TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 3 marzo 2018

Quando Dante mandò all'Inferno i Genovesi.



A Dante, è noto, i Genovesi non erano simpatici. “Uomini diversi D'ogni costume e pien d'ogni magagna”, così li definisce e per l'epoca non era proprio un complimento. Cerchiamo di capire perchè il sommo poeta ce l'avesse tanto con la Superba.

Giorgio Amico


Quando Dante mandò all'Inferno i Genovesi.

Quando nel XXXIII canto Dante arriva nel IX e ultimo cerchio dell’Inferno egli scopre un grande lago ghiacciato nel quale i colpevoli di tradimento espiano in vario modo le loro colpe. Nella Caina sono puniti i traditori dei parenti, nell'Antenòra ci sono i traditori della patria, nella Tolomea i traditori degli ospiti, nella Giudecca ci sono i traditori dei benefattori.

Giunto nella Tolomea, Dante incontra un illustre genovese, Branca Doria, membro di una delle più nobili famiglie della città e importante uomo politico del suo tempo. Volendo estendere i domini della famiglia in sardegna, il Doria aveva prima sposato Caterina Zanche, figlia di un importante feudatario governatore del Logudoro e poi fatto assassinare il suocero durante un banchetto a cui lo aveva invitato. 


    Palazzo di Branca Doria in piazza S. Matteo

La cosa stupefacente è che, quando il poeta incontra il nobile genovese, questi è ancora in vita e Dante non manca di farlo notare alla sua guida:

Io credo, diss'io a lui, che tu m'inganni;
Chè Branca d'Oria non morì unquanche,
E mangia e bee e dorme e veste panni.

Pronta la risposta di Virgilio a svelare l'arcano. Tanto grave era il delitto di Branca che la sua anima era stata immediatamente gettata nell'Inferno, mentre sulla Terra il corpo del traditore è animato da un demone. Insomma, una sorta di zombie medievale:

Nel fosso su, diss'ei, di Malebranche,
Là dove bolle la tenace pece,
Non era giunto ancora Michele Zanche,
Che questi lasciò il diavolo in sua vece
Nel corpo suo e d'un suo prossimano
Che 'l tradimento insieme con lui fece.

La storia potrebbe anche finire qui, ma Dante si concede ancora il tempo di lanciare una dura invettiva contro Genova, patria di gente infida:

Ahi Genovesi, uomini diversi
D'ogni costume e pien d'ogni magagna,
Perchè non siete voi del mondo spersi?

A questo punto la domanda sorge spontanea. Cosa può aver spinto Dante a un simile atteggiamento? Insomma, cosa gli hanno fatto tanto di male i Genovesi per meritare una tale maledizione. La risposta si trova negli scritti di un erudito dei Cinquecento, Oberto Foglietta, che in un suo libro ( Eloggi degli Huomini chiari della Liguria), pubblicato nel 1584 a Genova, spiega così la rabbia di Dante verso Branca Doria e i suoi concittadini:

"Dante uomo per altro molto eccellente, si rendeva per un certo suo natural diffetto, rincrescevole a ciascuno e noioso. Ed era poi agli umori delle parti in modo sottoposto, che spesse volte da furiosi movimenti d’ animo si lasciava trasportare infino a far delle pazzie. ll quale non considerando bene, a che grave pericolo si mettano coloro che offendono gli uomini potenti, con troppa libertà di lingua, in che egli continuamente peccò, mordeva fuor di misura (ne so io già per qual cagione) il nome e il credito del Doria. Nè perchè sovente ei ne fosse ripreso, si rimaneva però dil maledire. Alla fine pensarono gli amici e servitori di Branca‘, doversi con fatti rintuzzare l’ acerbità delle parole: laonde preso Dante in bel pubblico, gli diedero una grande battitura". 

    Vico dei Parmigiani, In questa zona si sarebbero svolti i fatti narrati.

Dunque, secondo questa cronaca, Dante avrebbe soggiornato a Genova e lì si sarebbe messo in contrasto con i Doria. Si pensa che i fatti siano accaduti fra il 1311 e il 1312. Il poeta toscano, ospite della comunità dei mercanti lucchesi, avrebbe soggiornato in via dei Malocelli, fra il vico dei Parmigiani e il luogo di Mortedo in prossimità dell’Acquasola, ove allora sorgeva il chiostro degli Umiliati. Qui sarebbe stato aggredito e percosso dagli amici e dai servitori di Branca Doria.

Sul fatto esistono diverse versioni: alcuni affermano che sarebbe stato lo stesso Branca ad affrontarlo per strada e a schiaffeggiarlo pubblicamente. Altri pensano invece l'aggressione sia stata organizzata dal figlio di Branca, Bernabò, signore di Sassello e di Calvi,che lo avrebbe fatto aggredire dai suoi servi.

La critica contemporanea mantiene sui fatti un cauto riserbo. In mancanza di dati storici certi è messa in dubbio anche la presenza dell'esule toscano a Genova. Ma a noi questa tesi di un Dante gravemente offeso nel suo onore che regola i conti con Genova e i Genovesi all'Inferno continua comunque a piacere.

(Da: Donne, maghi, poeti e marinai. Aspetti insoliti della Liguria di Ponente nel Medioevo, UniSabazia, Anno accademico 2017-2018)