TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 6 febbraio 2011

A vent'anni da Rimini. Storia di Rifondazione Comunista (I)


Vent'anni fa dall'autoscioglimento del PCI nasceva Rifondazione Comunista. Franco Astengo ne delinea la storia e le contraddizioni in questo ampio studio di cui iniziamo oggi la pubblicazione.

Franco Astengo

A vent'anni da Rimini. Storia di Rifondazione Comunista

Prima parte



Ripresento oggi, nell'occasione dei venti anni dalla fondazione del Partito della Rifondazione Comunista,questo lavoro, rielaborazione e aggiornamento di un testo redatto nel 2005, all'indomani del congresso di Venezia del PRC, e successivamente aggiornato nel 2009 e in questa occasione, considerandolo ancora valido nell'intento di'offrire ai molti militanti che partecipano ancora alla discussione su questi argomenti un punto di riflessione, sicuramente parziale ma obiettivamente mirato a far comprendere come, in questo momento, per la sinistra italiana sia tempo di scelte molto più impegnative di quelle di semplice autoconservazione di piccoli gruppi dirigenti come, invece, sta avvenendo. Ovviamente non vi si troverà una analisi della natura e della realtà del PD, che pure rimane elemento del tutto decisivo nel delineare il quadro futuro.
Il dato fondamentale che, a mio giudizio, è ancora necessario portare avanti rimane quello della autonomia ideologica, culturale, politica, di una sinistra che si rivolga al meglio della propria tradizione (mi è già capitato di fare cenno alla storia della sinistra comunista in Italia e a quella parte dell'elaborazione socialista posta in diretto contatto con le idee europee della programmazione economica e del welfare; mentre manchiamo, purtroppo, di una tradizione di ambientalismo adeguato alle contraddizioni dell'oggi e, negativamente, molti ambientalisti nostrani pensano di far riferimento alla eterogenea coalizione dei verdi francesi, che potrà essere “forte” sul piano dei voti, ma del tutto inadeguata sul terreno di una forte proposta di trasformazione della società).



Genesi e consolidamento del Partito della Rifondazione Comunista
Il Partito della Rifondazione Comunista è nato, nel 1991 a seguito di contingenze storiche che riteniamo davvero di non dover riassumere in questa occasione, e si è successivamente consolidato come una struttura funzionante in modo assolutamente preminente, secondo la logica dell'identità.
E' stato nel periodo compreso tra il Settembre del 1990 (convegno di Arco di Trento) e gennaio 1991 (congresso di Rimini) che i leader e le frazioni più decisamente a favore della scissione stabiliscono le alleanze, sulle quali si fonderà il primo gruppo dirigente di Rifondazione Comunista. In questa fase si sono strutturati i modelli di interazione e di conflitto dominanti in quello che poi è stato il gruppo dirigente del Partito della Rifondazione Comunista, perché fu già in questo passaggio che le risorse politiche fondamentali, in mano a ciascun attore, iniziarono a definirsi.
Da un lato, Cossutta possedeva un suo capitale “politico – organizzativo” personale, rappresentato dal controllo della rete organizzativa costituita in più di dieci anni di attività frazionistica svolta all'interno del PCI.
In quel 1991 tutti i componenti del gruppo dirigente del Movimento per la Rifondazione Comunista erano consapevoli che la rete organizzativa personale di Cossutta, avrebbe rappresentato la componente fondamentale su cui avrebbe dovuto, per forza di cose, fondarsi la nuova organizzazione.
Al tempo stesso, le risorse in mano al leader della ex-componente filosovietica dell'ex – PCI risultavano poco spendibili all'esterno, per il ristretto spazio politico occupato.
Cossutta controllava una rete organizzativa molto strutturata, ma con una base di massa ristretta e, inoltre, presentava il grosso handicap di una immagine troppo connotata in senso conservatore.
Al contrario, quella parte dell'ex-mozione del “no” che aveva fatto la scelta della scissione appariva molto meno coesa ed organizzata (soprattutto nei rapporti centro – periferia) ma si caratterizzava per un'area di consenso potenzialmente molto più vasta di quella cossuttiana.
In definitiva i dirigenti provenienti dalla ex-mozione del “no” controllavano l'area di incertezza relativa ai rapporti con l'ambiente esterno: da essi dipendeva la chance di sviluppo del movimento verso l'esterno.
Al contrario le aree di incertezza controllate dai cossuttiani attenevano tutte al controllo della struttura organizzativa.
Dopo la costituzione del primo nucleo del futuro gruppo dirigente, il processo per aggregazione del nuovo partito previde altri due passaggi: nel giugno 1991 si aggregò Democrazia Proletaria, mentre entro l'ottobre dello stesso anno aderirono anche un gruppo di quadri dell'ex-PdUP.
Assemblato, a questo punto, il gruppo fondatore dell'organizzazione, il Movimento sviluppò le proprie strutture in periferia, sul territorio, attraverso la costituzione prevalentemente spontanea delle unità di base, i circoli.
Possiamo individuare tre modalità tipiche nel processo di formazione dei circoli, la spontaneità, la fusione e la scissione.
La spontaneità prevaleva soprattutto in quelle realtà in cui lo scontro tra mozioni interne al PCI era stato più acceso, e spesso aveva visto prevalere gli oppositori alla svolta.
La seconda modalità, che abbiamo definito di fusione, non si caratterizzò per un moto di adesione spontaneo ma per l'unificazione di gruppi di militanti, già dotati di proprie risorse organizzative.
Spesso il processo di fondazione dei circoli avvenne, invece, a seguito di una vera e propria scissione, organizzata e pianificata localmente.
In questo caso i circoli non si costituirono immediatamente, ma soltanto nel momento in cui le leadership locali decidevano di staccarsi, trascinando con sé un seguito di massa ( l'esatto contrario di quello che accadde a Savona, dove il “no” aveva prevalso, ma i dirigenti non seppero trovare l'occasione e/o la volontà per una operazione del tipo di quella appena descritta).
Dunque i circoli nati per “scissione” erano quelli posti in continuità “con la natura del partito di massa popolare, fortemente disciplinato e gerarchizzato, che aveva caratterizzato il PCI, in particolar modo nelle zone in cui la subcultura socialista aveva, storicamente, assunto un carattere prevalentemente occupazionale e di classe.
Riassumendo, possiamo identificare tre tratti caratteristici del modello genetico del Partito della Rifondazione Comunista.
Primo, la modalità genetica prevalente appare quella della diffusione, sebbene nella versione particolare della fusione di reti organizzative nazionali.
Secondo, la centralità degli incentivi d'identità a base ideologica come veicolo principale di mobilitazione del sostegno alla neonata organizzazione da parte della leadership fondatrice.
Terzo, il modello a cui si ispirava la struttura direttiva originaria era principalmente quello della “democrazia di partito”, con una struttura di potere fondata sulla grande risorsa della militanza, nell'economia dell'organizzazione.



Il consolidamento dell'organizzazione e la competizione maggioritaria
La struttura organizzata realizzata nella fase di avvio, fu considerata dal gruppo dirigente sufficientemente solida per il passaggio dalla fase di Movimento a quella di costituzione del Partito.
Il I Congresso segnò così il punto di passaggio e le elezioni del 1992, con la definizione del proprio terreno di caccia, sancirono il processo di instaurazione organizzativa.
Le elezioni politiche del 1992 segnarono, per il Partito della Rifondazione Comunista, lo “status” di legittimo erede di una parte dell'eredità comunista in Italia, con un processo di exit dell'elettorato del PCI verso Rifondazione, inversamente proporzionale alla forza dell'insediamento sociale del vecchio PCI.
Il Partito della Rifondazione Comunista iniziò così un'opera di consolidamento della propria organizzazione centrale e di sviluppo periferico stimolato dal centro.
Ma la struttura divisa e instabile della coalizione dominante che reggeva il partito, in quella fase, esplicò i suoi effetti destabilizzanti, allorché il mutamento delle regole elettorali si configurò all'orizzonte, come una sfida che poteva mettere in pericolo la stessa sopravvivenza istituzionale dell'organizzazione.
Di fronte alla leadership si pose il problema dell'adattamento rispetto al nuovo scenario proposto dal maggioritario.
Le elezioni amministrative del 1993, le prime svoltesi con il nuovo sistema maggioritario e nel pieno dell'effetto “Tangentopoli”, registrarono un forte balzo in avanti del Partito nelle grandi città del Nord.
L'improvviso (ed insperato) successo, mise in crisi l'organizzazione, provocando la spaccatura del gruppo dirigente sul tema della politica delle alleanze.
Il successivo congresso pose, in modo esplicito, il dilemma tra la tutela dell'identità e l'inserimento nel gioco della competizione maggioritaria.
Tra il Dicembre 1993 ed il Gennaio 1994 il gruppo dirigente centrale raggiunse il massimo della divisione interna, proprio attorno al nodo “Identità/competizione”: da un lato si poneva in campo una idea di resistenza rispetto alla sfida del nuovo sistema partitico bipolare e di arroccamento sulla rappresentanza dell'elettorato di appartenenza, mentre dall'altra parte si cercava di imporre l'inserimento del partito all'interno della struttura politica bipolare e dell'adattamento al sistema maggioritario.
Il passaggio di leadership da Garavini a Bertinotti avvenne, appunto, proprio sulla base di quello scontro: il Partito della Rifondazione Comunista sceglieva, a quel punto, la competizione maggioritaria come suo terreno di riferimento, abbandonando l'idea di una tradizionale politica delle alleanze, ed avviandosi di fatto verso una forma politica più simile a quella di un soggetto radicale “di movimento” (come era del resto, nel bagaglio politico del nuovo segretario), piuttosto che verso la forma di un soggetto organizzato in funzione di una identità ideologica definita.
Si tratta di un punto che vedremo meglio in seguito, al momento dell'emergere sulla scena sociale del movimento no-global e che fornirà un esito sul quale ci soffermeremo più avanti.
Quello che interessava far capire a questo punto è che la dicotomia tra “autonomia del politico” e “flessibilità di movimento”, che ha caratterizzato la realtà politica del Partito della Rifondazione Comunista almeno fino alla formazione della Lista Arcobaleno, il successivo congresso e la scissione di SeL, ha origini abbastanza lontane nel tempo, almeno fin dal 1994.
Nei due anni successivi, i processi di personalizzazione della politica italiana, il ruolo sempre più crescente dei mass media e una crescente centralità politica del Partito della Rifondazione Comunista, trainarono la crescita della leadership personale del segretario, Fausto Bertinotti, all'interno della coalizione dominante che reggeva il partito.
Si trattò di un processo attraverso cui il leader del partito convertì l'indubbio prestigio e la capacità di comunicatore e, quindi, il consenso conquistato nelle arene esterne, in una crescita del proprio peso all'interno del partito e, soprattutto, nei confronti dei militanti di base.
Durante la fase 1995 – 1997 e, principalmente, dopo il successo elettorale del 1996 il Partito della Rifondazione Comunista sperimentò il tentativo della leadership di aumentare il livello di istituzionalizzazione del partito.
Da un lato si registrò l'aumento del livello di coesione e di stabilità del gruppo dirigente centrale, sancito dal congresso del Dicembre 1996.
Tentò , allora, di sorgere e di consolidarsi una coalizione dominante interna che si costituì attraverso la liquidazione, prima e durante il 1995, della frazione di destra, e dopo a partire dal giugno 1996 fino al III congresso del dicembre, mettendo in angolo la frazione di sinistra, che si opponeva al nuovo ruolo pivotale che il Partito della Rifondazione Comunista stava giocando, a livello istituzionale, grazie all'indispensabilità del proprio appoggio parlamentare per il governo di centrosinistra.
La coalizione dominante interna tentò di costruirsi le proprie condizioni di legittimità verso il Partito, attraverso la definizione di una propria strategia di competizione nei confronti del resto della sinistra, con la linea politica delle cosiddette “due sinistre”, con la quale si teorizzava la funzione del Partito della Rifondazione Comunista di collegamento con la società civile e le sue domande e le istituzioni governative.
La leadership del partito articolò, di conseguenza, la proposta di uscita dalla nicchia della rappresentanza dell'elettorato d'appartenenza, attraverso un ambizioso progetto di utilizzo della propria posizione istituzionale per erodere l'elettorato della sinistra moderata e allargare il più possibile il proprio spazio elettorale ( il progetto era contenuto nella tesi della lotta per l'egemonia, tra le “due sinistre”).
Il tentativo fallì, e nello spazio di due successive crisi di governo, nell'ottobre del 1997 e dodici mesi dopo, si verificò la fuoriuscita dalla maggioranza.
L'analisi dei documenti interni, in questa fase, suggerisce due considerazioni di fondo.
In primo luogo la leadership colse la principale difficoltà politica del partito nella contraddizione tra una linea che mobilitava il consenso nella società, attraverso quelli che si potevano definire come incentivi orientanti allo scopo utilizzando l'inserimento del partito nel gioco competitivo bipolare, ed un partito che, nella sua struttura territoriale, si era consolidato sulla base dell'utilizzo, per il funzionamento dell'organizzazione, di incentivi di identità che presupponevano l'esaltazione dei tratti di diversità del partito, rispetto all'ambiente circostante.
Le vicende di quegli anni, tra il 1996 ed il 1998, rappresentarono il punto di espressione più significativo di una frattura tra un partito che nella società continuava ad agire secondo le logiche dell'identità, ed un partito che nelle istituzioni era portato a perseguire la logica della competizione, sotto la sferza di un sistema maggioritario che iniziava ad esercitare anche i suoi effetti psicologici sull'elettorato.
Questo processo modificò le basi di potere dei leader nazionali.
Da un lato, Cossutta si collegò sempre più saldamente al ceto dei militanti carrieristi legati al mantenimento di un profilo competitivo da parte del partito e di un rapporto di alleanza con la coalizione del centrosinistra.
Dall'altro lato il segretario, alla ricerca di basi di potere interne per scalzare la tutela che l'altra carica monocratica esercitava su di lui, tentò di collegarsi sempre più alla base militante interpretandone l'attaccamento all'identità antagonista.
Questa dinamica si sviluppò fino alle estreme conseguenze della rottura del partito e del riflusso all'opposizione nel biennio 1998 – 1999.



Franco Astengo, politogo e storico della sinistra, collabora con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova. E' autore di numerosissimi saggi apparsi su giornali e riviste.