25 Aprile 2025
Così hanno scritto di mio padre, brigadiere dei carabinieri e comandante partigiano
È noto il sacrificio di Salvo D’Acquisto, che con
un gesto nobilissimo si fa uccidere a 22 anni per evitare la
rappresaglia dopo un attentato che non ha commesso. Quasi ignota è
la vicenda dei tre martiri di Fiesole.
Nel borgo che domina Firenze, il capo della Resistenza è il comandante della stazione dei carabinieri, Giuseppe Amico, vicebrigadiere. Guida una delle otto squadre della quinta brigata che presidia la zona, divenuta nell’estate 1944 teatro della battaglia per la liberazione della città. Con lui ci sono i carabinieri Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti, Alberto La Rocca, Pasquale Cifini e Sebastiano Pandolfo. Nascondono i partigiani e gli ex prigionieri di guerra inglesi, compiono azioni di guerriglia.
Il 27 luglio Giuseppe Amico riceve una comunicazione radio in codice: il giorno dopo arriverà una staffetta con due messaggi, uno per i carabinieri di Fiesole e l’altro da consegnare al comando della brigata Rosselli. Il plico arriva la sera del 28 luglio. Lo porta il partigiano Rolando Lunari, 19 anni, nome di battaglia Bomba. L’appuntamento con la staffetta della brigata Rosselli è alla chiesa di San Clemente. Bomba è scortato da tre carabinieri: Pandolfo, Sbarretti e Ciofini, che porta il messaggio nella scarpa sinistra. Davanti a San Clemente però ci sono i tedeschi: i carabinieri e il partigiano sparano e lanciano bombe a mano, Bomba e Pandolfo sono feriti, i nazisti li catturano e li fucilano dopo un giorno e una notte di torture.
Ormai i tedeschi sospettano delle divise di Fiesole. Il comandante Amico viene convocato dal tenente Hans Hiesserich. Ovviamente nega. Capisce che Ciofini sta per essere arrestato; gli ordina di fuggire e unirsi ai partigiani.
Il fronte è sempre più vicino, i tedeschi si sentono in trappola: Amico e i civili sospettati di aiutare i ribelli sono arrestati e condotti al passo del Giogo, sulla linea gotica. Viene emanato un bando: tutti gli uomini tra i 17 e i 45 anni devono presentarsi; i renitenti saranno passati per le armi. Molti fuggono. Tra coloro che si presentano, i nazisti scelgono dieci ostaggi, li chiudono nel sottoscala dell’albergo Aurora e annunciano che in caso di attentati li fucileranno.
La situazione precipita. L’ottava armata è alle porte di Firenze; con gli inglesi combattono due compagnie di carabinieri, comandate dai capitani Mariano Piazza e Fausto Maria Gradoli. Il comandante Amico riesce a scappare e a unirsi ai giellisti, e ordina ai suoi uomini rimasti a Fiesole di raggiungerlo: siccome l’occupante ha imposto il coprifuoco, si travestiranno da Fratelli della Misericordia, gli unici ancora autorizzati a muoversi per assistere feriti e malati. Marandola, Sbarretti e La Rocca sotterrano le armi e raggiungono la confraternita dei frati per procurarsi il saio, ma anche lì ci sono tedeschi dappertutto; allora si nascondono tra i resti del teatro romano.
Quando il tenente Hiesserich si accorge che i carabinieri sono spariti, ha la conferma dei suoi sospetti. Furibondo, convoca il segretario comunale, Luigi Oretti, con l’impiegato Raffaello Neri, e grida all’interprete, Silvio Boninsegni, che farà uccidere i dieci ostaggi se i carabinieri non si consegneranno subito: «O saranno fucilati loro, o saranno fucilati i civili». Il segretario comunale si affida al vescovo, monsignor Giovanni Giorgis, che chiede al custode della confraternita di rintracciare i carabinieri perché scelgano della sorte propria e altrui.
Marandola viene informato dell’ultimatum nazista. Si consulta con i commilitoni. Il pomeriggio del 12 agosto 1944, una bellissima giornata di sole, i fiesolani vedono passare i tre carabinieri che vanno di loro spontanea volontà incontro alla morte. Hanno deciso di presentarsi al comando tedesco, pur sapendo quello che li attende.
Il tenente li interroga; loro rispondono che sono lì soltanto per salvare la vita dei dieci ostaggi, e non aggiungeranno altro. Forse per l’ira, forse perché capisce che non otterrà nulla, Hiesserich ordina di fucilarli subito. Non osa torturare quei coraggiosi, come si fa in questi casi, ma non ha neppure la nobiltà d’animo di salvare loro la vita.
Alle sette e mezza di sera Vittorio Marandola, Fulvio Sbarretti e Alberto La Rocca vengono chiusi in un seminterrato dell’albergo Aurora, lo stesso degli ostaggi per cui si sono sacrificati. Tre quarti d’ora dopo, i dieci uomini di Fiesole sentono i carabinieri gridare «Viva l’Italia!»; subito dopo, due raffiche di mitra, poi tre colpi di pistola.
Aldo Cazzullo, Possa il mio sangue servire, Rizzoli 2015