TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 18 agosto 2014

Capri. Alla ricerca di Axel Munthe a Villa San Michele



Villa S.Michele era il rudere di una cappella medievale, ma alla fine dell'800 il medico svedese Axel Munthe la trasformò in un eden profumato dove agli alberi da frutto si alternavano distese di fiori. Un luogo “aperto al sole, al vento, alla luce del mare, come un tempio greco”.



Raffaele K. Salinari

All’ombra della vigna


«La casa era pic­cola e pre­sen­tava poche stanze, ma vi si tro­va­vano nume­rose logge, per­gole e ter­razze da dove era pos­si­bile vedere il sole, il mare e le nuvole; lo spi­rito ha biso­gno di più spa­zio del corpo». Così nel cele­bre romanzo auto­bio­gra­fico La Sto­ria di San Michele, il medico sve­dese Axel Mun­the descrive la sua Villa San Michele ad Ana­ca­pri, in ori­gine un rudere di cap­pella medioe­vale tito­lata al santo omo­nimo sulla som­mità del monte Bar­ba­rossa, di cui avrebbe fatto il buen retiro della sua lunga vita. Mun­the l’aveva scelta anche per­ché la tra­di­zione locale voleva il luogo come ori­gi­na­ria­mente occu­pato da una delle dodici resi­denze dell’imperatore Tiberio.
Non solo viti

Siamo alla fine dell’Ottocento e il medico cosmo­po­lita decide di riti­rarsi a Capri, già fol­go­rato dalla sua bel­lezza in occa­sione di una prima visita all’isola, quando aveva diciotto anni. Ancora oggi è pos­si­bile ammi­rare il giar­dino all’interno della Villa, affa­sci­nante come un segreto che chiama a sé per essere sve­lato. Dall’esterno della costru­zione si pos­sono intrav­ve­dere le bian­che colonne che sosten­gono il lungo per­go­lato, allun­gare lo sguardo verso le vesti­gia della cap­pella che custo­di­sce l’inquietante sfinge di pie­tra che guata il vasto mare sot­to­stante, il Medi­ter­ra­neo in cui ancora vive l’aura delle Sirene e dei Ciclopi, cui il medico allude quando dice che la sua casa «doveva essere aperta al sole, al vento, alla luce del mare, come un tem­pio greco». E infatti Mun­the, per evo­carne i miti, aveva anche pro­get­tato un vero e pro­prio «tea­tro greco» lungo il fianco del monte.

Ma è solo dopo essere entrati nella Villa che il giar­dino si pre­senta in tutto il suo splen­dore, come fosse un riflesso della luce che emana dal Mare degli Eroi. E allora, quali erano le aspi­ra­zioni di Axel Mun­the nel rea­liz­zare il giar­dino, con che spi­rito pro­ce­dette alla sua crea­zione? Pos­siamo ten­tare di rispon­dere a que­ste domande riper­cor­ren­done la sto­ria.



Il nucleo ori­gi­na­rio è costi­tuito dalla pic­cole vigna, adia­cente al rudere della cap­pella, che egli acqui­stò nel 1895. La pre­senza di viti in grado di pro­durre uva, e dun­que vino, era cer­ta­mente una forte attrat­tiva per Mun­the, anche per­ché il ter­reno ter­raz­zato era prov­vi­sto di alberi da frutto già cre­sciuti, e la com­bi­na­zione di que­sti ele­menti rispon­de­vano appieno alla sua prima aspi­ra­zione: trarre diret­ta­mente dalla terra la sostanza del suo sosten­ta­mento. E cosa meglio di un poco di pane, unito al vino ed alla frutta da lui stesso pro­dotti, avrebbe potuto sod­di­sfare que­sto suo biso­gno pro­fondo, esi­sten­ziale?

Il ter­reno poi, essendo già stato col­ti­vato, costi­tuiva una garan­zia per le sue poten­zia­lità come vero e pro­prio giar­dino. I lavori si sus­se­gui­rono a tappe; il per­go­lato era già pronto all’inizio del 1900, il pic­colo viale di cipressi viene pian­tu­mato l’anno suc­ces­sivo.

Con­si­de­rando il signi­fi­cato sim­bo­lico di que­sto albero e l’ossessione di Mun­the per la morte, è più che natu­rale che lo abbia scelto per costeg­giare il viale che con­duce alla cap­pella. Ci imma­gi­niamo il medico di fronte ai suoi alberi svet­tanti con­tro il cielo nello stesso periodo in cui, nella sua amata Parigi, Eif­fel mostra al mondo la sua pro­di­giosa torre. Ancora oggi, a detta dei giar­di­nieri di Villa San Michele, le viti di quel periodo con­ti­nuano a dare i loro frutti: Dio­niso veglia sem­pre le sue pro­prietà. Anche gli ortaggi veni­vano, e ven­gono ancora, col­ti­vati all’ombra delle viti.

La vigna fu tra­sfor­mata nel giar­dino che ammi­riamo ancora oggi, non solo attra­verso il lavoro di Mun­the: è cre­di­bile che almeno un mae­stro giar­di­niere – oltre a un archi­tetto o un inge­gnere – fos­sero coin­volti nei lavori. Il suo giar­di­niere è indi­cato per nome: «Bal­das­sare, il mio mae­stro giar­di­niere». Ma è plau­si­bile anche la pre­senza di un archi­tetto, o di un inge­gnere, per risol­vere una que­stione capi­tale al fine della soprav­vi­venza del giar­dino: la pre­senza di acqua. A Capri manca l’acqua cor­rente e per il fab­bi­so­gno domestico:e la cura del giar­dino si rese neces­sa­rio rac­co­gliere quella pio­vana in cisterne; opera di dif­fi­cile rea­liz­za­zione se non con l’aiuto di un professionista.



La meta­mor­fosi

Ma il per­go­lato non era, e non è, solo costi­tuito da viti: «Era già coperta da viti appena pian­tate e rose, il capri­fo­glio e l’epomea si arram­pi­ca­vano sulla lunga fila di bian­che colonne», ci narra Mun­the. Così entriamo un po’ più in pro­fon­dità nella vita delle altre piante che for­mano il giar­dino.

Con il ter­mine epo­mea è pro­ba­bile che Mun­the inten­desse la Ipo­moea e, quindi, piante ram­pi­canti di diverse spe­cie che rico­prono spesso colonne ed ele­menti simili, men­tre, per quello che con­cerne le rose, ancora oggi è pos­si­bile ammi­rarne un paio di cespu­gli tra i più anti­chi pre­senti nel giar­dino, della spe­cie Rosa bank­siae. Viti, gli­cine, rose e altre piante da vaso, insieme ad altre cen­ti­naia di fiori, donano una grande varietà di colori, evi­den­ziati dai cam­bia­menti della lumi­no­sità durante le diverse ore del giorno e delle sta­gioni.

La parte alta, verso la vec­chia cap­pella di San Michele, si è andata col tempo coprendo di edera. A dare un carat­tere asso­lu­ta­mente unico a que­sta parte del giar­dino sono, però, le molte sta­tue e fram­menti di scul­ture inse­riti nei muri o, per citare Bruce Chat­win «che far­ci­scono le mura come noc­ciole nella gian­duia». Prima fra tutte, l’etrusca sfinge litica che guarda il mare. Poi, in ori­gine, era pos­si­bile vedere al cen­tro del giar­dino il Fauno Dan­zante che venne poi sosti­tuito da una copia del Putto con del­fino di Andrea del Ver­roc­chio, data­bile al 1470 circa.

Sotto il per­go­lato sono ancora espo­sti, tra le altre pre­ge­voli cose, un sar­co­fago del III secolo d.C. e la maschera di Medusa ritro­vata da Mun­the in fondo al mare. È una delle tante maschere di Medusa che deco­ra­vano forse il tem­pio di Venere a Roma, edi­fi­cato da Adriano nel 207 d.C.
C’è anche il fram­mento di una sta­tuetta che ritrae Diana, copia romana di un ori­gi­nale attri­buito allo scul­tore greco Leo­cha­res, data­bile al primo secolo d.C.. Nel giar­dino, durante gli scavi con­dotti nel 1954, fu rin­ve­nuta una sta­tua in marmo bianco raf­fi­gu­rante Ercole con la pelle del leone data­bile tra 1–50 a.C., come pure una di Marte rap­pre­sen­tato su un rilievo fram­men­ta­rio di pro­ve­nienza incerta. Nel tratto finale del per­go­lato, furono aggiunte tar­ghe com­me­mo­ra­tive dei suoi cani Tom e Fellow.



Un esem­pio «italiano»

Oggi è dif­fi­cile sta­bi­lire l’età dei sin­goli alberi, ma alcuni sono cer­ta­mente rarità bota­ni­che, come il mae­stoso pino di Aleppo e la mela­leuca. Si tro­vano anche lecci e querce. Molte piante sel­va­ti­che come edera, capri­fo­glio, rosma­rino, mirto e rose furono pro­ba­bil­mente tra­spor­tate all’interno del giar­dino; Mun­the spe­rava che si sareb­bero ambien­tate e così soprav­vis­sute alla sic­cità. Le pri­mule, che costi­tui­scono oggi una vasta pre­senza, non c’erano quando fu creato, per­ché richie­de­vano troppa acqua.

Gli anni che videro la nascita del giar­dino sono gli stessi dell’attenzione per i giar­dini all’italiana sia in Europa sia negli Usa; furono pub­bli­cati molti libri sull’argomento; nello spe­ci­fico, il giar­dino di Villa San Michele ne ispirò nume­rosi altri: Villa Sol­li­den della Regina Vit­to­ria sull’isola di Öland venne in parte rea­liz­zata come replica di Villa San Michele; si rico­no­scono, per esem­pio, alcune fine­stre e opere in mosaico. Vicino alla casa venne rea­liz­zato un per­go­lato e una ter­razza con scale che riman­dano archi­tet­to­ni­ca­mente al giar­dino della villa di Ana­ca­pri.

Un altro giar­dino epi­gono è quello Mil­le­sgår­den a Lidingö, vicino Stoc­colma, casa dello scul­tore Carl Mil­les, rea­liz­zata, in parte, con­tem­po­ra­nea­mente ispi­ran­dosi al parco di Capri.


Il Manifesto – 15 agosto 2014