TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 4 maggio 2020

Di minestre di riso, comunisti feroci e amori sacrileghi





















Un amico ha chiesto su FB per una sua ricerca chi dei suoi contatti avesse frequentato la scuola dalle suore e quali ricordi ne avesse mantenuto. Gli ho risposto che io lo avevo fatto e da allora odiavo la minestra di riso. Ma la storia, come sempre accade, è molto più complessa.


Giorgio Amico

Di minestre di riso, comunisti feroci e amori sacrileghi

Mio padre era un militare, soggetto a frequenti trasferimenti. La cosa non fu senza conseguenza per la mia vita scolastica. Nell'autunno 1955 iniziai le elementari a Porto Maurizio, ma finii l'anno scolastico a Quiliano, in provincia di Savona, dove nel frattempo mio padre era stato trasferito a comandare la locale stazione dei carabinieri. A ottobre 1956 iniziai la seconda, ma a marzo 1957 ero già dall'altra parte della Liguria, ad Ameglia, ultimo comune prima della Toscana. Neanche il tempo di farmi delle amicizie, ricordo solo una bambina, molto carina, di nome Magda che abitava in una villotta vicino alla caserma. Alle Elementari di Ameglia finii la seconda, ma con esiti non proprio positivi.

A furia di cambiar scuole in due anni non avevo imparato quasi nulla. Ma quello del trasferimento forse è un alibi, a nascondere il mio istintivo rifiuto della disciplina scolastica. Infatti, mia sorella, che pure aveva subito le stesse perizie, non ne aveva particolarmente risentito. Comunque sia, mia madre, consigliata non so bene da chi, decise di iscriverci alla scuola privata gestita dalle suore che si diceva fornisse un insegnamento migliore della scuola pubblica ove avevamo frequentato gli ultimi mesi della seconda classe. Così ad ottobre 1957 io e mia sorella iniziammo a frequentare la terza nella nuova scuola. Il perché della stessa classe è semplice, io e mia sorella siamo gemelli.

L'orario era più lungo, ci si fermava a mensa e nel pomeriggio si facevano i compiti. Una mensa spartana. Da allora odio la minestra di riso piatto pressoché fisso e praticamente unico, spesso accompagnato da fettine di un formaggio, molto diverso dai nostri, salato e di un colore giallastro tendente all'arancione. Le suore lo estraevano da grandi latte con la scritta UNRA e il disegno di due mani che si stringevano. Chissà perché quel formaggio mi piaceva molto, tanto da ricordarne ancora oggi con nostalgia il sapore. Scoprii molti anni dopo, ormai adulto, che a dodici anni dalla fine della guerra stavamo smaltendo quello che restava degli aiuti alimentari inviati nel 1945-46 dal governo americano ad un'Italia in rovina ed affamata.

Sempre in quell'anno un bambino più grande, penso di quinta, mi fece provare a fumare la mia prima sigaretta. Vomitai per due ore. Era la primavera del 1958. In quell'anno si votava per le politiche. Le suore ci ripetevano spesso di dire a casa di non votare i comunisti che avrebbero chiuso le scuole cattoliche e le chiese. Ci chiedevano anche di pregare perché la Madonna proteggesse l'Italia dai "senzadio". Non so se la cosa abbia funzionato davvero, ma i comunisti non vinsero le elezioni e le scuole cattoliche restarono aperte. Non per noi, comunque. Mia madre, molto attenta al bilancio famigliare, decise che avevamo recuperato abbastanza e che era inutile continuare a pagare una retta per i tempi piuttosto salata. Così tornammo a frequentare la scuola pubblica.

La cosa non mi fece piacere. Mi ero fatto degli amici, ma soprattutto mi ero pazzamente innamorato della mia maestra, Suor Agnese, di cui ancora ricordo i bellissimi occhi azzurri e il sorriso dolce. Allora sognavo di portarla via dal convento e di fuggire con lei in paesi lontani, popolati da tigri e da indigeni feroci, come nei romanzi di Salgari di cui ero un lettore insaziabile.  Sarà per questo che ho sempre avuto un debole per le donne bionde e dagli occhi chiari, tanto da finire per sposarne una. Se poi anche la mia lunga militanza comunista sia stata il frutto perverso, ma alla fin fine logico, di quell'anno non so dire. Materia per strizzacervelli in cui non mi azzardo ad entrare.