TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


giovedì 28 maggio 2015

Sul Cammino di Santiago di Compostela



Giorgio Amico

Compostela

Siamo stati lontani dal blog per qualche giorno. Per un assaggio del cammino di Santiago. Solo qualche tappa, ma sufficiente per entrare nella magia profonda di un percorso millenario. Una esperienza valida per tutti, credenti e no, perché è sempre dentro di noi che dobbiamo cercare l'eco di Dio (per chi crede) o la nostra interiorità più celata con i suoi limiti e le sue potenzialità.



Il cammino, con i suoi incontri e la fatica, serve a questo. Esiste una meditazione che accompagna il ritmo dei passi sul sentiero. La fatica libera la mente, la ripulisce dai pensieri inutili. Concentrati sul camminare, anche il respiro prende un ritmo diverso. Tutto è mirato al risultato, il superfluo, l'inutile, il nocivo lasciano il posto all'essenziale.



Solo il ritmo dei passi ci accompagna. Gli affanni e le preoccupazione del quotidiano, lasciati alle spalle, non pesano più. Il Puente de la Reina nella sua allusiva perfezione simboleggia questo passaggio.



E' la spiritualità della strada (e dell'ascensione in montagna). 



Poche cose nello zaino, che pure procedendo diventa sempre più pesante, ci ricordano che per vivere basta poco e che è per sopravvivere che occorre avere tutto. Per questo la società consumistica è un mondo artefatto dove il morto afferra il vivo e non lo lascia. 



E poi i segni lasciati da chi ci ha preceduto. Piloni, cappelle, chiese, ospizi, cumuli di pietre, piccoli oggetti (scarponi, bastoni) lasciati da chi è già passato (l'anno scorso o mille anni fa). Senza distinzioni di dimensione o valore. Testimonianze di una fede (in Dio o nell'uomo, poco importa) che il cammino ha reso consapevole.



Perché andare a Compostela è un segno di speranza. E il cammino non delude mai.

























L'arrivo, invece si. Perché, una volta arrivati nella grande città dei pellegrini si ritrova tutto ciò che ci si era lasciati alle spalle: rumore, confusione, la fede diventata occasione di affari e di guadagno.



I grandi santuari sono da sempre luoghi di scandalo dove tutto è in vendita e le cose più sacre si trasformano in paccottiglia da bancarelle. Lo erano ai tempi di Cristo che a Gerusalemme impugnò la frusta e di Lutero che a Roma diventò un rivoluzionario. Lo restano oggi. E Santiago non fa eccezione.



Proprio a questo serve la fatica del cammino. A imparare a distinguere ciò che conta da ciò che non ha valore. E allora occorre un ultimo atto. Riprendere il cammino fino a Finisterre, dove il mondo finisce e il sole ogni sera muore nell'immensità del mare.



Rocce e mare e volo di gabbiani. Solo il rumore del vento e al calare delle ombre la luce rassicurante del vecchio faro. 



Ci viene di pensare che avevano ragione i maestri senza nome, costruttori di quelle cattedrali che come un manto bianco ricoprono il percorso, a disegnare pavimenti come scacchiere e volte come un cielo stellato. Abitavano secoli che qualcuno ancora chiama "bui", ma erano capaci di comprendere che, se la vita è contraddizione, il cosmo è armonia ed è questo a renderlo sacro. E' il linguaggio simbolico delle cattedrali che noi non comprendiamo più, ma di cui ancora portiamo dentro echi che (forse) il cammino ci aiuta a riscoprire.



Un timido uccellino viene a condividere i resti del nostro pasto.


Siamo soli davanti al mare.



Ora davvero siamo arrivati e la conchiglia raccolta sulla riva lo testimonia. segno di vita e di speranza. La porteremo al collo sulla via del ritorno.



In terra d'Oc da una collina tristi cavalieri catari ci guardano passare con gli occhi vuoti di chi ha visto come le religioni possano uccidere la bellezza e la gioia (il cuore di Dio) e diventare ferocia pura, smania di potere e di possesso. Torniamo indietro, verso la normalità.