TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 1 settembre 2013

Sui monti di Vendone dove sventolano ancora le bandiere della “Cascione”



Giorgio Amico

Sui monti di Vendone dove sventolano ancora le bandiere della “Cascione”

Con Andrea, Giuliano, Donatella e Vilma siamo saliti ieri a Curenna di Vendone, al Casone dei Crovi, sotto le pendici meridionali del Castellermo, montagna sacra degli antichi liguri, millenario luogo di raccolta delle mandrie nella stagione della transumanza, ancora oggi frequentato come alpeggio.



Qui, in un luogo impervio e di una selvaggia bellezza, trova riparo dopo l'8 settembre “a banda du Megu”, il primo gruppo partigiano dell'Imperiese comandato da Felice Cascione.



In questo cascinale, circondato da castagni secolari, nel dicembre 1943, pochi giorni prima di Natale, nasce “Fischia il vento”, il più bello dei canti partigiani.



Una storia, quella della Brigata Cascione, preservata, gelosamente e con pudore, come si fa con le cose care, dagli abitanti della montagna e che noi racconteremo riprendendo le pagine ingiallite di un piccolo libro dimenticato, uscito clandestinamente nel gennaio 1945, nel fuoco di quegli avvenimenti tragici e gloriosi.




Dal Roia al Pennavaire dal Tanaro all'Impero dietro le bandiere della “Cascione”

(Di guerriglia per la pace siamo fieri partigian)

Fummo dappertutto. Sulle coste dirute ad attendere il passaggio del nemico, sui passi obbligati delle strade dell'interno, nei paesi piccoli e grandi della nostra terra avara e aspra.

La nostra occupazione raggiunse in giugno ed in settembre i limiti più vasti. Solo una breve striscia costiera verso la quale si spingevano le nostre forze d'assalto non fu nelle nostre mani. Solo le città sulla riva del mare, non proibite al nostro coraggio, rimasero al nemico.

Le vicende della battaglia che dura ormai da sedici mesi, ci hanno portato in tutti i luoghi, ci hanno insegnato tutte le vie.

Ora l'inverno, il secondo nemico, ci sta di fronte.

Ma ne l'inverno, ne il rastrellamento che infuria più feroce che mai potrà distruggerci. Non potrà vincerci l'infinito protrarsi della nostra tragedia.

Perchè dal Roia al Pennavaire, dal Tanaro all'Impero dietro le Bandiere della “Cascione” marcia insieme ad una falange di prodi la schiera luminosa dei nostri caduti.

Dietro le Bandiere della “Cascione” verso la gloria e verso la vittoria.



FELICE CASCIONE

(era bello come un eroe antico)

In un cimitero di montagna, nascosto tra i castagni e le rocce, c'è una tomba senza nome. Rozze pietre disposte a segnare il luogo dove giace un eroe, e proteggere una bara ignota. Lassù da un anno è spenta la meravigliosa giovinezza di Felice Cascione.

Aveva affrontato col coraggio che aveva fatto di lui il suscitatore della guerriglia imperiese, i tedeschi attaccanti, e primo, del pugno di uomini che gli era rimasto fedele anche dopo l'infuriare del freddo e dei primi rastrellamenti, era passato all'attacco.

Acceso dal sacro furore che anima gli eletti aveva scagliato contro i nazi con la sua maledizione il fuoco dell'arma.

Ed era caduto sul prato che aveva visto il suo primo assalto, con una gamba spezzata, rimasto ad attendere la morte perchè sottrarsi non era più possibile.

Così era finito uno di quegli uomini superiori che nei momenti più grandi della vita di un popolo alzano la bandiera della Patria, e dietro ad essa trascinano la schiera dei figli migliori.

Ma la fiamma della ribellione arse più viva, e percorse luminosa tutte le valli, discese terribile sino al mare a colpire sempre più duramente il tedesco.

E innanzi a quel pugno sparuto divenuto un esercito, vigile, animatrice fu la sua splendida e leggendaria figura.

Chi non lo aveva conosciuto in città o in montagna apprese di lui dalla voce dei Commissari, e dalla voce del popolo che pietoso raccoglie le memorie dei suoi eroi.

Dalla voce del popolo che aveva visto l'atleta dagli occhi dolcissimi e dalla barba fluente discendere come un missionario a curare i malati, a comporre i dissidi, e pronunciare sempre una parola buona e animatrice.

Perchè un po' dappertutto quando si ricorda “u megu” una lacrima brilla negli occhi di una madre, un sospiro ed un proposito di lotta agita il petto di un giovane.


Perchè un po' dappertutto dietro le bandiere della Cascione è alitato il suo spirito ed affermata la sua eredità di battaglia.

(continua)