TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 29 luglio 2010

Franco Astengo, Savona Economia



Pubblichiamo uno stimolante contributo di Franco Astengo sulle prospettive economiche dell'area savonese. Certo, la stagione forse richiederebbe argomenti meno impegnativi, ma noi di Vento largo siamo dell'idea che i problemi politici e sociali non vadano in vacanza con l'arrivo delle ferie estive.

Franco Astengo

Savona Economia

Martedì 27 Luglio 2010 l'inserto genovese di “Repubblica” ha pubblicato un ampio “reportage” sull'economia savonese che merita, a nostro avviso, una schematica interlocuzione, premettendo che vanno sollevate due questioni di metodo non secondarie: la prima, nelle pagine dedicate all'argomento non compaiono statistiche precise riguardanti – appunto – la provincia di Savona, statische relative, tanto per fare qualch esempio come il tasso di disoccupazione, le ore di cassa integrazione nell'industria (cassa integrazione che attualmente, se non andiamo errati riguarda diverse aziende fra le quali Ferrania, ormai in crisi da anni e la Piaggio), la nascita e la mortalità delle aziende,gli indici di produttività delle aziende manifatturiere, un rendiconto dare- avere delle presenze delle navi da crociera nel capoluogo (quanto costano, quali riscontri concreti sull'economia cittadina, quali oneri le compagnie versano alle casse delle istituzioni cittadine); la seconda che, salvo un accenno alle posizioni dei sindacati (regionali per altro) sull'ampliamento della centrale di Vado Ligure, non appaiono le posizioni di soggetti, sociali e politici diversi, dall'amministrazione comunale di Savona, l'Unione Industriali e l'Autorità Portuale (nessuna voce di altre parti sociali, quali, appunto il sindacato oppure potenzialmente dissonanti quali quelle delle associazioni ambientaliste).
In queste nostre brevi note ci riferiremo essenzialmente ai cinque progetti elencati nell'articolo firmato dal Presidente dell'Unione Industriali (alcuni discutibili, altri condivisibili: piattaforma Maersk, ampliamento Centrale di Vado, infrastrutture, Ferrania, trasferimento Piaggio) notando però, come ci è capitato tante volte in passato,come manchi una analisi delle condizioni generali della crisi, della situazione a livello regionale, e di una storia complessiva della Provincia di Savona posta soprattutto sul piano della prospettiva economica che si presenta nelle condizioni che conosciamo, dopo che è stato condotto esemplarmente un processo di deindustrializzazione, in chiave meramente speculativa (sul quale in passato, è bene ricordarlo sempre, si innestò un filone importante della “questione -morale” pre-Tangentopoli), come dimostrano, in particolare, le vicende del Comune capoluogo.
Tutti i progetti che sono elencati nell'articolo citato presentano , inoltre,controindicazioni pesantissime sul piano ambientale, la loro proposizione ha sviluppato un ampio movimento d'opinione nel senso contrario,alcuni appaiono chiaramente obsoleti, come nel caso della piattaforma Maersk) rispetto alle novità che la crisi finanziaria ed economica internazionale ha introdotto sulla scena, a tutti i livelli.
Ci è già capitato di affermare che il modello trasportistico – turistico è superato, anzi è sempre risultato debole e che è necessario un modello di sviluppo diverso che rilanci la provincia di Savona sotto tre aspetti fondamentali: le infrastrutture, l' ambiente, il rilancio industriale sul terreno dell'innovazione tecnologica.

In più, per quel che riguarda Savona città, il vero e proprio volano potrebbe venire dal rilancio della presenza culturale ad alto livello (Università, Biblioteca) svolto in contemporanea con il recupero dei grandi e pregiati contenitori storici presenti nel centro cittadino, ed oggi abbandonati ed in piena decadenza.
Centro cittadino che si presenta con migliaia di case vuoti e la presenza di ecomostri poco o per nulla abitati in zone strategiche, ormai irrimedibilmente occupate dalla logica del cemento ad ogni costo.
A Savona si voterà, per il rinnovo dell'amministrazione comunale del capoluogo, nel prossimo 2011: servirà un bilancio di questa amministrazione che continua ad essere legata, anche leggendone le intenzioni future ( Stadio, Nuovo Ospedale, ampliamento del polo tecnologico) alla logica meramente speculativa cui avevamo già accennato, di sudditanza ad interessi privati nell'utilizzo del territorio di una Città che al centro, come in periferia è già stato abbondantemente martoriato.
Chiediamo si rifletta, sul serio, circa l'utilizzo dei contenitori storici per quel che riguarda l'avvenire della Città di Savona:senza un progetto riguardante il rilancio culturale, che abbiamo schematicamente riassunto anche perché in passato ci è capitato più volte di esporlo in dettaglio e non vorrei annoiare, la situazione sarà destinata ulteriormente a degradarsi.



La questione delle infrastrutture, poi, sia stradali, sia ferroviarie appare urgentissima: occorre abbandonare la logica, anch'essa del tutto obsoleta, dei porticcioli (fermare la Margonara, quindi..) ed attrezzare, in particolare, il Ponente all'operazione di trasferimento della Piaggio che comporterà non soltanto il problema dell'utilizzo delle aree dismesse in quel di Finale, ma soprattutto sconvolgerà l'assetto socio – economico ed il paesaggio della piana di Albenga.
La questione del raddoppio della ferrovia da Finale ad Andora appare ormai lontana da essere affrontata: eppure si tratta di una priorità assoluta, quasi come quella di un rafforzamento della linea Savona – Genova e, ancor di più, di quella Savona – Torino.
Non siamo ambientalisti d.o.c., neppure individuiamo nell'edilizia il nemico, o nelle crociere un inutile spreco: la realtà è che questioni come quella della Tirreno Power appaiono decisive per la qualità della vita nelle nostre zone nel senso della necessità di sbarrare la strada ad ampliamenti improvvidi; l'edilizia è stata, fin qui, in chiave di deindustrializzazione meramente speculativa senza restituire nulla al territorio (e si continua a pensare di andare avanti, come abbiamo visto...), le crociere hanno soffocato il porto commerciale di Savona e non rappresentano certo un volano di sviluppo; inoltre, sempre per restare in tema di portualità, esiste una questione di spazi per retroporti, nell'immediato o più lontano entroterra, che rischia di diventare l'occasione per un utilizzo di spazio assolutamente devastante per la possibilità di installazione di attività produttive, ad alto livello.
Si dovrebbe aprire, a questo punto, il discorso sulle istituzioni, con la Regione che ci pare lontana dall'aver sciolto il nodo del ruolo dei diversi comparti di sviluppo a livello dell'intera Liguria, la Provincia che appare ben lontana dall'esprimere un ruolo progettuale e da funzionare come riferimento per la traduzione sul territorio di una capacità di iniziativa degli Enti Locali.
Del Comune di Savona abbiamo già detto.
Non resta che pensare ad elaborare un progetto diverso, un progetto che sarà necessario continuare a reclamare.

Savona, li 27 Luglio 2010


Franco Astengo, politogo e storico della sinistra, collabora con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova. E' autore di numerosissimi saggi apparsi su giornali e riviste.

Fenestrelle, Festa al Forte: incontro fra le genti





mercoledì 28 luglio 2010

Échanges N°133





Échanges N°133

E' disponibile l'ultimo numero di Échanges, bollettino della rete “Échanges et mouvement” (N°133, été 2010, 3 euro).

Per abbonamenti, informazioni e corrispondenza: echanges.mouvement@laposte.net, BP 241 75866 Paris Cedex18. Abbonamento 15 euro per 4 numeri comprendenti le brochures pubblicate durante l'anno.

Questo numero contiene tra l'altro Heurs et malheurs de la représentation syndicale e il seguito dell' analisi della crisi negli USA di Henri Simon, una testimonianza sul Primo Maggio a Baltimora , la critica di Gérard Bad alla brochure di Bruno Astarian sulla questione sindacale in Cina.

La musica al tempo degli Statuti. Musica, danza e storia delle valli occitane



La musica al tempo degli Statuti

Musica, danza e storia delle autonomie medievali nelle valli occitane

Un viaggio nel periodo delle autonomie locali, che dal 1200 al 1600 resero il territorio della
Val Maira ed una vasta porzione delle valli Varaita, Susa e del Queyras francese (gli
Escartons) di fatto regioni autonome slegate dal potere feudale centrale, è il tema dello
spettacolo che LiliumLyra ed Espaci Occitan propongono al pubblico con l’intento di portare lo
spettatore a conoscenza di quel periodo storico in cui le valli vissero in una sorta di libera
“repubblica”, vera eccezione nel mondo feudale, che favorì lo sviluppo dei commerci,
dell’artigianato e dell’arte nelle nostre valli.

Non si tratta di una conferenza sul tema, ma di uno spettacolo costituito da momenti
musicali, a volte accompagnati da danza, e da letture tratte da un’attenta analisi di testi e
documenti, anche originali, che evidenziano alcuni aspetti interessanti della grande e piccola
storia che ha reso peculiare questo nostro amatissimo territorio.
Il gruppo musicale LiliumLyra si presenterà per l’occasione composto da tre elementi di varie
età e provenienze artistiche, con strumenti musicali che sono ricostruzioni fedeli di quelli del
periodo. Il corpo di ballo è invece costituito dalle ballerine della Megra.

Gli spettacoli, ad ingresso gratuito, si svolgeranno, a partire dalle ore 21 nelle serate di
giovedì 5 agosto a Dronero al Museo Sòn de Lenga di Espaci Occitan e martedì 10
agosto a Frassino nella Cort de Jòrs in Via Vecchia.




Per informazioni: Espaci Occitan - Via Val Maira 19 - 12025 Dronero (Cn) - tel 0171 904075 -
segreteria@espaci-occitan.org - http://www.espaci-occitan.org/

martedì 27 luglio 2010

Francesco Biamonti, Mario Novaro tra luce e mare


Mario Novaro

Francesco Biamonti ci parla di Mario Novaro (e di Montale), ma ancora una volta protagonisti sono la luce e il mare.

Francesco Biamonti

Quasi una musica bianca*


Posso dire di aver avuto una lunga esperienza come lettore di Mario Novaro. Leggendolo ventenne, e forse prima, ho provato un'impressione stranissima, un senso di meditazione profonda e di rarefazione, inconsueta nella letteratura italiana, quasi una musica bianca propria di certi raffinatissimi poeti francesi. Ho capito che l'anima della Liguria era, nella sua severità giansenistica, anche un'anima fatta di leggerezza musicale. Una poesia nella quale la levigatezza delle pietre del mare si sposava con gli scabri e nudi ciottoli della montagna, In più c'era una tentazione di dissolvimento della luce.
D'altra parte, credo che sia in questo oscillare tra la montagna e il mare, tra la concretezza delle cose più solide e minerali e la liquidità infinita del mare, e l'ossessione del dissolvimento della luce, tutta la centralità della poesia ligure del Novecento. Centralità che può andare dalla riflessione morale alla ossessione metafisica.
Ho scoperto poi – leggendo – che Mario Novaro era stato un grande studioso di Malebranche, il quale voleva porre il razionalismo cartesiano al centro della filosofia cristiana, al centro della conoscenza del mondo. Le cose non si vedono di per sé – sarebbe allora un semplice occasionalismo – ma si vedono in rapporto con la mente divina unitaria. Credo che vi sia in Mario Novaro, nella frammentarietà delle cose che ci presenta a piccoli quadri, quasi premontaliani: oggetti che navigano nella luce del giorno, nell'ombra della notte, nel chiarore della luna, un tentativo di coglierli in un'unità primaria che li fondi aldilà della contingenza.
E a che cosa pensa Mario Novaro quando muore il padre, se non al mare:

...sussurrava il mare
a piè della casa il canto
suo notturno più penetrante
di dolcezza e dolore e delirio.

Ecco, avevo pensato un'altra cosa: anche il discorso sul metodo di Cartesio era stato scritto in un porto di mare, era stato scritto nel porto di Amsterdam. Come se ci fosse un'esigenza dell'io di fermarsi su qualcosa, davanti alla sterminatezza del mare, davanti all'infinito.
Ma in Novaro ho notato anche altre varie affinità con scrittori e poeti da me particolarmente amati e riletti. C'è la ricerca di un varco fra le cose che ci circondano

… spalancano lo spazio
perché l'anima immota lo varchi
oziando nell'oppio dell'ora.

Quello che poi diventerà il varco famoso di Montale: “Cerca una maglia rotta nella rete/ che ci stringe...”.

*Unico brano esistente della relazione sulla poesia di Mario Novaro tenuta da Francesco Biamonti il 25 novembre 1994 a Palazzo Tursi – Genova – in occasione delle celebrazioni per il cinquantenario della morte del poeta imperiese.

(Da: La Riviera ligure, anno VI, n.17/18, dicembre 1995)

Ringraziamo la Fondazione Novaro per l'autorizzazione a riprendere questo testo.



Per informazioni sulle attività e le pubblicazioni della Fondazione Mario Novaro contattare http://www.fondazionenovaro.it/ oppure fondazione.novaro@fastwebnet.it

lunedì 26 luglio 2010

stopartendo...

martedì 20 luglio 2010

Mediterraneo.Poesie di Silvana Alliri, Laura Macchia e Adriana Romano


Si è appena concluso nell'ambito della Festa democratica di Savona il secondo concorso di poesia online sul tema "Suoni, colori, sapori e profumi del Mediterraneo". Dal volume, curato da Angelica Lubrano, che raccoglie le opere dei partecipanti, riprendiamo le composizioni poetiche di Silvana Alliri, Laura Macchia e Adriana Romano.

Il suono del Mediterraneo

Holiday Island sventolio di bandiera
sull'albero maestro nell'oltre mediterraneo
la stretta di mano all'Oceano Atlantico.

Nelle tempeste e nelle battaglie, tra vinti
e vincitori veleggia la lunga storia
d'uomini e di terre del padre che mi generò.

Sulla scia di speranze, o d'invitanti porti,
crociere baldanzose o nomade peregrinare,
fughe convulse da povertà di tradite terre.

Nel ventre sommerso, tra bocche voraci,
la brutale catena alimentare d'acque
e di cielo salendo vituperio alle stelle.

Sul respiro dell'onda, come uccello sulla rotta,
piange l'eterno sacrificio di vite umane
o nuove felicità d'approdi ai compiuti desideri.

Abbraccia la madre Terra tutti i suoi figli
sul cammino possente delle Ere del tempo
cantando, sirena, nel suono del Mediterraneo.

Silvana Alliri


Cambia il colore

Cambia il colore dei cieli
su questo mare nostro.
Nubi di fumo violentano spazi
che si miravano un tempo
tra stelle
di notte
brillanti
nell'aria e nell'acqua.
Così più crudo ci appare
che
come il cielo
s'abbui anche ilo mare.
Tramonto d'attesa
cercando invisibili stelle.
L'alba s'impasta d'amaro
nell'ansia di sole e di pace.
Sembra lontano e perduto
il blu della notte
del giorno
l'azzurro dorato.

Laura Macchia


Occhi di mare

Negli occhi tremendi del mare
temendo di perdermi
mi ritrovai, profonda e vibrante
come l'onda profumata
di spezie, furiosa sotto le carezze
del vento, beata nei profumi
dell'oriente suggeriti da neri marinai.

Nella sera i fondali si colorano
per creature misteriose e dolenti,
mute nei gorghi profondi, invisibili
eppure presenti; come nelle vene il sangue
nel mare le correnti.

E le albe sono sempre strepitose,
rincorse da gioiose sfumature
d'arancio di rosa di lillà;
le distese infinite del mare
mentre passi guidando verso il centro
ti chiamano con canti di sirena
che tu riconosci a malapena, eppure
ti entrano dentro come un palpito,
ti fan venire voglia di pensare,
magari di fermarti a riposare:
le distese infinite del mare.

Adriana Romano

sabato 17 luglio 2010

Festa Occitana a Olivetta San Michele (IM)


Sabato 17 luglio 2010, dalle 20,00 all’alba. Festa Occitana
(sesta edizione)

Anche quest’anno verrà organizzata la Grande Festa Occitana, appuntamento
ormai tradizionale con il quale il Comune di Olivetta San Michele intende
celebrare usi e tradizioni occitani.
Olivetta San Michele, peraltro, è l’unico Comune della Liguria per il quale è
stata formalmente deliberata l’appartenenza alla minoranza linguistica storica
occitana per l’intero territorio (non limitatamente ad una parte), in ossequio
alla L. 15 dicembre 1999, n. 482 ed al d.p.r. 2 maggio 2001, n. 345.
Alla serata gastronomica collaboreranno tre associazioni locali
( l’ Associazione R amig d’ee Pilon d’Oc, l’Associazione Bürbarant e l’Associazione
Les Amis de Piene Haute) che dislocate rispettiv nelle varie borgate del paese
dove si esibiranno i vari gruppi musicali, prepareanno specialità occiane.
L'evento prevede la partecipazione di tre gruppi appartenenti al repertorio
della musica tradizionale occitana, ovvero i Cap levat, i Lou Giari d'Oc e i Lo
Truc.

I Cap Levat sono una giovane band di Borgo San Dalmazzo che unisce elementi
propri del repertorio tradizionale occitano come ghironda, organetto e fiati a
strumenti moderni come chitarra, basso e batteria con il risultato di creare un
mix davvero esplosivo.
Reduci dal successo di “Sindic Occitan” i Lou Giari d’Oc sono un gruppo di
Vernante dalla fama ormai consolidata, la cui musica si traduce perfettamente
con le strutture del ballo occitano. La loro presenza alla Festa Occitana ad
Olivetta è ormai una costante e proprio l’impatto straordinario con il pubblico
è uno dei punti forti della band.

I Lo Truc si configura come un gruppo tradizionale occitano in cui i tre
musicisti si avvalgono del suono della ghironda, della cornamusa, dell’
organetto e del gabolet.
Si sono esibiti in occasione di diverse manifestazioni tenutesi nel territorio
occitano italiano, francese, in Liguria ed in Calabria. Nel 2009 è uscito il
primo album dal titolo “L’aura”.

venerdì 16 luglio 2010

Festa di Emergency a Varazze




Al fine di far conoscere l’attività dell’Associazione e per raccogliere fondi per il mantenimento del Centro Pediatrico dell'Ospedale di Goderich in Sierra Leone, nei giorni 23 e 24 LUGLIO 2010 si svolgerà la

FESTA DEL GRUPPO VOLONTARI EMERGENCY DI SAVONA

Presso la Foresteria della Croce di Castagnabuona a VARAZZE

Un insieme di iniziative per stare insieme dall’osservazione delle stelle con il Gruppo Astrofili all’incontro con il Dott. Marco GARATTI, operatore di Emergency fermato in Afganistan tre mesi fa, dal gustare i piatti tipici della cucina ligure all’ascoltare musica, spettacoli teatrali e balli popolari


23 luglio 2010 venerdì
alle ore 16 educazione ambientale con ”L'Ente Parco del Beigua”
alle ore 18,30 osserviamo Venere a cura del Gruppo Astrofili Orione di Savona
alle 19.00 APERITIVO – spritz.. iamo di gioia!
alle 20.00 CENA DELLE LANTERNE passeggiata nella macchia mediterranea gustando piatti tipici della cucina ligure con intrattenimento da parte del Gruppo Kalafrica e Luca Repetto
alle 21.30 Incontro con Emergency: saranno con noi Cecilia STRADA, Presidente dI Emergency , il Dott. Marco GARATTI, chirurgo e coordinatore dei programmi di Emergency in Afganistan e Maso MOTARIANNI, Direttore di Peacereporter e; poi PAROLE E MUSICA( Kalafrica, Luca REPETTO e spettacolo teatrale)
alle 23.00/23.30 “Sotto lo stesso cielo” a cura del Gruppo Astrofili Orione
INTRATTENIMENTO BIMBI
alle 15.30 alle 19.00 con fiabe e giochi
dalle 22.00 alle 23.00 con gli astrofili

24 luglio 2010 sabato
alle ore 10 alle ore 12,30 educazione ambientale in collaborazione con “L'Ente Parco del Beigua”
alle ore 13 pranzo a buffet
alle ore 16 merenda
alle ore 17 registrazione dei partecipanti alla camminata “Correndo e camminando per Emergency”(3 percorsi di diversa difficoltà e lunghezza: per bambini a famiglie 3 km, passeggiata da 7 Km e percorso competitivo da 7,5 Km)- premi per tutti – ricchi premi per il percorso competitivo
ore 18 partenza della camminata
all'arrivo focaccette per tutti e premiazione degli atleti
alle 19 alle 20 aperitivo con sorpresa!!
alle ore 20 cena in corte con piatti tipici liguri e letture di M.A. Rossello
alle ore 21,30 Musiche occitane e balli con i Gruppi “CapLevat” e “Farandoulaires”
dalle ore 23 “sotto lo stesso cielo” osservazione del cielo in collaborazione con Gruppo Astrofili Orione

INTRATTENIMENTO BIMBI
dalle 10.00 alle 12.30 con fiabe e giochi
dalle 15.30 alle 19.00 con fiabe e giochi
dalle 22.00 alle 23.00 con gli astrofili

Dai comuni di Celle Ligure e Varazze sarà attivo un servizio di bus navetta

Per informazioni e prenotazioni: emergencysavona@libero.it, milli.ma@tiscali.it, tel. 3209225790.
e negozio SCACCIAPENSIERI – Via Aicardi n. 120 - Celle Ligure tel. 019/990552 - 3400658015

mercoledì 14 luglio 2010

Valli Chisone, Germanasca e Pellice. Corsi di cultura e lingue minoritarie



Regione Piemonte – Comunità Montana del Pinerolese – Scuola Latina Pomaretto – Fondazione Centro Culturale Valdese Torre Pellice

Progetto finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito del programma degli interventi previsti dalla Legge 15 dicembre 1999 n. 482 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche” coordinato dall’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte – Settore Promozione del patrimonio culturale e linguistico.

Valli Chisone, Germanasca e Pellice
Corsi di cultura e lingue minoritarie

13 luglio-8 settembre 2010
Corso di lingue e cultura francese (11 ore)
Cet été Les montagnes parlent français! Paroles et images de vies montagnardes

Val Pellice e Val Germanasca
“Vivere in montagna” è il filo conduttore di sei serate, a cura di Micaela Fenoglio, alla scoperta di lingue e tradizioni delle genti alpine con l’ausilio di documentari e schede informative.
Corso itinerante: 4 serate in val Pellice; 2 in val Germanasca

4 ottobre-29 novembre 2010
Corsi di francese (39 ore)

Val Pellice
Corso di base: 9 lezioni di 1 ora e mezza a cura di Micaela Fenoglio
Corso avanzato: 9 lezioni di 1 ora e mezza a cura di Giuliana Meynier
Luserna San Giovanni, Istituto De Amicis, via Tegas 2

Val Germanasca
Corso di base: 8 lezioni di 1 ora e mezza a cura di Sandra Charrier
Pomaretto, Scuola Latina, Via Balsiglia 103.

2 ottobre-15 dicembre 2010
Corso di occitano (20 ore)
Piante e bèstie ‘d noste valade
Planta e bèstia dë nòtra valadda

Val Pellice e Val Germanasca
Lo studio del territorio, della flora e della fauna locale serviranno a imparare l’occitano alpino attraverso i racconti della nostra gente.
6 lezioni in val Pellice; 5 in val Germanasca

24 gennaio-28 marzo 2011
Corso di cultura e lingue minoritarie (20 ore)
Trasmissione orale
Val Pellice e Val Germanasca
Per lo sviluppo delle competenze linguistiche sranno utilizzati il canto e la narrazione. A cura di Maura Bertin, Pier Paolo Massel, Cristina Pretto, Jean-Louis Sappé.
5 lezioni in val Pellice; 5 in val Germanasca

Per informazioni e iscrizioni: Centro culturale valdese, tel. 0121 93 21 79; segreteria@fondazionevaldese.org

Incontr'Arte a Quiliano

martedì 13 luglio 2010

Isolabona, il Paese delle Arpe



“Isolabona il Paese delle Arpe”
Edizione 2010

PROGRAMMA

G I O V E D I ' 2 9 L U G L I O

ORE 17, 00 - CORDE CHE VIBRANO
Laboratorio per bambini di costruzione strumenti musicali e laboratorio
musicale di produzione sonora con gli strumenti auto costruiti

ORE 21,30 – VINCENZO ZITELLO (ITALIA)
Concerto

V E N E R D I ' 3 0 L U G L I O

ORE 17,00 – SEMINARIO
Introduzione alla musicoterapia ed all'uso dell'arpa nel processo di
riabilitazione.

ORE 21,30 – SANGAL PROJECT (AFRICA/ITALIA)
Concerto

S A B A T O 3 1 L U G L I O

ORE 21,30 – HULAN (MONGOLIA)
Concerto - Spettacolo

Le tre serate saranno presentate da Claudia Lorenzi (Arpista)


I N G R E S S O 1 5 E U R O
I n c l u s o P a r c h e g g i o R i s e r v a t o

Prevendite:

Comune di Isolabona +39 0184 208127

“Cose di Carta” Via Corradi 75, Sanremo (IM) +39 0184 533017

domenica 11 luglio 2010

Orizzonti tra l'onda e il cielo



Un reading di poesia a Quiliano. Una serata senza parole sprecate.

Armida Lavagna

Orizzonti tra l’onda e il cielo.

“Prestami il titolo”: reading di Adriana Romano e Mirco Vannucchi.


Una serata di poesia, in cornice insolita, nel chiuso di una stanza dimessa, lasciata fuori l’afa di questo luglio. Una voce per due, quella vibrante e calda di Gianetto. Che si declina diversamente per l’uomo e per la donna, i loro versi letti a turno, due brevi manciate, abbastanza da cogliere distanze e assonanze.
Connessioni casuali divenute dialogo tra immagini che si propongono simili e diverse – l’aggrapparsi, il ceppo e la legnaia, le delusioni e i sogni – e arrivano agli spettatori attenti più ricche in significato, come se il loro alternarsi consentisse di seguirle più facilmente in profondità – a caccia di “qualche perla sbiadita”.
Il diverso timbro dei due poeti tuttavia mai si confonde, anche laddove più si avvicina; e si avvicina, muovendo lungo un comune orizzonte, che si viene a trovare tra le onde e il cielo: lui scrive “Sotto un cielo ostile”, che gli grava addosso tanto che la rabbia è compressa a fatica e mutata a volte in rinuncia o in distacco; lei si solleva “Sull’incerta linea dell’onda”, prende i termini più abusati e piani, li pone in controluce e li dispone l’uno accanto all’altro in un’alchimia naturale e intrisa di malinconia.


Di entrambi la poesia ci porta la sofferenza inevitabile della ricerca di senso, della vita e delle vite.
Quella femminile più intima, a basso volume, ma di lucidità spietata nel portare in superficie stati d’animo e sentimenti che trovano consolazione nella natura e nei suoi simboli, negli oggetti concreti cui ricondurre l’impalpabile tormento – o in cui rinchiudere l’amore, come in una busta affrancata...-, nelle presenze familiari del vento, della luna, nell’abbraccio accogliente della notte.
Quella maschile errabonda, itinerante tra luoghi e personaggi, intravisti, perduti, ricordati. Tra boschi silenziosi e porti e navi, tra lotte e rinunce, tra “amori di cortili e di piazze”.
La donna si interroga, si descrive, al presente, l’uomo si cerca e si trova nei ricordi. Entrambi ogni tanto si fermano, inquieti, prima di riprendere il cammino e svelarsi ancora un poco a se stessi.
A chi c’era, il dono di una sera senza parole sprecate. L’occasione di due piccoli libri. Che a leggerli, si scopre che Adriana per vedere meglio il cielo deve chiudere gli occhi, e che Mirco delle onde conosce la musica, il fragore.



Armida Lavagna, savonese, insegna Lettere in una Scuola Secondaria. Si occupa per Vento largo di letteratura e di cinema.

sabato 10 luglio 2010

Il Giappone al MAP di Savona



Il Museo di Arti Primarie di Savona (al piano superiore del Mercato Civico) ospita una interessante raccolta di opere giapponesi sospese tra artigianato tradizionale e arte.


Giuliano Arnaldi

La pelle dell'anima: Giappone



I boro (letteralmente stracci) sono il prodotto di un’azione artistica più che artigianale, austera e immaginifica, istintiva ma non casuale: legati autenticamente all’idea della vita di quel popolo, ma insieme ricchi di quella valenza archetipica che li fà sentire oggi di grande attualità.






Le Tairyo Bata sono delle rare bandiere di cotone - dipinte a mano - che venivano offerte ai proprietari dei pescherecci da parenti ed amici all’inizio della stagione come augurio per una fruttuosa pesca.
Di solito riportano il nome della barca, di chi le ha fatte realizzare, oltre ad una serie di frasi beneauguranti.
Vista la loro generosa dimensione, venivano originariamente utilizzate anche per comunicare tra barca e terraferma, ma in tempi più recenti solo durante il varo della barca o come elementi decorativi durante le celebrazione per il Nuovo Anno.



i Kimono dei pompieri di Tokio e le bamboline Oshie, pur con un linguaggio artistico a cui siamo più abituati ci sembrano in sintonia con l’idea - che abbiamo raccolto nella sezione “la pelle dell’anima” - di considerare i tessili pensati come segno di identità e di appartenenza una seconda pelle, appunto la pelle dell’anima.



giovedì 8 luglio 2010

Chi ha ucciso Guy Debord?



Alfonso Amendola

Chi ha ucciso Guy Debord?


Il primo assalto fu lanciato il 14 aprile 1958 all’Assemblea generale dei critici d’arte di Bruxelles: “Non avete più niente da dire. L’Internazionale Situazionista non lascerà alcuno spazio per voi. Vi faremo morire di fame”.
La mia costruzione comincia con una clamorosa frattura, quella del novembre del ‘52 quando dissi addio a Isidore Isou e al suo Lettrismo. Io ho occhi troppo profondi e urla sadiane che mi spingono verso l’oltre. Un oltre che ti racconto in fuori sincrono e dal fondo della sala. Io ti costruisco la mia Internazionale Situazionista e ti faccio cambiare pelle all’universo con la mia “critica totale del mondo esistente”. Io “bandito senza bandiere e poeta del sampietrino” (come scriverà di me Pino Bertelli)ho un solo nemico la “società borghese”… Tantissimo oggi è planimetria borghese… perché badate bene io – “dottore in niente”- so qual è il cancro ulceroso dell’esserci borghese (che ha il volto del capitale, ma anche del maoismo o dello stalinismo e della democrazia e di tutti i fascismi e anche di quell’autore di “spazzatura” di nome Sartre). E lo “status” borghese te lo combatto con le mie armi. Estreme. Come il mio cinema (oscuro e poco amato, eppure clarissimo et amabilissimo e sempre “irriducibile” lo definirà Enrico Ghezzi). Come i miei pochi, sferzanti, pamphlet. Come il mio plurisaccheggiato libro cult del ’67. Come la mia esistenza che dona rigore e vuole rigore. La mia arma è la mia solitudine. Il mio credo è il gesto fatale. E la mia mauvaise réputation è l’ulteriore attacco di un sistema che ti ho sgamato nelle viscere. E non parlatemi d’inconsapevolezza dell’inconscio perché io mando a fottere tutta la psicoanalisi cara ai francofortesi! E non parlatemi neppure di rivoluzione, rivoluzionari, caos sistemico e disordine insurrezionale…
Tanto io so bene che “la vittoria sarà di coloro che avranno saputo provocare il disordine senza amarlo”. E quindi al macero tutti i rivoluzionari di professione che amano, adorano e respirano nel nome del “disordine”. L’unica possibilità d’esistenza provocatoria è il saccheggio. Ecco perché la mia esistenza è tutta giocata sul détournement. E poi per chi come me è nato “al calar della notte” poco importa se il 30 novembre del 1994 mi sparo un colpo di fucile. E la faccio finita. Basta con questo trionfo del mediale e con questo delirante spostamento delle immagini sull’essere. Vi lascio quel che resta del “vero” (un ulteriore momento del falso nel “mondo capovolto”) e vi lascio tutti come beceri ed eterni “spettatori”. Lì immobili a guardare (senza vita e senza respiro, vestiti d’apparenza e falsificazione). Questo è l’unico vostro destino. Questo è il mio ultimo panegirico. Questa è la mia lacerante “premonizione”.
Ed ora, per favore, dissolvenza, separazione, on.

Off!



(Da: Tracce, Rivista multimediale di critica radicale, Autunno 2009, n. 29)

martedì 6 luglio 2010

Scrivere in provincia significa gettarsi nel vuoto



Cosa significa essere scrittore in provincia oggi. Nella Liguria dello scempio edilizio, della corruzione e del potere degli intoccabili. Prova a spiegarcelo Marino Magliani con questo intervento ripreso da Nazione Indiana, un sito molto stimolante che invitiamo tutti gli amici di Vento largo a visitare.

Marino Magliani

Scrivere in provincia significa gettarsi nel vuoto


Peccato non essere lì per dirvi la mia su cosa significa scrivere da una valle senza vie d’uscite se non quella della fuga. Abito in un posto da cui si vedono i ponti dell’autostrada, specie di cancello davanti al mare. Chi passa là sopra, guardando in lontananza le fiancate e gli affasciati e le pigne di case con le montagne a chiudere credo si faccia delle domande su chi vive in quelle case. A parte i crolli questa terra e questa lingua sono così da sempre, il centro rinnova, la provincia conserva diceva Mario Soldati.

Scrivo quando sono in Olanda, eppure scrittore lo sono soltanto tra queste pietre. Sopportato a fatica, in quanto uomo di lettere, poiché in vallata, si direbbe, non si legge mica, e allora non è neanche permesso parlarne di libri, senza che qualcuno ti faccia capire che sei fuori posto. Che la valle è casa loro, casa d’ altri. Come quel mare, diventato mare d’altri.

Eppure ti amano, ti dici, ti salutano tutti, un tempo eri addirittura popolare, eri quello che scappavi, in fondo, e ne parlavano, ma poi ti sei rovinato. Come hai potuto? Volevi anche far scappare le storie, mollar la Liguria. Ma come si fa a non raccontare la Liguria? Ci hai provato attraverso i rovi, a far scappare le storie, poi attraverso le grotte carsiche, le bestie raccontate con Pardini e i tempi in cui da bambino eri in collegio. E’ da allora che scappo dalla Liguria, ma le storie… forse quelle restano come compensazione.

Scrivere in provincia significa gettarsi nel vuoto, ti aggrappi di là – la sponda olandese per me – pianti le unghie come il ponte di Kafka, e hai imparato a non voltarti. Ma hai davvero imparato? Le pietre appuntite di sotto se la ridono.

Scrivere in Liguria significa averle sempre negli occhi le pietre appuntite, da sempre sotto gli occhi il sistema Scajola, dedicarci addirittura un libro che nessuno vedrà, raccontare di un mare che era il paradiso dei cetacei e ora non più, mare attraversato da battelli a tre piani e motoscafi, da moto acquatiche, da dragatori, mare predato dalle lobby, territorio pubblico regalato dal Comune ai Caltagirone affinché ci nasca il più grande porto turistico del mediterraneo, mare regalato ai furbi. La scrittura in provincia dovrebbe assomigliare a filo spinato, leggerla dovrebbe far male come se la mano stringesse il filo spinato e l’accompagnasse.

Scrivere in Liguria, coi suoi rischi ridicoli, qualche ubriacone fascista che si fa tenere quando ti incontra, il veto delle fiere, cosa da nulla.

Forse si può ancora scappare.

(Ripreso da: http://www.nazioneindiana.com/)






Marino Magliani (Dolcedo, Imperia, 1960), scrittore e traduttore, ha soggiornato a lungo in Spagna e in America Latina prima di stabilirsi in Olanda, dove attualmente vive e lavora. Ha pubblicato: L'estate dopo Marengo (Philobiblon 2003), Quattro giorni per non morire (Sironi 2006), Il collezionista di tempo (Sironi 2007), Quella notte a Dolcedo (Longanesi 2008), La tana degli alberibelli (Longanesi 2009) e, con Vincenzo Pardini, Non rimpiango, non lacrimo, non chiamo (Transeuropa 2010). Con La tana degli alberibelli ha vinto la prima edizione del Premio Frontiere-Biamonti "Pagine di Liguria".

domenica 4 luglio 2010

La Riviera ligure, 61/62. Flavia Steno




È in distribuzione il numero doppio 61/62 della rivista La Riviera ligure edita dalla Fondazione Mario Novaro. Il volume è dedicato all’opera della giornalista e scrittrice Flavia Steno, attiva a Genova nella prima metà del Novecento. Nella seconda parte del fascicolo Davide Puccini e Luigi Fenga ricordano l’amico Vico Faggi. Veronica Pesce, in attesa della pubblicazione in autunno dell’edizione critica del libro di versi 'Murmuri ed Echi' di Mario Novaro, di cui è curatrice, la introduce con un saggio.

sabato 3 luglio 2010

Esercizi di presente. Un libro sul '68 di Giuseppe Gozzini



Un tentativo di spiegare il '68 a chi non c'era. Esercizio di memoria o "esercizi di presente"?

Gianluca Paciucci

Esercizi di presente. Un libro sul '68 di Giuseppe Gozzini


Il volume di Giuseppe Gozzini, uscito nell'anno del quarantennale del 1968, si inserisce in un filone di pensiero che tenta di praticare il ricordo attivo di quell'anno fatidico e la trasmissione di quelle esperienze "a chi non c'era". L'aver scelto le due date del titolo come inizio e fine dell'evento, si presta a più di una lettura, e a possibili critiche, dato che ovviamente esistono un prima e un dopo deliberatamente ignorati dall'autore con la seguente giustificazione: "...Come data d'inizio abbiamo scelto il '67 (...). Aver incluso il '67 è sufficiente almeno per capire il periodo di maturazione immediatamente precedente all'esplosione sessantottesca: gli studenti italiani occupano e contestano ben prima del maggio francese. D'altro canto il '75, come data finale, sottolinea le differenze di cultura politica, forme espressive, comportamenti di lotta che separano il '68 dal '77. E' frutto del più nefasto revisionismo storico l'identificazione del '68 con il terrorismo, visto come lo sbocco naturale e inevitabile dei movimenti sociali..." (pp. 8-9). Per ragionare di una storia che 'non ha né inizio né fine', sono inevitabili dei tagli, pur nel continuum degli avvenimenti, con la consapevolezza che si tratta di tagli sempre arbitrari e intorno ai quali si giocano conflitti forti. Se fa meno male la data d'inizio, colpisce quella della fine, e lo slittamento di termini che corre dal '68 al '77, separandoli, e infine sostituendo l'ultima data con la parola 'terrorismo': siamo di fronte a una lettura 'angelizzante' del '68, e 'demonizzante' il '77, riducendolo a terrorismo, e a nient'altro -a poco valgono le affermazioni di p. 282, di negazione del dualismo tra le due date. Credo sia una lettura non accettabile, per il semplice motivo che la violenza, sempre desta nel ventre dei fascismi come in quelli di ogni movimento politico che azzardi il cambiamento o pratichi la reazione, o –ancor peggio- voglia mantenere l’ “ordine”- è parte dell'agire politico, ne è proprietà essenziale e quindi non accessoria in qualunque modo si manifesti, occulta o palese. E' vero che il '68 non fu solo "scontri, pestaggi, vandalismo, attentati, bombe, stragi, omicidi" (p. 8), ma fu anche questo, così come possiamo dire del '77, annus horribilis, ma anche festoso e fecondo, della nostra storia recente, anno di potere minacciato, anno di vera paura per chi si sentiva sul collo il fiato dell'espressione dei puri/impuri desideri, anno della possibilità disperata di un'altra vita, se non di un'altra storia. Anno di fondazione, nel quotidiano, della biopolitica, e di inizio della crisi verticale di tutte le sinistre 'storiche'. Il 'maggio lungo dieci anni' (1968-1977), di cui parla Erri De Luca, forse permette una interpretazione meno rigida delle vicende di quegli anni.


Jorn, Manifesti del Maggio 68

Così come è iniziata, questa recensione potrebbe sembrare antipatizzante nei confronti del testo di Gozzini, cosa che non è. Contestarne la cronologia non impedisce di vedere gli immensi pregi del libro, che si propone come soggetto di studio fondato su una "cronistoria" in due parti, " '68 Mondo" e " '68 Italia", concluse da due analisi (rispettivamente di Edoarda Masi e di Piergiorgio Bellocchio) con all'interno di entrambe una serie di sezioni tematiche, testi di altri autori (Camilla Cederna, Franco Fortini, Carlo Oliva e Bruno Ambrosi) e "Appendici" a chiudere il volume. C'è molto da imparare dalle pagine di Gozzini, che non costituiscono un semplice "bigino", come l'autore ironicamente scrive (p. 281), ma che sono un tentativo di elaborare un libro-rete, un libro ancora cartaceo che però permette di spostarsi da una sezione all'altra, se non con un clic, almeno con uno sfogliare di dita agili e appunti mentali, non obbligando a una lettura progressiva.
Passiamo oltre il “ '68 mondo”, che peraltro consente di disegnare il contesto di un diffuso estremismo/teppismo del potere (Vietnam, Cecoslovacchia, Cina, Americhe...), e occupiamoci dell'Italia. Dal 1968-'69, 'biennio rosso' di studenti e operai, alla 'controrivoluzione preventiva' delle stragi di Stato (a partire dal 12 dicembre del 1969, indimenticato buio costitutivo della Repubblica), dalla controinformazione alle varie forme di controcultura: tutto quanto si è agitato in quegli anni è vagliato e proposto dall'autore con intelligenza. E se la cronologia dei 'grandi eventi', pur doverosa e impeccabile, poco aggiunge di nuovo -non dimentichiamo, però, lo scopo didattico del volume-, di grandissimo interesse risultano i capitoli dedicati ai numerosi fronti di lotta che, da sempre percepiti come 'impolitici', divennero inedite trincee di conflitti, là dove l'avversario non pensava che potessero sorgere vertenze o innalzarsi barricate. L'aver deciso quali dovessero essere i luoghi e i tempi delle lotte, invece di accettare le compatibilità del sistema, è sicuramente il contributo più vigoroso del '68 alla storia e all'attualità politica. Campo di battaglia diventano la scuola, la chiesa, la casa (e la santa proprietà privata), il ventre delle donne (di cui ogni singola donna rivendica il possesso), l'ospedale psichiatrico, la caserma e il carcere. Se in fabbrica -grazie anche alla forza poderosa che la 'rude razza pagana' degli operai e delle operaie dava a partiti e sindacati- il nemico sapeva di doversi battere per contrastare la presa del potere da parte delle tute blu in massa radicalizzate, negli altri luoghi, invece, esso si trovò spiazzato e incapace di reagire. Molto impiegò per farlo, e mai completamente vittorioso, se segmenti di opposizione ancora si annidano ovunque, dal 1978 a oggi, come marrani in attesa del momento buono per ri/vendicare un'altra via.
Dà importanti elementi di riflessione l'intervento di Carlo Oliva, alle pp. 210-211: "...Il fatto è che gli insegnanti incarnavano (e incarnano) l'ambiguità di fondo della scuola: tipico strumento d'integrazione, di trasmissione dei valori accettati e di formazione del consenso -tipico oggetto, quindi, di contestazione e di rifiuto- e, nello stesso tempo, servizio di cui non si può fare a meno, a nessun livello. Dal punto di vista delle masse popolari (...) la scuola è persino una conquista da difendere...": uno dei cardini della trasmissione del sapere, ovvero della costruzione dei ripetuti presenti in cui si vive, mostra l'ambiguità di ogni azione nella storia, sempre tesa tra rafforzamento dello stato delle cose e sua globale contestazione, l'uno dipendente dall'altra, tra magre riforme e ancor più scheletriche rivoluzioni. Sconfitta del '68: nella scuola guai, oggi, a 'far politica', qualora si sapesse ancora farne; e invece quante contrapposizioni frontali, allora, quante scelte di vita, quante vite anche perse dietro estenuanti conflitti per mense, qualità e quantità dell'insegnamento, edilizia scolastica, etc. E sconfitta in tutti gli altri settori, in tutti gli altri campi di battaglia: la controcultura diventata feticcio alla moda o rivisitazione postmoderna di stili e icone; le chiese, rivitalizzate dal movimento conciliare, ridotte a fortini della più squallida reazione cattolica; la casa, in questo Paese di proprietari che dicono sia l'Italia, diventata luogo di chiusure e di successo (il mattone è, ancora oggi, luogo di investimenti, speculazioni e abusivismo premiato), tutto tranne che un 'diritto'; il ventre delle donne diventato luogo per scontri ormai postideologici, e di concreti interessi bipartisan a accaparrarsi fondi per cliniche private e potere dei nuovi santoni, in Vaticano e a Montecitorio, e nell'Italia delle virtuose/melmose 'cento città'; l'ospedale psichiatrico, prossima tappa della ridefinizione dei ruoli (normalità/anormalità, e nuovi invalicabili confini); caserma e carcere come luoghi per ben pagati patrioti, il primo, e per vendette sociali di nuova generazione, il secondo.


Jorn, Manifesti del Maggio '68

"CASERMA FABBRICA SCUOLA – LA LOTTA E' UNA SOLA".

In questo slogan si concentra la capacità collettiva del '68 di individuare insospettate trame di sfruttamento e di possibili liberazioni. Geniale, irripetibile, forse, la stagione dei Proletari in divisa, "giornale e insieme movimento di Lotta Continua" (p. 265): "...La presenza capillare di una fitta rete di corrispondenti in oltre 40 caserme su tutto il territorio nazionale garantisce l'afflusso di notizie di prima mano (e di una montagna di lettere al giornale) sulle condizioni di vita sotto la naja: cibo pessimo, assistenza sanitaria indecente, sovraffollamento delle camerate, paga ridicola, regolamento di disciplina antiquato, proibizione di leggere la stampa di sinistra..." -mentre, aggiungiamo noi, l'aberrante 'boia chi molla – è il grido di battaglia' poteva echeggiare impunemente nelle camerate delle caserme di mezza Italia, spesso lanciato da ufficiali e sottufficiali, sempre felloni, pronti a servire avventure politiche violentemente antipopolari. Gozzini ci rimette sotto gli occhi la forza immensa di gente senza nome, e 'singolare' proprio per questo, e ci rimanda alle immagini di quegli anni, magari a quelle girate da Silvano Agosti, con migliaia di 'proletari in divisa' per le strade di Roma, sciarpe o fazzoletti sul volto, e pugni chiusi. Ottusi stalinisti e fanatici di piazza?, o semplicemente, invece, l'intravista fine delle istituzioni separate, il sogno della trasparenza e della democrazia reale anche nei luoghi sacri della separazione: non caserme/fabbriche/scuole di 'vetro', come una propaganda ambigua vorrebbe predicare ancora oggi, ma luoghi liberati dal potere in nome del potere nuovo di chi osò dire 'basta' alla riproduzione cieca dello status quo. E poi gli altri sessi, le altre nomadi metà del cielo (questo cos'è: puro '68, o annuncio della disintegrazione settantasettina?), "la battaglia per l'aborto e i movimenti femministi" (pagine molto, molto importanti, da 249 a 257). L'indimenticabile -oggi più che mai- Sputiamo su Hegel: la donna clitoridea e la donna vaginale, una raccolta di interventi a cura di Carla Lonzi: "...la donna non va definita in rapporto all'uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà. L'uomo non è il modello al quale adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna. L'uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna ai più alti livelli..."; e quella foto che Gozzini riporta a pag. 251, donne schierate con tamburi slogan e fischietti, e la didascalia: "Operaie in piazza senza più l' 'egemonia' maschile: un evento impensabile fino a qualche anno prima"... Più avanti, ci penseranno muscolosi virili servizi d'ordine di compagni disturbati a riportare all'ordine l'insubordinazione femminile, caricando cortei di compagne e aprendo la via allo smarrimento/fallimento sia dell'emancipazione sia della differenza, per arrivare alla regressione attuale fatta di ridicole concessioni dall'alto,oggi viste come sola possibilità di ottenere spazi e riconoscenza.
Occorre dire grazie a questo volume -ecco perché questo nostro scritto in realtà simpatizza apertamente con il libro di Gozzini, e si scusa del polemico inizio-, per la sostanziosa quantità di materiale messo a disposizione, quasi sine ira et studio, ma con passione calma e implacabile, nella certezza che possa servire a tutte e a tutti noi, in una fase storica in cui sul '68 si riversano tonnellate di fango. Che illustri fabbricanti d'opinione sentano ancora il bisogno di 'sputare sul '68', oggi, è segno della vitalità di quell'anno; che poche e pochi pensino, senza avvilenti nostalgie, di riprendere in mano la bandiera di quel maggio sventolata da Caroline de Bendern (foto riprodotta a p. 12) è segno della nostra realizzata viltà.


(Da: Guerre & Pace, n.159, giugno-luglio 2010)





Giuseppe Gozzini
Esercizi di memoria. Il '68 visto dal basso
Sussidio didattico per chi non c'era. Cronologie 1967-1975
Asterios, 2008
€ 25.00



Gianluca Paciucci è nato a Rieti nel 1960. Laureato in Lettere, è insegnante nelle Scuole medie superiori dal 1985. Come operatore culturale ha lavorato e lavora tra Rieti, Nizza e Ventimiglia; in questa città è stato presidente del Circolo “Pier Paolo Pasolini” dal 1996 al 2001. Dal 2002 al 2006 ha svolto la funzione di Lettore con incarichi extra-accademici presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Sarajevo, e presso l’Ambasciata d’Italia in Bosnia Erzegovina, come Responsabile dell'Ufficio culturale. In questa veste è stato tra i creatori degli Incontri internazionali di Poesia di Sarajevo. Ha pubblicato tre raccolte di versi, Fonte fosca (Rieti, 1990), Omissioni (Banja Luka, 2004), e Erose forze d'eros (Roma, 2009); suoi testi sono usciti nell’ “Almanacco Odradek”. Dal 1998 è redattore del periodico “Guerre&Pace”. Collabora con le case editrici Infinito, Multimedia e con la "Casa della Poesia".

venerdì 2 luglio 2010

Biamonti, una voce fuori dal tempo


Ancora un articolo su Francesco Biamonti, che ci permette di comprendere meglio la singolarità di questo grande scrittore, ancora troppo spesso sbrigativamente etichettato come autore in qualche modo "regionale".

Jacqueline Risset

Biamonti, una voce fuori dal tempo. Che leggeva il presente


Sembra che a tre anni della sua scomparsa si riesca a vedere Francesco Biamonti un po' più nitidamente, ad afferrarne la singolarità, la insostituibilità. I suoi romanzi - quattro, e uno incompiuto pubblicato l' anno scorso, sotto il titolo Il silenzio - sono stati spesso definiti «poetici», «antirealistici», «metafisici». Ma è proprio così? Poeta, solitario e inattuale, lo era di certo. Nella conversazione si esprimeva attraverso frasi aeree, «petites phrases» proustiane, che pronunciava con voce riservata, mite, quasi a preservare nell' amicizia, lo spazio dell' intimo e dell' oggettivo insieme. «Romanzo-paesaggio», così Italo Calvino chiamava L' Angelo di Avrigue, il primo racconto, «fatto soprattutto di cose non-dette e di silenzi». Vento largo, Attesa sul mare, Le parole e la notte, e infine Il silenzio, confermano, già nei titoli, la direzione percepita da Calvino. In quelle pagine la luce del mare si estende sulle colline dell' entroterra, dove i personaggi che si incontrano, scambiano frasi brevi, dialoghi enigmatici e sospesi - formule che evocano i ritmi antichi della vita e rispondono allusivamente alle interrogazioni che li tormentano... Ma la poesia in lui non era un elemento aggiunto, un abbellimento, e ancor meno una fuga del reale. Era l' aspetto che prendeva nel suo linguaggio l' enigma della vita. Il romanzo, in quanto genere letterario, è il più libero di tutti, il più capace di includere tutto, e in particolare il mistero, il non risolto. Faulkner diceva che il romanzo per eccellenza era il romanzo poliziesco. Un' enigma da sciogliere e che non sempre si scioglie. Nei romanzi di Francesco Biamonti, dove la componente dell' intrigo è minimo, spesso viene alla luce un nodo poliziesco che non si risolve o si risolve in modo derisorio. Andrea Zanzotto diceva che la funzione della poesia è quella di mantenere «il tasso di enigmaticità nel mondo». Anche i romanzieri a volte attendono a questa funzione. È noto - lo ha affermato in numerose interviste - quanto contassero per lui la cultura e la letteratura francese, per un ligure che avvertiva profondamente la continuità di quella regione mediterranea artificialmente divisa da frontiere. Il mestiere del passeur, oltre quello del marinaio, appartiene ai suoi protagonisti («è un lavoro leggero, il più leggero del mondo» dice il narratore di Vento largo - lavoro silenzioso e ribelle, che non lascia tracce e apre porte a vite imprigionate). Gli piaceva la tradizione di libertà della cultura francese, la sua universalità settecentesca, il senso di eticità e insieme di interrogazione che trovava in Char o in Blanchot. Era anche vicino a scrittori di derivazione nervaliana e simbolista (Maeterkinck, Alain Fournier, ecc...). A Nerval per il rapporto malinconico coi luoghi amati (le foreste notturne tra Chantilly e Ermenonville, le colline di ulivi e villaggi abbandonati tra Liguria e Provenza) e per le figure femminili piene di una grazia enigmatica, fiere e imprendibili come eroine dell' Ariosto, oniriche come Sylvie e Aurelia. Peraltro, come accade nei racconti fortemente antirealistici, i romanzi di Biamonti hanno il potere di suscitare un' immagine stranamente concreta della regione, città o paese, che egli descrive, senza neanche preoccuparsi di descrivere. E non perché utilizza, di fronte ai paesaggi, l' estrema precisione del linguaggio tecnico dell' orticoltura, ma perché, attraverso i paesaggi nei loro lievi cambiamenti così come nelle loro radicali metamorfosi, percepisce e fa percepire al lettore, i mutamenti epocali, storici. Questo solitario inattuale era in realtà un acuto lettore del presente, e un decifratore dei segni del futuro che si prepara. In Attesa sul mare, mare e luce non erano personaggi centrali. Lo erano le vittime di una guerra insensata. Un uomo, in Bosnia, dice al capitano della nave: «Abbiamo scatenato forze che non possiamo più controllare, le nostre radici affondano dentro un male di secoli». La voce diretta di Biamonti - colta in un' intervista del ' 99, che indicava il suo cammino nella scrittura - era più cupa ancora: «Sto cercando di affrontare la realtà del nostro tempo, senza più consolazioni, soltanto facendo la musica delle parole stesse... Voglio andare nel cuore dell' uomo, nel suo inferno, musicalmente». E ancora, «Nei miei romanzi la natura è metamorfica, lo spazio è inficiato, il tempo è malato e il mondo è su un abisso». Quella voce, quella voce musicale, occorre ascoltarla ancora.

(Da: Il Corriere della Sera, 17 dicembre 2004)


Jacqueline Risset è saggista e poeta. Ha insegnato Letteratura Francese all’Università di Roma Tre. Ha tradotto in francese La Divina Commedia (1985-1990). Tra i suoi saggi, ricordiamo: Dante. Una vita (1975), Dante scrittore (1984), La letteratura e il suo doppio (1992), Il silenzio delle sirene (2006), Traduction et mémoire poétique (2007). Tra i suoi testi poetici: Amor di lontano (1993) e Les Instants (2000).

giovedì 1 luglio 2010

"Senza titolo" performance art di ice dog