Arturo Schwarz a Albisola
Crediamo essere il linguaggio degli archetipi una sorta di linguaggio universale che percorre la storia della specie umana dalle incisioni rupestri all'arte contemporanea. Una volta su questo sentiero l'incontro con Arturo Schwarz e la sua opera è inevitabile.
Giuliano Arnaldi
La dimensione del mondo
Ho avuto la fortuna, grazie agli amici del Gruppo H, di incontrare e intervistare Arturo Schwarz, e questo straordinario incontro mi ha fatto riflettere sulle dimensioni del mondo: scoprire comuni conoscenze ( i grandi Alessandro Passaré ed Emmanuel Anati) mi ha fatto sentire a casa, nel mio mondo, pensare alla storia di Arturo mi ha scaraventato nella grandezza del tempo. La sincera cortesia di Schwarz nel ringraziare Albisola per la sua esistenza ( durante la presentazione della mostra in corso al MAP di Albissola Marina) inorgoglisce ma ci ricorda la nostra responsabilità di fare memoria per fare futuro: è grande il mondo, ma è qui, ora, vivo e vivificato dall'esercizio quotidiano del nostro impegno. E' il nostro mondo, l'unico che abbiamo...
Arturo Schwarz
Cabbalà e Alchimia
Saggio sugli archetipi comuni
Uno studio superficiale della letteratura alchemica e cabbalistica potrebbe indurre a credere che i due sistemi abbiano poco in comune, a parte il fatto, già evidente ad uno sguardo meno sommario, che entrambi sono insegnamenti esoterici in cui domina la pulsione universale verso una maggiore comprensione del nostro sé più profondo. In entrambi, infatti, questa pulsione cognitiva è motivata dalla consapevolezza che la trasformazione del sé non può essere raggiunta senza la conoscenza di sé. Tuttavia, un equivoco molto comune fa pensare all'alchimia come a qualcosa che ha a che fare con la trasformazione del piombo in oro. D'altra parte, a partire dalla fine del XVIII secolo con lo sviluppo della Haskalà (l'Illuminismo ebraico) e fino a tutti gli anni Venti di questo secolo, anche la Cabbalà era stata fraintesa e rigettata perché considerata un ammasso ridondante di scritti fumosi e oscuri.
Il grande corpus di speculazioni teosofiche ed esegetiche che va sotto il titolo generico di Cabbalà (qabbalà: letteralmente, "tradizione"), comprende insegnamenti mistici e interpretazioni o commenti esoterici al Tanakh (detto comunemente "Antico Testamento") che ben meritano l'appellativo di "Luce soave" (Or ne`erav) dato loro da Moshé Cordovero (1522-1570), il famoso cabbalista di Safed che così intitolò un suo trattato pubblicato a Venezia nel 1587. Bisognerebbe aggiungere anche che nel termine "Cabbalà" è compresa una vasta gamma di scritti – si conoscono più di seimila titoli – di un gran numero di maestri spesso su posizioni contrastanti.
L'aspetto prevalente in questa ermeneutica esoterica del Tanakh è la fede che sia possibile riuscire ad avere una intuizione mistica della natura stessa del divino. È un tipo di conoscenza che è perseguita perché porta a scandagliare l'essenza dell'essere umano. Se infatti quest'ultimo è stato creato "a immagine e somiglianza di Dio, maschio e femmina" (Gn 1:26-27), qualunque spiraglio di luce aperto sulla complessità del Creatore si rifletterà sulla Sua creatura.
Su questi due sistemi mistico-filosofici si è pubblicata – e si pubblica – una quantità incredibile di robaccia. In effetti i contenuti etici e illuminanti della prima letteratura cabbalistica sono tanto lontani da certi "insegnamenti" odierni di sedicenti cabbalisti, quanto lo erano gli intenti libertari e cognitivi della originaria alchimia spirituale dalla più tarda alchimia operativa – una distinzione su cui dovrò tornare. Quelli che volgarizzano la filosofia trascendentale dei primi cabbalisti riducendola a facili ricette per incrementare l'autostima o per liberarsi dal senso di colpa, la degradano al livello di una moda ideologica da New Age. Ancora peggio: alcuni fondamentalisti religiosi ed autoproclamati cabbalisti israeliani invocano il pulsa denura per maledire i propri oppositori politici. Un esempio particolarmente calzante è quello dell'estremista di destra Avigdor Eskin che, due settimane prima dell'assassinio di Yitzhaq Rabin, ne aveva ripetutamente invocato la sua morte. Così facendo Eskin e i suoi compari riducono una tradizione esegetica motivata da una profonda pulsione conoscitiva – il cuore segreto dell'ebraismo – allo stato di magia nera.
L'equivoco in cui erano caduti molti storici dell’alchimia dipendeva dal fatto che essi confondevano l'alchimia spirituale originaria con la sua più tarda forma svilita, che andrebbe più propriamente definita "alchimia operativa"; e, ancora peggio, dal loro condividere il pregiudizio – derivato da una lettura letterale dei testi alchemici – a proposito di una disciplina che appariva loro macchiata da una forma equivoca di misticismo magico. Il termine che definisce l'oggetto dell'opera alchemica, la "Pietra filosofale", chiarisce che la ricerca dell'alchimista era rivolta alla "conoscenza aurea" (aurea apprehensio). La ricerca assumeva una rilevanza fondamentale negli scritti alchemici, perché era proprio nel corso della stessa che l'alchimista acquisiva la conoscenza a cui aspirava. La ricerca era dunque più importante del premio, anzi, la ricerca era il premio, dato che la conoscenza, l'autocoscienza, è il presupposto della libertà.
Rispetto all'attualità dell'alchimia, basti ricordare che i tre principali strumenti che abbiamo oggi per avvicinarci alla comprensione del mondo fisico – la teoria della relatività, la meccanica quantistica e la statistica quantistica – hanno confermato e adottato il modello alchemico della conoscenza intuitiva del mondo esterno, ispirato ad un approccio sintetico e olistico alla realtà che offre una alternativa al crescente affidarsi della scienza moderna alla investigazione analitica e specializzata.
Il mondo dell'alchimista ebreo era particolare, e sebbene si possano rintracciare corrispondenze sostanziali fra l'alchimia ebraica da un lato e l'alchimia orientale e occidentale dall'altro, il tono degli scritti cabbalistici che trattano di alchimia era molto peculiare. Di fatto gli alchimisti ebrei – che erano osservanti e seguivano la tradizione religiosa della comunità a cui appartenevano – consideravano la loro arte una specializzazione strettamente intrecciata all'osservanza religiosa. Di nessun ebreo si sa che fosse un alchimista a tempo pieno. Molti alchimisti ebrei erano anche rabbini, oppure maestri o studenti di religione, o medici.
Gli alchimisti ebrei erano motivati da una sete di conoscenza unita ad un intento sociale, etico e umanitario, piuttosto che da un interesse economico. Di fatto, per l'adepto ebreo, l'alchimia non era che uno dei tanti percorsi da seguire nella sua onnicomprensiva preoccupazione per il prossimo e nella sua devozione a mettere in atto, in tutti i modi e le forme possibili, il più basilare di tutti i comandamenti: "amerai il tuo prossimo come te stesso". In consonanza con questa visione generale, per l'alchimista ebreo, l'elisir di lunga vita (sam hayyim) non era di natura chimica, ma di natura spirituale – era la rettitudine.
Sia gli alchimisti ellenistici sia quelli medioevali attribuivano abilità alchemiche ai personaggi della Bibbia e significato alchemico ai passi biblici. Adamo veniva considerato il primo maestro di alchimia, seguito da Bezalel (l'architetto del Tabernacolo), Noè, Set, Tubal Cain, Abramo, Mosè, Giacobbe, i re David e Salomone e la maggior parte dei profeti. Queste attribuzioni erano destinate ad essere ben presto incoraggiate da Maria l'Ebrea (conosciuta come Maria Prophetissa, sorella di Mosè, o anche Maria Hebraea) una pia giudea dell'inizio del III secolo che era considerata dagli alchimisti ellenistici la fondatrice dell'Arte Ermetica.
Riassumendo, la Cabbalà e l'alchimia erano strumenti di una forma iniziatica di conoscenza che cercava di illuminare la via per una sapienza trascendente che implicava la liberazione dalle contingenze e dalle contraddizioni della vita. Questa conoscenza iniziava indubbiamente con la conoscenza del proprio sé: l'essenza dell'insegnamento alchemico si ritrova tutta nelle due parole che erano inscritte all'entrata del tempio di Apollo in Delfi: gnothi seauton – conosci te stesso. Nel Talmud babilonese ritroviamo la stessa sete di autocoscienza, sintetizzata dalle parole di Rabbi Hisdà: "Un sogno non interpretato è come una lettera che non è stata letta" (bBerakhot 55a). L'importanza di acquisire la conoscenza è stato uno dei motivi conduttori del Tanakh, del Talmud e della letteratura esoterica ebraica. Tra tantissimi esempi, ricorderei solo alcuni passi particolarmente significative che esaltano il desiderio di conoscenza. Così, mentre "i sapienti rifulgeranno come lo splendore della distesa celeste ... e la conoscenza aumenterà" (Dan 12:3, 4), "nessuno è povero se non chi non ha conoscenza" (R. Abbaye in bNedarim 41a). L'ignoranza è condannata senza mezzi termini: "chi non impara perde la propria vita" (R. Hillel in Mishnà Avot 1:13). E ancora, "Un ebreo ignorante può essere stracciato come un pesce" (R. Yohanan ben Nappahà in bPesahim 49b), perché "la disgrazia viene soltanto a causa dell'ignoranza" (R. Yehudà ha-Nasì in bBava Batra 8a). Ne consegue che non dovremmo concedere "nessuna misericordia a chi è privo di conoscenza" (R. Ammì ben Natan, bBerakhot 33a), perché "senza conoscenza, come può esservi discernimento?" (Yehudà ha-Nasì, yBerakhot 5:2). La conoscenza è di tale suprema importanza che l'amorà del III secolo El`azar ben Pedat non esitava ad affermare che "con la vera conoscenza è come se il Tempio fosse edificato" (bSanhedrin 92a).
Un ultima osservazione. Gli alchimisti ebrei davano grande importanza all'apprendimento, non come fine a se stesso ma come mezzo per aiutare i propri simili. Per questo Abraham Eleazar (XIV secolo?), nel suo Uraltes chymisches Werck (Antichissima opera chimica) così ammonisce il neofita: "Impara e comincia a lavorare, perché i tuoi fratelli poveri siano redenti dalla paura ... Se non puoi lavorare, supplica il Signore che ti dia sapienza".
Arturo Schwarz è nato ad Alessandria d’Egitto il 3 febbraio 1924. Storico dell’arte, saggista, poeta e conferenziere, è autore di importanti opere sul surrealismo e il dadaismo; ha inoltre scritto libri e numerosi saggi sulla Kabbalah, sul tantrismo, sull’alchimia, sull’arte preistorica e tribale, sull’arte e la filosofia dell’Asia. Ancora adolescente, legge cinque libri che influenzeranno in modo determinante il suo sviluppo: l’Etica di Spinoza, Psicopatologia della vita quotidiana di Freud, il Manifesto di Marx, i Manifesti surrealisti e la raccolta di poesie Le Révolver à cheveux blancs di André Breton. Nel 1946 è tra i fondatori della sezione egiziana della Quarta Internazionale trotskista. Dopo aver subito vari arresti, nel maggio 1948 viene trasferito dalla prigione Hadra di Alessandria al campo di concentramento di Abukir. Nel febbraio 1949 viene siglato l’armistizio tra Egitto e Israele e, di conseguenza, Schwarz viene liberato nel mese di aprile ed espulso in Italia.Si stabilisce a Milano, dove, nell’aprile del 1952, avvia un’attività editoriale (conclusasi nel 1959) e pubblica, tra gli altri, testi di A. Breton, A. Einstein, D. Guérin, M. Nadeau, P. Naville, B. Péret e L. Trotsky. Tra gli italiani: G. Galli e L. Maitan. Importante anche il posto che la poesia occupa nella sua attività editoriale. Vengono pubblicati, tra gli altri, testi di R. Carrieri, F. Fortini, E. Isgrò, M. Luzi, A. Merini, E. Pagliarani, A. Porta, S. Quasimodo, R. Sanesi e G. Ungaretti. Dal 1954 nella sua libreria, che nel 1961 si trasforma in galleria, presenta (spesso è la prima mostra italiana) i protagonisti del Dadaismo e del Surrealismo, così come i nomi più significativi delle avanguardie storiche.Nel 1975 chiude la galleria per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura e all’insegnamento.
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