TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 28 giugno 2022

Occupazioni oziose di una giornata troppo calda


Guccini, Cenne e Folgore, cantori dei dodici mesi

A metà della sua Canzone dei dodici mesi Francesco Guccini brinda a Cenne e Folgore, due poeti del dolce stil novo. E' un omaggio dovuto a chi lo aveva ispirato con con due bellissimi e poco conosciuti sonetti, dedicati ai dodici mesi dell'anno. Siamo di fronte ad una sorta di sfida poetica, accompagnata sicuramente da musica e vino e belle fanciulle. Il primo augura ai suoi amici e alle sue amiche le cose più belle che possano accadere nel corso dell'anno, tutte legate al ciclo delle stagioni e ai lavori dei campi. Il secondo si diverte a smontare tutto e, usando gli stessi materiali dell'amico Folgore, risponde augurando quanto di peggio possa esserci, donne brutte e vino cattivo.


Folgore da San Gimignano

Sonetto dei dodici mesi

A la brigata nobele e cortese
en tutte quelle parte, dove sono
con allegrezza stando, sempre dono
cani, uccelli e danari per ispese,
ronzin portanti, quaglie a volo prese,
bracchi levar, correr veltri a bandono:
in questo regno Niccolò corono,
per ch'ell'è 'l fior de la città sanese;
Tengoccio e Min di Tengo ed Ancaiano,
Bartolo con Mugàvero e Fainotto,
che paiono figliuoi del re Priàno,
prodi e cortesi più che Lancilotto;
se bisognasse, con le lance in mano
fariano tarneamenti a Camelotto.


I' doto voi del mese di gennaio
corte con fuochi di salette accese,
camere e letta d'ogni bello arnese,
lenzuol di seta e copertoi di vaio,
treggea, confetti e mescere a razzaio,
vestiti di doagio e di racese;
e 'n questo modo stare alle difese,
muova scirocco, garbino e rovaio;
uscir di fuor alcuna volta il giorno,
gittando della neve bella e bianca
alle donzelle che saran d'attorno;
e, quando la compagna fosse stanca,
a questa corte facciasi ritorno,
e sí riposi la brigata franca.

E di febbraio vi dono bella caccia
di cerbi, cavrïuoli e di cinghiari,
corte gonnelle con grossi calzari,
e compagnia che vi diletti e piaccia;
can da guinzagli e segugi da traccia,
e le borse fornite di danari,
ad onta degli scarsi e degli avari,
o chi di questo vi dà briga e 'mpaccia;
e la sera tornar co' vostri fanti
carcati della molta salvaggina,
avendo gioia ed allegrezza e canti;
far trar del vino e fumar la cucina,
e fin al primo sonno star razzanti;
e poi posar infin' alla mattina.

Di marzo sí vi do una peschiera
di trote, anguille, lamprede e salmoni,
di dentici, dalfini e storïoni,
d'ogn'altro pesce in tutta la riviera;
con pescatori e navicelle a schiera
e barche, saettíe e galeoni,
le qual vi portino a tutte stagioni
a qual porto vi piace alla primiera:
che sia fornito di molti palazzi,
d'ogn'altra cosa che vi sie mestiero,
e gente v'abbia di tutti sollazzi.
Chiesa non v'abbia mai né monistero:
lasciate predicar i preti pazzi,
ché hanno assai bugie e poco vero.

D'april vi dono la gentil campagna
tutta fiorita di bell'erba fresca;
fontane d'acqua, che non vi rincresca,
donne e donzelle per vostra compagna;
ambianti palafren, destrier di Spagna,
e gente costumata alla francesca
cantar, danzar alla provenzalesca
con istormenti nuovi d'Alemagna.
E d'intorno vi sian molti giardini,
e giacchito vi sia ogni persona;
ciascun con reverenza adori e 'nchini
a quel gentil, c'ho dato la corona
de pietre prezïose, le piú fini
c'ha 'l Presto Gianni o 'l re di Babilona.

Di maggio sí vi do molti cavagli,
e tutti quanti sieno affrenatori,
portanti tutti, dritti corritori;
pettorali e testiere di sonagli,
bandiere e coverte a molti intagli
e di zendadi di tutti colori;
le targe a modo delli armeggiatori;
vïuole e rose e fior, ch'ogn'uom v'abbagli;
e rompere e fiaccar bigordi e lance,
e piover da finestre e da balconi
in giú ghirlande ed in su melerance;
e pulzellette e giovani garzoni
baciarsi nella bocca e nelle guance;
d'amor e di goder vi si ragioni.

Di giugno dovvi una montagnetta
coverta di bellissimi arbuscelli,
con trenta ville e dodici castelli
che sieno intorno ad una cittadetta,
ch'abbia nel mezzo una fontanetta;
e faccia mille rami e fiumicelli,
ferendo per giardini e praticelli
e rinfrescando la minuta erbetta.
Aranci e cedri, dattili e lumìe
e tutte l'altre frutte savorose
impergolate sien su per le vie;
e le genti vi sien tutte amorose,
e faccianvisi tante cortesie,
ch'a tutto 'l mondo sieno grazïose.

Di luglio in Siena, in su la Saliciata,
con le piene inguistare de' trebbiani;
nelle cantine li ghiacci vaiani,
e man e sera mangiare in brigata
di quella gelatina ismisurata,
istarne arrosto e giovani fagiani,
lessi capponi e capretti sovrani,
e, cui piacesse, la manza e l'agliata.
Ed ivi trar buon tempo e buona vita,
e non uscir di fuor per questo caldo;
vestir zendadi di bella partita;
e, quando godi, star pur fermo e saldo,
e sempre aver la tavola fornita,
e non voler la moglie per castaldo.

D’agosto sí vi do trenta castella
in una valle d’alpe montanina,
che non vi possa vento di marina,
per istar sani e chiari come stella;
e palafreni da montare in sella,
e cavalcar la sera e la mattina;
e l’una terra all’altra sia vicina,
ch’un miglio sia la vostra giornatella,
tornando tuttavïa verso casa;
e per la valle corra una fiumana,
che vada notte e dí traente e rasa;
e star nel fresco tutta meriggiana;
la vostra borsa sempre a bocca pasa,
per la miglior vivanda di Toscana.

Di settembre vi do deletti tanti:
falconi, astori, smerletti, sparvieri;
lunghe, gherbegli, geti con carnieri,
bracchetti con sonagli, pasto e guanti;
bolze, balestre dritt'e ben portanti,
archi, strali, ballotte e ballottieri,
sianvi mudati guilfanghi ed astieri
nidaci e di tutt'altri uccel volanti,
che fosser boni da snidar e prendere:
e l'un e l'altro tuttavia donando,
e possasi rubar e non contendere;
quando con altra gente rencontrando,
la vostra borsa si' acconcia a spendere
e 'n tutto abbiate l'avarizia en bando.

Di ottobre nel contà c'ha buono stallo,
e' pregovi, figliuoi, che voi n'andate;
traetevi bon tempo ed uccellate
come vi piace, a piè ed a cavallo.
La sera per la sala andate a ballo,
e bevete del mosto ed inebriate,
ché non ci ha miglior vita, en veritate:
e questo è vero come 'l fiorin giallo.
E poscia vi levate la mattina,
e lavativ'el viso con le mani;
lo rosto e 'l vino è bona medicina.
A le guagnele, starete più sani,
ca pesce in lag' o fiume o in marina,
avendo meglior vita di cristiani!

E di novembre a Petriuolo al bagno,
con trenta muli carchi de moneta:
la ruga sia tutta coverta a seta;
coppe d'argento, bottacci di stagno:
e dar a tutti stazzonier guadagno;
torchi, doppier che vegnan di Chiareta;
confetti con cedrata de Gaeta;
e béa ciascun e conforti 'l compagno.
E 'l freddo vi sia grande e 'l foco spesso;
fagiani, starne, colombi, mortiti,
levori, cavrioli rosto e lesso:
e sempre aver acconci gli appetiti;
la notte 'l vento, 'l piover a ciel messo:
e siate ne le letta ben forniti.

E di decembre una città in piano:
sale terrene, grandissimi fochi,
tappeti tesi, tavolier e giochi,
torticci accesi, star co' dadi en mano,
e l'oste inebriato e catellano,
e porci morti e finissimi cochi,
ghiotti morselli, ciascun béa e mandochi:
le botte sian maggior che San Galgano.
E siate ben vestiti e foderati
di guarnacche, tabarri e di mantegli
e di cappucci fini e smesurati;
e beffe far de' tristi cattivegli,
de' miseri dolenti sciagurati
avari: non vogliate usar con egli.

Sonetto mio, a Niccolò di Nisi,
colui ch'è pien di tutta gentilezza,
di' da mia parte con molt'allegrezza
che eo so acconcio a tutti soi servisi;
e più m'è caro che non val Parisi,
d'avere sua amistade e contezza:
se ello avesse emperial ricchezza,
stare' lì me' che San Francesco en Sisi.
Raccomendame e lui tutta fiata
ed a la so' compagna ed Ancaiano,
ché senza lui non è lieta brigata.
Folgore vostro da San Giminiano
vi manda, dice e fa questa ambasciata:
che voi n'andaste con su' cor en mano.


Cenne da la Chitarra

Risposta per contrarî ai sonetti de’ mesi di Folgore da San Geminiano


Ala brigata avara senza arnesi:
in tutte quelle parti dove sono,
davanti a’ dadi e tavolier’ li pono
perché al sole stien tutti distesi;
e in camicia stieno tutti i mesi
per poter più leggèr’ ire al perdono;
entro la malta e ’l fango gl’imprigiono,
e sien domati con diversi pesi.
E Paglierino sia lor capitano;
e abbia parte di tutto lo scotto,
con Benci e Lippo savio da Chianzano,
Senso da Panical ch’ha leggier trotto.
Chi lo vedesse schermir giuso al piano,
ciascun direbbe: «E’ pare un anitrotto».

Io vi doto, del mese di gennaio,
corti con fumo al modo montanese,
letta qual’ ha nel mare il genovese,
acqua e vento che non cali maio,
povertà di fanciulle a colmo staio,
da ber aceto forte galavrese
e stare come ribaldo in arnese,
con panni rotti senza alcun denaio.
Ancor vi do così fatto soggiorno:
con una vecchia nera, vizza e ranca,
catun gittando de la neve a torno;
apresso voi seder in una banca,
e resmirando quel so viso adorno;
così riposi la brigata manca.

Di febbraio vi metto in valle ghiaccia
con orsi grandi vecchi montanari,
e voi cacciando con rotti calzari;
la nieve metta sempre e si disfaccia;
quel che piace a l’uno a l’altro spiaccia:
con fanti ben ritrosi e bacalari;
tornando poi la sera ad osti cari,
lor moglie tesser tele ed ordir accia.
E ’n questo vo’ che siate senza manti,
con vin di pome, che stomaco affina;
in tal’ alberghi gran sospiri e pianti,
tremuoti, venti; e no sia con ruina,
ma sian sì forti, che ciascun si smanti
da prima sera enfino la mattina.

Di marzo vi riposo in tal manera:
in Puglia piana, tra molti lagoni,
e ’n essi gran mignatte e ranaglioni;
poi da mangiar abbiate sorbe e péra,
olio di noci vecchio, mane e sera,
per far caldegli, arance e gran cidroni;
barchette assai con remi e con timoni,
ma non possiate uscir de tal rivera;
Case de paglia con diversi razzi;
da bere vin gergon, che sia ben nero;
letta di schianze e di gionchi piumazzi.
Tra voi signore sia un priete fero,
che da nessun peccato vi dislazzi;
per ciascun loco v’abbia un munistero.

Di aprile vi do vita senza lagna:
tafani a schiera con asini a tresca,
ragghiando forte, perché non v’incresca,
quanti ne sono in Perosa o Bevagna;
con birri romaneschi di Campagna
e ciaschedun di pugna sì vi mesca:
e, quando questo a gioco non rïesca,
restori i marri de’ pian de Romagna.
Per danzatori vi do vegli armini,
una campana, la qual peggio sona,
stormento sia a voi, e non refini.
E quel che ’n millantar sì largo dona,
en ira vegna de li soi vicini,
perché di cotal gente sì ragiona.

Il maggio voglio che facciate en Cagli
con una gente di lavoratori,
con muli e gran destrier’ zoppicatori:
per pettorali forti reste d’agli.
Intorno questo sìanovi gran bagli
di villan scapigliati e gridatori,
de’ qual’ resolvan sì fatti sudori,
8che turben l’aire sì che mai non cagli;
altri villan poi facendovi mance
di cipolle porrate e di marroni,
1usando in questo gran gavazze e ciance:
in giù letame ed in alto forconi;
vecchie e massai baciarsi per le guance;
di pecore e di porci si ragioni.

Di giugno siate in tale campagnetta,
che ve sieno corbi ed argironcelli;
le chiane intorno senza caravelli:
entro nel mezzo v’abbia una isoletta,
de la qual esca sì forte venetta,
che mille parte faccia e ramicelli
d’aqua di solfo, e cotai gorgoncelli,
8sì ch’ella adacqui ben tal contradetta.
Sorbi e pruni acerbi siano lìe,
nespole crude e cornie savorose;
le rughe sian fangose e strette vie;
le genti vi sian nere e gavinose,
e faccianvisi tante villanie,
che a Dio ed al mondo sïano noiose.

Di luglio vo’ che sia cotal brigata
en Arestano, con vin di pantani,
con acque salse ed aceti soprani,
carne di porco grasso apeverata;
e poi, diretro a questo, una insalata
di salvi’ e ramerin, per star più sani,
carne de volpe guascotta a due mani
e, a cui piacesse, drieto cavolata;
con panni grossi lunghi d’eremita:
e sia sì forte e sì terribil caldo
1com’ha il solleone a la finita;
ed un brutto converso per castaldo,
avaro, che si apaghi di tal vita:
la moglie a ciaschedun sia’n manovaldo.

D’agosto vi reposo en aire bella,
en Sinegallia, che me par ben fina;
il giorno sì vi do, per medicina,
che cavalcate trenta migliatella,
e tutti en trottier’ magri senza sella,
sempre lung’ a un’acqua de sentina;
da l’altra parte si faccia tonnina,
8poi ritornando a poso di macella.
E, se ben cotal poso non vi anasa,
mettovi en Chiusi la città sovrana,
1sì stanchi tutti da non disfar l’asa;
la borsa di ciascuno stretta e vana,
e stare come lupi a boc[c]a pasa,
tornando in Siena un dïe la semana.

Di settembre vi do gioielli alquanti:
àgor’ e fusa, cumino et asolieri;
nottol’ e chieppe con nibbi lanieri;
archi da lana bistorti e pesanti;
barbagianni, assïuoli allocchi tanti
quanti ne son de qui a Monpeslieri;
guanti di lana, borsa da braghieri,
stando così a vostre donne davanti.
E sempre questo comparar e vendere
con tal mercadantìa il più usando;
e di settembre tal diletto prendere;
e per Siena entro gir alto gridando:
«Muoia chi cortesïa vuol defendere,
ch’i Salimbeni antichi li diêr bando».

D’ottobre vi conseglio senza fallo
che ne la Falterona dimorate,
e de le frutta, che vi so’, mangiate
a riglie grand’, e non vi canti gallo.
Chiare vi son l’acque come cristallo;
or bevete, figliuoli, e restorate;
uccellar bono v’è a’ varchi, en veritate,
ché farete nel collo nervo e callo,
in quell’aire, ched è sottile e fina:
ben stanno en Pisa più chiari i pisani,
e ’l genovese lungo la marina.
Prendere ’l mi’ consegl’ non siate vani:
arosto vi darò mésto con strina,
che ’l sentiranno i piedi con le mani.

Di novembre vi metto in un gran stagno,
in qual parte più pò fredda pianeta,
con quella povertà che non si acqueta
di moneta acquistar, che fa gran danno.
Ogni buona vivanda vi sia in banno;
per lume, facelline da verdeta;
castagne con mele aspre di Faeta:
istando tutti ensieme en briga e lagno.
E fuoco non vi sia, ma fango e gesso,
se no ’n alquanti luochi di romiti
che sia di venti miglia lo più presso;
di vin e carne del tutto sforniti:
schernendo voi qual è più laido biesso,
veggendovi star tutti sì sguarniti.

Di dicembre vi pongo in un pantano
con fango, ghiaccia ed ancor panni pochi;
per vostro cibo fermo fave e mochi;
per oste abbiate un troio maremmano;
un cuoco brutto, secco, tristo e vano,
che vi dia colli guascotti e, que’, pochi:
e qual tra voi ha lumi, dadi o rochi
tenuto sia come tra savi un vano.
Panni rotti vi do e debrilati;
apresso questo, onn’omo en capegli;
bottacci di vin montanar fallati.
E chi ve mira sì se meravegli,
vedendovi sì brutti e rabuffati,
tornando in Siena così bei fancegli.