TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 10 febbraio 2011

Storia di Adelasia e di Aleramo



Molti sanno che i primi Signori di Savona furono gli Aleramici, ma non tutti conoscono le origini leggendarie del Marchesato. All'inizio del Trecento Fra Jacopo d'Acqui mise per iscritto la storia, tanto cantata nelle corti, dell'amore di Adelasia, figlia dell'imperatore, e di Aleramo, povero scudiero.


Storia di Adelasia e di Aleramo

Fu un gentiluomo di Sassonia, chi dice un marchese e chi propriamente un duca ..., il quale non avendo ancora figlioli ... fece voto, se Dio gli concedesse grazia di prole, andar in pellegrinaggio, chi dice a Roma , e chi a San Giacomo di Galizia. Ottenuta la grazia, il signore con la moglie incinta si misero in cammino (nell’anno 904). E ... arrivando nella contea e diocesi di Acqui ... qui la donna , non potendo, grossa com’era durare piu’ oltre l’ambascia del lungo cammino, si fermo, e sovrappresa dalle doglie partorì un figliuol maschio a cui i signori del luogo tenendolo a battesimo misero nome Aleramo, con dire al padre che Dio nel suo pellegrinaggio gli ha dato tale allegrezza, perchè nel volgar piemontese antico "Aler" suona "Allegro". Passato che fu un mese i due genitori pensarono di proseguire il pellegrinaggio a soddisfazione del voto, e lasciarono il figlioletto con una balia di sua lingua raccomandato ai signori del luogo per riprenderlo poi nel ritorno. E andarono, e adorarono le spoglie degli apostoli di Roma o in Campostella ; ma nel ritorno, malignita’ di natura o reita’ d’uomini che fosse vennero a morte. E nessuno ricercò più del fanciullo ... Ma tanta era la graziosa avvenenza di lui e tale in tutti la pietà del nobil sangue e del caso, che i signori del castello lo ebbero in luogo di figlio; e, quando toccò i quindici anni, alcun di loro lo corredò suo scudiero. Non mai natura aveva formato creatura piu’ bella, ne che meglio in vista manifestasse l’alto linguaggio e allevato con buoni insegnamenti ed esempi egli cresceva anche egregio di virtu’ e costumi.

Allora avvenne che l’imperatore Ottone passò di Alemagna in Lombardia dove alcune città gli si erano ribellate. E mandò bando per tutta l’Italia che i fedeli venissero all’oste. Va Aleramo il bello scudiere, bellamente arredato e fu nel cospetto dell’imperatore, rappresentandogli l’omaggio dei signori e del castello e della villa. Molto piacque ad Ottone, che lo dimando’ onde fosse. Tedesco di sangue – rispose Aleramo – ma di nazione e di educazione lombardo. E quando l’imperatore ebbe inteso del fatto suo ... lo fece cavaliere di sua famiglia, e volle che gli servisse a mensa. Il valletto che bello e piacente era, andava per il palagio dell’imperatore, passando spesso dinnanzi alle dame e damigelle, che attentamente lo riguardavano e molto lo lodavano di bellezza e cortesia ... L’imperatore aveva una figliuola, a nome Alasia, la più vaga damigella che si trovasse al mondo. Ora la pulzella non poteva saziarsi di guardare il donzello ... Ben se ne accorse Aleramo, ma molto gl’increbbe per l’amore del signor suo, al quale non voleva fallire.



Ma la damigella pur gli faceva assai festa, tanto che al fine non sapeva Aleramo che fare nè che dire. ... Tuttavia la fanciulla tanto seppe dire e fare, che Aleramo, disperando per una parte che l’imperatore si contentasse mai del loro amore, e dubitando per un’altra che durando ancora la cosa non si potesse più oltre celare, una notte menò via la fanciulla. E si vestirono per non essere riconosciuti, di abiti strani, e diversi; e su due cavalli, uno bianco e uno rosso fuggirono per foreste e per luoghi selvaggi. Alcuna volta si imbatterono nelle genti che l’imperatore aveva mandato a inseguirli; e quelli gli domandavano se sapessero novella d’un cavaliere di tali fattezze e in tale abito che menava con sè una damigella.

... Aleramo si ricordo’ del dolce paese ove era nato e dell’aspra montagna ove garzonetto andava alla caccia con i suoi signori ... detta Pietra Ardena ed ivi se ne andò conducendo seco la compagna. Quando Aleramo fu sull’alta montagna, non v’era che mangiare e bere all’infuori dell’acqua chiara; non si domandi la pietà ch’egli ebbe della sua damigella, che piangeva di fame. E, cercando, se ne ando’ sulla piu’ alta cima, per meglio vedere all’intorno: vide un fumo, e penso’ che la’ fosse gente, e s’avvio, e trovò due carbonai, e li pregò gli dessero del pane e gli aiuterebbe a fare carbone. Quelli che di aiuto avean bisogno, gli diedero del pane e di ciò che avevano. Aleramo ... costruì su quei greppi, di vecchi tronchi e di arbusti, una capanna ...

Foresta dell'Adelasia (Savona)

E poi imparo’ a fare il carbone, e si accompagnò ad altri carbonai; e lo portava a vendere alla città di Albenga; e ne comperava oro e seta ed altre cose necessarie alla sua amica per lavorare di ricamo ... Ella faceva di cotali piccole borse e altre cosette, che il marito vendeva alla città. E in poco di tempo non stentarono più, anzi vivevano secondo il nuovo stato a tutt’agio ... e si erano vestiti della foggia che appartiene ai carbonai. E così standosene contenti della povera vita e del ricco amore ebbero più figlioli: chi dice quattro e chi dice sette. Aleramo, in questo mezzo, vendendo un giorno e poi l’altro del suo carbone al cuoco del vescovo di Albenga prese familiarita’ con lui.

... Avvenne intanto che i bresciani ribellarono di nuovo all’imperatore e l’imperatore mandò il bando per far l’esercito contro Brescia. Il vescovo di Albenga, come vassallo dell’impero, si dispose di andare. E il cuoco del vescovo chiama Aleramo, e gli dice se vuole andare seco all’esercito: "Starai con me in cucina e mi aiuterai". Aleramo va col cuoco, e suo figlio Ottone va col vescovo come scudiere. Il cuoco aveva un gagliardo e buon cavallo; e così per trastullo volle avere sue armi e un’insegna, dove erano gli arnesi di cucina, paoli, padelle e catene al fuoco, tutte nere in campo bianco. ... Aleramo saltò sul cavallo del cuoco e prese le armi e la bandiera del cuoco, e col suo figliuolo Ottone, che allora aveva sedici anni e cavalcava assai bene e teneva la bandiera, battè e ricacciò i bresciani sin dentro la porta. Di che tutti meravigliarono, e fu per l’esercito un gran favellare del milite dalle insegne del cuoco che aveva battuto i bresciani e che nessuno conosceva. Il giorno di poi, i bresciani tornarono alla sortita, e presero un nipote dell’imperatore, che molto era buon cavaliere e lo tirarono fuori dalla mischia per menarlo nella città. Quando Aleramo ciò intese ammonì i compagni suoi di ben fare, ... e il nipote dell’imperatore fu riscosso e i nemici ricacciati a forza dentro le mura.

... Crebbe per l’esercito il rumore di questo cavaliere; e l’imperatore vuol sapere chi sia e, nessuno lo sa, se non che il vescovo di Albenga ode ch’egli è il guattero del cuoco suo, che era anche detto il carbonaio. L’imperatore lo voleva vedere ... Aleramo era nella cucina con gli altri sguatteri e disse di non essere degno di andare innanzi l’imperatore; che troppo era unto e nero della cucina ... perché, diceva, si facevan beffe di lui; che un carbonaio non deve andare nella presenza di tale e tanto principe. Anche una giostra ci fu, sollazzo dell’imperatore e dell’imperatrice; e anche nella giostra il travestito Aleramo fece gran fatti d’arme e cavalleria. Alla fine il vescovo di Albenga, avutolo a sè, gli domandò strettamente chi egli fosse; e Aleramo manifestò al vescovo l’esser suo, e il vescovo sotto secreto all’imperatore.



L’imperatore, placato, ... con grandissima tenerezza raccolse la figliola, il genero e i nipoti; ai quali tutti diede il cingolo della cavalleria, e consegnò il vessillo della milizia con la balzana di color rosso e bianco, che dovesse esser segno del valore e della fede di tutti gli eredi del seme di Aleramo. E fu grandissima festa per molti giorni nella corte dell’Imperatore. Vinta Brescia, l’Imperatore, venuto ad una delle più vecchie città dell’impero, Ravenna, ivi conferì la dignità di marchese ad Aleramo e a tutti i suoi (il 21 marzo del 967). E gli concesse che fosse suo quanto egli in tre giorni potesse correre a cavallo di quella terra montuosa che è il Piemonte. Ed egli montando in tre giorni tre cavalli velocissimi, e cavalcando sempre di forza dì e notte percorse tutte le contrade intorno a dove poi fu Alessandria, intorno a Savona, a Saluzzo, al Monferrato. Al secondo giorno cavalcò tanto di forza che il cavallo gli stramazzò sotto presso un luogo detto Arenorio (su un monte si chiama Cavallo Morto). Si dice che Aleramo volle prima della gran corsa ferrare il cavallo; e che non trovando gli strumenti a ciò, adoperò un mattone, che nel volgare del Monferrato è detto "Mun"; e così il cavallo fu ferrato "Frrha", da cui viene il nome "Munfrrha", cioé Monferrato.