TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 23 dicembre 2011

"Sopra lo stato presente". Ultimo numero di "Resine", Quaderni liguri di cultura



Sala Gallesio via Tommaso Pertica, 24 - Finale Ligure Marina
Giovedì 29 dicembre 2011 - Ore 17

Presentazione di "Sopra lo stato presente"

Numero doppio speciale sull’Italia, 150 anni dopo
di Resine Quaderni Liguri di cultura

Partecipano

Pier Luigi Ferro Silvio Riolfo Marengo Adriano Sansa

Conduce
Gloria Bardi




L’ultimo numero di “Resine”, realizzato da Pier Luigi Ferro, è dedicato allo stato presente dell’Italia e raccoglie contributi dei giudici Adriano Sansa e Gian Carlo Caselli, di alcuni dei più noti intellettuali e poeti italiani come Gianni D’Elia, Roberto Roversi, Jolanda Insana, Silvio Ramat, Sandro Loi, Mario Lunetta, Eugenio De Signoribus. Comprende inoltre le opere realizzate sul tema per l’occasione da alcuni dei maggiori poeti visivi del mondo (Blaine, Balestrini, Pignotti, Dencker, Clavin, Bennet ecc.), nonché il testo di Giovanni Fontana e le immagini dello spartito dell’Elegia per l’Italia, composto da Ennio Morricone, trasmesso in diretta dalla RAI ed eseguito dall’Accademia di Santa Cecilia alla presenza del Presidente della Repubblica nel luglio scorso.

Pier Luigi Ferro

Sopra lo stato presente

(Editoriale del n.128-129)


Qual è l’immagine che l’ Italia di oggi consegna alla Storia, centocinquanta anni dopo la sua unificazione (assai precaria, come sottolineano con ironia Albani e Salerno), celebrata in questo anno nefasto, con imbarazzo e molte goffaggini dai nostri imbarazzantissimi uomini rappresentativi, che hanno immerso il Paese in un vociare assordante, secondo quanto suggerisce Boschi, che lo stanno facendo in pezzi, come ci rappresenta il catalano Ferrando, dando corpo la politica nostrana a un criptogramma quasi indecifrabile a chi ci guardi da fuori, simile a quello rappresentato dal tedesco Dencker? È forse il prodotto di una geografia politica accartocciata e raggrinzita sulle sue insufficienze, che paradossalmente avvicinano il settentrione al meridione della nazione, accomunandoli in questo, come suggerisce il lavoro di Fontana? Consiste invece in un groviglio crepitante e inestricabile come quello disegnato dalla Blank, a un mero e slavato gioco calligrafico e fonetico, quello rappresentato dall’americano Bennet, o piuttosto è un territorio riconfigurabile in grotteschi stivali neofederalisti, secondo l’interpretazione di Balestrini, che si trastullano al gioco della palla: passion predominante che accomuna popolo bue e casta, fatto salvo, naturalmente, l’esibito mercimonionio delle giovin principianti, sostegno da una parte del senile allure del Sultano - efficace a far presa sulla parte mascolina dei più primitivi sudditi, benché prodotto dai prodigi recenti della farmaceutica - dall’altra oggetto di esecrazione e di infiniti intrattenimenti mediatici; che è quanto poi le note vicende del contestuale mignottaio hanno consegnato all’opinione pubblica internazionale, come allusivamente suggerisce l’icona tridimensionale, tattile e profumata del belga Bleus? Assomiglia invece, l’Italia, al profilo della formosissima donna mollemente distesa, una giorgionesca Venere abbandonata all’inerzia, sullo sfondo del paesaggio sinestetico di Pignotti? Quello che ha sventolato e sventola sul Palazzo nell’anno in corso è poi davvero un tricolore che sottende una trama di menzogna (Xerra) o invece un vessillo inquietante, dove il bianco si è dissolto e tutto sembra sprofondare nel nero come suggerisce il portoghese Aguiar? Dietro la I dell’Italia l’olandese Clavin vede forse per questo ancora l’immagine del duce, un mito che in molte coscienze non è mai tramontato, così come stenterà a tramontare l’infatuazione per un premier a tempo perso nelle teste degli emulatori di terza categoria.

Per quanto ci si possa affidare all’ottimismo di chi fa professione incondizionata di stima, di chi pensa che ancora lo “stellone d’Italia”, su cui scrive Lista, brilli sulla nostra patria fragile e derelitta, come lo spagnolo Vega, che ci consegna un sonetto formato coi copertoni di un bolide vincente, oppure ci si possa abbandonare all’amara ironia che sottende il testo di Bory, ciò che le vicende recenti ci suggeriscono sembra il tracciato di un percorso di distruzione progressiva della nazione, un suicidio collettivo, come quello messo in scena con sarcasmo da un artista francese, profondamente legato al nostro Paese per ragioni culturali, poetiche e affettive come Blaine. Un suicidio doloroso, pensando a quanto complessa sia stata, a quanta fatica e sangue sia costata la costruzione di un’identità culturale e di una patria comune, come ci ricordano il saggio sulle vicende risorgimentali della Montale o quello sulla lingua di Coletti, nonché i versi di Roversi, Ramat e Puccini. Un’identità la cui coscienza, dopo esser stata innestata nel sentire comune e familiare, come ci raccontano Milani e Salvago Raggi, rischia nuovamente di essere dispersa da una classe dirigente e imprenditoriale del tutto irresponsabile, avida e incapace. Forse davvero oggi l’ 8 settembre, più che il 2 giugno, dovrebbe assurgere a data per le celebrazioni repubblicane.

Un suicidio, quello italiano, tanto più evidente nella congiuntura della crisi del sistema economico occidentale, estinti ormai gli entusiasmi senza riserve che hanno salutato l’ondata neoliberista degli anni Ottanta che ha accompagnato la dissoluzione dello spettro comunista (evocato con una mediazione sorprendente nei caustici versi di Lunetta), i cui effetti stanno ora consumando il fragile tessuto sociale italiano e bruciando gli orizzonti delle nostre giovani generazioni, destinate alla miseria da un esiziale sistema giuslavoristico, di cui sta dando conto la recente narrativa analizzata da Pegorari, o, peggio, non son poche le ragioni per temerlo, al macello.

Schiacciata da un debito pubblico gigantesco nuovamente in crescita, originato dal sistema di corruzione e connivenze degli ultimi decenni, rimasto sostanzialmente intatto, l’Italia oggi pretende di correre al pari delle altre nazioni sviluppate mantenendo la zavorra sempre più pesante di una spesa militare sproporzionata alle sue possibilità e che non ha neppure garantito alcun ritorno in termini di credibilità e prestigio: la recente vicenda libica, ricordata da Carlino, insegna. A dar la misura dell’irrazionalità di tali scelte, sostenute dalla sigla equivoca delle “missioni di pace” in terre sempre più martoriate come quelle evocate dai versi dolenti di Jolanda Insana, è esemplare la vicenda della portaerei “Cavour”, costata grosso modo, 1 miliardo e 300 milioni di euro, impiegata in un’unica missione (i soccorsi ad Haiti, alla modica somma di 200mila euro per ogni giornata di navigazione), e ora destinata al declassamento a semplice portaelicotteri per il probabile accantonamento del progetto dei caccia Lockheed Martin che avrebbe dovuto imbarcare. Il passo successivo in questa follia potrebbe essere, chissà, quello di destinare al servizio di ambulanza e pronto soccorso i cingolati dell’esercito, dopo che alpini, paracadutisti e bersaglieri abbiano degnamente sostituito nelle loro funzioni vigili urbani e scopini municipali. A ciò si aggiungano il costosissimo sistema di prebende e regalie allo Stato Pontificio (complessivamente oltre 4 miliardi all’anno, a quanto si legge, e su questo sfondo si vedano le considerazioni di Buffoni), un sistema politico pletorico e inefficiente, altrettanto costoso, e uno spaventoso tasso di evasione fiscale, valutato intorno ai 300 miliardi annui.

Per tutto questo e per gli interessi che dietro vi si celano l’Italia, quella umile e nascosta cantata da Loi, la cui vita, come scrive De Signoribus, sembra voler tornare ai cupi albori delle lotte per la sopravvivenza nelle società protoindustriali, ha visto regredire la speranza, per usare questa volta l’espressione di Sanchi, sacrificando sempre più scuola, ricerca, sanità, diritti e servizi, previdenza, cultura e giustizia, sulla quale dan conto gli scritti di Gian Carlo Caselli e Adriano Sansa. Contro questi settori si è esercitata nei nostri tempi l’aggressione sistematica dei mezzi di comunicazione asserviti alla politica irresponsabile di quelli che Nota chiama nei suoi versi i banditi democratici, essa stessa asservita agli interessi di ristretti gruppi sociali parassitari, della finanza e dei monopoli, che hanno cercato di convincerci che tutto ciò che è sociale sia socialista e tutto ciò che abbiamo in comune sia comunista, per dirla con Bajini, e dunque da deprecare e distruggere, dopo aver ridotto al minimo gli spazi della cultura critica e della funzione intellettuale, come ci rappresenta nel suo saggio Nicolao.
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Sopra lo stato presente nasce da un’idea di due anni fa, condivisa con l’amico Gianni D’Elia dopo un incontro poetico savonese e durante una chiacchierata conviviale in cui ha preso forma il titolo leopardiano che oggi la definisce. A lui va la nostra gratitudine, non solo per l’intervento fornitoci, presentato a maggio alla Biblioteca della Camera dei Deputati, ma anche per la collaborazione nel reperire parte significativa degli altri contributi. Un ringraziamento sentito va anche ad un altro amico, Giovanni Fontana, che ha coordinato l’inserto di poesia verbovisiva, coinvolgendo alcuni dei nomi più noti nel panorama mondiale del settore, e che ci ha consentito di comprendere in questo numero la testimonianza di uno dei tributi artistici più significativi ai centocinquanta anni dell’ Unità d’Italia: l’Elegia per l’Italia concepita da Ennio Morricone ed eseguita pochi mesi fa alla presenza del Presidente della Repubblica.