TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 25 aprile 2025

Così hanno scritto di mio padre, brigadiere dei carabinieri e comandante partigiano

 



25 Aprile 2025

Così hanno scritto di mio padre, brigadiere dei carabinieri e comandante partigiano


È noto il sacrificio di Salvo D’Acquisto, che con un gesto nobilissimo si fa uccidere a 22 anni per evitare la rappresaglia dopo un attentato che non ha commesso. Quasi ignota è la vicenda dei tre martiri di Fiesole.

Nel borgo che domina Firenze, il capo della Resistenza è il comandante della stazione dei carabinieri, Giuseppe Amico, vicebrigadiere. Guida una delle otto squadre della quinta brigata che presidia la zona, divenuta nell’estate 1944 teatro della battaglia per la liberazione della città. Con lui ci sono i carabinieri Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti, Alberto La Rocca, Pasquale Cifini e Sebastiano Pandolfo. Nascondono i partigiani e gli ex prigionieri di guerra inglesi, compiono azioni di guerriglia.

Il 27 luglio Giuseppe Amico riceve una comunicazione radio in codice: il giorno dopo arriverà una staffetta con due messaggi, uno per i carabinieri di Fiesole e l’altro da consegnare al comando della brigata Rosselli. Il plico arriva la sera del 28 luglio. Lo porta il partigiano Rolando Lunari, 19 anni, nome di battaglia Bomba. L’appuntamento con la staffetta della brigata Rosselli è alla chiesa di San Clemente. Bomba è scortato da tre carabinieri: Pandolfo, Sbarretti e Ciofini, che porta il messaggio nella scarpa sinistra. Davanti a San Clemente però ci sono i tedeschi: i carabinieri e il partigiano sparano e lanciano bombe a mano, Bomba e Pandolfo sono feriti, i nazisti li catturano e li fucilano dopo un giorno e una notte di torture.

Ormai i tedeschi sospettano delle divise di Fiesole. Il comandante Amico viene convocato dal tenente Hans Hiesserich. Ovviamente nega. Capisce che Ciofini sta per essere arrestato; gli ordina di fuggire e unirsi ai partigiani.

Il fronte è sempre più vicino, i tedeschi si sentono in trappola: Amico e i civili sospettati di aiutare i ribelli sono arrestati e condotti al passo del Giogo, sulla linea gotica. Viene emanato un bando: tutti gli uomini tra i 17 e i 45 anni devono presentarsi; i renitenti saranno passati per le armi. Molti fuggono. Tra coloro che si presentano, i nazisti scelgono dieci ostaggi, li chiudono nel sottoscala dell’albergo Aurora e annunciano che in caso di attentati li fucileranno.

La situazione precipita. L’ottava armata è alle porte di Firenze; con gli inglesi combattono due compagnie di carabinieri, comandate dai capitani Mariano Piazza e Fausto Maria Gradoli. Il comandante Amico riesce a scappare e a unirsi ai giellisti, e ordina ai suoi uomini rimasti a Fiesole di raggiungerlo: siccome l’occupante ha imposto il coprifuoco, si travestiranno da Fratelli della Misericordia, gli unici ancora autorizzati a muoversi per assistere feriti e malati. Marandola, Sbarretti e La Rocca sotterrano le armi e raggiungono la confraternita dei frati per procurarsi il saio, ma anche lì ci sono tedeschi dappertutto; allora si nascondono tra i resti del teatro romano.

Quando il tenente Hiesserich si accorge che i carabinieri sono spariti, ha la conferma dei suoi sospetti. Furibondo, convoca il segretario comunale, Luigi Oretti, con l’impiegato Raffaello Neri, e grida all’interprete, Silvio Boninsegni, che farà uccidere i dieci ostaggi se i carabinieri non si consegneranno subito: «O saranno fucilati loro, o saranno fucilati i civili». Il segretario comunale si affida al vescovo, monsignor Giovanni Giorgis, che chiede al custode della confraternita di rintracciare i carabinieri perché scelgano della sorte propria e altrui.

Marandola viene informato dell’ultimatum nazista. Si consulta con i commilitoni. Il pomeriggio del 12 agosto 1944, una bellissima giornata di sole, i fiesolani vedono passare i tre carabinieri che vanno di loro spontanea volontà incontro alla morte. Hanno deciso di presentarsi al comando tedesco, pur sapendo quello che li attende.

Il tenente li interroga; loro rispondono che sono lì soltanto per salvare la vita dei dieci ostaggi, e non aggiungeranno altro. Forse per l’ira, forse perché capisce che non otterrà nulla, Hiesserich ordina di fucilarli subito. Non osa torturare quei coraggiosi, come si fa in questi casi, ma non ha neppure la nobiltà d’animo di salvare loro la vita.

Alle sette e mezza di sera Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti e Alberto La Rocca vengono chiusi in un seminterrato dell’albergo Aurora, lo stesso degli ostaggi per cui si sono sacrificati. Tre quarti d’ora dopo, i dieci uomini di Fiesole sentono i carabinieri gridare «Viva l’Italia!»; subito dopo, due raffiche di mitra, poi tre colpi di pistola.


Aldo Cazzullo, Possa il mio sangue servire, Rizzoli 2015



martedì 22 aprile 2025

Bergoglio. Una biografia politica

 



Papa Bergoglio è stato sicuramente una grande figura. Come Wojtila e, forse anche di più visto la relativa brevità del suo mandato, ha saputo rimettere la Chiesa cattolica al centro del mondo e suscitare al suo interno fermenti vivi. Va però tenuto conto che la grande popolarità anche, o forse soprattutto a sinistra, di papa Francesco è dovuta più che ai suoi pronunciamenti religiosi alle sue prese di posizioni politiche. Bergoglio è stato un papa politico. Ma al di là dei discorsi generici sulla pace e sulle periferie del mondo, quale era la sua autentica visione politica? Quanto ha contato nella sua formazione l'essere argentino e dunque il peronismo nella sua accezione populista? Fondamentale ci pare a questo fine un libro appena uscito di Loris Zanatta, professore ordinario di Storia dell'America Latina presso il dipartimento di Scienze politiche dell'Università di Bologna. Noi lo abbiamo trovato estremamente interessante. Ne riportiamo l'introduzione.


Papa Francesco è un papa politico. Quante volte l’abbiamo sentito dire? Con empatia dagli estimatori, con antipatia dai critici. A rigore, tutti i papi sono politici poiché politica, in senso lato, è la loro carica. Lui di più. Lo rivendica. È vero, risponde evocando Aristotele: faccio Politica. Non è dunque abusivo scrivere la storia politica di Jorge Mario Bergoglio. Una storia argentina per i primi 77 anni di vita, poi globale. Com’è il Bergoglio politico? Cosa pensa, come agisce? Con quali fini, quali risultati? Come s’è formato, com’è cambiato? C’è Politica alta senza bassa politica?

A onor del vero, una storia politica di Bergoglio è quasi impossibile. Dove stanno le carte, la materia prima dello storico? Salvo poche cose, sono inaccessibili, secretate. La corrispondenza da provinciale gesuita negli anni ’70, da rettore del Colegio Máximo negli anni ’80, da vescovo e arcivescovo di Buenos Aires poi, da papa infine: poco o niente. È come pescare un’anguilla con le mani, inseguire un sottomarino che ora affiora ora scompare.

Perché farlo, allora? Perché non lasciare il compito agli storici del futuro? Per due motivi. Il primo è che, eletto papa, Bergoglio è nella storia e la sua storia interessa ai contemporanei. Il secondo è che le biografie esistenti coltivano l’apologia più della storiografia. A mio parere distorcono il contesto storico, ne danno un’immagine mistificata. Alcune rasentano il culto della personalità: Bergoglio è sereno e giocoso, umile e umanitario. Ha “talento di scrittore”. Al suo cospetto la gente è “euforica, esultante”, sente che è “uno di noi”. Che emozione “indimenticabile, incredibile, inimmaginabile” incontrarlo! Cosa aggiungere “a tanta modestia, lucidità e intelligenza?” Cosa dire di “una delle personalità intellettuali e religiose più eccezionali del mondo”? Così per pagine e pagine, volumi e volumi. Toni da intimidire dissensi, scacciare dubbi, sconsigliare critiche.

Per chiarire: le biografie sono utili, colme di spunti interessanti. Ma vanno prese cum grano salis. Scritte per l’occasione, talvolta da autori digiuni di storia argentina, dipendono oltremisura da fonti ricche ma scivolose: le testimonianze. Sono affidabili? Quanti vecchi amici, quanti intimi conoscenti, quanti studenti, compagni, confidenti di Bergoglio sono spuntati! Tutti ansiosi di condividere un ricordo, di ricamare su un evento, di arrotondare uno spigolo. Chi, in Argentina, non l’ha prima o poi incontrato? Chi non desidera aggiungere la sua candelina alla torta? È umano. Tutti meno gli avversari: spariti! Eppure ne ha avuti tanti. Umani anch’essi: meglio tacere che rivangare il passato se in passato hai pestato i piedi al futuro papa.

La mia storia non sarà migliore, ma diversa sì. Molto diversa. Ancora per due motivi. Il primo è che studio la storia politica della Chiesa argentina dal 1989. Per caso. Quante giornate negli archivi ecclesiastici, sulle riviste cattoliche, sui bus da un capo all’altro del paese! Col mondo di Bergoglio ho familiarità. Ciò non mi rende più attendibile di altri, ma forse meno disorientato di alcuni. Il secondo motivo è che non scrivo storia sacra ma storia profana, scrivo storia politica non storia religiosa. La Chiesa si concepisce un soggetto salvifico differente da ogni altro soggetto storico. Libera di farlo. Libero io di sottrarmi a tale pretesa per studiare le implicazioni politiche del “proposito salvifico” di Bergoglio. E di farlo impiegando il normale linguaggio delle scienze umane e sociali, non il linguaggio iniziatico della storia confessionale.

Svelerò l’arcano che tanto appassiona? Spiegherò se Bergoglio è di destra o di sinistra? No. In questo libro quelle parole non ci sono. Se non per sminuirne la portata. Non m’importa che siano nobilitate da grandi autori. Né che le pronunci il papa. Sono critico ma non sadico! Non gli farò il torto di rinchiuderlo in gabbie così anguste, di imporgli etichette così dozzinali. Merita uno scenario più vasto e ambizioso. Locale e universale, la sua storia politica è un pettine dove s’intrecciano i grandi nodi della storia contemporanea. Sul piano storico l’eterno bivio tra Atene e Gerusalemme, città di Dio e città dell’Uomo, cristianità e laicità. Su quello filosofico la tensione tra monismo e pluralismo, comunitarismo e individualismo. Su quello economico tra economia e teologia, mercato e Stato, ricchezza e morale. Su quello politico tra messianismo e riformismo, populismo e liberalismo. C’è un mondo nella storia di Bergoglio, una storia nel mondo di Bergoglio.

La sua storia politica è inseparabile dalla sua storia intellettuale. Da ciò la centralità del nesso tra idee e azioni, parole e fatti. Sarà immune al rischio che i buoni principi lastrichino vie infernali? All’incoerenza tra mezzi e fini? “La realtà è superiore all’idea”, dice. Lo prenderò in parola, ne passerò al setaccio la parabola, ne valuterò gli effetti su pace e guerra, democrazia e autoritarismo, prosperità e povertà. Il principio di realtà, sempre necessario, lo è ancor più dinanzi a una personalità poliedrica, spesso indecifrabile. Una personalità “gesuitica”, affascinante o irritante a seconda dei gusti e delle sensibilità.

Un’ultima istruzione, un modesto consiglio: non cerchiate complotti. Energia sprecata, non ci sono. Capisco la tentazione di invocare papi contro papi, fazioni cattoliche contro fazioni cattoliche. Da quando ne scrivo mi hanno accostato alle compagnie più bizzarre! A scanso d’equivoci: non sono credente, non appartengo ad alcuna Chiesa, non ho partiti né scuole. Si può approvare senza arruolare, dissentire senza scomunicare. Questo libro è il mio modesto manifesto laico in un’epoca in cui la laicità è chiamata con disprezzo “laicismo”. Un’epoca di “ritorno delle religioni” sulla scena pubblica che, come ogni altra in cui tale ritorno è avvenuto, distilla violenza e intolleranza, fanatismo e messianismo.


lunedì 14 aprile 2025

Le radici antisemite della lotta della Chiesa contro la Massoneria (1896)

 

Il quaderno riprende un articolo apparso con grande rilevo nel 1896 sulla rivista dei Gesuiti “La Civiltà cattolica”, che illustra fin dal titolo "Le Logge israelitiche segrete. Pienamente illustrate” come alla radice della violenta polemica scatenata dalla Chiesa cattolica contro la Massoneria nell'Italia di fine Ottocento covasse un profondo sentimento antisemita. Ê proprio questo antisemitismo viscerale a rendere importante la conoscenza di questo testo, rivelatore di una cultura, quella dei vertici della chiesa cattolica, che sarà poi largamente recuperata e valorizzata in funzione antiebraica dal regime fascista. Non a caso la messa fuorilegge della Massoneria fu premessa fondamentale dei successivi Patti Lateranensi, così come le disposizioni antiebraiche ne furono una diretta conseguenza.  


Il Quaderno è liberamente consultabile e scaricabile al link: www.academia.edu


martedì 8 aprile 2025

Light Maya Zignone

 


Sede Sanpaolo Invest via Ceccardi 13r – Genova
10 aprile | 27 giugno 2025
inaugurazione: giovedì 10 aprile 2025 ore 18
mostra visitabile da lunedì a venerdì dalle 14 alle 17,
altri orari su appuntamento tel. 393 337 0626
visite guidate su prenotazione tel. 338 176 1753


Sanpaolo Invest ospita, dal 10 aprile 2025, “Light”, una mostra personale di Maya Zignone. Da molti anni Sanpaolo Invest ospita nelle proprie sedi lavori di artisti contemporanei. La lunga tradizione che lega il mondo delle banche a quello dell’arte si rinnova alla luce di una sensibilità che intende non opporre, ma al contrario integrare, i concetti di business e cultura. Ed è proprio a partire da tale approccio che da giovedì 10 aprile 2025 si potranno ammirare nei nuovi e prestigiosi spazi di via Ceccardi la mostra personale di Maya Zignone.

L’artista espone negli spazi a piano terra e nel salone al piano interrato 15 lavori di cui 12 installazioni, 2 dipinti su cartoncino e 1 dipinto su tela, La luce è un messaggio dell’universo.

Le arti sono messaggi di luce.

Peter Weibel

Nel suo lavoro Maya Zignone analizza principalmente i meccanismi del pensiero e della percezione, individuando come riferimento le potenzialità linguistiche e concettuali della vibrazione luminosa della luce e lo spazio come luogo in cui il tempo è sospeso.

Lavora sul vuoto e sulle energie che lo attraversano. Le sue scenografie luminose si traducono in luoghi di relazione che abitano la nostra quotidianità. Fragilità ed effimero sono parte integrante della sua opera fatta di segni di luce che riportano a codici espressivi nuovi. La sua pratica artistica combina con fluidità luce, fotografia, suono, installazione, video che diventano perno espressivo della sua ricerca.

Nell’epoca della Rivoluzione industriale, la pittura è divenuta schermo. Un dipinto rappresenta la luce; uno schermo riceve la luce e la irradia. La luce non è stata più catturata ma diffusa. L’opera d’arte è divenuta fonte o emissione di luce”. Con queste parole Peter Weibel iniziava, nella pubblicazione che ha accompagnato la mostra Light Art from Artificial Light (ZKM, Karlsruhe 2005-2006), il proprio saggio sullo sviluppo della Light Art tra il XIX secolo (quando Eugène Chevreul pubblica il volume De la Loi du Contraste Simultané des Couleurs e William Ramsay isola il neon) e l’avvio del XXI, non senza rimarcare come nella seconda metà del Novecento, a partire dalle sperimentazioni di Gyula Kosice (1946) e di Lucio Fontana (1948), l’impiego della luce artificiale abbia dato luogo ad una molteplicità di esperienze artistiche, tali da avvalorare senza incertezze l’affermazione di un pioniere come Làszlò Moholy-Nagy: “Questo secolo appartiene alla luce”.

In questo ambito così ricco e fertile, procede ormai da una ventina d’anni il lavoro di Maya Zignone, la cui specificità e ricerca giunge a dar vita a un discorso scandito su una ineludibile ricerca della spazialità. Un aspetto, questo, che si legge chiaramente in Metropolis (2011), esposta al piano terra, sullo sfondo costituito da immagini fotografiche delle Acciaierie Ilva di Cornigliano, il tratto del neon, inizialmente involuto e in ultimo liberato in un movimento ascendente, segnala nella trasparenza verdina la metamorfosi ambientale generata dallo spegnimento degli altoforni.

Nel progetto Alone 1.2.3. (2008), esposto al piano interrato insieme agli altri lavori alcuni dei quali di seguito citati, la sovrapposizione dei tracciati luminescenti alle immagini sfocate di figure risultano una sorta di inabissamento dell’io, ridotto all’anonimità spoglia della sua traccia schematica. Il tratto ricorsivo del tempo inscritto nel grande cerchio di metallo che incornicia S.T.1 (2023) è come arrestato, nel suo fluire, da due barre verticali di neon che, con la loro tonalità di rosso carico, vi aggiungono una intima nota emozionale. emerge l’attenzione prestata dall’artista alle interferenze tra le fonti di luce e i differenti materiali impiegati; nel contempo si avverte il dispiegarsi di una dimensione introspettiva, in cui la percezione auratica indotta dalla vibrazione luminosa e dal timbro cromatico si lega al dato concettuale depositato nella forma.

Nel lavoro di Maya Zignone il neon, questo “paradigma della modernità” - come l’ha definito Jacqueline Ceresoli - si rivela nella sua duplice natura materiale e immateriale, sensoriale e cognitiva; qui misurandosi gli spazi di Fideuram, ne modifica la fisionomia ridisegnandone gli spazi, come fossero la scena di un “affective artifact” (Giulia Piredda), dispositivo capace di modificare la condizione dello spettatore, “contribuendo così alla sua vita affettiva”.

Sandro Ricaldone


Maya Zignone nasce a Genova dove lavora, vive a Recco Dopo gli studi artistici si specializza in ceramica a Faenza, in grafica e comunicazione visiva a Genova e a Milano, lavora diversi anni nel campo della grafica e della pubblicità. Per tre anni pratica lo studio dell’artista Piergiulio Bonifacio. Dal 2003 espone in gallerie e istituzioni pubbliche in Italia, Francia, Svizzera, Slovenia, Germania, Finlandia, Bulgaria e Slovacchia. Partecipa a diversi concorsi, finalista al Concorso Internazionale Two Call for Vajont-Dolomiti Contemporanee e al Magmart International VideoArt Festival. Nel 2023 è invitata alla Biennale Latitudini dell’Arte, Studio1 Kunstquartier Bethanien a Berlino.

Castoriadis et l'institution imaginaire de la société

 Commemorazione a Parigi.

Ricorre il 50° anniversario della prima edizione de "L'istituzione immaginaria della società". Punto di arrivo di decenni di riflessione critica e, anche, un'opera seminale, punto di partenza dei due grandi progetti non finiti di Castoriadis, "La creazione umana" e "L'elemento immaginario".




mercoledì 26 marzo 2025

Il processo ai comunisti italiani (1923)


 

Nel 1923 il neonato regime fascista cercò di liquidare il Partito comunista, arrestandone in massa i dirigenti nazionali e locali. Al termine del processo, terminato con un sostanziale nulla di fatto, la Libreria Editrice del PCI ne pubblicò integralmente gli atti in un volume che con il presente quaderno rendiamo disponibile a chiunque voglia approfondire la conoscenza dei primi anni di vita del partito.

Il quaderno è liberamente consultabile e scaricabile dal sito www.academia.edu

martedì 25 marzo 2025

La Quarta Internazionale, la situazione italiana e la nascita dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari (1949)


 

Questo intervento di Ernest Mandel (firmato con lo pseudonimo di Ernest Germain) sulla situazione dell'Italia del 1949 venne redatto mentre la Quarta Internazionale sviluppava con Livio Maitan e un piccolo gruppo di giovani militanti fuoriusciti dal PSLI saragattiano le linee guida per la nascita dei Gruppi Comunisti Rivoluzionari. Come si evince anche dai toni trionfalistici, peraltro tipici dell'intera attività pubblicistica dell'autore, Mandel e il Segretariato della Quarta Internazionale consideravano la situazione italiana “eccellente” e dunque particolarmente propizia alla costruzione in tempi rapidi di una organizzazione trotskista in grado di influenzare in senso rivoluzionario il movimento di classe ed in particolare il PCI. Una visione condivisa in pieno dal giovane Maitan: La storia travagliata dei GCR dimostrerà fin dai primi passi della sezione italiana della Quarta Internazionale quanto illusorie e volontaristiche fossero queste speranze.


Il quaderno è liberamente consultabile e scaricabile dal sito www.academia.edu

sabato 22 marzo 2025

Una certa idea di Europa

 


Si parla molto in questi giorni di "radici dell'Europa". I più ne parlano con i modi e i toni delle tifoserie da stadio, Altri, pochi, lavorando sulla Memoria. Il contributo che segue è uno dei pochi che meritano di essere letti.


Jack Cucci*

Una certa idea di Europa

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Samuel Beckett preferisce tornare nella Parigi in guerra che restare nella Dublino in pace. In quel periodo, sta vivendo una specie di crisi creativa. E pensa che grazie alla compagnia di artisti come Francis Picabia potrà finalmente trovare la sua strada. Presto, però, si trova a collaborare con la figlia del dadaista, Gabrielle Martinez-Picabia, responsabile della rete antinazista Gloria. Nell’organizzazione, Beckett ha il ruolo di traduttore e nasconde i documenti segreti tra le sue scartoffie, convinto che nessuno avrebbe ficcato il naso in mezzo a quelle pagine. Un giorno del 1942, però, i nazisti, grazie alle soffiate di un delatore, smantellano Gloria. Beckett riesce a sfuggire all’arresto per un pelo e scappa, con la sua compagna, a Roussillon. Di solito, si fa risalire la sua ossessione per l’assurdità dell’esistenza a un’aggressione subita, senza alcun motivo, qualche anno prima. Ma forse ha avuto il suo peso il fatto che, per puro caso, lui si sia salvato e parecchi suoi compagni della rete Gloria siano morti nei campi di concentramento di Mauthausen o Buchenwald. Ad ogni modo, dopo la fine del conflitto, Beckett non parlerà quasi mai del suo contributo alla resistenza e arriverà a derubricarlo a un lavoro da boy scout.

Nello stesso anno in cui lo scrittore si ritira dalla lotta, a Limoges, entra nella resistenza un altro artista: Marcel Mangel. Attore di professione, Mangel è di famiglia ebrea polacca e aderisce al gruppo Francs-tireurs et partisans. Da partigiano, usa un nome falso che presto diventerà il suo nome d’arte: Marceau. Il suo compito principale nella resistenza è quello di portare in Svizzera decine di bambini ebrei. E proprio grazie alle sue doti da mimo rende il viaggio meno angosciante ai piccoli. Marceau, però, non è solo una guida ma anche un combattente e partecipa a una serie di scontri armati contro i tedeschi. Alla fine della guerra, dopo la morte di suo padre ad Auschwitz, il mimo si consacrerà a una sorte di arte del silenzio. E forse terrà chiusa la bocca per l’impossibilità di trovare le parole adatte a descrivere tutto quello che hanno visto i suoi occhi.

Sempre nel 1942, a Lione, entra nell’organizzazione Franc-Tireur lo storico Marc Bloch. In realtà, Bloch si rende conto della degenerazione della situazione, tempo prima, quando vede suo figlio giocare ai soldatini in una battaglia campale tra francesi e tedeschi. Bloch, in effetti, ha una capacità unica di capire da un dettaglio il contesto generale. Ma non rinuncia mai a sottoporre le sue intuizioni fulminanti alla prova dei fatti. E la prova dei fatti non tarda ad arrivare con l’invasione tedesca della Francia. Così, da veterano della prima guerra mondiale, Bloch partecipa alla seconda per combattere i nazisti nell’esercito regolare. Poi arriva il momento di scegliere la resistenza e uno come lui non può mancare l’appuntamento con la storia. Più vecchio di Marceau e di Beckett, Bloch non ha propriamente il phisique du role del sovversivo. Ma, presto, nell’organizzazione resistenziale, passa da compiti di manovalanza a ruoli di primordine, grazie a un’intelligenza e una preparazione fuori dal comune. Di origine ebraica, Bloch si sente francese al cento percento. E secondo alcune ricostruzioni prima di essere fucilato dai nazisti avrebbe gridato “Viva la Francia”. Per rendere giustizia a uno storico scrupoloso di quel calibro, bisogna dubitare di certe voci senza pezze d’appoggio. Ma poniamo che sia successo. Poniamo che Bloch abbia gridato “Viva la Francia”, un attimo prima di essere ucciso. Chi, in tutta onestà, riuscirebbe a vedere nazionalismo o sciovinismo in quel “Viva la Francia”? Chi potrebbe leggere in quelle parole tracce di suprematismo o di bellicismo? Beh se fosse successo, se Bloch avesse gridato davvero “Viva la Francia”, in quel grido, si potrebbe cogliere soltanto l’esaltazione di idee come la tolleranza, il pluralismo, la giustizia e la libertà.

Quei valori accomunano certi irlandesi, certi polacchi, certi francesi e certi abitanti di tutto il resto del mondo. Quei valori, però, non sono i valori fondativi di ogni paese. Quei valori sono i valori su cui si sono costruite la Francia, prima, e l’Europa, poi, con tutti gli errori e le contraddizioni che caratterizzano qualsiasi fatto umano. Ed è grazie a questa piattaforma valoriale se ora qui si può straparlare della democrazia. Negli ultimi decenni, si è discusso, fino allo sfinimento, sulle radici dell’Europa. Per come la vedo io, le radici le hanno le piante. E se ce l’ha pure l’Europa non so dove siano. Ma credo che le parole di Beckett, i gesti di Marceau e le ricerche di Bloch debbano essere tenute in considerazione da chi vuole definire l'identità europea tanto quanto la disponibilità di questi intellettuali a rinunciare a tutto per rendere possibili parole, gesti e ricerche di segno opposto. Sarebbe doveroso che gli intellettuali di oggi, qualunque sia il loro pensiero, cercassero di essere all'altezza.


*Jack Cucci è lo pseudonimo di un fine musicologo e di un "chierico" che non ha tradito, giusto per citare Benda, quello che è il dovere di ogni intellettuale: essere radicale, cioè andare sempre alla radice delle cose, senza ideologie o compromessi. E come ricordava Marx, la radice delle cose è sempre l'uomo.


sabato 15 marzo 2025

In cammino nella Prima Zona Liguria



 Da leggere. Perché capire i luoghi aiuta a capire gli uomini e la storia.

lunedì 10 marzo 2025

Storie dell'Italia interna.

 


sabato 22 febbraio 2025

Ciao Renato, fratello mio

 












Ciao Renato,
fratello mio carissimo.
Oggi hai superato la porta di cui abbiamo tante volte parlato e stai andando verso la Luce.
Percorri la via con fiducia, non avere timore.
Non guardare indietro, ma procedi sicuro.
Ricordati l'insegnamento del Bardo Thodol:

"Ora, mentre vago solo, separato dai miei cari,
e sorgono miriadi di vacue immagini, che si manifestano spontaneamente,
possano i buddha concedermi prontamente il dono della loro compassione,
e possa essere annullata la paura del terribile e spaventoso stato intermedio.
Quando sorgeranno le cinque radiose luci della saggezza originaria,
possa io riconoscerle come la mia stessa natura".

Un triplice fraterno abbraccio, fratello mio

venerdì 7 febbraio 2025

Victor Serge, Contro Céline (1938)

 


Victor Serge aveva letto i capolavori di Céline, Viaggio al termine della notte e Morte a credito, ed era stato profondamente colpito dalla forza della scrittura e dal disprezzo verso una società e una cultura borghese in pieno disfacimento. La pubblicazione da parte di Céline nel 1936, dopo un breve viaggio in Russia, di Mea culpa e poi l'anno successivo di Bagattelle per un massacro fu per lui un'amara sorpresa. La rivolta intellettuale di Céline gli appariva ora come puro nichilismo, senza alcuna prospettiva. Frutto di un pessimismo e di una voglia di distruzione ai limiti del patologico, e proprio per questo vicina nei toni e nei contenuti al delirio della propaganda nazista. Comune era l'odio irrazionale e feroce verso tutto ciò che si richiamasse anche alla lontana all'ebraismo, la convinzione al limite del delirio paranoide che una gigantesca cospirazione legasse ogni aspetto della vita politica, culturale e sociale dell'Occidente e ne spiegasse l'irreversibile manifesta decadenza. Repulsione e orrore furono le sue reazioni, Durissima la sua denuncia. Un pezzo di grande scrittura, alla Zola, che è importante riproporre oggi di fronte al riapparire di quegli stessi spettri.


Il quaderno è liberamente consultabile e scaricabile dal sito www.academia.edu


giovedì 6 febbraio 2025

Letteratura e Resistenza. Italo Calvino e Beppe Fenoglio



 Il quaderno raccoglie testi di conferenze e articoli relativi al periodo 2013-2017.


Indice

Il romanzo della Resistenza
Beppe Fenoglio
Beppe Fenoglio. Langhe, Resistenza, scrittura
Italo Calvino, un partigiano del Ponente ligure


Il quaderno è  consultabile e scaricabile dal sito www.academia.edu


sabato 1 febbraio 2025

Guy Debord e la sinistra rivoluzionaria


Guy Debord è stato via via studiato come artista, cineasta, filosofo, sociologo, ignorando che prima di tutto egli per larga parte della sua vita si considerò un rivoluzionario , esponente di un marxismo critico e libertario totalmente teso al superamento della separazione tra arte, politica e vita. Detto in altri termini alla creazione delle condizioni per una società integralmente umana.

Il quaderno è  liberamente consultabile (e scaricabile) sul sito www.academia.edu


sabato 25 gennaio 2025

Amadeo Bordiga e la Federazione Giovanile Socialista (1907-1914)

 

Gli anni di formazione del fondatore del Partito comunista d'Italia.

Liberamente disponibile (e scaricabile) sul sito www.academia.edu


Indice

Il dibattito nella FGSI

La polemica con Turati e la guerra di Libia

La fondazione del Circolo Carlo Marx e il Congresso di Reggio Emilia

Costruire il partito rivoluzionario

mercoledì 22 gennaio 2025

Il simbolismo della montagna e la sacralità delle vette

 

Il simbolismo della montagna e la sacralità delle vette




Fin dalle sue più antiche origini, l'uomo ha cercato di dare senso e significato a ciò che lo circondava. Il suo corpo è stato la prima unità di misura. Leonardo , rappresenterà in modo mirabile nel suo uomo vitruviano quella che è stata un'esperienza primordiale dell'umanità


L'uomo si vede al centro di un mondo che gli è ignoto e di cui gli sfugge il funzionamento. Lentamente con l'osservazione costruisce un universo di immagini per trasformare il caos in ordine. Noi chiamiamo queste immagini simboli. Alcuni simboli sono primordiali. Jung li definirà “archetipi”, pilastri che reggono l'inconscio collettivo della specie.

L' Homo erectus dice Mircea Eliade, il più grande storico delle religioni, nasce, proprio in quanto uomo verticale, come axis mundi e dunque, homo simbolicus e homo religiosus. Cerchiamo di spiegarci meglio.


E' dal suo corpo a braccia aperte che nasce l'idea di quadrato, e dalla sua rotazione su sé stesso che nasce il cerchio e dalla sua posizione eretta che nasce il triangolo cioè la trascendenza. Quadrato, cerchio, triangolo: gli archetipi fondamentali. Così come il “Centro”, l'asse attorno a cui tutto ruota. In breve la rappresentazione simbolica del cosmo.

L'uomo osserva il cielo, il movimento del sole, della luna, delle stelle. Osserva il ciclo delle stagioni. Coglie un ritmo eterno, un tempo circolare dove periodicamente tutto ritorna. Individua una regolarità, una armonia al di sopra di lui che contrasta con il caos apparente che lo circonda. Intuisce che esiste una forza sconosciuta, misteriosa, ma reale che va oltre il visibile e che si manifesta nella natura che muore e rinasce, nel ciclico fluire della vita degli animali, delle piante, dell'uomo stesso.

Insomma, fin dai primordi l'uomo si pone di fronte a una natura inspiegabile, terrificante, percepita come la manifestazione di una potenza “numinosa” di fronte alla quale si avverte come inadeguato, infinitamente piccolo. Una realtà che gli si presenta come un universo simbolico.

E questo vale anche per l'uomo moderno, che pure vive in un mondo da secoli desacralizzato. Lo attesta in un pugno di versi bellissimi Charles Baudelaire, il padre della poesia moderna:


La Nature est un temple où de vivants piliers
laissent parfois sortir de confuses paroles;
l’homme y passe à travers des forêts de symboles
qui l’observent avec des regards familiers.

Comme de longs échos qui de loin se confondent
dans une ténébreuse et profonde unité,
vaste comme la nuit et comme la clarté,
les parfums, les couleurs et les sons se répondent.

La Natura è un tempio dove colonne dotate di vita

lasciano talora uscire parole incerte e confuse;
l’uomo attraversa foreste di simboli
che l’osservano con sguardi familiari.

Come echi prolungati che si confondono da lontano.
n un’unità oscura e profonda,
vasta come la notte e come la luce,
i profumi, i colori e i suoni si rispondono a vicenda.

“L'uomo attraversa foreste di simboli”, un iniziato non avrebbe potuto rappresentare meglio il percorso dell'uomo nella vita e nel mondo. Il problema è se durante questo cammino il viandante si limita a “guardare” o riesce a “vedere”, a cogliere cioè quello che si cela dietro l'apparenza fenomenica delle cose. Il sacro, trascendendo il mero dato razionale, può essere colto intuitivamente solo attraverso la mediazione del simbolo e del mito. Incontro poi rielaborato e rinnovato dal rito dove si ripete in forma inalterata, da qui l'attenzione estrema ai particolari, ciò che accadde “in illo tempore”.

Un albero, una pietra, una sorgente, un monte restano per l'uomo che le guarda quello che appaiono, ma alcuni assumono un carattere particolare, “sacro”. Diventano ierofanie, manifestazioni del numinoso, luoghi dove si è manifestata la sua potenza misteriosa. Luoghi terribili, come si legge nella Bibbia riguardo al sogno di Giacobbe, a cui occorre avvicinarsi con cautela, in modo “rituale”, cioè in forme codificate. La pietra su cui Giacobbe ha posato il capo resta una pietra, ma la sua natura è cambiata, ora è sacra. Lo stesso vale per l'attenzione posta dagli Etruschi a separare dal mondo profano i luoghi dove si era scaricato il fulmine, manifestazione numinosa per eccellenza.

L'uomo delle culture tradizionali coglie ovunque la presenza misteriosa del sacro. Il primo elemento del sacro è la volta celeste a cui l'uomo si rivolge da sempre in cerca di risposte. (nelle immagini. Oranti della Valcamonica, la runa Algiz, defunta orante in una lastra sepolcrale del IV secolo d.C.)





Il secondo elemento sacro è la Terra da cui nasce la vita. Uno l'elemento maschile, l'altro quello femminile. La montagna è il luogo sacro per eccellenza dove cielo e terra si congiungono. Lo spiega bene un altro esperto delle religioni, il belga Julien Ries:

“Il simbolismo della montagna è molto ricco. Deriva innanzitutto da simbolo dell'altezza e in questo è legato alla volta celeste. La montagna è ritta, è verticale e diretta alla volta celeste. Alta si avvicina al cielo e così partecipa alla forza e alla trascendenza. La montagna deriva in secondo luogo dal simbolismo del centro. È l'asse del mondo, la dimora degli dei, il luogo in cui l'uomo può raggiungere la divinità. Come centro essa è anche punto di incontro del cielo e della terra, scala che l'umo sale con fatica verso le cime del mondo al fine di raggiungere il mondo celeste o almeno di avvicinarsene. Come simbolo dell'altezza e simbolo del centro, la montagna è legata all'esperienza del sacro. Lo è in modo eminente come luogo privilegiato di teofanie e ierofanie.”

Da sempre l'uomo sente il bisogno di salire, di ascendere al cielo. Più vicino alla volta celeste l’uomo stima di poter ascoltare meglio la voce del numinoso. La montagna è per l’uomo anche una via per la ricerca interiore che lo purifica attraverso la fatica e i pericoli della salita. Esemplare è il Purgatorio dantesco, rappresentato come una montagna che mette in comunicazione con il Paradiso.

È difficile trovare una civiltà che non veneri una o più montagne sacre. Come luogo dove si può ascendere al cielo, la montagna è il centro del mondo. Il simbolismo della montagna sacra è tanto importante che dove non esistono montagne ne vengono costruite di artificiali (piramidi, ziggurat) o

simboliche. Un esempio coglie bene questa universalità archetipale del simbolismo della montagna sacra. Per gli Yoruba (Africa occidentale) il simbolo del cosmo è un cono di argilla sormontato da una pietra di forma circolare e circondata da altri quattro coni più piccoli a segnare i quattro angoli del cosmo. Il tutto inscritto in un cerchio. Rappresenta Esdschou, il dio dell'ordine. Identico simbolismo ritroviamo in un nostro campanile romanico. E questo, va detto, senza che ci siano stati contatti o contaminazioni culturali. A dimostrazione che, come scoperto da Jung, la fonte dei simboli è l'inconscio collettivo della specie.




Anche gli altari di tutte le religioni sono rappresentazioni della montagna sacra. La parola altare deriva dal latino altus. L'altare è un luogo alto “ e questa configurazione – scrive il benedettino francese Sebastien Sterckx autore di un libro fondamentale sui simboli del medioevo – fa di esso la cima della montagna sacra, nonché la montagna stessa”:

“L'altare è un microcosmo. E' orientato rispetto all'est ed è situato su alcuni gradini. Il posto dell'altare nella chiesa deve indicare che è il centro, tutto l'edificio converge verso quel punto, è simbolicamente al centro del cosmo. L'altare mette in comunicazione i diversi piani del mondo. L'altare mette anche in comunicazione con il mondo dei trapassati”.

Conclusione che rimanda a quello che nella simbologia e ritualità massonica è conosciuto come VITRIOL e associato al rituale dell'iniziazione.

“Ogni altare – leggiamo nelle Direttive della Commissione episcopale francese di liturgia - richiede uno spazio attorno che non ha solo lo scopo di rendere visibile l'altare, ma anche quello di separarlo dal santuario: in un luogo sacro le vicinanze immediate dell'altare costituiscono un luogo ancora più sacro”.

Lo stesso vale per il Tempio massonico. Il Trono del venerabile è posto a Oriente, da dove proviene la Luce, è collocato in uno spazio recintato particolarmente sacro (il Sancta sanctorum) e vi si accede attraverso una scala (il simbolismo della scala, come quello dell'albero, fa parte del simbolismo dell'ascensione). Salire all'Oriente rappresenta dunque una ascensione al luogo più sacro del Tempio, un avvicinarsi all'armonia cosmica di cui la Luce è il simbolo, ed è sedere in questo luogo, separato dall'apparente caos del mondo, che rende il Maestro Venerabile garante che tutto ciò che accade nel Tempio sia “serietà, senno, benefizio e giubilo”, in una parola “Armonia”.


Giorgio Amico

Conferenza tenuta a Cairo Montenotte, Ottobre 2022

L' uomo di Avrigue. Francesco Biamonti (1928-2001)


 Il quaderno, che raccoglie scritti e interventi compresi fra il 2009 e il 2024, è liberamente consultabile e scaricabile sul sito www.academia. edu

Indice

1. I luoghi
Viaggio nella terra di Biamonti
Sapevate che esiste un Rossese bianco?

2. L'uomo e lo scrittore
Francesco Biamonti, gli inizi
Biamonti, Boine e gli olivi cattedrale dei Liguri
La crisi degli olivi in Boine e Biamonti

3. Conclusioni
Biamonti, dello scrivere come testimonianza

martedì 21 gennaio 2025

E' mancato Luigi Gerosa (1947-2025)

 L'amico Paolo Casciola mi da la triste notizia della morte di Luigi Gerosa, avvenuta l'altro ieri sera tra le 22 e le 23 all'Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure Tra meno di un mese avrebbe compiuto 78 anni. Con lui scompare il più serio studioso della vita e l'opera di Amadeo Bordiga, ma rimangono i suoi libri, fra cui la preziosa raccolta in nove volumi degli scritti 1911-1926 del fondatore del Pcd'I, 




sabato 18 gennaio 2025

Carla Sanguineti, AlfaOmega

 




martedì 14 gennaio 2025

Ricordo di Bruno Pirastu

 












Ciao, Bruno

Ti rivordi? Ci siamo conosciuti quasi per caso, contestando l'arrivo del Cantagiro a Savona. Tu portavi un cartello che diceva "Pensate ai poveri e agli ammalati".

La polizia ci caricò e ci fu un fuggi fuggi generale. Ma tu non lasciasti il tuo cartello.

Eri un giovane cattolico impegnato, ma anche una persona tosta.

E tosto lo sei restato tutta la vita, affrontando con lo stesso coraggio di quel giorno la malattia.

Un abbraccio, caro amico degli anni giovani.

Che tu possa riprendere a correre, libero, sulla tua moto, dovunque tu sei ora.

Giorgio

Danilo Montaldi precursore del '68














 Disponibile su: www.academia.edu

giovedì 9 gennaio 2025