TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


venerdì 9 marzo 2012

La città come una galleria d'arte: il mondo fiabesco ed ironico di Carin Grudda


Rendere più umana la città affermando il valore d'uso dell'opera d'arte che diventa oggetto familiare, da utilizzare al solo fine del godimento immediato. Nessun piacere estetico "colto", ma esperienza fisica, tattile, visiva. E i bambini, da sempre i migliori esperti d'arte contemporanea proprio perchè privi di pregiudizi, hanno subito colto l'occasione, utilizzando come giocattoli le grandi e colorate sculture della Grudda.


La città come una galleria d'arte: il mondo fiabesco ed ironico di Carin Grudda


Mercoledì' 7 marzo 2012 è iniziato per le vie e le piazze di Savona il posizionamento dei bronzi di Carin Grudda. Le opere dell'artista tedesca rientrano nel progetto culturale espositivo realizzato dalla galleria Conarte con il Comune di Savona. Le opere saranno dislocate all'aperto, mentre la sezione pittorica si aprirà sabato 10 marzo alle ore 17 nella sede della galleria Conarte in via Brignoni 26r, alla presenza dell'artista che, contestualmente, si recherà poi nelle varie locations delle opere in Savona. Tra le opere spicca il grande Gatto Blu, intitolato “Blau Miau”, alto oltre 4 metri, che è già posizionato in Piazza Sisto IV davanti a Palazzo Civico.

Nata a Gudensberg in Germania nel 1953, l'artista si diploma a Kassel e prosegue poi gli studi di arte e filosofia. Pittrice dal 1982, inizia a realizzare grandi sculture in bronzo dal 1998, destinate in particolare a spazi urbani.

Come afferma il critico C. Wolfgang Muller, si tratta di una vera e propria riconquista degli spazi da parte dell'arte:

“La connessione fra mondo infantile e modernizzazione dello spazio della vita quotidiana, nata ed evolutasi con le innovazioni del XXI secolo, può diventare un obiettivo per gli artisti contemporanei. Essi, in realtà, pur guardando verso il futuro, possono accettare la sfida di volgere uno sguardo al passato dove ha inizio la propria storia, che è infinita così come la ricerca di un incerto avvenire. ´Back to the roots` (ritorno alle radici) era un salutare invito non solo della psicoanalisi. ´Back to the rooms` (ritorno agli spazi) potrebbe essere un salutare invito alle attuali correnti dell’arte visiva, che si è lasciata alle spalle la dicotomia fra “interno” ed “esterno” e ricerca la connessione fra la familiarità della casa della nostra infanzia e l’estraneità della vita successiva, tra l’intimità delle mura paterne e la lontananza dei luoghi nei quali tutti noi dobbiamo tentare di trovare una nuova casa. Ci sono artisti, come Carin Grudda, che si sono dedicati a questo compito. E ci danno speranza.”

Luciano Caprile nel suo testo critico afferma:

“Con la Grudda si compie sempre un ideale percorso labirintico che ci conduce alla medesima fonte ispiratrice: guarda caso è proprio la fonte da cui noi stessi, più o meno inconsapevolmente, abbiamo attinto quella capacità di meravigliarci appresa nei primi anni di innocente consapevolezza esistenziale quando la realtà circostante era una fantastica scoperta da cogliere passo dopo passo, sguardo dopo sguardo. E che abbiamo smarrito nel momento stesso in cui ci siamo illusi di conoscere questo mondo manipolandolo quindi a nostro uso e consumo. Con lei il dono ci ritorna intatto, nella sua impagabile freschezza dichiarativa, in una speculare innocenza da non vanificare con un errato approccio contemplativo dedicato solo all’apparenza, alla semplice piacevolezza concessa dall’immagine. Nella magica sostanza delle cose, nel rapporto stesso tra racconto e forma, risiede la chiave del nostro recupero esistenziale”.