TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 27 maggio 2018

Alle origini del '68. Panzieri, Montaldi e l'inchiesta operaia


    Panzieri alla FIAT

Il '68 italiano non fu un fenomeno improvviso, ma fu preparato da un lungo lavoro di ricerca teorica e di studio concretizzatosi poi in libri e riviste. Centrale in questa fase, che va dalla rivoluzione ungherese agli incidenti di Piazza Statuto, fu il ruolo di Danilo Montaldi e Raniero Panzieri.

Giorgio Amico

Alle origini del '68.
Panzieri, Montaldi e l'inchiesta operaia

Danilo Montaldi partecipò alla fase iniziale dei Quaderni Rossi, ne è testimonianza una serie di lettere a Raniero Panzieri che vanno dal settembre 1959 al marzo 1961.

Da Cremona Montaldi invia a Panzieri Unità Proletaria, il bollettino ciclostilato che redige assieme a un piccolo gruppo di studenti ed operai. Panzieri gli risponde esprimendo apprezzamento per la serietà dell'iniziativa che gli deriva dai legami stretti con la realtà operaia cremonese. Mette in guardia però il suo giovane corrispondente da “alcune punte che richiamano ancora i foglietti di setta”. Implicitamente un invito a recidere i legami con ciò che resta in Italia di una corrente (il bordighismo) che anche nelle sue realtà migliori (Battaglia comunista di Onorato Damen) resta comunque autoreferenziale, incapace di comprendere le forme del conflitto di classe in un'Italia in profonda e tumultuosa trasformazione.

    Danilo Montaldi

L'intesa tra i due è profonda. Panzieri non nasconde a Montaldi le sue perplessità sui partiti del movimento operaio ed in particolare sulle modalità dell'intervento (o meglio del non-intervento) del PCI alla FIAT:

“E' una mistificazione -scrive in una lettera del 24 settembre 1959 riferendosi ad un articolo di Minucci su Rinascita– addirittura esemplare, una «sistemazione» tanto completa da sembrare inventata dal neoriformismo di matrice staliniana. Vengono persino riesumate le più vecchie sciocchezze sull'impoverimento assoluto a sostegno di una politica di evasione sul piano della «società globale». L'azione di fabbrica viene identificata con l'azione sindacale per dimostrare la necessità di «uscire» dalla fabbrica e l'operaio alienato si recupera «politicamente» come cittadino! Ideologicamente, è una non tanto curiosa metamorfosi dello stalinismo in una sottospecie di sociologia dell'integrazione, dove il partito giuoca il ruolo centrale di assorbimento”.  

Insomma, il Partito comunista punta esclusivamente sulla dimensione politico-elettorale, delegando l'intervento in realtà operaie complesse come la FIAT al sindacato. Una impostazione che va rovesciata, rimettendo al centro l'intervento politico in fabbrica. Un intervento di tipo nuovo che superi sia l'approccio elettorale-riformistico del PCI che si ricorda degli operai solo al momento delle elezioni o per sostenere particolari battaglie parlamentari, sia lo sterile approccio predicatorio dei gruppetti settari portatori del “verbo” ad una classe inconsapevole che va resa cosciente della propria condizione di sfruttamento. In realtà gli operai conoscono benissimo le loro condizioni, manca semmai la capacità di coordinare in un progetto coerente la richiesta di potere che si esprime nella ripresa delle lotte e in una sempre più estesa microconflittualità in fabbrica.


La risposta di Panzieri sarà la conricerca, il metodo dell'inchiesta operaia che parte proprio in quei mesi e alla FIAT, coinvolgendo i “sociologi”dei Quaderni Rossi (che nasceranno di lì a poco proprio come espressione dei primi risultati dell'inchiesta) e le avanguardie operaie che all'insaputa quasi di partiti e sindacato si stanno formando negli stabilimenti torinesi. Una dinamica che riflette nella realtà torinese ciò che accade nelle metropoli dell'imperialismo, dagli scioperi a gatto selvaggio delle fabbriche americane alle teorie del gruppo parigino Socialisme ou Barbarie con cui Montaldi si tiene in stretto contatto e di cui traduce per Einaudi su sollecitazione di Panzieri il “Diario di un operaio” di Daniel Mothé (che uscirà nel 1960 suscitando non poche polemiche).

Ancora all'inizio del 1960 Panzieri pensa a Unità Proletaria di Cremona come ad una possibile articolazione “pratica” sul territorio del gruppo dei Quaderni Rossi. Lo scrive ad Asor Rosa, assimilando il lavoro sul territorio di Montaldi all'intervento alla FIAT dei torinesi.

Ed in effetti esiste in quei primi mesi del 1960 una forte comunanza di intenti e di impegno fra Montaldi e Panzieri. Lo attesta lo schema di lavoro che da Cremona Montaldi invia ai compagni torinesi il 2 marzo 1960. Uno schema centrato sulla struttura e funzione dell'industria capitalistica moderna, sulla struttura e funzione dei sindacati, sulla realtà nuova rappresentata dalla Fiat: il tutto in aperta, anche se non dichiarata, polemica con le tesi di un PCI che continua a raccontare di un'Italia arretrata che va svecchiata. Un'Italia ancora non completamente capitalistica che deve completare lo stadio della rivoluzione democratico-borghese. Di qui il richiamo togliattiano all'unità delle forze popolari cattoliche e socialiste e l'accento costantemente posto agli interessi nazionali minacciati dai monopoli. Il tutto a declinare una versione massimalista del riformismo nenniano intrisa di generici richiami alle tesi di Gramsci sul Meridione e la questione contadina.


Panzieri, Tronti e Montaldi insistono invece con forza sul tema della centralità della questione operaia in un'Italia pienamente sviluppata, anzi addirittura neocapitalistica. Ruolo dei tecnici, pianificazione, standardizzazione dei processi produttivi, generalizzazione della catena di montaggio, sono i punti con cui occorre confrontarsi non nel chiuso dei centri studi, ma nel vivo delle lotte, a contatto diretto con gli operai che debbono diventare i protagonisti della ricerca.

Pur non facendosi illusioni, gli “operaisti” puntano sulla sinistra socialista che in quel periodo dirige la federazione del PSI di Torino e su alcuni suoi esponenti in ambito sindacale come Vittorio Foa. L'uso operaio del Partito socialista si rivelerà ben presto impossibile. Già dal secondo numero dei Quaderni Rossi il rigetto delle ipotesi di lavoro di Panzieri da parte di Psi e Pci è netto. E non solo in conseguenza dei fatti di Piazza Statuto.

Ma questa, come si dice, è ancora un'altra storia.