Gianluca Paciucci
Esercizi di presente. Un libro sul '68 di Giuseppe GozziniIl volume di Giuseppe Gozzini, uscito nell'anno del quarantennale del 1968, si inserisce in un filone di pensiero che tenta di praticare il ricordo attivo di quell'anno fatidico e la trasmissione di quelle esperienze "a chi non c'era". L'aver scelto le due date del titolo come inizio e fine dell'evento, si presta a più di una lettura, e a possibili critiche, dato che ovviamente esistono un prima e un dopo deliberatamente ignorati dall'autore con la seguente giustificazione: "...Come data d'inizio abbiamo scelto il '67 (...). Aver incluso il '67 è sufficiente almeno per capire il periodo di maturazione immediatamente precedente all'esplosione sessantottesca: gli studenti italiani occupano e contestano ben prima del maggio francese. D'altro canto il '75, come data finale, sottolinea le differenze di cultura politica, forme espressive, comportamenti di lotta che separano il '68 dal '77. E' frutto del più nefasto revisionismo storico l'identificazione del '68 con il terrorismo, visto come lo sbocco naturale e inevitabile dei movimenti sociali..." (pp. 8-9). Per ragionare di una storia che 'non ha né inizio né fine', sono inevitabili dei tagli, pur nel continuum degli avvenimenti, con la consapevolezza che si tratta di tagli sempre arbitrari e intorno ai quali si giocano conflitti forti. Se fa meno male la data d'inizio, colpisce quella della fine, e lo slittamento di termini che corre dal '68 al '77, separandoli, e infine sostituendo l'ultima data con la parola 'terrorismo': siamo di fronte a una lettura 'angelizzante' del '68, e 'demonizzante' il '77, riducendolo a terrorismo, e a nient'altro -a poco valgono le affermazioni di p. 282, di negazione del dualismo tra le due date. Credo sia una lettura non accettabile, per il semplice motivo che la violenza, sempre desta nel ventre dei fascismi come in quelli di ogni movimento politico che azzardi il cambiamento o pratichi la reazione, o –ancor peggio- voglia mantenere l’ “ordine”- è parte dell'agire politico, ne è proprietà essenziale e quindi non accessoria in qualunque modo si manifesti, occulta o palese. E' vero che il '68 non fu solo "scontri, pestaggi, vandalismo, attentati, bombe, stragi, omicidi" (p. 8), ma fu anche questo, così come possiamo dire del '77, annus horribilis, ma anche festoso e fecondo, della nostra storia recente, anno di potere minacciato, anno di vera paura per chi si sentiva sul collo il fiato dell'espressione dei puri/impuri desideri, anno della possibilità disperata di un'altra vita, se non di un'altra storia. Anno di fondazione, nel quotidiano, della biopolitica, e di inizio della crisi verticale di tutte le sinistre 'storiche'. Il 'maggio lungo dieci anni' (1968-1977), di cui parla Erri De Luca, forse permette una interpretazione meno rigida delle vicende di quegli anni.
Jorn, Manifesti del Maggio 68
Così come è iniziata, questa recensione potrebbe sembrare antipatizzante nei confronti del testo di Gozzini, cosa che non è. Contestarne la cronologia non impedisce di vedere gli immensi pregi del libro, che si propone come soggetto di studio fondato su una "cronistoria" in due parti, " '68 Mondo" e " '68 Italia", concluse da due analisi (rispettivamente di Edoarda Masi e di Piergiorgio Bellocchio) con all'interno di entrambe una serie di sezioni tematiche, testi di altri autori (Camilla Cederna, Franco Fortini, Carlo Oliva e Bruno Ambrosi) e "Appendici" a chiudere il volume. C'è molto da imparare dalle pagine di Gozzini, che non costituiscono un semplice "bigino", come l'autore ironicamente scrive (p. 281), ma che sono un tentativo di elaborare un libro-rete, un libro ancora cartaceo che però permette di spostarsi da una sezione all'altra, se non con un clic, almeno con uno sfogliare di dita agili e appunti mentali, non obbligando a una lettura progressiva.
Passiamo oltre il “ '68 mondo”, che peraltro consente di disegnare il contesto di un diffuso estremismo/teppismo del potere (Vietnam, Cecoslovacchia, Cina, Americhe...), e occupiamoci dell'Italia. Dal 1968-'69, 'biennio rosso' di studenti e operai, alla 'controrivoluzione preventiva' delle stragi di Stato (a partire dal 12 dicembre del 1969, indimenticato buio costitutivo della Repubblica), dalla controinformazione alle varie forme di controcultura: tutto quanto si è agitato in quegli anni è vagliato e proposto dall'autore con intelligenza. E se la cronologia dei 'grandi eventi', pur doverosa e impeccabile, poco aggiunge di nuovo -non dimentichiamo, però, lo scopo didattico del volume-, di grandissimo interesse risultano i capitoli dedicati ai numerosi fronti di lotta che, da sempre percepiti come 'impolitici', divennero inedite trincee di conflitti, là dove l'avversario non pensava che potessero sorgere vertenze o innalzarsi barricate. L'aver deciso quali dovessero essere i luoghi e i tempi delle lotte, invece di accettare le compatibilità del sistema, è sicuramente il contributo più vigoroso del '68 alla storia e all'attualità politica. Campo di battaglia diventano la scuola, la chiesa, la casa (e la santa proprietà privata), il ventre delle donne (di cui ogni singola donna rivendica il possesso), l'ospedale psichiatrico, la caserma e il carcere. Se in fabbrica -grazie anche alla forza poderosa che la 'rude razza pagana' degli operai e delle operaie dava a partiti e sindacati- il nemico sapeva di doversi battere per contrastare la presa del potere da parte delle tute blu in massa radicalizzate, negli altri luoghi, invece, esso si trovò spiazzato e incapace di reagire. Molto impiegò per farlo, e mai completamente vittorioso, se segmenti di opposizione ancora si annidano ovunque, dal 1978 a oggi, come marrani in attesa del momento buono per ri/vendicare un'altra via.
Dà importanti elementi di riflessione l'intervento di Carlo Oliva, alle pp. 210-211: "...Il fatto è che gli insegnanti incarnavano (e incarnano) l'ambiguità di fondo della scuola: tipico strumento d'integrazione, di trasmissione dei valori accettati e di formazione del consenso -tipico oggetto, quindi, di contestazione e di rifiuto- e, nello stesso tempo, servizio di cui non si può fare a meno, a nessun livello. Dal punto di vista delle masse popolari (...) la scuola è persino una conquista da difendere...": uno dei cardini della trasmissione del sapere, ovvero della costruzione dei ripetuti presenti in cui si vive, mostra l'ambiguità di ogni azione nella storia, sempre tesa tra rafforzamento dello stato delle cose e sua globale contestazione, l'uno dipendente dall'altra, tra magre riforme e ancor più scheletriche rivoluzioni. Sconfitta del '68: nella scuola guai, oggi, a 'far politica', qualora si sapesse ancora farne; e invece quante contrapposizioni frontali, allora, quante scelte di vita, quante vite anche perse dietro estenuanti conflitti per mense, qualità e quantità dell'insegnamento, edilizia scolastica, etc. E sconfitta in tutti gli altri settori, in tutti gli altri campi di battaglia: la controcultura diventata feticcio alla moda o rivisitazione postmoderna di stili e icone; le chiese, rivitalizzate dal movimento conciliare, ridotte a fortini della più squallida reazione cattolica; la casa, in questo Paese di proprietari che dicono sia l'Italia, diventata luogo di chiusure e di successo (il mattone è, ancora oggi, luogo di investimenti, speculazioni e abusivismo premiato), tutto tranne che un 'diritto'; il ventre delle donne diventato luogo per scontri ormai postideologici, e di concreti interessi bipartisan a accaparrarsi fondi per cliniche private e potere dei nuovi santoni, in Vaticano e a Montecitorio, e nell'Italia delle virtuose/melmose 'cento città'; l'ospedale psichiatrico, prossima tappa della ridefinizione dei ruoli (normalità/anormalità, e nuovi invalicabili confini); caserma e carcere come luoghi per ben pagati patrioti, il primo, e per vendette sociali di nuova generazione, il secondo.
Jorn, Manifesti del Maggio '68"CASERMA FABBRICA SCUOLA – LA LOTTA E' UNA SOLA".
In questo slogan si concentra la capacità collettiva del '68 di individuare insospettate trame di sfruttamento e di possibili liberazioni. Geniale, irripetibile, forse, la stagione dei Proletari in divisa, "giornale e insieme movimento di Lotta Continua" (p. 265): "...La presenza capillare di una fitta rete di corrispondenti in oltre 40 caserme su tutto il territorio nazionale garantisce l'afflusso di notizie di prima mano (e di una montagna di lettere al giornale) sulle condizioni di vita sotto la naja: cibo pessimo, assistenza sanitaria indecente, sovraffollamento delle camerate, paga ridicola, regolamento di disciplina antiquato, proibizione di leggere la stampa di sinistra..." -mentre, aggiungiamo noi, l'aberrante 'boia chi molla – è il grido di battaglia' poteva echeggiare impunemente nelle camerate delle caserme di mezza Italia, spesso lanciato da ufficiali e sottufficiali, sempre felloni, pronti a servire avventure politiche violentemente antipopolari. Gozzini ci rimette sotto gli occhi la forza immensa di gente senza nome, e 'singolare' proprio per questo, e ci rimanda alle immagini di quegli anni, magari a quelle girate da Silvano Agosti, con migliaia di 'proletari in divisa' per le strade di Roma, sciarpe o fazzoletti sul volto, e pugni chiusi. Ottusi stalinisti e fanatici di piazza?, o semplicemente, invece, l'intravista fine delle istituzioni separate, il sogno della trasparenza e della democrazia reale anche nei luoghi sacri della separazione: non caserme/fabbriche/scuole di 'vetro', come una propaganda ambigua vorrebbe predicare ancora oggi, ma luoghi liberati dal potere in nome del potere nuovo di chi osò dire 'basta' alla riproduzione cieca dello status quo. E poi gli altri sessi, le altre nomadi metà del cielo (questo cos'è: puro '68, o annuncio della disintegrazione settantasettina?), "la battaglia per l'aborto e i movimenti femministi" (pagine molto, molto importanti, da 249 a 257). L'indimenticabile -oggi più che mai- Sputiamo su Hegel: la donna clitoridea e la donna vaginale, una raccolta di interventi a cura di Carla Lonzi: "...la donna non va definita in rapporto all'uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà. L'uomo non è il modello al quale adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna. L'uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna ai più alti livelli..."; e quella foto che Gozzini riporta a pag. 251, donne schierate con tamburi slogan e fischietti, e la didascalia: "Operaie in piazza senza più l' 'egemonia' maschile: un evento impensabile fino a qualche anno prima"... Più avanti, ci penseranno muscolosi virili servizi d'ordine di compagni disturbati a riportare all'ordine l'insubordinazione femminile, caricando cortei di compagne e aprendo la via allo smarrimento/fallimento sia dell'emancipazione sia della differenza, per arrivare alla regressione attuale fatta di ridicole concessioni dall'alto,oggi viste come sola possibilità di ottenere spazi e riconoscenza.
Occorre dire grazie a questo volume -ecco perché questo nostro scritto in realtà simpatizza apertamente con il libro di Gozzini, e si scusa del polemico inizio-, per la sostanziosa quantità di materiale messo a disposizione, quasi sine ira et studio, ma con passione calma e implacabile, nella certezza che possa servire a tutte e a tutti noi, in una fase storica in cui sul '68 si riversano tonnellate di fango. Che illustri fabbricanti d'opinione sentano ancora il bisogno di 'sputare sul '68', oggi, è segno della vitalità di quell'anno; che poche e pochi pensino, senza avvilenti nostalgie, di riprendere in mano la bandiera di quel maggio sventolata da Caroline de Bendern (foto riprodotta a p. 12) è segno della nostra realizzata viltà.