TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 23 maggio 2013

Don Gallo. Un prete giusto



Un uomo giusto, fedele al messaggio evangelico più che alla Chiesa come istituzione. Anni fa lavorammo con lui ad un progetto per dar voce ai detenuti del carcere di Savona. Il risultato fu un piccolo giornale di cui uscì qualche numero. Una avventura che ci permise di conoscerlo da vicino e stimarlo. Lo ricordiamo con questo articolo di Famiglia cristiana e con l'editoriale che scrivemmo allora per il primo numero del giornale.

Don Gallo. Un prete giusto

Quando andavi a trovarlo uscivi dal suo piccolo studiolo carico di idee e odore di pipa. Non smetteva quasi mai di fumarla e di tenerla in mano. E intanto parlava del passato e dell’oggi. Dei progetti in cantiere per il futuro. Don Andrea Gallo, morto oggi all’età di 84 anni, era un fiume in piena. Nella comunità di San Benedetto, da lui stesso fondata a Genova, per essere vicino ai più deboli, erano passati tutti: ex brigatisti ed emarginati, intellettuali e poveri, atei e credenti. Il prete dalle mille battaglie, spesso critico nei confronti della stessa Chiesa, ma con quella fede dura che spostava le montagne riusciva a dialogare con tutti. 

Nonostante la malattia che lo consumava, scavandolo sempre più platealmente, era riuscito quasi fino all’ultimo a stare al passo con i tempi e con i “suoi ragazzi” giovani e adulti. Tentava tutte le strade per farsi compagno di viaggio. Nel suo ultimo twitter, il 20 maggio, aveva scritto “Sogno una Chiesa non separata dagli altri, che non sia sempre pronta a condannare, ma sia solidale, compagna”. Ed è proprio da lì che è arrivata anche la notizia della sua morte: “Ore 17.45 il cuore di Don Andrea Gallo ha cessato di battere, la comunità S.Benedetto e idealmente voi tutti siamo stretti intorno a lui”.

Don Andrea Gallo era entrato nel seminario dei salesiani nel 1948. Nel 1953 era partito per le missioni in Brasile, ma era tornato in Italia durante il periodo della dittatura. Ordinato presbitero il primo luglio 1959 era stato inviato, un anno dopo, come cappellano nella nave scuola della Garaventa, riformatorio per minori. Da quel momento in poi la passione per l’educazione dei ragazzi non lo avrebbe più abbandonato, così come l’attenzione per il carcere e per i detenuti. Nel 1964 lascia i salesiani e si incardina come sacerdote diocesano. Il cardinale Siri, che allora guidava Genova, gli affida l’incarico di cappellano del carcere. Fra i due c’è sempre stata una vivace polemica cui spesso hanno fatto seguito trasferimenti di incarichi e parrocchie. Fino alla rinuncia di don Gallo al trasferimento richiesto dal cardinale Siri nell’isola di Capraia. Don Gallo viene quindi accolto dal parroco di San Benedetto al Porto, don Federico Rebora, e insieme a un piccolo gruppo dà vita alla Comunità di San Benedetto al Porto. 

Impegnato per la pace e nel movimento No Dal Molin, contro la costruzione di una nuova base militare a Vicenza, don Gallo non ha mai smesso di battersi contro l'emarginazione dei gay e contro l'omofobia, a favore della cittadinanza agli immigrati, per costruire una società più solidale, giusta e accogliente.


Savona. Carcere di S. Agostino















Giorgio Amico

Non luoghi

Carcere, manicomio, ospizio: luoghi scomodi, non-luoghi, luoghi invisibili. Sant’Agostino è uno di quei luoghi di cui preferiamo ignorare l’esistenza. Eppure è nel cuore della città, accanto a noi, parte della nostra vita quotidiana. Anche se preferiamo ignorarlo e continuare a far finta di niente.

Poveri, carcerati, disabili: persone scomode, non-persone, persone invisibili. Vivono accanto a noi, ma è come se non ci fossero. Cancellati dal mondo, estromessi dalla vita dei “normali”, riemergono alla nostra consapevolezza solo in occasione di fatti di cronaca, per essere poi subito rimossi e dimenticati.

Persone senza nome e senza volto, protagonisti di piccole storie squallide. Storie di ordinaria miseria, di follia, di emarginazione. Sant’Agostino ne raccoglie tante e gelosamente le conserva, celandole alla nostra vista di benpensanti. Impedendo che diventino visibili, che turbino il nostro piccolo, ordinato tran-tran quotidiano.

Cosa c’entra la scuola con tutto questo ? C’entra perché Sant’Agostino è anche in piccolissima parte scuola, luogo dove si svolgono attività di studio e di animazione culturale. “Scuola in carcere”, questa è la definizione ufficiale, fredda, asettica e un po’ retorica che le racchiude.

Ma si può fare scuola e cultura dietro le sbarre, senza cadere in un paternalismo tanto più orribile, quanto in buona fede ? Si può. Alla sola condizione di intendere queste attività come un percorso di liberazione.

Sappiamo bene che la cultura in se non rende liberi, come il lavoro non rendeva liberi i prigionieri di Auschwitz. Sappiamo però altrettanto bene che la cultura come valorizzazione della propria umanità, come urlo di chi rivendica il proprio diritto ad esistere è, forse, motivo di scandalo, ma, sicuramente, strumento di liberazione, percorso di libertà.

Questo, e non altro, il senso delle attività di animazione che insieme scuola e Circolo “Il Brandale” abbiamo svolto a Sant’Agostino nello scorso anno scolastico, iniziando un percorso che speriamo contribuisca a demolire l’idea del carcere come un non-luogo abitato da non-persone.  




lunedì 20 maggio 2013

Il lavoro dell'artista. Un percorso genovese 1977-1989



Gli anni fra il 1977 ed il 1989 sono stati, per la società, l'economia e la cultura, un intervallo tra un "non più" e un "non ancora". In quel periodo si incontrarono, a Genova, alcuni artisti di tre diverse generazioni, estranei alle mode dell'epoca, che operavano muovendo dal riconoscimento critico di una crescente ambivalenza e eterogeneità delle forme di vita e della prassi sociale. Alla base della mostra è il tentativo di cogliere attraverso le loro opere, i documenti, il materiale preparatorio la mappa di quella stagione. 
In collaborazione con Mucas (Museo del Caos).



Dal 22 maggio al 16 giugno 2013

Il lavoro dell'artista
Un percorso genovese 1977-1989
Brunetti, Bucci, Di Cristina, Galletta, Lagalla, Mignani, Terrone

a cura di Sandro Ricaldone

Genova, Palazzo Ducale
Cortile Minore, Spazio 42 Rosso

Orario: ore 15-19
ingresso libero

Info tel. 0105574065


martedì 14 maggio 2013

Un libro da leggere: “Nelle mani delle donne” di Maria Giuseppina Muzzarelli




Giorgio Amico

Un libro da leggere: “Nelle mani delle donne” di Maria Giuseppina Muzzarelli

Un libro sulla relazione fra le donne e il cibo dall'antichità al mondo moderno con una particolare attenzione al Medioevo (l'autrice è docente di storia medievale all'Università di Bologna). Un viaggio nel tempo che riporta al XV secolo della strega Matteuccia del Castello di Ripabianca, al XII secolo della dotta monaca Ildegarda di Bingen, fino all’XI secolo del vescovo Burcardo di Worms, seguendo il filo di una pluralità di fonti: procedimenti giudiziari, trattati, dipinti, opere letterarie.

La storia vista con gli occhi delle donne, confinate per secoli in cucina, dove il cucinare da impegno quotidiano diventa un modo per costruire relazioni, dare senso alla vita e imporsi comunque ad un mondo interamente declinato al maschile.

Già dalle prime pagine l'autrice chiarisce il senso del libro, la volontà di offrire uno strumento di lettura e interpretazione della storia che aiuti a vivere il presente:

«Voglio raccontare, soprattutto a quante giovani donne impegnate in diversi ambiti lavorativi amano cucinare e lo fanno con maestria, mangiano di gusto e non si pongono, progettando una maternità, il problema dell’allattamento, come sono andate le cose fino a non molto tempo fa. Questo perché sappiano preservare quello che è stato faticosamente conquistato, anche se non sempre ne sono consapevoli, e recuperare quello che, più a loro che alle donne della mia generazione, pare di aver perduto. Soprattutto perché abbiano materia su cui riflettere a proposito di quanto è naturale e quanto invece socialmente costruito (dagli uomini ma anche dalle donne), ora perpetuando limitazioni e tenendo in vita pregiudizi e luoghi comuni duri a morire, ora introducendo opportunità prima assenti.»

Un libro rivolto solo alle donne, allora? Sarebbe una conclusione sciocca. Non esistono libri per uomini o per donne, ma solo libri per chi vuol capire. Nel leggere, per fortuna, il genere non conta.

Maria Giuseppina Muzzarelli
Nelle mani delle donne
Laterza, 2013
16 euro


domenica 5 maggio 2013

Nel cuore delle Alpi Marittime sulle vie dei contrabbandieri e dei pastori. La Chiesa di Santa Margherita di Mendatica e le cascate dell'Arroscia



















Giorgio Amico

Nel cuore delle Alpi Marittime sulle vie dei contrabbandieri e dei pastori. La Chiesa di Santa Margherita di Mendatica e le cascate dell'Arroscia

Mendatica è un gioiello fatto di case di pietra in cima alla Valle Arroscia. Lasciata l'autostrada ad Albenga ci si arriva attraverso la statale che porta a Pieve di Teco e poi al Passo di Nava.

Appena sotto il paese si imbocca una stradina sterrata che in breve conduce all’antica chiesetta di Santa Margherita, segno, scolpito nella pietra, di una storia fatta di boschi,di alpeggi e di sentieri che in passato conducevano viandanti, pastori e greggi lungo le vie di pascolo e di collegamento con la Francia e il Piemonte.




Luogo antichissimo di culto, riedificato nel Cinquecento, Santa Margherita contiene due cicli di affreschi di buona fattura, opera di Pietro Guido da Ranzo, un artista attivo in tutta la Valle Arroscia agli inizi del ‘500, autore di cicli pittorici importanti come quello di San Pantaleo a Ranzo o quello conservato nel Santuario della Madonna bambina di Rezzo.


Autore minore, ma dotato di uno stile efficace, capace di dar voce allo spirito religioso della gente della montagna Pietro Guido si formò probabilmente nella bottega di Tommaso Biasacci ad Albenga alla fine degli anni 80 del ‘400 per poi trasferirsi a Genova dove la sua presenza è attestata tra il 1499 e il 1503. 

Gli affreschi, restaurati tra il 1968 e il 1969 sotto la direzione dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, si dividono in due parti: da un lato le pareti intorno all’altare affrescate con le storie di Santa Margherita d’Antiochia, dall’altra il tradizionale ciclo con la Passione di Gesù Cristo.



Oltrepassata la Chiesa il sentiero sale lungo una bella mulattiera che si addentra in un bosco fittissimo che costeggia l'Arroscia e i suoi splendidi salti d'acqua. Nel sottobosco la fioritura offre ad ogni svolta del cammino sorprese incredibili.



Passato l'antico ponte sul Rio Grupin (884 metri), si arriva con una serie di tornanti che salgono fra gli alberi ad un belvedere (1004 metri) ai piedi delle cascate, un luogo magico di una bellezza unica.



Dopo le cascate il sentiero continua a salire in mezzo al bosco per giungere prima a un antico Pilone (1146 metri) da dove lo sguardo spazia sulle Alpi Marittime e l'intera Valle Arroscia.


Il sentiero, a tratti piuttosto ripido, continua a salire fra castagni e poi faggi secolari fino a raggiungere l'antico abitato di Poilarocca a 1440 metri dove, nel cuore delle montagne, nei mesi caldi si portavano le mandrie al pascolo.


Oggi Poilarocca è un cumulo di rovine, ma il sentiero per arrivarci, che sale da Mendatica, è bellissimo. E’ un tratto della vecchia mulattiera che conduceva sul crinale più alto delle Alpi Liguri, dove transitava la mitica Via Marenca, la strada del sale e dei mercanti, diretta dal Piemonte al mare. Via di contrabbandieri e di pastori. Qui e là fra le rovine angoli di una suggestione profonda.



Inizia a piovere. Scendiamo in una nebbia fitta che rende il bosco un luogo misterioso e fatato.