TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 16 ottobre 2012

Il magaiu solo noialtri sappiamo cos'è: lettera di Italo Calvino a Francesco Biamonti




Il 15 ottobre 1923 nasceva Italo Calvino. Sempre ad ottobre (il 17) moriva nel 2001 Francesco Biamonti Li ricordiamo con questa lettera (di cui riportiamo ampi stralci) con cui lo scrittore sanremese comunicava ad un ancora sconosciuto Francesco Biamonti il suo giudizio positivo su L'Angelo di Avrigue. La pubblicazione del romanzo avverrà dopo due anni di discussioni in cui Calvino dovrà spendere tutta la sua autorevolezza per convincere l'Einaudi della qualità letteraria del testo. E forse non sarebbe bastato, se di nuovo non fosse intervenuto Nico Orengo. Ma questa è un'altra storia che racconteremo presto.

Italo Calvino

Il magaiu solo noialtri sappiamo cos'è

Così Italo Calvino scriveva a Francesco Biamonti

Roma, 21 ottobre 1981

Caro Signor Biamonti,

Nico Orengo mi ha dato il manoscritto del Suo romanzo L'angelo di Avrigue. L'ho letto con molto interesse, contento di trovare una personalità di scrittore nuova e inattesa.

La storia prende e non si ha voglia di smettere. La compenetrazione del paesaggio e dei drammi umani è molto suggestiva. (…) E' un libro in cui succedono molte cose ma che è fatto sopratutto di cose non dette e di silenzi: e ogni personaggio conserva il suo mistero.

Il lirismo del linguaggio ha la sua efficacia; qualche sbavatura qua e là magari si potrà correggere cin piccoli ritocchi. (…) Quello che Lei vuole fare è una cosa molto difficile: dare al linguaggio la concretezza d'un lessico molto preciso (nelle cose della campagna come nei nomi delle stelle) e insieme un alone di vibrazione lirica. (…)

Certo l'attrattiva che ha per me il Suo linguaggio è che sotto c'è sempre il nostro dialetto; ma questo possiamo apprezzarlo solo noi della zona, e per il pubblico credo che sarà indispensabile un glossario che spieghi che pianella sta per “cianéla” cioè piana, che sottana non vuol dire sottana, che ubago vuol dire all'ombra, ecc.ecc. e perfino che marina da noi vuol dire semplicemente mare. Anche il magaiu solo noialtri sappiamo cos'è; e non è nemmeno detto che nel resto d'Italia sappiano cos'è una fascia. (Ci sono poi anche dei termini che non capisco nemmeno io). Comunque questa è una grande qualità del Suo libro, d'essere scritto in una lingua così saporosa e radicata al suo terreno.

Suggestiva l'apparizione del pastore provenzale per il corto circuito nel tempo che provoca con le immagini del presente.

Quello che il Suo romanzo è riuscito a rappresentare credo per la prima volta, è un'immagine della Liguria che comprende insieme la vita agricola dell'entroterra, dura e aspra e povera, e il modello di vita facile della Riviera che ora prende l'aspetto tragico della droga come consumo di massa.

Inoltre viene fuori molto bene la carica tragica che la frontiera porta con sé, con la morte del polacco e quella dello Chasseur des Alpes che fanno da cornice alla morte del giovane suicida. E questo è certo un tema letterario nuovo, inedito.

Il mio parere positivo non vuole ancora dire che il libro sia accettato per la pubblicazione da Einaudi. Devo farlo leggere anche ad altri consulenti e dal confronto tra i nostri giudizi verrà la decisione. Spero di saperLe dire qualcosa presto e La saluto esprimendoLe ancora la mia soddisfazione per la lettura.

Italo Calvino

(Da: Italo Calvino, Lettere (1940-1985), Mondadori 2000, pp. 1456-57)