TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 11 gennaio 2018

Non aver paura dell'incertezza. Il lascito filosofico di Zygmunt Bauman



Guerre, migrazioni, fine delle utopie. Si può vivere in una fine del mondo permanente? Un anno dopo la morte, ecco l’ultima lezione di Bauman. Ne proponiamo i passi principali.


Zygmunt Bauman

Non abbiate paura dell’incertezza


La fine del tempo, la fine del mondo, la fine dell’universo: un argomento certamente diverso dal solito per me che non sono un esperto del settore. Non pretenderò quindi di informarvi sullo stato attuale dell’arte, dell’astronomia e della cosmogonia, su ciò che gli scienziati pensano a proposito della fine del mondo. Dirò solo che le teorie scientifiche che si sentono mi hanno lasciato molto confuso, data la difficoltà di conciliare visioni molto diverse sul tappeto. [...]

Non che questo debba preoccuparci nell’immediato, intendiamoci, giacché è stato calcolato che l’universo vivrà almeno un’altra ventina di miliardi di anni e almeno io, che sono irrevocabilmente vecchio, non ho alcuna speranza di arrivarci. Ma torniamo alla domanda iniziale, al perché oggi siamo tutti così inquieti, perché si fanno così tante oscure premonizioni su cosa ci aspetta, tanto che a volte non riusciamo neppure a mettere bene a fuoco la questione in quanto fine del mondo, ma piuttosto come qualcosa di completamente nuovo e sconosciuto e, pertanto, minaccioso.

Perché viviamo questa condizione in questa fase della nostra storia? Questa è la domanda da porci. Suggerirei intanto di non avere paura. Anche quando ci divertiamo, andiamo ad una festa con i nostri amici, da qualche parte nel profondo avvertiamo ansia. Non ci sentiamo sicuri: sicuri di riuscire a controllare le nostre vite, sicuri di averne la capacita, i mezzi, l’abilità, le risorse, sicuri di poter vivere in un mondo in cui ciò sia possibile.

Insomma, non riusciamo a dare alle nostre vite la forma che vorremmo, siamo spaventati perché – mi permetto di suggerire – viviamo una condizione di costante incertezza. E cos’è l’incertezza? È la sensazione di non poter prevedere come sarà il mondo quando ci sveglieremo la mattina seguente, è la fragilità e l’instabilità del mondo. Il mondo ci coglie sempre di sorpresa [...].

Mi viene da pensare alla Lisbona del 1755: [...] dapprima ci fu un terremoto che devastò gran parte della città, dopo di che un incendio distrusse ciò che si era salvato.

L’evento suscitò grandi reazioni e fra gli intellettuali si cominciò a discutere su che senso avesse una tragedia del genere e come Dio potesse permettere una simile strage di innocenti. Alla testa della campagna filosofica si mise Voltaire che sentenziò: «Guardate: la natura è cieca, colpisce con la stessa imparzialità e la stessa indifferenza le persone buone e le persone cattive. Non fa selezioni, non punisce. Distribuisce a caso la sua furia. Se volete un mondo che sia in linea con l’etica umana e la ragione umana, dovete conquistare la natura». [...]

Oggi, a più di duecento anni di distanza, possiamo vedere come tutti gli sforzi per dominare la natura non abbiano avuto alcun effetto e quei pochi che l’hanno avuto erano in realtà mal concepiti e hanno lasciato traccia del loro operato in milioni di chilometri quadrati di terra sterile e desertica, milioni di vite umane perse, vite di coloro che prima coltivavano quella terra. Non ha funzionato. D’altra parte, altri pericoli – qualsiasi evento comporta degli inconvenienti –, altri disagi si andarono sommando a ciò che era successo. Credo sia stato Freud a riassumere il significato dell’impulso verso la civilizzazione: la pressione della civiltà a correggere e dare nuova forma alla società. [...]

Tutte le utopie per quanto diverse tra loro avevano una cosa in comune: erano collocate da qualche parte nel futuro. Non ancora esistenti, non ancora conosciute, non ancora esplorate, intuite solo da qualche navigatore solitario. Ma utopia e futuro avevano un significato molto simile. Io penso che stiamo perdendo la fiducia nel futuro. Non crediamo più che sia favorevole, che potrà risolvere i nostri problemi, e se gettate uno sguardo sul nostro mondo contemporaneo vedrete il diffondersi di tradizioni che guardano al passato. Chissà, forse alcune cose le abbiamo abbandonate prematuramente, erroneamente, stupidamente, forse dovremmo tornare a quegli stili di vita.


Forse qualcuno fra voi pensa con nostalgia alla vita sotto Hitler, Stalin o qualsiasi altro dittatore del passato; ma non avete fatto esperienza di quello che è stato, perché non è possibile. Il passato è immaginario quanto il futuro. Non siete stati nel futuro e non lo conoscete, ma non siete stati nemmeno nel passato. Potete solo leggere libri sull’argomento, che però difficilmente possono restituire le sensazioni di una vita realmente vissuta nel passato.

Queste sono, a grandi linee, le cause dello stato di incertezza attuale. La fragilità della posizione sociale che ci siamo conquistati dopo una lunga vita di lavoro e che ci troviamo a proteggere, l’impossibilità di prevedere cosa accadrà domani, il sospetto che qualunque cosa porti con sé il futuro non sarà migliore di ciò che c’è oggi, ma forse sarà peggiore, il senso di impotenza. Che se anche conoscessimo tutti i segreti sul funzionamento delle cose, non avremmo le capacita né gli strumenti per impedire alle cose spiacevoli di accadere. [...]

Scienziati importanti, come ad esempio Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, hanno ricevuto il Nobel per aver scoperto che l’universo – non solo il nostro mondo e le cose che ci circondano più da vicino, ma l’intero universo – vive governato da contingenze, accidenti e coincidenze, insomma dal caso.

Non esistono regole. Nella storia del mondo si sono verificate cinque grandi catastrofi che ci hanno portato quasi all’estinzione, che sono andate molto vicine a rendere impossibile questo nostro essere qui ora, in questo edificio, a scambiarci idee. La più grande, durante il periodo permiano, spazzò via il 95% di tutte le creature viventi. Quindi è assolutamente corretto affermare che siamo qui per caso. I nostri progenitori si trovavano in quel minuscolo 5% di creature rimaste al mondo. Affidarsi alla coerenza dell’universo, alla sua stabilità o prevedibilità non è dunque possibile.

Qualsiasi cosa accada nell’universo, accade per caso, sicché la completa eliminazione dell’incertezza non credo sia possibile, ma credo anche che, entro i limiti a noi imposti dall’universo, ci sia ancora tanto da fare. Ad esempio, prevenire il collasso del sistema di credito o la fuga improvvisa di migranti da una delle guerre più sporche e disgustose mai avvenuta davanti ai nostri occhi.

Guerre prevedibili, guerre che possiamo fare in modo non scoppino. E mi permetto di suggerire che queste cose – le piccole cose che possiamo fare nei limiti delle nostre capacità – sono moltissime, tanto da poterci impegnare per l’intera nostra esistenza.

(Traduzione di Valentina Pianezzi)

(Da: Zygmunt Bauman, L'ultima lezione, Laterza)



la Repubblica – 9 gennaio 2018