Chi è stato in
Sardegna sa che i pastori sono gli ultimi custodi di una cultura
antica in una terra ancora bellissima nonostante decenni di
speculazione edilizia e di falsa industrializzazione. Sostenere la
lotta dei pastori significa sostenere il diritto dei Sardi a
continuare a vivere da Sardi sulla loro terra.
Costantino Cossu
Pastori neri come il
latte
Sessanta centesimi. A un
pastore danno sessanta centesimi per un litro di latte. Gli
industriali caseari che lo acquistano, il latte, dicono che è il
prezzo di mercato. Ma agli allevatori sardi, se è così, conviene
chiudere, non ce la fanno neanche a coprire i costi vivi delle loro
aziende. Che in Sardegna sono migliaia, un tessuto produttivo diffuso
in tutta la regione, la spina dorsale dell’economia soprattutto
nelle zone centrali, lontane dai paradisi turistici: dalla Barbagia
al Marghine, dall’Ogliastra al Logudoro. Due giorni fa il tavolo
della trattativa, convocato a Cagliari dalla giunta regionale per
trovare un accordo tra pastori e industriali, si è concluso con un
niente di fatto. E ieri la protesta è dilagata. Senza più
mediazioni sindacali, spontanea, clamorosa. Tutte autobotti che
trasportavano latte verso i caseifici sono state bloccate sulla
statale 131, che collega Cagliari a Sassari, e migliaia di litri di
prodotto sono stati versati sulla carreggiata.
Il blocco è stato messo
in atto all’altezza di Abbasanta in provincia di Oristano, al km
123, prima in direzione sud e poi ripetuto, dall’altra parte del
guardrail centrale, in direzione nord. La 131 è la principale
arteria stradale dell’isola e il blocco ha di fatto tagliato in due
l’intera regione per almeno un paio d’ore. Fermi il traffico
privato e quello commerciale.
Ma la rabbia dei pastori
è esplosa anche in altre zone dell’isola. Soprattutto nel Nuorese,
dove la concentrazione di aziende agro-pastorali è particolarmente
forte. A Orune una quarantina di pastori ha rovesciato il latte
all’uscita dal paese, sulla provinciale che porta a Bitti. La
tensione era molto alta. Nel mirino degli slogan gridati dagli
allevatori gli industriali caseari ma anche la giunta regionale di
centrosinistra, accusata di non fare sufficiente pressione per
indurre gli imprenditori che acquistano il latte a concordare un
prezzo più alto. Proteste anche a Macomer, un altro centro del
Nuorese, dove intorno a mezzogiorno diverse decine di allevatori, al
grido di «buffoni» e «bastardi» rivolto agli industriali, hanno
sversato il latte in Corso Umberto, nel centro del paese.
Il blocco sulla 131 è
terminato nella tarda mattinata. Migliaia di litri di latte sono
stati rovesciati sulla carreggiata. Il prodotto era all’interno di
cisterne dell’azienda Arborea e della Cooperativa allevatori ovini
di Oristano. Le autobotti sono state completamente svuotate.
Sull’asfalto sono rimasti anche diversi cartoni di latte,
schiacciati poi dalle auto non appena è ripresa la normale
viabilità. Da Abbasanta, poi, gli allevatori hanno improvvisato un
corteo di auto lungo tutta la statale in direzione nord, per arrivare
sino a Macomer e unirsi ai pastori di quella zona. E anche il web è
stato usato come arma. Su Facebook e su You Tube alcuni video che
documentano la protesta sono diventati virali. La sequenza di
immagini è sempre la stessa: gli allevatori che aprono i rubinetti
delle cisterne e lasciano scorrere a terra il latte, urlando la
propria rabbia per la remunerazione del prodotto offerta dagli
industriali, troppo esigua per poter rientrare con le spese. E questo
nonostante la tenuta, nell’ultimo anno, del prezzo dei formaggi,
che regola l’andamento del mercato del latte.
La pastorizia vive in
Sardegna un momento particolarmente difficile. Il settore è in
contrazione da decenni: dal 1982 al 2010 ben 6.886 aziende pastorali
sono sparite, il 35% del totale. Da 19.555 si è passati a 12.669
imprese. L’emorragia si è registrata soprattutto nel ventennio che
va 1990 al 2010: sono scomparsi 7.097 pastori, da 19.766 a 12.669
(trentasei per cento). E i dati dal 2010 al 2018 confermano questo
trend. Con l’aggravante della crisi economica mondiale, che è
arrivata in Sardegna con la tendenziale contrazione dei prezzi dei
prodotti derivati dal latte (soprattutto formaggi) conseguenza della
generale riduzione dei consumi dentro e fuori i confini nazionali.
I pastori hanno fatto
molto per adeguare le loro imprese alle esigenze mutate. La maggior
parte hanno investito, spesso indebitandosi pesantemente, in
tecnologie, in progetti di razionalizzazione produttiva e in sistemi
di controllo e di verifica della qualità.
Ciò che non è cambiato
è il nodo del rapporto con gli industriali caseari ai quali viene
venduto il latte. Con gli imprenditori il braccio di ferro dura da
sempre. Si è provato, nelle scorse settimane, a trattare, ma quando
sul tavolo è stato messo quel prezzo, quei sessanta centesimi
ritenuti dagli allevatori quasi un insulto, tutto è saltato. E la
protesta ora dilaga.
Il manifesto – 9
febbraio 2019
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