi, Italo Oxilia, Pietro Pajetta, Vincenzo Raspino, Silvio Torcello, Luigi Vallarino) i resistenti già combattenti in Spagna, alcuni di essi ricopriranno incarichi di comando nella guerra partigiana grazie proprio all'esperienza militare accumulata nella guerra civile spagnola. Quattro di essi (Cecchin, Pajetta, Raspino e Torcello) perderanno la vita, fucilati dai nazifascisti o caduti in combattimento. Pietro Pajetta “Nedo” sarà insignito della Medaglia d'oro al valor militare.

Interessante anche l'appartenenza politica dei volontari savonesi in Spagna, rispecchiante perfettamente il più generale dato nazionale. Troviamo infatti soprattutto militanti del Partito comunista, ma anche socialisti, repubblicani, anarchici (Umberto Marzocchi). Fra loro una straordinaria figura di donna, quell'Emilia Belviso, già militante dell'apparato clandestino del PCI in Italia, poi voce di Radio Barcellona, infine coraggiosa combattente partigiana nel maquis prima a Parigi e poi a Nizza. Non mancano figure di primo piano dell'antifascismo come il capitano Italo Oxilia, lo stesso che aveva fatto espatriare Turati e liberato Rosselli, Nitti e Lussu dal confino di Lipari o Leonida Campolonghi, figlio del primo segretario della Camera del Lavoro di Savona, drigente della LIDU (Lega dei diritti dell'Uomo) e riorganizzatore della Massoneria italiana nell'esilio parigino.

Belle figure di combattenti, uomini e donne che dedicarono con estrema coerenza e dedizione totale la loro vita alla lotta per un'Italia libera, democratica e giusta. Pericolosi sovversivi per uno Stato che, nonostante la caduta del fascismo e l'avvento della repubblica, continuava a mantenere nei posti di comando di polizia, magistratura, forze armate, elementi formatisi durante la dittatura.

E così Libero Bianchi, portuale savonese, risulta dal 1950 inserito nel Casellario Politico Centrale del Ministero degli Interni come “comunista pericoloso” e per questo costantemente seguito nei suoi spostamenti e spiato nelle sue attività fino al momento della morte nel 1963. Eguale attenzione nei confronti di Italo Oxilia, il cui fascicolo viene chiuso solo nel 1971 e su cui si annota come vivesse “da solo in modestissime condizioni economiche”, avendo impegnato l'intero patrimonio di famiglia nella causa antifascista, “conservando le sue ideologie di socialista saragatiano”. Evidentemente, nonostante il PSDI fosse forza di governo dal 1948, la coerenza del vecchio militante socialista continuava a risultare sospetta per l'Ufficio Politico della Questura.

    Umberto Marzocchi

Ma Bianchi e Oxilia non sono i soli a essere monitorati da quegli stessi apparati che li avevano già spiati durante il fascismo, la vigilanza continuò per anni per molti altri antifascisti. Solo fra il 1949 e il 1951 verranno revocati in ottemperanza a disposizioni ministeriali molto tardive “i provvedimenti di qualsiasi genere richiesti per motivi politici in data precedente al 25 aprile 1945” nei confronti di Giovanni Gismondo di Alassio, Carlo Spallarossa di Finale, Francesco Ferruccio di Dego e Tommaso Carpino di Bardineto. E se questo era l'ordinario, possiamo immaginare cosa fossero i controlli (e le schedature) nei confronti di figure particolarmente in vista come Umberto Marzocchi o Giacomo Calandrone, mandato nel dopoguerra a organizzare le lotte bracciantili in Sicilia e deputato comunista fino al 1958.

Tutto questo mentre fucilatori e torturatori repubblichini uscivano dalle galere e in molti casi, vedi Almirante, riprendevano l'attività politica nelle fila del MSI. Segni evidenti di quella incompleta democratizzazione dello Stato, in Italia come in Spagna, che determinerà episodi oscuri come Gladio e la strategia della tensione negli anni '70. Vicende mai chiarite, ancora oggi senza colpevoli, che non risparmieranno neppure Savona e che rendono ancora più necessario mantenere viva la memoria di chi nelle galere e al confino fascista, in terra di Spagna e poi nella Resistenza sacrificò la sua giovinezza e in molti casi la vita per la la libertà di tutti.

I resistenti n.3 2015






lunedì 21 dicembre 2015

Gli archi commemorativi del secolo spagnolo nel Finalese



Un pezzo alla volta con metodo e tenacia la Biblioteca Mediateca Finalese e in particolare Giuseppe Testa sta procedendo alla ricostruzione della storia del territorio finalese. Esce ora, ultimo di una serie di interessantissime pubblicazioni, un quaderno dedicato agli archi commemorativi costruiti dagli spagnoli durante la loro secolare permanenza a Finale, porto del Granducato di Milano e via di comunicazione privilegiata per Madrid. Un altro tassello di quella storia del territorio, scrupolosa e metodica che Giuseppe Testa sviluppa da anni con estrema professionalità, sfuggendo alle tentazioni di un localismo folklorico, e che testimonia dell'assoluta inconsistenza della distinzione (oggi tanto di moda) fra storia “grande” e storia “minore”. 

(g.a.)


sabato 19 dicembre 2015

Il Partito della Nazione Occitana e i risultati del secondo turno delle elezioni regionali in Occitania


Riprendiamo un documento del Partito della Nazione Occitana (PNO) relativo alle recenti elezioni regionali in Francia.  


Il Partito della Nazione Occitana e i risultati del secondo turno delle elezioni regionali in Occitania

A seguito del secondo turno del 13 dicembre delle elezioni regionali in Occitania, il Partito della Nazione Occitana si rallegra del fatto che il Fronte Nazionale guidato da Marion Maréchal non sia riuscito ad assumere il controllo della regione Provence-Alpes-Côte d’Azur ma constata che in questa regione, come in Aquitaine-Limousin-Poitou Charente, Languedoc-Roussillon-Midi Pyrénées et Auvergne-Rhône-Alpes, il fronte Nazionale migliori i suoi risultati del primo turno e faccia entare suoi militanti in tutti i nuovi consigli regionali. Il modo migliore di impedire al Fronte Nazionale di crescere ancora e di arrivare al potere nello Stato francese, è che la classe politica dia infine risposte credibili ai problemi che preoccupano gli Occitani e tutti i cittadini della repubblica francese: l'identità, l'immigrazione, l'islamismo radicale, la sicurezza e la disoccupazione. Ma tocca a noi in quanto indipendentisti occitani convincere, in Provenza come altrove in Occitania, i nostri compatrioti che la supremazia ultra-sciovinista francese e il programma economico aberrante del fronte Nazionale non sono di natura tale da risolvere i loro problemi.

Per il movimento occitano, il Partito della Nazione Occitana non era presente al secondo turno. Il Partito Occitano, che esce ridimensionato da queste elezioni nelle tre regioni occitane dove suoi militanti erano candidati al primo turno con un solo consigliere regionale eletto al secondo turno in Languedoc-Roussillon-Midi-Pyrénées rispetto ai cinque precedenti, non ha ancora abbandonato la chimera secondo la quale non esiste possibilità di salvezza all'infuori dell'alleanza con la sinistra francese. Ora, la situazione politica attuale impone di raggruppare le forze politiche e culturali occitane di ogni sensibilità al fine di preparare da subito le prossime elezioni territoriali nell'indipendenza, nell'unione e in alleanza con forze indipendenti dai partiti e non giacobine.

Infine, il Partito della Nazione Occitana si rallegra della vittoria eclatante in Corsica della coalizione nazionalista Per la Corsica guidata da Gilles Simeoni, sindaco di Bastia che le permette di assumere il controllo dell'Assemblea corsa. Essi indicano la via ai militanti politici occitani. Salutiamo anche in Martinica la vittoria della lista indipendentista « Grand Sanblé pou Ba Peyi-a An Chans » di Alfred Marie-Jeanne.


Il Partito della Nazione Occitana ritiene che l'emancipazione delle nazioni senza Stato della repubblica francese non si farà che per la volontà dei loro popoli e sarà il frutto di un rapporto di forze da stabilire.

venerdì 18 dicembre 2015

Storie dalla terra e dal mare. Archeologia in Liguria



Storie dalla terra e dal mare
Archeologia in Liguria
2000-2015

Teatro Falcone, Museo di Palazzo Reale, Via Balbi, 10 Genova.

Inaugurazione: 18 dicembre, ore 17

Il primo quindicennio del nuovo secolo ha segnato un deciso passo avanti delle conoscenze  archeologiche in Italia, grazie all’introduzione di norme fondamentali, come quella sulla  cosiddetta "archeologia preventiva", che ha enormemente ampliato le possibilità di interventi  stratigrafici a larga scala. In Liguria questo nuovo corso dell’archeologia pubblica si è tradotto in una serie di nuove,  importanti scoperte, che interessano tutto il territorio regionale: da Ventimiglia a Luni, i due grandi capoluoghi di età romana che ancora oggi presidiano i suoi confini.

La Soprintendenza Archeologia della Liguria propone un’esposizione dei principali risultati della ricerca archeologica nel territorio, in una prospettiva di ampia comunicazione di questi scavi, che talora hanno comportato disagi e ritardi alle opere pubbliche a cui erano collegati ma che hanno sempre suscitato l’interesse e la curiosità delle comunità locali.


Genova, Piatto dallo scavo di Santa Maria Le Grazie La Nuova
La mostra, allestita nei nuovi locali del Teatro del Falcone a Palazzo Reale, presenta una ventina di nuovi contesti di indagine, articolati in quattro sezioni tematiche:

- l’archeologia delle città
- l’archeologia dei porti
- l’archeologia del quotidiano
- l’archeologia del rituale

Diverse città sono state oggetto di recenti interventi di vera e propria "archeologia urbana", un tipo di approccio intensivo e sistematico al caratteristico record pluristratificato dei grandi centri storici, che proprio a Genova è stato per la prima volta introdotto in Italia da Tiziano Mannoni. Non solo Genova è stata in questi anni al centro dell’interesse per la sua storia sepolta, ma anche i centri storici di Chiavari, Savona, Albenga e Sanremo, la cui storia monumentale - e non solo – si è enormemente arricchita grazie a queste indagini, che hanno contribuito ad un nuovo quadro del loro sviluppo urbanistico.

L’altro grande campo di applicazione delle moderne tecniche di ricerca archeologica, in cui la Liguria eccelle dai tempi della sua fondazione ad opera del ligure Nino Lamboglia, è quello dell’archeologia subacquea. In particolare i porti di Genova e  Vado sono stati oggetto di significative prospezioni in questi anni da parte del Servizio Tecnico di Archeologia Subacquea, restituendo materiali che testimoniano dell’importanza di questi approdi - come anche di quello di Imperia anch’esso presente in mostra - nei numerosi secoli della loro frequentazione fino ai giorni nostri.

Albissola Marina, resti di carrucola lignea dagli scavi della fornace romana di Via Isola

Le forme dell’abitare e i modi della produzione, dalla preistoria all’età contemporanea, sono tra i più affascinanti temi del dibattito storico contemporaneo e ad essi l’archeologia contribuisce con quel caratteristico sguardo obiettivo e concreto che proviene dal confronto diretto con le testimonianze materiali del passato. Dalla più remota preistoria e l’uomo di Neanderthal, fino alla protostoria, l’età romana, il Medioevo - documentato da diversi siti di eccezionale interesse - e l’età moderna, sono numerosi i nuovi contesti che offrono preziosi spunti per questo dibattito sulla vita quotidiana in Liguria al tempo degli antichi.

L’ultima sezione affronta il tema della ritualità in ambito funerario e cultuale alla luce di recenti rinvenimenti di notevole impatto evocativo: non solo corredi di sepolture, quindi, ma anche contesti sacrificali.

In sintesi la storia delle recenti scoperte archeologiche nella regione diviene il passe partout espositivo e narrativo con cui accedere ad alcune grandi problematiche storiche della Liguria antica, medievale e moderna.


Teatro Falcone, Museo di Palazzo Reale, Via Balbi, 10 Genova.

Orario di apertura: dal martedì al sabato dalle ore 10.30 alle ore 17.30; domenica dalle ore 14 alle ore 19; lunedì chiuso. Ingresso gratuito.


La memoria della “Memoria” (Frugando nell’Archivio ANPI di Finale Ligure 1945 – 2014).



Una nuova pubblicazione sulla Resistenza in provincia di Savona


E’ disponibile a cura dell'ANPI finalese La memoria della “Memoria” (Frugando nell’Archivio ANPI di Finale Ligure 1945 – 2014). Il Libro, che è arricchito da una mappa dei sentieri del Finalese con l’indicazione di Lapidi e Sacrari Partigiani, si articola nelle sezioni: La memoria della Memoria; La sezione ANPI finalese; Pochi soldi e pochi mezzi; L’accertamento del titolo di partigiano o di patriota; L’attività assistenziale; Per una moralità partigiana; Custodire la Memoria; La fatica di costruire una società democratica; Il caso Marzola.


Copie del libro possono essere richieste a anpifinale@libero.it.  

mercoledì 16 dicembre 2015

CoBrA una grande avanguardia europea



Una mostra a Roma ricostruisce storia e percorsi di CoBrA, momento di passaggio fondamentale dal surrealismo rivoluzionario al situazionismo.

Achille Bonito Oliva

CoBrA, la comunità europea degli artisti in fuga dalla realtà del mondo 

«After us, freedom». Dopo di noi, la libertà. Questo è lo slogan che accompagna CoBrA, una grande avanguardia europea ( 1948- 1951), mostra promossa dalla Fondazione Roma a Palazzo Cipolla, fino al 3 aprile 2016. Il gruppo Cobra nasce per iniziativa di artisti come Jorn, Appel, Constant, Corneille, Alechinsky e gli scrittori Dotremont e Noiret con l’intenzione di scardinare ogni modulo linguistico, dall’astrattismo al realismo.

Un gruppo trans-europeo che rompe ogni ordine formale per accedere a una libertà espressiva capace di trasmettere vitalità ed energia creativa. L’artista diventa l’eroe che si autorizza da solo a usare in piena libertà tutte le armi del linguaggio pittorico per consegnare al corpo sociale il deposito di visioni da lui elaborate. Da qui la violenza, non soltanto del segno, necessaria per spostare l’inerzia della sensibilità collettiva fuori da ogni convenzione verso il piano dinamico e inclinato della visionarietà e di una visibile spiritualità.

Una necessaria e felice frammentarietà, riscontrabile in tutte le opere, è il sintomo di una mentalità che non vuole opporre a un ordine un altro ordine. Al contrario essa è il segno di un universo linguistico continuamente aperto e arricchito da una conflittualità permanente, frutto di una sensibilità neoumanistica che vuole ridare centralità all’immaginario.

    Corneille, Habitants du Désert

Begging Children (1948) di Karel Appel, Eine Cobra- Gruppe (1946) di Asger Jorn, Habitant du Desert (1951-1952) di Corneille, Ondes extremes (1974-1979) di Pierre Alechinsky e Christian Dotremont, costituiscono le prove di grande spiritualità individuale e morale degli artisti, nello stesso tempo del bisogno di un sodalizio capace di spostarli fuori da solitudine e isolamento.

La lingua dell’arte è l’unica in grado di formulare parole visive che attraversano ogni differenza etnica e culturale. I modi sono quelli di un linguaggio che accetta ogni contaminazione e vuole colmare ogni scissione. Infatti prevale lo stile della frammentazione, l’alterazione dell’eleganza e del garbo, l’accento forte di una espressione che vuole farsi sentire in tutte le sue lacerazioni. Enfatizzare per questi artisti europei significa compiere una sana operazione di regressione che consiste nel mettere il proprio io al centro di un mondo che ipocritamente sembra voler celebrare il mito collettivo del noi. La forza sta nel non aver posto un io monumentale monolitico, dunque adulto, bensì alterato da tensioni centrifughe che lo spostano fuori dai luoghi della ragionevolezza verso territori abitati dal nervosismo e da una nostalgia primigenia.

    Jorn, Ohne Verteidigung

Tale nostalgia, confinante col sospetto perduto di una possibile interezza, fonda la sostanza morale di tutti gli artisti del gruppo che non hanno mai spinto i propri furori nella direzione del nichilismo, ma sempre nella rifondazione di una visione, attuata attraverso i modelli del linguaggio creativo. Il delirio espresso dalla loro pittura e grafica è quello di tentare una umanizzazione della società, usare lo stile dell’enfasi per essere ed esistere. Questo comune sentimento della vita elimina ogni distanza geografica, abbatte le frontiere di appartenenza territoriale, come si desume da nome del gruppo. Cobra: acronimo e sintesi delle città di provenienza Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam. Un’an- ticipata comunità europea che accoglie artisti diversi sotto le insegne di un’arte libera e liberatoria, giocata sull’intreccio di astrazione e figurazione.

All’anemia di una realtà inizialmente incolore del secondo dopoguerra, questi artisti rispondono con la rappresentazione di un’altra malattia, quella dell’esuberanza. La temperatura incandescente dell’opera dimostra come l’arte sia un procedimento che, pur adottando proprie regole interne e specifici linguaggi, crea numerosi varchi nella opacità del quotidiano e introduce una nuova visibilità del mondo. La sequenza delle opere in mostra conferma una visione antinaturalistica delle cose, sintomo di una mentalità che non entra in competizione con le apparenze della vita, semmai si pone in completa alternativa, in una contrapposizione radicale ed eclatante.

    Appel, Begging Children

Uno stato d’ipersensibilità arma la mano degli artisti che prima si inabissano all’interno delle loro pulsioni e poi riemergono nella zona solare della forma e di una materia tattile dove tutto diventa rappresentazione tangibile. Lo stile dell’enfasi dà continuità a tale procedimento, voce e notizia a ciò che altrimenti resterebbe interiore e represso, fondando la possibilità di uno scambio che in caso contrario sarebbe impossibile. Uno stato dionisiaco sfiora l’intera esposizione a testimonianza di una poetica comune, l’uso della creatività che nella sua eccezione altera il ritmo ripetitivo dell’esistenza.

Ravnen (1952) di Asger Jorn, Animals (1953) di Karel Appel, Gilles vegetal (1967) di Pierre Alechinsky e Beest en kind (1960) di Lucebert, Stördo 8.11.1957 (1957) di Karl Otto Götz documentano il bisogno dell’artista di ristabilire una diversa attenzione del mondo su di sé che altrimenti non ci sarebbe. La naturalezza del soggetto viene celebrata attraverso il linguaggio pittorico capace di rappresentare la posizione asimmetrica dell’uomo fuori da ogni verosimiglianza e aperta ad ogni felice conflitto. Per questo l’enfasi della forma, tra materia e colore, diventa il travestimento necessario per evidenziare tutte le istanze e i bisogni di totalità che la vita tende a negare.


La repubblica – 13 dicembre 2015

venerdì 11 dicembre 2015

A proposito di streghe

    Triora. Particolare degli affreschi della chiesa di S. Bernardino

Un convegno ad Albenga ha affrontato il tema della stregoneria dai processi di Triora alla Wicca contemporanea.

Federica Pelosi

Streghe nel Savonese dossier dei cacciatori di sepolture anomale


Albenga - Le streghe-bambine di Albenga fanno risorgere a poco a poco antiche storie misteriose che riguardano tutto il ponente ligure. Per lo più leggende, ma che trovano riscontro anche in alcuni documenti storici, tutti da decifrare e analizzare. Se ne è parlato ieri nel corso del convegno “A proposito di streghe: quando la diversità spaventa” che, prendendo spunto dalle sepolture anomale nell’area archeologica di San Calocero, ha allargato la visuale a tutto il Savonese che racconta di donne temute e rifiutate dalla società, e che hanno pagato a caro prezzo il loro essere “differenti”.

La città delle torri è al centro di questa storia di persecuzioni: non solo per gli scheletri di ragazzine tumulate secondo riti che un tempo si riservavano ai reietti, ma anche per essere stata teatro del primissimo processo alle streghe, che precede di due secoli quelli più famosi di Triora. E’ infatti nel XIV secolo che una giovane donna viene accusata di stregoneria dal marito e viene bruciata viva in piazza San Michele. Per non parlare di tutte le leggende che riguardano potenti guaritrici nell’entroterra ingauno e che si tramandano almeno fino all’’800 (a Castelvecchio di Rocca Barbena c’è una strana tomba a forma di cuore che si dice appartenga all’ultima strega del paese).



«Il fenomeno della stregoneria nel ponente ligure è ancora poco studiato – dice il professor Giorgio Amico, saggista e esperto di tradizioni ligustiche – Eppure il nostro territorio porta i segni di questo passato. Nella piazza di Cairo Montenotte, ad esempio, c’è una statua dedicata a due streghe che, secondo la leggenda, erano state incaricate dal Demonio di spargere la peste a Savona, ma vennero fermate sul Cadibona dalla Madonna della Misericordia». Si tratta di Lucia e Maria Langherio che, una volta giunte nel luogo in cui la Madonna era apparsa ad Antonio Botta nel 1536, furono ricacciate indietro.

«Non vi sono però documenti che ci dicano che fine abbiano fatto – continua Amico - Per non parlare delle donne che frequentavano, in maniera piuttosto “equivoca”, il convento dei cappuccini di Quiliano e che, una volta divenute scomode, vennero additate come tentatrici e messe a tacere condannandole al rogo. Oppure la storia dei processi di Spigno che, pur essendo in Piemonte, nel ‘600 era sotto la diocesi di Savona». In quest’ultimo caso a finire nei guai furono 14 poverette accusate di non partecipare con assiduità ai riti religiosi, di avere avuto commerci con il diavolo e di “mascare”, ossia di spargere il malocchio, oltre che della distruzione dei raccolti: nonostante il “no” della Curia savonese a procedere con le torture, il parroco della cittadina fece di testa propria tanto che “le 14” confessarono e, poi, morirono, probabilmente a seguito delle sevizie.

«Nel ponente ligure la caccia alle streghe andò avanti dal 1400 a tutto il 1600. Per quanto riguarda le sepolture anomale di Albenga, non mi esprimo visto che se ne occupano gli archeologi che hanno condotto gli scavi. Certo è che le modalità di sepoltura non sono mai casuali e hanno sempre motivazioni precise», conclude Amico.

Il secolo XIX - 8 dicembre 2015

mercoledì 9 dicembre 2015

Alex Raso, Ferita e cura/ BesDiario di un anno



Ferita e cura/ BesDiario di un anno
personale di Alex Raso

Vernissage 16 dicembre 2015
Altredimore
Calata Sbarbaro 6
Savona


Il vento porta quasi sempre
un cielo generoso, che in montagna
nelle notti di luna misurata
si vede una scarlattina bianca:
è ferita e cura del cielo.
Lì stanno le donne scomparse
durante i primi esercizi
degli apprendisti prestigiatori.
Lì stanno i due gemelli astrali.
Ma nella parte più nera
della resa incondizionata del giorno
alligna la bestia.

A.


lunedì 7 dicembre 2015

Sentieri di Savona



mercoledì 9 dicembre 2015 alle 17,30
presso la Sala Rossa del Comune di Savona
presentazione del volume

Sentieri di Savona”

edito a cura dell'Amministrazione Civica

domenica 6 dicembre 2015

A proposito di streghe....



    A PROPOSITO DI STREGHE.. QUANDO LA DIVERSITÀ SPAVENTA riflessioni a margine delle sepolture recentemente rinvenute ad Albenga

    I recenti ritrovamenti di sepolture riconducibili al fenomeno della stregoneria ad Albenga sollevano temi che vanno oltre la dimensione della ricerca storica e archeologica. La demonizzazione della diversità è stata nel passato facile scorciatoia per ignorare concreti problemi che nulla avevano di demoniaco.

    È accaduto con la ricerca di untori nel periodo della peste, è accaduto in presenza di soggetti che presentavano aspetti comportamentali o fisici diverse dai canoni tradizionali, e' accaduto in presenza di persone che conservavano e praticavano riti antichi e pratiche curative legate alle erbe: da notare il fatto che in quest'ultimo caso fossero in gran parte donne, a cui quelle conoscenze davano autorevolezza nelle Comunità di appartenenza.

    Si può dire che tale demonizzazione, usata spesso dai potenti per consolidare la propria condizione, fosse figlia della paura e dell'ignoranza e abbia finito per impoverire intere comunità privandole del potenziale di crescita che implica ogni confronto con la diversità.
    E oggi la diversità spaventa ancora? Paura e ignoranza impoveriscono ancora le nostre comunità? Sono queste le domande che animeranno il Convegno, con l'obiettivo di attualizzare la riflessione sulla differenza tra diversità e malvagità ponendo l'accento sul fatto che quest'ultima, come la bontà , è un'opzione sempre presente nelle scelte di ogni persona , e sulla coincidenza tra ignavia e malvagità ...lasciar fare il male senza reagire è forse peggio che praticarlo...

    La struttura del Convegno prevede una comunicazione della Dott.ssa Valeria Amoretti, archeologa ed antropologa esperta di sepolture e di archeologia medievale. Originaria di Imperia , sta conducendo attività di ricerca presso la Seconda Università di Napoli: l'obiettivo è contestualizzare i recenti ritrovamenti nell'ambito delle conoscenze sui riti di sepoltura di quel periodo.
    Una comunicazione del Prof. Paolo Portone, esperto di indagini sulla stregoneria in Europa e autore di diversi testi sulle Streghe di Triora L'obiettivo è porre in relazione le sepolture di Albenga con il contesto ligure del tempo.
    Una comunicazione del Prof. Giorgio Amico, saggista ed esperto di tradizioni ligustiche, sul tema del Il Ponente ligure come incubatore di diversità culturali e popolari.
    Una comunicazione della dott.ssa Gabriella Freccero per Erediblibliotecadelladonna, sul tema delle culture arcaiche legate alla figura della Grande Madre in relazione al dibattito sull'Autorità Femminile oggi.

    Dopo un tea break i lavori riprenderanno con Una Comunicazione del dott. Marco Merola, giornalista esperto di archeologia, misteri e scienza e della dott.ssa Machi di Pace, archeologa e giornalista sul tema del Neopaganesimo oggi.
    Una Comunicazione di Giuliano Arnaldi, direttore di Fondazione Tribaleglobale sulle pratiche Voudu di alcuni popoli africani ( in prevalenza gli Ewe del Togo) tra medicina tradizionale e cannibalismo rituale: verità , ignoranza e strumentalizzazioni.
    Quest'ultima comunicazione introdurrà una tavola rotonda coordinata dal Dott. Mario Muda , giornalista sul tema della paura del diverso nel nostro tempo, con particolare riferimento al fenomeno della globalizzazione e dei migranti.

    Il Convegno sarà animato da proiezioni audiovisive e performance musicali. "Dichiaro, che tra le molte donne che io condussi al rogo per presunta stregoneria, non ve ne era una sola della quale avrei potuto dire con sicurezza che fosse una strega. Trattate i superiori ecclesiastici, i giudici e me stesso, come quelle povere infelici, sottoponeteci agli stessi martiri e scoprirete in noi tutti dei maghi." (Friedrich von Spee, confessore delle streghe condannate al rogo di Wurzburg, 1631).

sabato 5 dicembre 2015

Francesco Biamonti, Il romanzo di Gregorio



Si terrà, oggi, sabato 5 dicembre 2015, alle ore 16,30 presso il Centro Polivalente "Le Rose" di San Biagio della Cima, la presentazione di un libro inedito di Francesco Biamonti, dal titolo "Il romanzo di Gregorio" (a cura di Simona Morando, Genova, il canneto, 2015). Si tratta del testo cui Biamonti attendeva negli anni 70 e che, successivamente, sottoposto a una profondissima revisione, si trasformerà nel suo primo romanzo edito, L'angelo di Avrigue. 

Quindi una prima stesura dell’Angelo per molti versi diversa e inattesa. A introdurre l'importante - e pregevole, anche dal punto di vista grafico - pubblicazione, interverrà il critico letterario (nonché amico personale di Biamonti stesso) Giovanni Pacchiano; il quale dialogherà con la curatrice, Simona Morando, Professoressa presso l'Università di Genova, che ha realizzato una edizione impeccabile di un testo importante, capace di rivelare un Biamonti più materico e terragno, e forse più narrativo, ancorché già da allora sensibile ai temi del paesaggio. 




venerdì 4 dicembre 2015

Mia madre femminista


Giovedì 10 dicembre 2015
ore 18.00
Presso la Libreria UBIK
Corso Italia Savona

Incontro con le scrittrici

MARIA SANTINI e LUCIANA TAVERNINI 

e presentazione del libro

“Mia madre femminista.
Voci da una rivoluzione che continua”
(Il Poligrafo)

A cura di Eredibibliotecadonne


“Ma doveva proprio capitarmi una madre femminista?…”. A partire da questa provocazione, una madre decide di scrivere alla figlia una lettera per spiegare motivazioni, sentimenti e vicende che determinano il suo essere femminista. Si avvia così un dialogo, una scrittura in relazione che parte da sé e dalle esperienze di entrambe, aprendosi a esplorare i rapporti con altre e altri. Un percorso sorprendente che si snoda lungo i temi della parola, del corpo, dei luoghi e del lavoro, tra episodi e immagini inedite, che dalla metà degli anni ’60 ci accompagna fino ad oggi con aperture anche ad un passato lontano. Da questo racconto polifonico, l’incontro con il femminismo si mostra come una continua trasformazione di sé e del mondo.

mercoledì 2 dicembre 2015

Italo Calvino. Un partigiano del Ponente ligure



Mercoledì 2 dicembre 2015
alle ore 18.00
Presso la SMS libertà e Lavoro di Lavagnola (SV)
ANPI Sez. Fratelli Briano

Italo Calvino. Un partigiano del Ponente ligure
Lettura a cura di Giorgio Amico

    Badalucco (IM) Monumento al partigiano

Italo Calvino

Il mio 25 aprile

C'era stato un incendio in un bosco: ricordo la lunga fila dei partigiani che scende tra i pini bruciati, la cenere calda sotto la suola delle scarpe, i ceppi ancora incandescenti nella notte. Era una marcia diversa dalle altre nella nostra vita di continui spostamenti notturni in quei boschi. Avevamo finalmente avuto l'ordine di scendere sulla nostra città, Sanremo; sapevamo che i tedeschi stavano ritirandosi dalla riviera; ma non sapevamo quali caposaldi erano ancora in mano loro.
(...)
Ancora negli ultimi giorni i tedeschi erano venuti di sorpresa e avevamo avuto dei morti. Proprio pochi giorni prima andando di pattuglia era mancato poco che cascassi nelle loro mani. L'ultimo accampamento del nostro reparto, se ricordo bene, era tra Montalto e Badalucco: già il fatto che fossimo scesi nella zona degli uliveti era il segnale di una nuova stagione, dopo l'inverno nella zona dei castagni che voleva dire la fame.
(…)
Dalle parti di Poggio cominciammo a incontrare sul margine della strada la popolazione che veniva a vedere passare i partigiani e a farci festa. Ricordo che per primi vidi due uomini anziani col cappello in testa che venivano avanti chiacchierando di fatti loro come in un giorno di festa qualsiasi; ma c'era un particolare che fino al giorno prima sarebbe stato inconcepibile: avevano dei garofani rossi all'occhiello. Nei giorni seguenti dovevo vedere migliaia di persone col garofano rosso all'occhiello ma quelli erano i primi”.

(La Domenica del Corriere, aprile 1975 ora in Italo Calvino, Saggi, 2, Mondadori, Milano 1995, pp. 2810-13)


martedì 1 dicembre 2015

domenica 29 novembre 2015

Sandro Saggioro, Contro venti e maree



In ricordo di Sandro Saggioro pubblichiamo una sua relazione svolta il 24 aprile 2002 al C.S.O.A. Cox 18 - Archivio Primo Moroni - Libreria Calusca City Lights di Milano. Un testo di grande interesse che testimonia del suo rigore di storico e della sua passione di militante.


Sandro Saggioro

Contro venti e maree
La Seconda Guerra mondiale e gli internazionalisti del "Terzo Fronte"


Gli argomenti di cui si parlerà in questo incontro - la Seconda Guerra mondiale, la Resistenza, l'attività e il profilo dei piccoli gruppi di sinistra che si opposero alla guerra in Italia e, più in generale, a livello europeo - sono stati uno degli oggetti centrali della ricerca storica di Arturo Peregalli. Ciò che vi dirò, fondamentalmente, si basa sugli studi e gli appunti di lavoro di questo amico e compagno, scomparso il 13 giugno 2001, a soli 53 anni.

Domani sarà il 25 aprile, l'anniversario della Liberazione, che, come sempre, verrà celebrato dall'intero arco politico-istituzionale, con il "popolo della sinistra", ancora una volta, a dire che la Resistenza è stata tradita o che non ne sono state adempiute le legittime aspettative. L'incontro di questa sera, anche simbolicamente, per la data in cui cade, vuole esprimere un diverso posizionamento.

Comincio dal punto centrale: la Seconda Guerra mondiale.

Sappiamo tutti che le scelte strategiche delle grandi potenze s'ammantano d'ideologia ogniqualvolta occorra coinvolgere le masse nel dramma della guerra. Ž quello il momento in cui le classi dirigenti agitano le bandiere della nazione, della democrazia, delle religioni o di qualsiasi altra ideologia che serva alla bisogna. Basti vedere quanto sta accadendo da almeno dieci anni a questa parte con il "nuovo ordine mondiale", le "guerre umanitarie", l'"unità di tutto il popolo contro il terrorismo", la "giustizia infinita" eccetera.

Durante la Prima Guerra mondiale la borghesia coinvolse il proletariato sulla base dell'ideologia patriottarda; nella Seconda Guerra mondiale la borghesia si aggiornò e il conflitto bellico divenne una "crociata della democrazia contro il nazifascismo". (Vedremo poi come il ruolo della Russia nella Prima e nella Seconda Guerra mondiale fu molto diverso.)



Iniziamo con lo sfatare il mito che la Seconda Guerra mondiale sia stata uno scontro fra democrazia e totalitarismo (quest'ultimo rappresentato dal Terzo Reich e dall'Italia fascista): fra gli Alleati c'era l'Unione Sovietica, un Paese non certo democratico, bensì totalitario.

Non è nemmeno corretto qualificare come antifascista la Seconda Guerra mondiale, dal momento che essa fu combattuta essenzialmente contro la Germania e l'Italia, indubbiamente fasciste, ma non contro il fascismo in quanto tale: Paesi come Spagna e Portogallo, anch'essi fascisti, non vennero toccati, né durante né dopo la guerra (per esempio, la Spagna aveva inviato in Russia una sua legione a combattere a fianco dei nazisti, ma il regime di Franco non ne ebbe a patire alcuna conseguenza).

Secondo un'altra interpretazione la Seconda Guerra mondiale fu combattuta contro il razzismo: ciò è ancora più ridicolo, in quanto nell'esercito americano esisteva allora la segregazione razziale (i negri non potevano prestare servizio né in aviazione né in marina; e un ferito bianco non poteva essere trasfuso col sangue di un negro). Razzista non era il solo Hitler: Roosevelt era presidente di uno Stato in cui i bianchi erano giuridicamente superiori ai negri, per non parlare poi del Sudafrica, vera e propria perla d'antirazzismo nel campo alleato.

A partire dalla fine dell'Ottocento, dopo la Comune di Parigi del 1871, le guerre che si combattono in Europa non sono altro che scontri armati per la difesa degli interessi del capitale dei rispettivi gruppi concorrenti (questa è la posizione difesa dal marxismo rivoluzionario). La Germania degli anni Trenta, facilitata in ciò dall'iniezione di capitali americani, aveva conosciuto un massiccio incremento del proprio processo produttivo. La dinamica capitalista le imponeva la conquista di nuovi mercati e una politica espansionista, ma ciò andava a cozzare con gli interessi delle altre potenze, le quali non potevano permettere che la Germania acquisisse il predominio a livello europeo. Per questo motivo la Seconda Guerra mondiale si caratterizza come una guerra imperialista, che al suo termine vede il trionfo della potenza economicamente più forte, gli Stati Uniti d'America, trionfo che dura a tutt'oggi. (Nel 1944, quasi alla fine del conflitto, con gli accordi di Bretton Woods la supremazia degli USA emerge in piena evidenza nella ridefinizione del sistema monetario, da lì in poi basato sul dollaro.)

Esistono tuttavia alcune importanti differenze tra la Prima e la Seconda Guerra mondiale.

Di fronte alla Prima Guerra mondiale il Partito Socialista Italiano riesce a restare neutrale (anche se bisognerebbe vedere più da vicino il significato di questa neutralità); abbiamo la posizione di Lenin e della sinistra di Zimmerwald (trasformare la guerra imperialista in guerra civile per l'abbattimento del capitale) e lo scoppio della Rivoluzione russa.

Un'altra differenza tra le due guerre mondiali sta nel crescente coinvolgimento delle popolazioni civili: durante la Prima esse patiscono fame e privazioni, ma non bombardamenti massivi, feroci distruzioni e stragi come durante la Seconda (in entrambi i campi).

La Russia che combatté nella Seconda Guerra mondiale era uno Stato che ormai aveva vissuto una degenerazione della rivoluzione e il ristabilimento, sotto il falso nome di comunismo, di una società capitalista (ciò che, per inciso, la Russia era sempre stata). Quindi il ruolo di Mosca fu quello di asservire il proletariato agli imperativi del capitale e dello Stato russi, nonché e soprattutto di distruggere sul piano teorico le posizioni rivoluzionarie.

    Arturo Peregalli

Oggi pomeriggio, a casa di Arturo, prima di venire qui, mi è capitato di dare un'occhiata a Ex, un libro di Felice Chilanti, uno scrittore che aveva militato nel gruppo Bandiera Rossa. Ne ho tratto un brano in cui l'Autore descrive un suo colloquio con Tigrino Sabatini, operaio: "Tigrino s'incurva a parlarmi, il suo fiato in viso: Lenin cambiò in rivoluzione la guerra, Stalin Togliatti Alicata mandano rivoluzionari a fare la guerra".

Importante è il ruolo che il Partito Comunista Italiano svolse durante il conflitto, e anche prima. Il PCI fu uno strumento di Mosca che egemonizzò il movimento operaio, non solo organizzativamente, ma anche e soprattutto teoricamente. Va tenuto presente, peraltro, che la linea politica del PCI sulla Seconda Guerra mondiale non fu sempre la stessa: nel periodo in cui restò in vigore il patto Ribbentrop-Molotov, la guerra veniva qualificata come imperialista (sebbene questo giudizio non muovesse da presupposti internazionalisti bensì dal rispetto dei mutevoli dettami imposti dalle giravolte della politica estera sovietica); poi col giugno 1941, dopo l'attacco tedesco alla Russia, la posizione del partito cambiò improvvisamente e la guerra diventò uno scontro tra totalitarismo fascista e antifascismo.

Da questa impostazione derivava la necessità di unire le forze progressiste per resistere alla barbarie, rappresentata dalla Germania nazista e dal regime di Mussolini. Se però la guerra mondiale diventava uno scontro in difesa della democrazia, tutto doveva essere finalizzato alla sconfitta del nazismo, in una lotta da combattersi a fianco degli Alleati. E infine, con l'occupazione del territorio nazionale da parte del nemico nel settembre '43, la guerra diventò anche guerra di liberazione nazionale, cioè guerra patriottica. Ovviamente, in quest'ottica, si perse completamente di vista la natura imperialista della guerra, che nello scontro militare vedeva contrapporsi le varie frazioni del capitale mondiale.

La classe operaia era stata sconfitta già prima dello scoppio del conflitto bellico; la fraternizzazione dei lavoratori al di sopra delle frontiere contro il comune nemico di classe era al di là d'ogni reale possibilità in quegli anni. Ciononostante alcuni episodi concretarono brevemente, quali scintille nel buio, le prospettive di fraternizzazione fra i proletari. Per esempio, nella Francia del '43, sorse, all'interno della Wehrmacht e in collegamento con alcuni operai locali, un raggruppamento che pubblicava un giornale, "Arbeiter und Soldat", in cui venivano ribadite le posizioni d'unità tra i proletari dei due campi in guerra, contro le rispettive borghesie e il massacro imperialista. Questi elementi rivoluzionari furono rapidamente scoperti ed eliminati dalla Gestapo.

Occorre comunque precisare che ogni tentativo di rottura della guerra da un punto di vista rivoluzionario e comunista non avrebbe avuto alcuna speranza di successo. La Comune di Varsavia lo testimonia: quando i proletari della capitale polacca si sollevano, l'Armata Rossa, che è alle porte della città e sta per conquistarla, si ferma e aspetta che gl'insorti vengano massacrati, lasciando insomma ai nazisti il lavoro sporco, prima di fare il suo ingresso. E il martirio greco nella Seconda Guerra mondiale e nella guerra civile è un'ulteriore dimostrazione della saldezza del dominio imperialista in quegli anni.

Qualificata la natura della guerra, passiamo a descrivere brevemente alcuni dei movimenti politici dissidenti che agirono in Italia nella fase finale del conflitto. Li definiamo dissidenti perché non accettarono l'impostazione prevalente della Resistenza come lotta solo contro il fascismo e per il ripristino della democrazia.

Conosciamo la lettura che della Resistenza dà lo storico che più l'ha studiata a fondo, Claudio Pavone. A suo avviso, tre sono le possibili interpretazioni della Resistenza. La prima è quella di guerra nazionale e patriottica: lo straniero è stato combattuto, vinto e scacciato, insieme con i suoi manutengoli della Repubblica Sociale Italiana; e questa è l'interpretazione ufficiale. La seconda è quella della Resistenza come guerra di classe e come momento di riscatto delle masse popolari oppresse, che riacquistano un'azione indipendente: questa è la visione che, mantenutasi viva in una parte del PCI negli anni del dopoguerra, sarà riproposta dai movimenti di sinistra sorti dopo il '68 e da chi parlerà di Resistenza tradita e si farà portavoce di una Nuova Resistenza. La terza interpretazione è quella sostenuta dai fascisti e dalla destra: la Resistenza come guerra civile. Per Pavone tutte e tre queste interpretazioni - diciamo così, queste tre anime - sono presenti all'interno della Resistenza.

Nessuna di queste interpretazioni, però, tiene conto di un dato fondamentale, e cioè che la Resistenza era inserita in una guerra mondiale, quella stessa guerra che abbiamo caratterizzato prima come imperialista.

Sul piano militare la Resistenza fu un'attività di guerriglia dietro le linee nemiche, svolta in appoggio alle armate angloamericane e con margini di autonomia sostanzialmente inesistenti. Le formazioni partigiane erano completamente integrate all'interno del quadro bellico, sia prima sia dopo il loro riconoscimento ufficiale, e nella propria azione non fuoruscirono mai dal controllo degli Alleati.

Ritornando ai gruppi dissidenti, vi fu senz'altro chi pensava di condurre una lotta per una società diversa, socialista, e chi mirava a riproporre in Italia l'esperienza russa. Ma va precisato che il referente di questa riproposizione non era la Russia dell'Ottobre: era la Russia staliniana. Il socialismo propugnato da queste formazioni dissidenti ricalcava il modello sovietico di quegli anni, in cui se i padroni erano stati eliminati tuttavia erano ben presenti e vigevano i rapporti di produzione capitalistici. La Russia durante la Seconda Guerra mondiale rappresentò un polo d'attrazione micidiale per la classe operaia, anche per quegli elementi radicali che pure esistevano nelle file della Resistenza. E ciò si riallaccia a quanto detto prima circa il ruolo dello stalinismo quale agente di distruzione della teoria del proletariato, delle posizioni per le quali la classe operaia si era battuta nella Rivoluzione russa e negli anni Venti.

Per caratterizzare il dissidentismo resistenziale, insomma, si può dire che in buona misura esso non faceva che estremizzare la linea del PCI. Non potendo fornire qui un quadro esaustivo delle varie formazioni, mi limiterò a ricordarne alcune.

A Torino esisteva il Partito Comunista Integrale, meglio noto come Stella Rossa, dal nome del suo organo di stampa. Si trattava di un movimento accesamente stalinista, i cui aderenti pensavano che Stalin avrebbe appoggiato la classe operaia italiana sulla via della rivoluzione. Alla fine della guerra, Stella Rossa, dopo l'uccisione del suo capo, Temistocle Vaccarella, confluì nel PCI. Quest'omicidio - avvenuto al parco Sempione di Milano per mano di elementi picisti - può essere legato al fatto che Vaccarella in quel periodo stava cercando di allacciare rapporti con gl'internazionalisti di "Prometeo". Il partito di Togliatti paventava una possibile unificazione tra le forze della dissidenza, e quindi, a scanso di pericoli, era meglio eliminare chi si faceva portatore di una simile istanza. L'omicidio politico era una prassi abbastanza consueta in quegli anni (vedremo poi che anche militanti del Partito Comunista Internazionalista furono uccisi dagli stalinisti).



Nel Lazio e a Roma agiva il Movimento Comunista d'Italia (organo: "Bandiera Rossa"), un gruppo molto forte e formato anch'esso in buona parte da elementi d'orientamento staliniano. (Sarebbe interessante capire come e perché Bandiera Rossa incappò pesantemente nelle retate tedesche dopo l'attentato di via Rasella. Benché le interpretazioni al riguardo debbano essere valutate con cautela, provenendo da gente di destra, sembra che ci sia stata un'azione del PCI affinché venissero catturati molti militanti e quadri di Bandiera Rossa. Comunque sia, questa organizzazione fu decapitata alle Fosse Ardeatine.)

Nel Sud Italia erano attive altre formazioni, tra cui la Frazione di Sinistra dei Socialisti e Comunisti Italiani, che si basava sull'azione condotta dalla CGL di Napoli, su posizioni classiste. Questo movimento, sul finire della guerra, si fuse con il Partito Comunista Internazionalista.

Passiamo ora a quest'ultimo. Differenziandosi in ciò nettamente dalle altre organizzazioni del dissidentismo, il Partito Comunista Internazionalista si richiamava al Partito Comunista d'Italia del '21 e alla Frazione Italiana della Sinistra Comunista, attiva nell'emigrazione all'estero sotto il fascismo. Il suo organo clandestino era "Prometeo" (1943-45). In alto a sinistra, sopra la testata del giornale era scritto: "Anno XXI, serie III", per segnare la continuità con il "Prometeo" che la Sinistra Italiana aveva pubblicato a Napoli nel '24 e con quello che la Frazione aveva fatto comparire in Francia dal '28 al '38. Inoltre, sotto la testata del primo numero del giornale, ben in grosso e sottolineato, si leggeva: "Sulla via della sinistra". Ž con il numero due, dicembre 1943, che appare la dicitura "Organo del Partito Comunista Internazionalista".

L'articolo di fondo che apre il primo numero di "Prometeo" ne esplicita fin dal titolo le posizioni: Alla guerra imperialista il proletariato oppone la ferma volontà di raggiungere i suoi obbiettivi storici. Il Partito Comunista Internazionalista nasce nel '43 - ma già alla fine del '42 alcuni militanti si erano organizzati - con l'idea che si sarebbe potuto ripetere quant'era avvenuto nel primo dopoguerra. Era ritenuta prossima una nuova ondata rivoluzionaria, simile a quella che aveva investito la Russia nel '17 e l'Europa alla fine della Grande Guerra. Agli occhi dei comunisti internazionalisti la lotta per la liberazione nazionale non aveva alcun senso da un punto di vista rivoluzionario: partecipare alla difesa della propria patria significava infatti inserirsi in uno dei fronti militari del capitalismo.

"Prometeo" interpretò la caduta del fascismo, nel luglio '43, come l'abbandono dei fascisti al loro destino da parte della classe dominante. Un volantino dell'agosto successivo affermava: "La borghesia, la monarchia, la Chiesa - creatori e sostenitori del fascismo - che buttano oggi Mussolini in pasto al popolo per evitare di essere travolti con lui, e che assumono vesti democratiche e popolaresche per poter continuare lo sfruttamento e l'oppressione delle classi lavoratrici non hanno nessun diritto di dire una parola nella crisi attuale: questo diritto spetta esclusivamente alla classe operaia, ai contadini e ai soldati, eterne vittime della piovra imperialistica".

Durante il periodo badogliano, cioè tra il 25 luglio e l'8 settembre 1943, il Partito Comunista Internazionalista si batté soprattutto per la fine immediata della guerra. Con questa parola d'ordine s'inserì negli scioperi dell'estate '43 e poi in quelli del dicembre successivo. (Non è qui possibile prendere in esame una serie di altri avvenimenti importanti, come per esempio gli scioperi del marzo-aprile '43, che furono lotte economiche del proletariato, contro la mancanza di generi alimentari, i licenziamenti, le riduzioni di paga. Ž questo il terreno su cui, a Milano e a Torino, i proletari si compattarono e si mossero, non contro il fascismo, come poi è stato raccontato dalla storiografia resistenziale, bensì contro il potere del governo - fascista o democratico che fosse - che rendeva insopportabili le loro condizioni di vita.)



Il Partito Comunista Internazionalista, nel dicembre '43, lanciò un appello per la creazione di un fronte unico proletario. Vi leggo un volantino che venne diffuso in questa occasione:

"OPERAI MILANESI!
Voi avete incrociato le braccia. Soddisfatte o no le vostre richieste di oggi, voi vi muovete fatalmente in un vicolo cieco e sarete, in breve, costretti ad incrociare ancora le braccia.
Perché?
Perché i capitalisti e il governo nazi-fascista, responsabili della guerra, sono incapaci non solo di risolvere la tremenda crisi che ha polverizzato l'economia nazionale, ma persino di sfamare voi e le vostre famiglie, costringendovi ancora a fabbricare cannoni per la guerra.
OPERAI!
Un solo mezzo avete per uscire dalla crisi: fare della vostra forza di classe una cosciente forza rivoluzionaria. Solo unendovi compatti contro la guerra, contro il capitalismo, contro gli sfruttatori di ogni colore che si servono delle vostre braccia e della vostra vita per la loro lotta criminale di dominio, solo spostando la vostra azione dal terreno economico a quello politico, riuscirete a spezzare le catene che ancora vi imprigionano.
OPERAI!
Al capitalismo, colpito a morte dalla sua stessa guerra, contrapponete ora la vostra capacità e la vostra forza di nuova classe dirigente.
Contro il fascismo, che vuole la continuazione della guerra tedesca, e contro il Fronte Nazionale dei sei partiti, che vuole la continuazione della guerra democratica, voi organizzatevi sul posto di lavoro, cementate in un FRONTE UNICO PROLETARIO i vostri comuni interessi, il vostro stesso destino di classe che vi indica come già iniziata la lotta decisiva per la conquista del potere.
Il Partito Comunista Internazionalista è al vostro fianco.
Abbasso la guerra fascista!
Abbasso la guerra democratica!
Viva la rivoluzione proletaria!
[Firmato:] Il Partito Comunista Internazionalista".

Ovviamente, le posizioni del partito Comunista Internazionalista gli attirarono una condanna durissima da parte del PCI. Questa condanna non fu soltanto verbale - "agenti del fascismo e della Gestapo", così venivano definiti gl'internazionalisti sulla stampa picista - ma arrivò fino all'eliminazione fisica di suoi militanti, come Mario Acquaviva e Fausto Atti.



Visto che domani è il 25 aprile, vorrei leggervi un altro volantino del Partito Comunista Internazionalista, diffuso nelle settimane successive alla Liberazione col titolo: Proletari! Disertate i C.[omitati] di Liberazione Nazionale. Eccone il testo:

"I dirigenti cosiddetti comunisti (che noi chiamiamo giustamente voltagabbana, per il semplice fatto che hanno tradito l'idea base del partito sorto a Livorno nel 1921) si atteggiano a difensori dei partiti componenti il C.[omitato] di L.[iberazione] N.[azionale] (vedi Unità di domenica 17 giugno) i quali, essendo rappresentanti della classe borghese, sono di conseguenza i creatori del metodo fascista, il quale fu creato dalla borghesia per impedire la marcia trionfale del proletariato verso la presa del potere politico. Dire come è stato detto da un massimo esponente del centrismo [NdC: i comunisti internazionalisti in quegli anni definivano centrismo lo stalinismo]: che il fascismo è stato un errore commesso dalla borghesia, è una menzogna a duplice portata, poiché da una parte si vorrebbe ridurre ad un semplice sbaglio (e perciò riparabile in sede giuridica) le grandi sofferenze ed il sangue versato dal proletariato in un quarto di secolo, e dall'altra negare la realtà di un periodo di dominazione capitalista sulla base dei propri interessi classisti di accumulazione di ricchezze e di mantenimento dell'autorità borghese nei confronti di un proletariato combattivo, ed infine negare il ruolo di avanguardia nella provocazione alla guerra, di quella guerra voluta del capitalismo poiché tutta la società capitalista mondiale era contaminata alle sue stesse basi. Il fascismo non è uno sbaglio ma bensì l'arma controrivoluzionaria che la borghesia sa servirsi in date situazioni, in dati settori del mondo capitalista.

PROLETARI!

Oggi sul settore italiano il metodo fascista ha finito il suo ruolo di conservatore degli interessi di classe del vostro nemico, al suo posto subentra un altro metodo che ha come base la demagogia, l'imbroglio e la deformazione delle idee proletarie, anche questa volta la borghesia non commette uno sbaglio, anzi per essa è una vera cuccagna di poter servirsi di organismi ad etichetta proletaria per convogliare il proletariato al carro della ricostruzione, vale a dire al carro dello sfruttamento, di poter avere dei ministri di governo comunisti. Quello che conta per il capitalismo è una sola cosa: impedire al proletariato di trovare il filo di congiunzione con le vecchie battaglie e continuare così il grande cammino della lotta di classe verso la sua totale emancipazione economica e politica.

LAVORATORI!

Ieri con il fascismo, oggi con il C. di L.N., la borghesia continua a dominare e ad illudervi. Il centrismo dirigente ci chiama traditori? Noi rispondiamo che se si tratta di traditori della patria possono risparmiare il loro fiato, noi come tutti i proletari non abbiamo patria, abbiamo una classe che si chiama proletariato, se per traditori si vuole alludere alla nostra posizione contro la guerra e alla nostra parola d'ordine: proletari disertate e sabotate la guerra, ebbene per noi è un onore immenso di avere denunciato il massacro tra i proletari dei diversi paesi. Se infine noi siamo dei traditori perché non apparteniamo al C. di L.N. dichiariamo subito che questi insulti non ci toccano poiché si deve provare che il Partito Internazionalista ha tradito la causa della classe proletaria e la sua rivoluzione, anzi denunciando al proletariato il C. di L.N. noi non facciamo altro che continuare a smascherare il mostro capitalista disposto a trasformarsi esteriormente in ogni situazione pur di mantenere intatto il suo metodo di prelevamento del sangue e dei sudori sul lavoro degli operai e lavoratori tutti. Noi non crediamo sia un insulto quello di dire che nel C. di L.N. si rintana il capitalismo nelle sue diverse spoglie, fascismo compreso, noi non crediamo sia un insulto dichiarare che il centrismo collabora con i peggiori nemici del proletariato, che ha rinunciato ad ogni principio classista accentuando i principi antiquati della borghesia patriottarda. Il vero insulto verso il proletariato è proprio quello di chiamarsi Comunista da parte di un partito il cui contenuto politico rappresenta tutto, salvo l'idea rivoluzionaria classista.

Abbasso i disfattisti della rivoluzione proletaria!
Abbasso i collaboratori e conservatori del dominio borghese!
W la rivoluzione proletaria italiana e mondiale!
[Firmato:] Il Comitato federale di Torino e provincia del Partito Comunista Internazionalista".


È una citazione lunga, ma non ho voluto rinunciarvi perché mi pare che questo volantino sintetizzi efficacemente il contenuto di questa parte della mia relazione.



Arturo Peregalli aveva svolto un approfondito studio sulla Resistenza e sui gruppi che si erano allora posti alla sinistra del PCI (i frutti di questo lavoro sono raccolti nel volume L'altra Resistenza. Il PCI e le opposizioni di sinistra 1943-1945, Graphos, Genova, 1991). Sua intenzione era di estendere la ricerca a livello europeo. Purtroppo la malattia e poi la morte gli hanno impedito di portare a termine l'impresa. L'unica parte finora apparsa è quella contenuta nel libro Contro venti e maree. La Seconda Guerra mondiale e gli internazionalisti del "Terzo Fronte". Capitolo quinto. Grecia: Aghis Stinas e l'Unione Comunista Internazionalista (Colibri, Paderno Dugnano, MI, 2002).

Nel progetto originario del libro, Arturo e io volevamo prendere in considerazione, per quanto riguarda la Francia, la Frazione Italiana della Sinistra Comunista (la cui azione di quegli anni non è ancora stata studiata), i Revolutionere Kommunisten Deutschlands (RKD), l'Organisation Communiste Révolutionnaire (fuoruscita dal trotskismo) e, infine, l'Union des Communistes Internationalistes (una formazione, nata nel '42-43, alla quale partecipò anche Maximilien Rubel).



Sono, tutti questi, gruppi estremamente minoritari, i cui aderenti si contano nell'ordine delle decine. Gli altri capitoli avrebbero dovuto trattare di Grandizio Munis (che a quel tempo viveva in Messico), dei comunisti dei consigli olandesi (che s'opposero anch'essi alla guerra) e del gruppo animato da Henk Snevlieet (il Marx-Lenin-Luxemburg Front). Il libro avrebbe cercato, insomma, di fornire un quadro a livello europeo di quelle che erano state le posizioni internazionaliste e di riportare alla luce l'attività degli uomini che vi si erano ispirati.

È questo, a mio avviso, un compito importante, non solo da un punto di vista storico ma anche per l'oggi, vista la situazione nella quale ci troviamo a vivere: una situazione che se non è ancora di guerra ne è la preparazione, una situazione in cui si cerca di compattare proletariato e popolo tutto a sostegno delle esigenze del capitale, nella lotta comune a un nemico fantomatico, il quale trova una definizione assai generica qual è quella di terrorismo. La settimana scorsa un piccolo aereo è andato a sbattere contro il grattacielo Pirelli a Milano. Immediatamente, il presidente del senato ha dichiarato trattarsi di atto terroristico, salvo poi dover ammettere, a malincuore, ch'era stato un incidente. Non essendo crollata alcuna Torre Gemella, non è stato stavolta possibile unire l'Italia, lavoratrice e non, contro l'immane pericolo, il nuovo demone terrorista.


Oggi, quando sotto la copertura di interventi "umanitari" e di operazioni di "giustizia infinita" le diverse frazioni del capitale mondiale cercano di assicurarsi la conquista di posizioni strategiche in vista d'un futuro conflitto, è tanto più utile ribadire qual è la posizione del comunismo rivoluzionario di fronte alla guerra e alle Sacre Unioni cui sempre i proletari vengono richiamati.