TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


domenica 14 agosto 2022

Un rivoluzionario dimenticato. Michelangelo Pappalardi (1895-1940)

 


Iniziamo la pubblicazione delle bozze provvisorie di un lavoro in via di stesura sulla figura, oggi quasi totalmente dimenticata, di Michelangelo Pappalardi, seguace di Amadeo Bordiga e poi nell'esilio molto vicino ai comunisti dei consigli tedeschi ed in particolare a Karl Korsch.

Giorgio Amico

Un rivoluzionario dimenticato. Michelangelo Pappalardi (1895-1940)


.Michelangelo Raffaele Pappalardi, nasce l'8 novembre 1895 a Campobasso. La famiglia appartiene al piccolo notabilato cittadino. Il padre, Luigi, lavora come cancelliere presso il Tribunale, incarico per i tempi assai prestigioso nell'ambiente un po' asfittico di una cittadina meridionale. La madre, Pasqualina Cannavina, appartiene alla piccola nobiltà tanto da essere definita nei documenti dello stato civile alla voce professione «gentildonna». Una famiglia numerosa - Michelangelo ha tre sorelle e un fratello – ma abbastanza benestante. Accade così che, nonostante la precoce morte del padre, i due figli maschi possano laurearsi: Silverio in Ingegneria e Michelangelo in Lettere. Una famiglia profondamente cattolica tanto che le tre sorelle – Luisa, Bettina e Maria – si faranno suore di clausura nell'ordine delle Agostiniane e passeranno l'intera vita nel convento di Piano di Sorrento.

Non sappiamo nulla della sua infanzia e della sua giovinezza, quanto abbia pesato la precoce perdita del padre quando era ancora bambino, né quali fossero i rapporti in famiglia con la madre. Di sicuro fu l'unico dei figli a cambiare radicalmente il suo modo di vivere e di pensare. La sua scelta di aderire al Partito socialista rappresentò, come si evince anche da lettere scritte al fratello durante l'esilio in Francia, una brusca rottura con l'ambiente famigliare e sociale di appartenenza a partire dall'opprimente educazione cattolica ricevuta fin dai primi anni. Un cattolicesimo, conservatore se non reazionario, utilizzato come puntello dell'ordine dell'ordine sociale esistente dalle classi possidenti del profondo sud.

Come per Amadeo Bordiga, di qualche anno più vecchio di lui, Michelangelo Pappalardi maturò la sua adesione alle idee socialiste a Napoli durante gli anni dell'Università, studi che gli permisero di acquisire una buona conoscenza della lingua tedesca, ma che soprattutto lo misero in contatto con le idee di avanguardia del tempo. Contrariamente a quello che solitamente si pensa, all'inizio del XX secolo Napoli era una città, culturalmente molto viva. All'Università di Napoli insegnava il liberale Benedetto Croce, alla cui rivista «La Critica» collaboravano intellettuali emergenti come Giovanni Gentile, ma anche l'ex sindacalista rivoluzionario Arturo Labriola. Socialmente l'area rappresentava un misto di sottosviluppo e di grandi industrie moderne come i cantieri navali di Castellamare di Stabia.

Anche il socialismo napoletano rappresentava una realtà complessa che andava da un riformismo non privo di reminiscenze risorgimentali dalle forti venature massoniche, al sindacalismo rivoluzionario influenzato da Sorel e Labriola, al massimalismo intransigente del Circolo Carlo Marx, fondato nel 1912 a Castellamare di Stabia da Amadeo Bordiga e da un gruppo di giovani socialisti insofferenti della politica dei blocchi elettorali fra socialisti e democrazia radicale. E al giornale «La Voce», organo del Circolo, Pappalardi collabora con corrispondenze sulle lotte operaie nelle fabbriche del circondario. In questa sua prima militanza stringe intensi rapporti di amicizia e collaborazione con Amadeo Bordiga che fino al 1926 rappresenterà il suo principale punto di riferimento politico.

Pappalardi segue Bordiga in tutti i passaggi che dal Circolo Carlo Marx porteranno alla fondazione del Partito comunista d'Italia nel 1921. Così lo troviamo nel 1918 fra i primi aderenti alla Frazione comunista astensionista, la corrente organizzata nazionalmente attorno a Bordiga, che insieme al gruppo torinese de «l'Ordine Nuovo» e alla sinistra comunista milanese di Fortichiari e Repossi, sarà poi il nucleo centrale del futuro partito. Proprio in rappresentanza della Frazione Pappalardi viene nominato nell'aprile 1920 segretario della Camera del Lavoro di Castellamare di Stabia, sorta nel 1919 ad opera di Antonio Cecchi anche lui seguace di Bordiga, destinato a dirigere la più prestigiosa CdL di Napoli. Carica che il giovane professore di Lettere esercitò con totale dedizione tanto da essere inserito nell'elenco dei sovversivi pericolosi, da tenere sotto stretta sorveglianza. Dalla Sottoprefettura di Castellamare di Stabia iniziano a partire per la Prefettura di Napoli informative sulle sue attività. Relazioni che troveremo poi riassunte in una scheda biografica del marzo 1923 in cui si sottolinea come il «Pappalardo» [sic] deve ritenersi il principale organizzatore di scioperi e manifestazioni. Inoltre egli tiene frequentemente comizi e riunioni in si cui predica «l’ odio di classe» e si incita «alla rivoluzione». Molto legato ai «noti Misiano, Buozzi, Bordiga, Arcucci di Napoli», il «professore» si deve considerare un quadro importante del partito.

Intanto fra fine ottobre e inizio novembre si erano svolte in tutta Italia le elezioni amministrative, le prime dopo la conclusione della guerra. Fu un grande successo del Partito socialista che riuscì a conquistare oltre duemila comuni in tutta Italia, quasi interamente concentrati nel Centro Nord del Paese. In Campania i socialisti prevalsero solo a Castellammare di Stabia e Torre Annunziata, la cintura industriale di Napoli dove la Frazione astensionista, pur contraria alle elezioni, era stata l'unica a condurre un intervento in profondità sulle fabbriche. A Castellamare la vittoria socialista scatenò un vero e proprio panico fra i borghesi anche perché la nuova amministrazione aveva immediatamente deliberato una radicale riforma dei tributi locali spostandone il carico principale dalla classe operaia ai ceti possidenti. La reazione fascista non si fece attendere. Il 20 gennaio 1921, durante la cerimonia di intitolazione della piazza centrale della cittadina a Spartaco, in memoria di Karl Liebknecht, assassinato il 15 gennaio di due anni prima, squadre fasciste, arrivate da varie parti della Campania, scatenarono violentissimi scontri con un bilancio di sei morti e decine di feriti. Fra gli uccisi anche un maresciallo dei carabinieri Clemente Carlino, abbattuto da un colpo di rivoltella probabilmente esploso dai fascisti. Pappalardi, che in qualità di segretario della Camera del Lavoro era stato uno dei principali organizzatori della manifestazione, fu arrestato e denunziato per complicità in omicidio con altri quattordici «sovversivi».

Dopo l’arresto per i fatti di Castellammare di Stabia il Pcd’I candidò Pappalardi alle elezioni del maggio 1921 per ottenerne la scarcerazione, ma non riuscì a farlo eleggere. La carcerazione preventiva durò oltre tredici mesi, nonostante le proteste della stampa di sinistra e varie forme di lotta per accelerare i tempi dell'istruttoria fra cui lo sciopero della fame degli arrestati. Finalmente il

6 febbraio 1922 iniziò il processo attentamente seguito dalla stampa rivoluzionaria comunista e anarchica con numerosi articoli de «Il Soviet» e «Umanità nova». Il dibattimento si concluse agli inizi di aprile con l'assoluzione di tutti gli imputati che, immediatamente rimessi in libertà, rientrarono a Castellammare dove ad attenderli trovarono una enorme folla plaudente. In quell'occasione Michelangelo Pappalardi arringò la piazza da un palco improvvisato incitandola a proseguire nella lotta per la sconfitta della reazione fascista e l'instaurazione anche in Italia del potere dei soviet.

Ritornato in libertà, Pappalardi fu mandato a dirigere la Camera del Lavoro di Napoli che nel biennio rosso era arrivata a contare 84 Leghe e 40 mila iscritti, un quarto dei quali metallurgici. Come già era accaduto a Castellamare, andava a sostituire Antonio Cecchi, la cui gestione eccessivamente personalistica aveva creato forti tensioni non solo fra i socialisti, ma anche fra i suoi compagni di partito, tanto da essere attaccato con toni molto duri da Ortensia De Meo, moglie di Amadeo Bordiga ed esponente della Federazione napoletana del Pcd'I su «Il Soviet» del 22 febbraio 1922: «Non è da noi tollerare, ammesso che vi siano, gli opportunisti, i cacciatori di stipendi, gli spostati in cerca di fortuna, che quasi sempre antepongono agli interessi del partito la propria utilità pratica, la propria carriera economica e politica».

La sua fu tuttavia una gestione di breve durata. Già nell'autunno Pappalardi rassegnò le dimissioni in seguito a serie divergenze, di cui non si conosce la natura, insorte con il partito che addirittura lo sospese dall'attività per tre mesi.

Dopo la marcia su Roma e la formazione del primo governo Mussolini la situazione per Pappalardi come per molti altri militanti del movimento operaio si fa difficile. Nei primi giorni di febbraio 1923 la polizia attua una gigantesca retata. Umberto Terracini, in una lettera del 13 febbraio 1923, scrive: «Il governo fascista ha aperto la grande battuta anticomunista da tempo preannunciata. Nello spazio di una settimana la polizia ha arrestato oltre 5000 compagni... Il nostro partito non piega e non cede: arrestati un quarto dei propri iscritti, sciolte le sue sezioni, privo del suo capo, il compagno Bordiga, minacciato nei suoi membri di morte e di tortura, il Partito Comunista d'Italia ha già ripreso la sua funzione e i suoi lavori». Tra febbraio e aprile viene arrestato quasi tutto il Comitato Centrale e 72 segretari federali nonché i segretari delle organizzazioni giovanili provinciali. Anche Michelangelo Pappalardi è fra gli arrestati. Rilasciato dopo una breve detenzione, Pappalardi venne schedato, il dieci marzo, dalla Sottoprefettura di Castellammare di Stabia. Di quell'arresto ci resta la sua scheda segnaletica con le fotografie di fronte e di profilo, come d'uso, e una sintetica descrizione. Pappalardo, come si ostinano a chiamarlo i poliziotti, è una persona di bassa statura, di circa un metro e sessanta, dal viso tondo, la fronte alta, l’espressione fisionomica seria e l'uso abituale di «occhiali a stanghetta essendo miope»

1. continua