TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 30 dicembre 2013

Giulia (Le illusioni d'Itaca, 7)



Il marinaio senza nome scopre che l'irrompere improvviso del passato non lascia indenni.(Settimo capitolo de Le illusioni d'Itaca)

Giorgio Amico

Le illusioni d'Itaca

7. Giulia


Lei giunse a notte inoltrata, quando ormai quasi disperava di vederla. Nel silenzio notturno della collina le tenebre l'avvolgevano come un manto stellato ed i suoi occhi sfolgoravano di una luce che lui non le aveva mai visto.
  • Sono qui - gli disse.
Non ci fu bisogno d'altre parole. Fecero l'amore subito. Ma piano, senza affanno, totalmente persi nell'innocenza di quei gesti antichi, di quel rituale senza tempo.

Dopo, steso accanto a lei sul letto sfatto, una sigaretta fra le dita, con gli occhi socchiusi lui la guardava e il suo sguardo indugiava sui suoi seni pieni, seguiva con tenerezza le rughe del suo volto, contava i primi, radi, fili grigi nei suoi capelli. Giulia gli sembrava bellissima, come mai prima gli era apparsa. Neppure negli anni più pazzi della loro giovane felicità.

Lei parlava e la sua voce sembrava venire da tanto lontano che egli la udiva a malapena. Stretto a lei, la sentiva raccontare di amori finiti, di storie andate male, di speranze deluse e intanto le accarezzava con dita lievi i capelli. Una dolcezza sconosciuta lo aveva afferrato. I suoi pensieri si muovevano lenti come le nuvole che nei giorni senza vento increspano l'azzurro del cielo sopra gli ulivi argentati, come le onde tremule che baciano il mare nei giorni di bonaccia. Intanto dalle profondità frondose del bosco il rumore del vento fra gli alberi era diventato un canto che dolcemente li cullava.

Gli parve di aver dormito un'eternità. Guardò l'orologio sul comodino: erano solo le cinque. Accanto a lui, Giulia respirava calma, la bocca un poco aperta. Aveva sul volto l'espressione serena di una bambina. Si alzò, andò alla finestra e l'aprì. Nel bosco il mattino schiariva nel canto degli uccelli.

Ci si abitua presto alla gioia, così come all'angoscia e alla disperazione. Si sentiva pacificato. Un sonno greve lo prese di nuovo. Quando si risvegliò era mattino inoltrato, fuori nel sole Giulia cantava sottovoce. Era la prima volta da tanto tempo che la sentiva cantare e ne restò turbato. La giornata era limpida. Dietro la casa api dorate danzavano ronzando nei fiori del rosmarino. Incominciò a farsi la barba, mentre in cucina lei trafficava a preparare le tazze per la colazione.

Seduti a tavola, sbocconcellavano lentamente gli avanzi di cibo che la madia conservava dai giorni precedenti.
  • Scusami, - lui le disse - non ho molto da offrirti.
  • Non importa, una cosa vale l'altra.
  • Non andare via, - riprese lui - resta qui.
  • Non credo sia una buona idea, lasciami andare, ti prego.
Lui provò a dire qualcosa. Un dito sulle labbra, lei gli fece segno di tacere.

Si fece silenzio tra loro. Un moscone ronzava nella stanza, volava attorno al tavolo, poi, attirato dalla luce, si incaponiva contro il vetro della finestra alla ricerca di un'impossibile via d'uscita. Giulia lo fissava con un'espressione enigmatica sul volto. Poi si alzò e andò in camera. Ne uscì perfettamente vestita, preparata per andarsene. Lui capì che niente sarebbe servito a fermarla, che non c'erano parole che potessero trattenerla. Lei gli si avvicinò e lo baciò. La sua bocca sapeva ancora di caffè. Lui le prese la mano. Dolcemente lei si divincolò.
  • Non essere triste, è giusto così - gli disse- Lo sai anche tu.
Ricacciò indietro le parole che gli erano salite alle labbra. Sapeva che Giulia aveva ragione, che le cose stavano proprio così. E d'altronde cosa avrebbe potuto pretendere, dopo tanto tempo.

Dalla soglia stette a guardarla allontanarsi in direzione del paese. Non distolse gli occhi da lei finché la sua figura snella non scomparve dietro la svolta del sentiero, allora lentamente rientrò in casa. L'inverno era di nuovo nel suo cuore e, mentre il giorno intristiva nel lento stagnare delle ore, anche il pianto era poca cosa.



Doveva fare qualcosa. Sentiva il bisogno di sfogarsi. Di scaricare in qualche modo l’amarezza che si sentiva crescere dentro. Dopo il pasto del mezzogiorno (pochi bocconi trangugiati in fretta), si avviò verso il passo in cima alla montagna. Il piccolo sentiero saliva ripido attraverso il bosco prima fitto, poi sempre più rado finché, finiti gli alberi ci si ritrovava allo scoperto sotto il sole cocente. Incominciò a salire. Sotto di lui vedeva la sua casa e sul vecchio tetto il gallo di latta che annunciava il vento. Quando il vento spirava dalla costa, su nella casa sotto la montagna si sentiva il profumo del mare. Era un odore acre che inebriava. Nei giorni ventosi quei luoghi cambiavano d'aspetto: sotto la sferza del vento di levante si agitavano convulse le chiome degli alberi e il monte pareva prendere vita, scuotersi, tremolare.

Quel giorno non c'era vento e il cielo rideva sopra la montagna sassosa. Saliva un passo dopo l'altro, nella calura del meriggio, talvolta appoggiandosi ad un masso e la croce arrugginita sulla vetta gli appariva come un miraggio nella luce intensa. Poi il sentiero terminò: davanti a lui una sfilata a perdita d'occhio di monti azzurrini, i monti di Francia. Amava quelle creste lontane che avevano per lui il sapore aspro della libertà e i contorni sfumati del sogno. Un cielo azzurro le sovrastava, tanto limpido da far male. Un annuncio di quel cielo di Provenza che aveva imparato a conoscere da giovane e che da allora non gli era più uscito dal cuore, simile ad un richiamo ossessivo, a un canto di sirene. Dietro quei monti, lo sapeva, c'era la valle del Rodano con le sue vigne e le sue città dal candore accecante: Avignone, Arles, Aix. E più sotto ancora la Camarga dei gitani, dei cavalli e dei tori. Terra di poeti e di pittori, terra di vento e di fuoco. Pensò a Mistral e ai troubadoures di un tempo, pensò ai cantori della rinascita occitana. Gli tornarono in mente i versi crudeli di Emile Bonnel, quello che più di tutti amava:

Entre la mar d'aigo
e lou desert di vigno
sus lou pelagnas
Ounte se courduron
li doua desesperanço,
l'alo di flamen
uiausso de sang


("Fra il mare d'acqua/e il deserto di vigne,/sulla vasta distesa/dove s'intrecciano/le due disperazioni,/ l'ala degli aironi/lampeggia di sangue")



Delle sue vite precedenti non era rimasto niente. Niente. Solo ricordi. Da giovane gli piacevano le vie malfamate, i locali sordidi. Perdersi nella confusione e nel rumore. Ricordava ancora la prima volta che era stato a Genova. Ebbro di sole, si era immerso nei vicoli di Pre, richiamato dall'afrore del mare. Mescolato agli operai del porto, alle puttane e ai venditori di sigarette in via del Campo si era sentito finalmente a casa. Gli ritornavano alla mente gli odori di Lisbona, la luce bianca sulla città, le torri squadrate della cattedrale e il minuscolo Bico do Espiritu Santo dove aveva abitato. Riandava alla notte in cui, incantato dagli occhi neri di una fadista, si era battuto con un marinaio ubriaco in un vicolo dietro l'Igreja de S. Roque, su tra il Chado e il Bairro Alto e poi, ancora ansante, si era andato a sedere ad un tavolino del Caffè Brasileira, proprio accanto alla statua di Pessoa, a fianco degli intellettuali, dei gay e dei turisti in cerca di emozioni.

Gli anni erano passati e lui con loro, morendo un poco ogni giorno, cambiando nell'animo. Era il silenzio ora ad attirarlo, il respiro profondo del tempo al di là di ogni illusione/rappresentazione. Rivedeva lo spicchio di mare in fondo alla viuzza di Bastia sotto le mura della cittadella genovese e la grande nave bianca che dalla sua finestra un mattino aveva visto passare come un gabbiano di sogno che fluttuasse nell'aria. Ripensava alle verdi vallate d'Occitania, ai borghi silenziosi, ai pascoli alti, alle danze frenetiche, ai libri di Fontan che parlavano di un popolo dimenticato che non voleva morire.

Luoghi dove era stato, dove aveva amato, dove si era sentito bene. Luoghi del suo passato, stanze della memoria. Questo e poco altro gli era rimasto. Desiderio di morire, volontà di vivere: a questo dilemma si era ridotta la sua vita Una sete di infinito, di intensità, di assoluto lo consumava.

Attese che calassero le prime ombre, poi incominciò a scendere. Giù in fondo la lunga linea bianca della costa si intravedeva appena. Puntuale si accese ad occidente la prima stella. Il canto solitario di un uccello lo accolse nel bosco che la brezza serale come un brivido scuoteva a preannunciare la notte. Tra gli alberi faceva caldo. Dai sentieri non più battuti emanava forte l'odore delle felci.

Assorto nei suoi pensieri, le spalle ingobbite, continuava ad andare giù per il sentiero che portava alla sua casa. Nulla rimaneva della sua giornata. Nulla. E mentre una brina gelida afferrava il suo cuore, egli rendeva silenziosamente grazie del fatto che anche quella giornata si fosse finalmente consumata.


(continua)