TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 15 novembre 2025

Michel Raptis (Pablo), La seconda guerra mondiale e la Quarta Internazionale

 


Lo scritto di Pablo sui trotskisti nella Seconda guerra mondiale si colloca all’incrocio tra memoria militante e riflessione storica. Esso consente di restituire la voce di un protagonista diretto degli eventi, offrendo al lettore non soltanto un documento di valore testimoniale, ma anche un contributo alla comprensione delle dinamiche politiche e organizzative che caratterizzarono la resistenza rivoluzionaria in Europa. In tal senso, il testo di Raptis si configura come una fonte primaria di grande interesse per la storiografia sul trotskismo e, più in generale, per lo studio delle culture politiche della sinistra rivoluzionaria nel XX secolo.

Il testo è consultabile sul sito www.academia.edu

giovedì 13 novembre 2025

Per una storia della Nuova Sinistra in Italia. Il Centro Karl Marx di Pisa

 



Il Centro Karl Marx, dapprima CKM pisano, poi toscano, ebbe la sua sede principale a Pisa. È una delle tre formazioni (le altre sono Lotta Continua e la Lega dei Comunisti) nate dalle ceneri de Il potere operaio pisano nell'autunno del 1969. Riferimenti principali furono Gian Mario Cazzaniga, Giuliano Foggi e Vittorio Campione. Nel 1972 diventò Organizzazione dei Lavoratori Comunisti, per poi nel 1975 confluire nel Partito Comunista Italiano.


Il quaderno è disponibile su www.academia.edu

sabato 8 novembre 2025

Francesco Biamonti e San Biagio della Cima: una simbiosi profonda e indissolubile

 







In preparazione del venticinquennale della scomparsa di Francesco Biamonti


Giorgio Amico

Francesco Biamonti e San Biagio della Cima: una simbiosi profonda e indissolubile



Il rapporto tra Francesco Biamonti e San Biagio della Cima non è semplicemente un legame di nascita, ma una simbiosi profonda e indissolubile che ha plasmato l'intera sua esistenza e, soprattutto, la sua opera letteraria. San Biagio della Cima, un piccolo borgo dell'entroterra ligure di Ponente, è il cuore pulsante e il paesaggio archetipico di tutta la sua narrativa.

San Biagio della Cima e i suoi dintorni (la Val Crosia, le colline terrazzate di ulivi e vigne, i muretti a secco, i sentieri) non sono mai un semplice sfondo nelle opere di Biamonti, ma un personaggio vivente e centrale. È qui che lo scrittore ha osservato, assorbito e interiorizzato le atmosfere, i colori, i suoni, i silenzi, il vento che soffia tra gli ulivi, la luce che modella le rocche.

Questo paesaggio, aspro, antico, a volte in rovina, con la sua storia di fatica contadina e di abbandono, diventa metafora dell'esistenza umana. L'olivo, simbolo della Liguria di Ponente, è una presenza quasi mistica nelle sue pagine, rappresentando la resistenza, la memoria, la saggezza millenaria della terra.

Sebbene il confine fisico sia spesso evocato con la vicina Francia, il confine a San Biagio diventa metafora di una condizione umana di perenne transito, di "essere al limite" tra civiltà diverse, tra il detto e il non detto, tra la vita e la morte.

I personaggi di Biamonti sono spesso legati a questo territorio: contadini, pastori, "passeurs", figure semplici, silenziose, che portano su di sé il peso di un passato difficile e di una vita "nuda". La comunità di San Biagio e degli altri borghi circostanti, con le sue dinamiche di solitudine, orgoglio e discrezione, si riflette nelle relazioni e negli stati d'animo dei suoi personaggi. Biamonti ha saputo cogliere l'anima di questa gente di montagna e di confine, con la loro dignità e la loro malinconia. San Biagio della Cima è intriso della memoria storica e personale di Biamonti.

Le rovine, i ruderi, le case abbandonate, i vecchi, le leggende locali, tutto contribuisce a costruire un senso di tempo sospeso e di un passato che non cessa di dialogare con il presente. La sua infanzia e giovinezza, vissute in questo contesto, sebbene da lui definite "angoscianti e mutilate" per la mancanza di stimoli esterni, furono in realtà profondamente formative per la sua sensibilità.

Il legame è così forte che, dopo la sua morte, è nato il progetto del "Parco Biamonti" a San Biagio della Cima, un percorso letterario e paesaggistico dedicato allo scrittore. Questo parco mira a far rivivere i luoghi narrati nelle sue opere, permettendo ai visitatori di camminare sui sentieri che hanno ispirato i suoi romanzi e di immergersi nell'atmosfera che ha permeato la sua scrittura.

San Biagio della Cima non è solo il luogo natale di Francesco Biamonti, ma la fonte inesauribile della sua ispirazione e il vero coprotagonista, sotto nomi diversi, a partire da quell'Avrigues del suo primo romanzo, di tutta la sua opera. È il luogo dove la sua lingua ha trovato radici profonde, dove il paesaggio si è trasformato in "categoria dello spirito" e dove la vita "nuda" delle persone ha trovato la sua più autentica espressione letteraria.