TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 21 luglio 2013

I guardiani di pietra delle Alpi del Mare


 
Giorgio Amico
 
I guardiani di pietra delle Alpi del Mare
Appunti da una giornata in Valle Arroscia

A pochi minuti di macchina dalle spiagge affollate della Riviera l'alta Valle Arroscia è come un universo parallelo fatto di silenzi, di vento, di acqua che scorre. Il tempo qui acquista un valore diverso.



In alto, Rezzo fatto di case di pietra, abbarbicate alla roccia, che cercano la luce come girasoli.


Tetti fatti di lose coperte di sassifraghe e licheni che avrebbero fatto sognare Sbarbaro.


Ovunque i segni di una devozione antica, testimonianze di vita di uomini e donne della montagna ligure.



E poi dappertutto i fiori di pietra che i lapicidi di Cenova hanno seminato nelle valli del Ponente, dalla Valle Arroscia alla Val Roya.



Lungo i vicoli che risalgono la montagna, volti sbucano dalla pietra. Guardiani di un mondo che non esiste più. Presenze inquietanti che ci scrutano da un'altra dimensione.


E poi, echi rimbalzati fra le montagne della grande pittura del Quattrocento, gli affreschi di Pietro Guido da Ranzo.




Volti di donna che addolciscono una valle aspra di boschi e di rocce, via di valico dagli alpeggi al mare.





mercoledì 17 luglio 2013

Fuori i razzisti dal parlamento. Solidarietà a Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci denunciati dal leghista Calderoli.



Giovedì 18 luglio prossimo a Cassino ci sarà l'udienza preliminare del processo che vede  imputati, con l'accusa di diffamazione nei confronti di Roberto Calderoli, Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci in quanto autori del volume Svastica verde – uscito due anni e mezzo fa per gli Editori Riuniti. Si proprio quel Calderoli che da dell'orango a una donna di colore, nonchè ministro della Repubblica, e si giustifica dicendo di aver scherzato. Da parte nostra massima solidarietà a Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci. Fuori i razzisti dal parlamento e dalle piazze.

Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci sono indagati per il reato di diffamazione (art.595 c.3 c.p.) perché sulla copertina del libro “Svastica Verde: il lato oscuro del va’ pensiero leghista”, e a fianco di una sintesi dei contenuti (eversione, xenofobia, razzismo ma anche affarismo e ingordigia di potere. Antologia tratta dall’unico partito del nostro paese in costante ascesa) figura l’immagine di Roberto Calderoli. La diffamazione si concretizzerebbe, secondo l’accusa, nell’associazione tra titolo e occhiello della copertina e la fotografia del senatore leghista.

Ma a parte l’assurdità di imputare agli autori una scelta, come quella della copertina, notoriamente attribuibile alla casa editrice, che viceversa non è neppure citata, risulta difficile considerare reato la semplice sintesi del credo leghista, tra cui le campagne contro l’affermazione, la celebrazione della supremazia del popolo padano e il conseguente atteggiamento discriminatorio nei confronti di chi è “diverso”. I contenuti riassunti nel titolo e nell’occhiello non sono riferite con tutta evidenza alla persona del senatore Calderoli, ma al partito politico Lega Nord. Tali giudizi rientrano nell’esercizio del diritto di critica politica, che consiste nella libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti, anche lesivi della reputazione (Cass. Civile sez III n. 6973 del 22 marzo 2007).

Più precisamente, poi, in tema di diffamazione a mezzo stampa, la giurisprudenza ha affermato (Cass. Pen. sez. V, 28 ottobre 2010 n. 44938) che “la critica politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale che non può per sua definizione pretendersi rigorosamente obiettiva e asettica. Il limite immanente all’esercizio del diritto di critica è essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale”.

Sul punto si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite, ribadendo la legittimità dell’utilizzo di un “linguaggio colorito e pungente, purché non lesivo dell’integrità morale del soggetto”(Cass. S.U. sent. 690/2010). E appare evidente come questi parametri siano stati rispettati dagli autori.


 E’ sconcertante in conclusione che mentre Calderoli e altri dirigenti della Lega Nord non vengono processati e sanzionati per la costante attività di incitamento all’odio razziale, vengano processati per diffamazione chi documenta tale incitamento con puntuali citazioni – come fa Svastica verde – lo denuncia e lo critica.


venerdì 12 luglio 2013

Vendone 2013. Omaggio a Rainer Kriester


giovedì 11 luglio 2013

Per un' Occitania viva e libera, per un'Europa dei popoli. Quattro domande sul termine occitano



Qualche visitatore del nostro blog si stupisce del nostro sostegno alla causa occitana. La risposta è semplice: siamo per una Europa dei popoli che permetta finalmente di superare le barriere artificiali costruite nei secoli scorsi dalle classi dominanti. E gli Occitani (come i Baschi e i Corsi) sono l'esempio più chiaro di una nazione senza stato. Qualcun altro contesta che l'occitano sia una lingua autonoma e non un insieme di dialetti franco-provenzali. Lasciamo la risposta agli amici di Ousitanio Vivo.

QUATTRO DOMANDE SUL TERMINE "OCCITANO"

Ci sembra opportuno tornare ancora una volta sull'antica, e per fortuna in via di superamento, questione della differenza tra occitano-Occitania e provenzale-Provenza. Lo facciamo esponendo, per chiarezza, quattro domande fondamentali.

1: Occitano e provenzale indicano la stessa cosa?

Si! Per indicare la lingua parlata nelle nostre Valli viene usato da alcuni il termine occitano, da altri quello provenzale. Ma i due termini fanno riferimento esattamente alla stessa lingua, parlata, con molte varianti, dalle valli del Quiè a sud alla valle di Oulx a nord. La nostra lingua è una sola, occitana o provenzale che la si voglia definire. Non ha dunque senso parlare di provenzale o di minoranza provenzale come se si trattasse di un'entità linguistica o geografica distinta da quella occitana. Ancora meno senso ha chiedere il riconoscimento di una entità provenzale a fianco di quella occitana, a meno che questa entità indichi non un territorio o una comunità di parlanti, ma un movimento politico (è come se, ad esempio, l'ARCI chiedesse alla Stato di essere riconosciuta come minoranza linguistica).



2: Qual è il termine più appropriato?

Il termine occitano-Occitania, per due ordini di ragioni. Il primo è che l'identità provenzale fa riferimento ad una realtà regionale assai circoscritta (e questo può essere da un certo punto di vista un vantaggio), e ignora che la lingua d'oc si estende in tutto il mezzogiorno francese. L'unità della lingua d'oc, pur comprendente diverse varianti regionali (tra le quali la più originale non è il provenzale ma il guascone) è riconosciuta da tutti i linguisti e studiosi universitari. Lo stesso Mistral ne aveva tenuto conto redigendo il suo grande dizionario "Lou tresor dóu Felibrige".

Il secondo ordine di ragioni che rende inaccettabile il termine provenzale per la lingua parlata nelle nostre Valli è che la lingua d'oc del mezzogiorno francese si divide, per unanime giodizio dei maggiori studiosi, in due gruppi: a nord i dialetti (limosino, alvergnate, delfinese o occitano alpino) caratterizzati, tre altre cose, dal fenomeno della palatalizzazione ("chan" per cane, "chabro" per capra, ec.); a sud i dialetti (provenzale, lengadociano, guascone) che non adottano tale fenomeno ("can" per cane, "cabro" per capra, ec.). Ora la palatalizzazione è pressochè totale nelle nostre Valli. Dunque, anche nel caso in cui si ritenesse un'identità occitana troppo vasta e vaga, e si preferisse una identità regionale, geograficamente e storicamente più agevole, le nostre Valli non potrebbero considerarsi linguisticamente provenzali, poiché le loro parlate sono chiaramente di tipo nord-occitano.

3: Qual è il termine più affermato?

Sino a qualche decennio fa tra la gente comune delle Valli, priva di ogni coscienza identitaria, entrambi i termini erano sconosciuti: essa non sapeva di parlare né l'occitano né il provenzale, ma semplicemnete un "patuà", "a nosto modo", un dialetto di campanile. E' dunque mistificatorio proporre il provenzale come un'identità radicata nella nostra tradizione e sentire comune, e l'occitano come una costruzione intellettuale imposta dall'alto. La verità è che entrambe le definizioni sono state "scoperte" in tempi recenti: quella provenzale a partire dai primi anni '60, quella occitana alla fine dello stesso decennio, con l'arrivo di François Fontan a Frassino.

Ma negli ultimi anni si è verificata una grande presa di coscienza, ed essa è andata principalmente in direzione del termine secondo noi più corretto, quello di occitano-Occitania. Di questo semplice fatto hanno tenuto conto i legislatori che licenziarono un anno fa la legge 482, riconoscendo la minoranza linguistica occitana tra quelle presenti in Italia. Lo stesso indirizzo è da molto tempo fuori discussione in sede di Comunità Europea, nelle Università e sui giornali.



4: L'occitano è una lingua astratta?

Questa è forse la mistificazione più grave. La ricerca di un occitano alpino "normalizzato" o meglio "referenziale" non è volta a sostituire le parlate (occitane) autentiche di ogni valle e paese con una lingua (occitana) calata dall'alto, bensì tenta di elaborare una forma che possa essere insegnata nelle scuole (ai bambini o agli adulti che vogliono riscoprire le proprie radici), utilizzata nei documenti ufficiali, nella segnaletica stradale, nella comunicazione scritta. Questa lingua occitana referenziale non potrà e non dovrà mai sostituirsi alle parlate occitane locali, ma anzi costituisce l'unica via attraverso la quale queste parlate possono continuare a prosperare, senza ridursi a fenomeni folcloristici o da museo. Le due forme - quella autentica del proprio villaggio e quella "standard" della vita pubblica - devono convivere una accanto all'altra perché si riferiscono a contesti e situazioni differenti. Tutte le minoranze linguistiche che cercano di aprirsi al futuro e non di chiudersi a riccio in atteggiamenti nostalgici adottano questa strada, dai friulani ai catalani, dai romanci ai sardi.

Sarebbe interessante chiedere ai sostenitori del provenzale quale lingua vorrebbero fare insegnare nelle scuole: quella localissima del villaggio? (ma in una Scuola Media di valle, a quale villaggio fare riferimento?) O il provenzale ottocentesco di Mistral, zeppo di termini che nessun parlante delle nostre Valli conosce?

Queste ed altre domande risultano insomma ineludibili per chiunque assuma, come noi cerchiamo di fare, il senso di responsabilità e la progettualità come criteri della propria azione.

(Da: Ousitanio Vivo - 18 dicembre 2000)


martedì 9 luglio 2013

Lia Franzia a "Diffusa" Rassegna d'arte contemporanea



Giovedì 11 luglio inizia il suo percorso “Diffusa”, Rassegna d'arte contemporanea. Un calendario ricchissimo di eventi fino al 31 di luglio a Quiliano nelle suggestive ambientazioni di Villa Maria e del Parco archeologico di San Pietro in Carpignana. Da non perdere la collettiva curata a Villa Maria dal SACS (Spazio Arte Contemporanea Sperimentale). Una stanza ospita i lavori di Lia Franzia, cara amica di Vento largo. Di lei parla questo bel testo trovato in rete.

Caterina Berardi

Lia Franzia. Architetture paesaggi

Il secondo passaggio nelle stanze dell'arte di Lia Franzìa indica una fertile conoscenza dell'architettura e delle arti applicate.

E se la Storia, intesa in frammenti di vissuto o in tracce di classicismo architettonico funge da basamento per la generazione di un rinnovato passato, anche il connubio Uomo-Natura, nei paesaggi, si affida all'intersezione pulsante di un elemento, quell'uso della fantasia che vivifica il ricordo in un'immagine in fluire costante, futuribile. Ma per Lia "non sempre il tema è in assolo" e la compenetrazione armoniosa tra le varie esperienze artistiche è il fil rouge di un intenso vissuto. Tutte le opere di Lia, personalità sfaccettata, sensibile e razionale al tempo stesso, trasmettono l'auspicio di un mondo senza frontiere, dove l'annullamento di ogni confine libera l'ansiosa ricerca e si apre in una grandissima libertà percettiva.

"Le Architetture". La tecnica, mista, libera, multi orientata ma non trasgressiva, fa evincere la potenza insita nel segno. Sia il tratteggio a matita o il rigore dell'incisione, o le campiture a pastello graffiato, trovano il proprio principio informatore sul collage a base classica. "Spesso cerco vecchie tavole, pagine da un testo di Vitruvio, o palladiano, o di Aalto. Utilizzo le linee di forza che proseguo, umilmente sottomettendomi alla struttura unitaria di base". Insiemi che vanno a completarsi con pochi, essenziali segni protagonisti. Piani frontali, paralleli, decisi, ben marcati, costruiscono a loro volta castelli e facciate, secondo quella texture del tridimensionale amata da Carrà e Sironi. Il cromatismo, vivido e generoso, richiama le componenti bituminose dell'asfalto, la compattezza levigata ed incandescente del cemento...

Si avverte un'eco della tavolozza toscana rinascimentale nella "San Miniato" giottesca: geometrie assolute, quel rigoroso alternarsi tra bianco e nero, proiettato in piani aggettanti dall'ossessivo violento rifrangersi di fasce optical. Lia ama "la grande forza del razionalismo europeo, quelle 'fabbriche' a grata, quegli spigoli vivi, i disegni a schema intersecato dei giardini all'italiana"...Quel gioco di linee, quell'architettura dove l'Uomo viene inserito, mai direttamente reso partecipe del grande disegno ("Verso la simmetria ").

E,ancora, le quinte dominanti di uno spazio immaginifico ospitano i simboli di un arcano sapere. Cerchi (l'oro illuminante), triangoli, quadrati, traiettorie dal moto ascensionale (il blu, infinito) o discendente - il rosso della scansione razionale - (trittico "Judex"). Sono le monadi riflesse, la 'forma mentis' di una natura di per sé conclusa che richiede meditazione interiore non filtrata dalla presenza umana. Colpi di luce nell'ombra che animano la casa ("Io vivo qui"), la rendono viva, una gabbia protettiva per l'elemento umano.



"I Paesaggi". In piccole notazioni, il protagonista assoluto (non lo è mai, la figura umana, scricciolo e muta spettatrice del mondo - "Giornata di sole"- ). La ritrosia connaturata dell'autrice, il "non voler dire troppo" esalta un'umile e rispettosa 'memoria loci'. Dapprima, il paesaggio prediletto delle Langhe. Fonte di miti - Pavese e Francesco Casorati, sentinelle di quei malinconici, brumosi fondali immersi nel silenzio - e, per Lia, l'eco del ricordo, l'incontaminato mondo dell'infanzia. Il suo segno apre una texture sottile ma altrettanto possente (contro l'ovvietà di un romanticismo a scadere) rivisitata da geometrie particolari, da quella concertazione di linee precise dove il tratto a matita vivifica, in rapido definirsi, solchi e filari...

I segni sono i richiami, la conoscenza preservata di un mondo interiore ignaro dello scorrere del tempo. E, a seguire, il paesaggio marino e collinare della Toscana. Una prima produzione offre gli scorci tra colore e tracciato, quasi " un gioco di ombre cinesi". Un ventaglio dispiega la rappresentazione di un racconto in ottico sovrapporsi...Ma Lia predilige una tecnica scarna, quei segni in perenne dialogo sul 'de rerum natura', senza sovrapposizioni cromatiche, che esalta le sfaccettature. Così il calligrafico ordito di linee tese traccia i sentieri staccionati, i filari delle viti e i solchi centenari del nodoso tronco d'ulivo.

Sette gli anni del 'secretum', dell'intimo colloquio intercorso tra Lia, gli uliveti, i vigneti e il maestoso cipresso. Ulivo e cipresso, due entità contrapposte che si affidano a due segni, a due differenti tonalità di verde...Nella grande compostezza della serialità, quell'Io pyramidalis, il cipresso verticale ed appuntito colto in splendido isolamento (iconografia cara a Morandi) viene suggellato dal fluire del segno di Lia nella più ampia accezione del filare sopra la collina ferrosa. Magnifico contrasto tra l'elegante nota cromatica 'fredda' (le viscere della terra, viola, verde e azzurro) e la matrice arborea, 'speculum veritatis' non fine a sé stesso. Dall'indiscussa categoria del paesaggio, a fulcro visivo ed emozionale di un frammento di vita vissuta.





Lia Franzia. Docente di discipline pittoriche fino al 2000, si dedica ora soprattutto alla grafica, alla pittura, alla collaborazione con riviste d'arte e di arredamento. Ha iniziato ad esporre in personali e collettive dalla fine degli anni sessanta; sue opere ,oltre che in Italia, sono presenti in California, Grecia, Australia, Francia e Svezia.





sabato 6 luglio 2013

Sul Monte Galero nel fuoco dei gigli di San Giovanni



Giorgio Amico

Sul Monte Galero nel fuoco dei gigli di San Giovanni

Da maggio a metà luglio i monti della Liguria di Ponente sono nel pieno della fioritura. Oggi siamo saliti sul Monte Galero che con i suoi 1708 metri è la cima più alta in provincia di Savona.



















Volevamo fotografare i gigli di San Giovanni che in questa stagione abbondano lungo il crinale e non siamo rimasti delusi.

Lasciata l'auto al Colle di San Bernardo a quota 957 metri, si prende il percorso dell'Alta Via a destra della rotabile Garessio-Albenga. Subito dopo il Parco eolico la carrareccia sale dolcemente fino al Bocchino delle Meraviglie (1191 metri) attraversando un bel bosco di abeti bianchi e rossi.



Dal Bocchino delle Meraviglie si piega a sinistra e si sale lungo una vecchia mulattiera in direzione del Passo delle Caranche. Con il crescere dell'altitudine il bosco cambia. Si cammina in una splendida faggeta segnata da un paesaggio mozzafiato che spazia sui monti costieri e la piana di Albenga.



Dopo un passaggio fra le rocce si giunge al Passo delle Caranche (1411 metri) da dove si gode una bella vista delle Valli Neva e Pennavaira. Da lì la mulattiera scende per l'abitato di Nasino. Noi abbiamo seguito il percorso dell'Alta Via piegando a destra e risalendo verso il costone est del Galero con una ripida (ma breve) salita attraverso rocce e alberi.



Arrivati sullo spartiacque, ormai privo di alberi, si procede lungo una dorsale erbosa ripiena di fiori, il regno dei gigli di San Giovanni. I prati lungo il sentiero ne sono pieni.



Più in basso è il trionfo del maggiociondolo colorato di grappoli gialli. Si sale su un tappeto di mille colori:  cuscinetti di semplici fiori bianchi, delicate rose canine e primule alpine dal rosa intenso.




Proseguendo lungo la dorsale si arriva a una selletta a 1530 metri da cui parte l'ultimo tratto del sentiero verso la cima del Galero, una piramide erbosa che svetta imperiosa dal dorso della montagna.



Dopo quasi tre ore di salita percorrere questo ultimo tratto toglie un po' il fiato. Ma la fatica è ricompensata dal panorama splendido dell'intera Liguria di Ponente: catene continue di monti azzurrini e poi il mare luccicante sotto il sole e le nevi delle Marittime.





Il silenzio è totale, interrotto solo dal canto degli uccelli e dal sibilare del vento che qui soffia sempre. Verrebbe voglia di non scendere più.



Purtroppo scendiamo e la civiltà ci cattura di nuovo con il ronzio elettrico delle pale eoliche.

venerdì 5 luglio 2013

Il Teatro dei Cartelami. Scenografie tra mistero e meraviglia



Apparati scenici allestiti in chiese e oratori per la Settimana Santa o altre particolari celebrazioni liturgiche, come l'adorazione eucaristica delle Quarantore, costruiti utilizzando materiali poveri (legno di castagno, cartapesta, tela, cartone), i cartelami rappresentano il più autentico punto di contatto fra arte e devozione popolare in quella porzione di Mediterraneo che dalla Catalogna arriva alla Toscana. Una splendida mostra in corso a Palazzo Ducale li rende ora finalmente fruibili.



Il Gran Teatro dei Cartelami. Scenografie tra mistero e meraviglia

Palazzo Ducale, Appartamento del Doge

11 maggio – 25 agosto 2013


Dall'11 maggio al 25 agosto Palazzo Ducale presenta la mostra Il Gran Teatro dei Cartelami. Scenografie Tra mistero e meraviglia.

Allestita nell'Appartamento del Doge, l'esposizione - curata da Franco Boggero e Alfonso Sista, della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Liguria - è un'occasione unica per scoprire i cartelami, particolari scenografie così chiamate in Liguria perché costruite con il cartone.

Dette décors o monumentos. in altre regioni dell'Europa mediterranea, sono apparati - in mostra saranno esposti oltre cento pezzi - per lo più di gusto popolare, legati a particolari momenti del rito cristiano, come la Settimana Santa e l'adorazione eucaristica delle Quarantore.

Tra il XVII e il XIX secolo, la loro produzione ha una grande varietà di soluzioni compositive e ricorre ai più diversi materiali di supporto: oltre al cartone, il legno, la tela e la latta. Il materiale conosciuto e schedato si è fatto molto più consistente negli ultimi anni, grazie anche al protrarsi delle ricerche condotte sul campo dai tecnici della Soprintendenza.

Il crescente interesse per questi apparati ha portato a recenti restauri in Catalogna e nei Pyrénées-Orientales, nel Nizzardo e nelle Alpi Marittime, nonché in Corsica, in Sardegna e in Toscana. In mostra, i materiali liguri sono posti a diretto confronto con quelli delle altre aree europee, mettendo così in evidenza differenze e tratti comuni.



Nei cosiddetti Sepolcri della Settimana Santa, l'allestimento è risolto talvolta in chiave prospettica, con una successione di tendoni o di schermi dipinti, come nei monuments di Espira-de-Conflent e di Fontpédrouse, nel Roussillon francese (la zona di Perpignan, ai confini coi Pirenei).

In Corsica si possono trovare invece pavillons concepiti come piccoli ambienti praticabili, decorati al loro interno da finti cicli di affreschi (in realtà, dipinti a tempera su tela): una tipologia rappresentata, in mostra, dal Sepolcru settecentesco di San Damiano di Ampugnani - nella regione boscosa della Castagniccia, a sud di Bastia - realizzato quando l'isola era ancora sotto il Dominio genovese.

In Liguria sono molto frequenti le libere composizioni di sagome in cartone (i cartelami in senso stretto), ma sono stati anche riscoperti veri e propri "teatri sacri" composti di boccascena, quinte e fondale, pensati per ambientarsi senza sforzo nello spazio architettonico di una chiesa.

Emblematico il caso dell'apparato di Ligo, nelle vicinanze di Albenga, e addirittura clamoroso quello del "Sepolcro Istoriato" di Laigueglia, davvero colossale - raggiunge i 15 metri d'altezza - e completamente smontabile. Nel Savonese, in particolare a Sassello, e nel Nizzardo (ma anche nelle Alpes-Maritimes, a Sospel, e in Corsica, a Bastia), le sagome sono ricavate nel legno. A Castelnuovo Magra si conserva invece un raro complesso di figure dipinte, nell'Ottocento, a olio sulla banda stagnata: la latta.



Un "teatro" del tutto diverso è quello in funzione dell'adorazione eucaristica delle Quarantore. In genere viene concepito come un'espansione illusiva dell'altare, che conduce per livelli graduali alla ribalta celeste nella quale era collocato l'ostensorio. A differenza dei Sepolcri, tenuti in penombra o percorsi da luci tenui, questi allestimenti sono giocati "in chiaro", con grande abbondanza di lumi.

La cosiddetta "Macchina" della cattedrale di Savona, dipinta da Paolo Gerolamo Brusco all'inizio dell'Ottocento, creava sopra l'altare un elegante carosello di angeli. Dimenticata per decenni in un deposito, dopo la mostra troverà in quella città uno spazio e un'adeguata valorizzazione. Un discorso analogo si può fare per uno straordinario apparato settecentesco (la "Nuvola") dipinto da Giovanni Agostino Ratti e riscoperto di recente ad Albissola Marina. Si tratta di una sorta di reliquiario gigante composto di diversi materiali (legno, tela, cartapesta) e animato da figurine angeliche, utilizzato in passato anche come "cassa" processionale.

In mostra, il valore e il significato dei numerosi apparati sono opportunamente commentati, anche attraverso una serie di suoni e rumori: in particolare, si ricreerà l'alta tensione emotiva legata ad alcuni, specifici riti pre-pasquali, come l'Ufficio delle Tenebre. Con gli strumenti originali (bàttole e raganelle, corni, trombe di corteccia) si è registrato, e viene riproposto, lo strépito col quale le comunità "chiamavano Barabba", riproducevano il clamore della folla nel percorso al Calvario e allontanavano, in definitiva, antichissime paure ed angosce legate al buio e alla presenza del male.

L'esposizione è promossa dalla Fondazione Carige di Genova e organizzata da Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Fondazione regionale per la Cultura e lo Spettacolo in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Liguria.



Orario:
martedì-domenica 10-19
la biglietteria chiude alle 18
biglietti: € 7 intero, € 6 ridotto, scuole € 4.
Informazioni: tel. 0105574065

lunedì 1 luglio 2013

"Il tempo è un happening divino", performance di Bruno Cassaglia


Quiliano, Villa Maria
Spazio Arte Contemporanea Sperimentale

giovedì 27 giugno
ore 18.20