TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 12 agosto 2011

Arnaut Daniel, poeta occitano



Giorgio Amico

Arnaut Daniel, poeta occitano



Ci sono poche notizie su Arnaut Daniel. Probabilmente nato verso il 1150 -1160 a Riberac , in Dordogna, proveniva da una famiglia della piccola nobiltà. "Fo gentils hom", si legge nella cronaca che parla di lui, e come molti dei figli cadetti destinato alla carriera ecclesiastica. Studiò dunque il latino e le lettere, ma in seguito a vicende che non conosciamo si dedicò interamente alla poesia, girando per le corti provenzali come trovatore, autore di versi elegantissimi e complessi (" e pres una maniera de trobar en caras rimas, per que soas chansons no son leus ad entendre ni ad aprendre").

Nonostante la fama, fu tra l'altro ospite alla corte di Riccardo Cuor di Leone, ebbe una vita difficile. E' lui stesso a dirlo in quella che è considerata una delle sue più belle composizioni

« Ieu sui Arnautz qu’amas l'aura
e chatz la lebre ab lo bou
e nadi contra suberna. »

(Io sono Arnaldo che raccolgo il vento /E col bue vado a caccia della lepre/E nuoto contro la marea montante)

Da un testo attribuito a un contemporaneo sappiamo che si ridusse in povertà a causa del gioco dei dadi. Da un altro che egli «amet una auta domna de Gascoingna, muiller d’En Guillem de Buovilla» (Amò una nobildonna della Guascogna, moglie di Guillem de Bouville), di cui non si sa nulla.

Inventore della sestina, esercitò una influenza fortissima sulla poesia del Duecento, dai poeti catalani Jordi de Sant Jordi, Andreu Febrer e Cerverí de Girona, a quelli italiani. A partire da Francesco Petrarca e Dante Alighieri.

Per Francesco Petrarca fu il più bravo di tutti, tanto da scrivere:

« Fra tutti il primo Arnaldo Daniello
gran maestro d'amor; ch’alla sua terra
Ancor fa onor col suo dir novo e bello. »

Giudizio ripreso nel secolo scorso da Ezra Pound che lo considerò il vero fondatore della poesia occidentale e tradusse in inglese i suoi versi.

Dante lo ammirò immensamente, tanto da citarlo più volte nel De Vulgari Eloquentia dove si fa spesso riferimento alla sua tecnica compositiva; e da dedicargli una pagina della Divina Commedia, collocandolo nella settima cornice del Purgatorio, quella dei lussuriosi, e per la sua vita e per i suoi versi che hanno cantato l'amore terreno e non quello del Cielo.

E' un altro poeta, Guido Guinizzelli a indicarlo a Dante riferendosi a lui come il migliore dei poeti che hanno scritto in volgare:

« O frate, - disse, - questi ch'io ti cerno
col dito, - e additò un spirto innanzi, -
fu miglior fabbro del parlar materno.
Versi d'amore e prose di romanzi
soverchiò tutti: e lascia dir li stolti
che quel di Lemosì credon ch'avanzi. »

(Purg. XXVI, 115-120)

E, quando Dante gli chiede il suo nome, Arnaut gli risponde in occitano:

« Io mi feci al mostrato innanzi un poco,
e dissi ch'al suo nome il mio disire
apparecchiava grazioso loco.
El cominciò liberamente a dire:
“Tan m'abellis vostre cortes deman,
qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo joi qu'esper, denan.
Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de l'escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!”.
Poi s'ascose nel foco che li affina. »

(Purg., XXVI, 136-148)

(“Tanto mi piace la vostra cortese domanda/ che io non mi posso né voglio a voi celare./ Io sono Arnaldo, che piango e vado cantando;/ afflitto vedo la passata follia,/ e lieto vedo, davanti (a me) la gioia che spero./ Ora vi prego, in nome di quel valore che vi guida alla sommità della scala,/ al tempo opportuno vi sovvenga del mio dolore”).

Morì intorno al 1220, forse fattosi monaco. A noi restano 18 composizioni, due delle quali provviste di notazione musicale; tutte, tranne una, di argomento amoroso.




Pagina di un "chansonnier" del XIII secolo riportante una raffigurazione di Arnaut Daniel

Arnaut Daniel

Arietta


Su quest'arietta leggiadra
Compongo versi e li digrosso e piallo,
E saran giusti ed esatti
Quando ci avrò passata su la lima;
Ché Amore istesso leviga ed indora
Il mio canto, ispirato da colei
Che pregio mantiene e governa.

Io bene avanzo ogni giorno e m'affino
Perché servo ed onoro la più bella
Del mondo, ve lo dico apertamente.
Tutto appartengo a lei , dal capo al piede,
E per quanto una gelida aura spiri,
L'amore ch'entro nel cuore mi raggia
Mi tien caldo nel colmo dell'inverno.

Mille messe per questo ascolto ed offro,
Per questo accendo lumi a cera e ad olio:
Perché Dio mi conceda felice esito
Di quella contro cui schermirsi è vano;
E quando miro la sua chioma bionda
E la persona gaia, agile e fresca
Più l'amo che d'aver Luserna in dono.

Tanto l'amo di cuore e la desidero,
Che per troppo desío temo di perderla,
Se perdere si può per molto amare.
Il suo cuore sommerge interamente
Tutto il mio, né s'evapora.
Tanto ha oprato d'usura
Che ora possiede officina e bottega.

Di Roma non vorrei tener l'impero,
Né bramerei esserne fatto papa,
Se non potessi tornare a colei
Per cui il cuore m'arde e mi si spezza
E se non mi ristora dell'affanno
Pur con un bacio, pria dell'anno nuovo,
Me fa morire a sé l'anima danna.

Ma per l'affanno ch'io soffro
Dall'amarla non mi distolgo,
Bench'ella mi costringa a solitudine,
Sì che ne faccio parole per rima.
Più peno, amando, di chi zappa i campi,
Ché punto più di me non amò
Quel di Monclin donna Odierna.

Io sono Arnaldo che raccolgo il vento
E col bue vado a caccia della lepre
E nuoto contro la marea montante.