TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 16 gennaio 2023

L' Ucraina e la crisi della sinistra italiana

 


Riprendiamo larghi estratti dell'intervento di Fabrizio Burattini da cui emerge come gran parte della sinistra italiana si dimostri da quasi un anno totalmente incapace di assumere una posizione chiara sulla guerra in Ucraina, o nascondendosi dietro slogan vuoti di contenuti concreti o simpatizzando apertamente per Putin e rendendosi in tal modo complice dei suoi crimini.


L'Ucraina e la crisi della sinistra italiana

di Fabrizio Burattini


L’invasione e la distruzione dell’Ucraina da parte degli eserciti della Federazione russa continua da quasi un anno.

Certo, com’è noto, di guerre, devastazioni, efferatezze, stragi è punteggiata tutta la storia del capitalismo. La “pace mondiale” stipulata subito dopo la sconfitta del nazifascismo non si è certo trasformata in quella pace predicata nella “carta delle Nazioni unite”, che si impegnavano a “mantenere la pace e la sicurezza internazionale, prendendo efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace” (dall’art. 1 della Carta delle Nazioni Unite del 1945).

Inoltre, lo sappiamo, oggi, in questa fase, il mondo è investito da una raffica di crisi, da quella economica a quella ambientale, da quella alimentare a quella delle migrazioni… Dunque, laddove ci si volti, i motivi per la mobilitazione delle/degli anticapitaliste/i si moltiplicano, mentre le forze da impegnare in quelle mobilitazioni si fanno sempre più scarse. Ma queste constatazioni, direi ovvie, non tolgono nulla alla natura sconvolgente di quella guerra. Invece, buona parte della sinistra italiana ha sostanzialmente banalizzato quella guerra, come a dire che, essendo una delle tante, sarebbe inutile prenderla di petto e si è concentrata non tanto sulle sofferenze delle popolazioni direttamente coinvolte, ma piuttosto sulle conseguenze che la guerra comporterebbe sulle classi popolari italiane.

La sinistra italiana (seppure con diverse sfumature, ma sostanzialmente con un comportamento largamente convergente) ha scelto, al contrario, di ignorare l’occasione cruciale di intervento e di iniziativa antiguerra che la vicenda ucraina costituiva, ha scelto di non mettersi in sintonia con l’ondata emotiva che la criminale iniziativa di Putin ha innescato nelle opinioni pubbliche dei paesi dell’Europa occidentale, e in particolare in quella italiana, altrimenti colpevolmente sorda anche alle più indicibili sofferenze umane quando queste si verificano lontano dalla sua comfort zone. Anzi, ha scelto di contrapporsi a quell’ondata emotiva, indicandola come frutto subalterno della propaganda dell’imperialismo occidentale. E ha scelto di privilegiare la ricerca di una ipotetica sintonia con il “pacifismo dei bottegai”, di quelli che guardano con ostilità alla resistenza ucraina, avversano le sanzioni, tifano sordamente (a volte perfino esplicitamente) per la “vittoria del più forte”, perché tutto ciò che comportano la resistenza e le sanzioni mette in discussione i loro miserevoli affari.

Nel corteggiare questa presunta “maggioranza pacifista degli italiani”, non a caso, la sinistra si è trovata in una non onorevole e non pagante concorrenza diretta con Berlusconi e con Salvini.

Un atteggiamento radicalmente diverso poteva diventare uno strumento per far riflettere le persone sul proprio egoismo, per sollecitare un moto di sdegno verso Putin e di solidarietà verso le ucraine e gli ucraini, e contemporaneamente per indicare quelle sofferenze come un esempio dello strazio di tutti gli altri popoli che soffrono in situazioni di guerra o di oppressione da parte di potenze straniere.

Da grandissima parte di quella che, chissà perché, continua ad essere considerata la “sinistra radicale” italiana, la guerra di invasione della Russia in Ucraina è stata colta come occasione per parlare d’altro, evitando accuratamente ogni cenno significativo a quello che in Ucraina accadeva e accade.

Considero questa innegabile realtà uno dei principali indicatori della crisi terminale di quella che fu la “sinistra italiana”, un segnale di perdita di ogni vero orientamento internazionalista e, in fin dei conti, di gravissimo appannamento della sua capacità di comprendere il mondo.

La prima qualità che dovrebbe differenziare una donna o un uomo di sinistra da donne e uomini di destra è la capacità di empatia con il resto delle classi popolari, qualunque sia il colore della loro pelle, la loro religione, il loro luogo di vita. L’ “empatia”, termine che si è diffuso nella cultura verso la fine del Novecento, viene così definita dal dizionario: “capacità di comprendere lo stato d’animo e la situazione emotiva di un’altra persona, in modo immediato, prevalentemente senza ricorso alla comunicazione verbale. Più in particolare, il termine indica quei fenomeni di partecipazione intima e di immedesimazione”. In parole povere, la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”. Senza scomodare il vocabolario e con la forza comunicativa che il personaggio aveva, il Che Guevara, in una nota lettera ai figli, scrisse: “Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia, commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo. È la qualità più bella di un buon rivoluzionario”.

Occorre riconoscere che le ingiustizie commesse contro il popolo ucraino in questo anno di guerra non sono state “sentite nel profondo” dalla sinistra italiana, anzi non sono state sentite neanche superficialmente, una sinistra che ha preferito privilegiare e “sentire” le “sofferenze” dell’oligarchia russa, descritta più o meno a ragione come gravemente minacciata dall’imperialismo statunitense (e dai suoi alleati europei), in qualche misura giustificandone la reazione sulla pelle del popolo ucraino.

La “sinistra” ha osato sfilare nelle, ahimè, pochissime occasioni di mobilitazione sulla questione, centrando le proprie parole d’ordine sul disarmo della resistenza ucraina e sulla fine delle sanzioni alla Russia. Dunque una sinistra italiana che è stata giustamente percepita dal popolo ucraino come supporter dell’aggressione russa, dei suoi bombardamenti, dei suoi massacri, dell’attuale ricatto del freddo (attraverso il bombardamento sistematico delle centrali elettriche), ecc.

Una “sinistra” che si è distinta per aver avallato, accettato e fatte proprie le motivazioni (peraltro cangianti a seconda delle differenti convenienze militari e politiche) strumentalmente accampate dalla leadership della Federazione russa.

(...)

Molti a “sinistra” hanno accolto con soddisfazione la sequela delle menzogne russe, comprese quelle più cinicamente aberranti, come l’insinuazione che i morti di Bucha fossero figuranti stipendiati dalla propaganda ucraina.

Gli “argomenti” di Putin, la loro assurdità e il loro carattere volgarmente strumentale non meriterebbero di essere puntualmente smascherati nell’ambito di una sinistra che pretendendosi “antimperialista” dovrebbe diffidare per principio di quel che viene dal governo di una potenza imperialista, come diffidiamo per principio di quel che viene dalle centrali imperialiste nostrane.

La poca serietà e la incapacità di analisi di questa sinistra peraltro si dimostrano con il fatto che questa stessa, fino agli anni 80 del secolo scorso, definiva l’Unione sovietica, al tempo di Kruscev e di Breznev, come potenza “socialimperialista”, mentre oggi, dopo tutto quel che è successo, considera la Russia un attore positivo a difesa del “carattere multipolare” del pianeta.

E’ utile ricordare a questo proposito che il caos geopolitico che ha caratterizzato il pianeta dopo la sconfitta degli USA nel Vietnam, dopo quella dell’Iraq e, infine, dopo quella dell’agosto 2021 dell’Afghanistan, quel caos che aveva condotto perfino il presidente francese Macron a definire la NATO in “stato di morte cerebrale”, è in via di ricomposizione proprio grazie all’aggressione russa all’Ucraina. In questi ultimi 10 mesi, la centralità dell’imperialismo statunitense si sta decisamente ricostituendo, la NATO si è abilmente potuta ricostruire una “funzione” che aveva perso con la fine della Guerra fredda, e la sua popolarità sta purtroppo crescendo in modo esponenziale (vedi le nuove adesioni e il consenso che essa riscuote in ampie parti del mondo, non solo tra i governi ma anche nelle opinioni pubbliche).

Ma l’empatia non significa solo considerare con pietà e in maniera solidaristica le sofferenze del popolo ucraino: in quel modo ci si potrebbe limitare a sostenere iniziative di solidarietà (come l’invio in Ucraina di cibo, coperte, generatori elettrici, ecc.), iniziative che comunque in Italia sono state totalmente ignorate o addirittura guardate con diffidenza dalla sinistra e lasciate (salvo qualche lodevole eccezione) alle associazioni religiose e laiche. Per una o un internazionalista, empatia significa appunto “mettersi nei panni dell’altro” e dal comodo della nostra comfort zone interrogarsi su quel che faremmo noi internazionaliste/i se ci trovassimo là.

La sinistra avrebbe peraltro già dovuto farlo per la Siria, a partire dal 2011 quando sono scoppiate le prime proteste e le prime rivolte contro il regime di Bashar al-Assad. L’alternativa era: schierarsi a difesa del regime, fino a salutare come positivi i criminali bombardamenti russi e dell’esercito di Assad che hanno raso al suolo la città di Aleppo e tanti altri centri minori, fino a considerare contro ogni evidenza come fake news le denunce dell’uso da parte del regime e dei russi di bombe termobariche o di armi chimiche? Oppure scegliere di sostenere, ovviamente conservando la propria indipendenza di analisi e di iniziativa, la ribellione popolare?

E, analogamente, come ci saremmo comportati se ci fossimo trovati in Ucraina il 24 febbraio? Noi siamo un po’ troppo affezionati all’affermazione che Carl von Clausewitz fa nel suo “Della guerra” secondo cui “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”. Quell’affermazione nasconde (soprattutto al lettore disattento) che una situazione di guerra (a differenza di quando agisce ancora la “politica”) non consente troppe scelte e non ammette furbeschi posizionamenti neutralistici. Le scelte a disposizione si riducevano e si riducono sostanzialmente a tre:

  • salutare come liberatoria l’invasione russa, e scegliere in modo vario di collaborare con essa;

  • scappare e lasciare che la difesa di case, di infrastrutture e della vita di chi non può scappare e della stessa indipendenza politica del paese fosse compito solo dell’esercito regolare;

  • oppure in vario modo partecipare alla resistenza ucraina antirussa, cercando di dare il proprio contributo, armato o disarmato, appunto alla difesa del paese.

E’ evidente che grandissima parte della “sinistra radicale” italiana, se si fosse trovata al posto della o del “giovane ucraina/o” avrebbe adottato la prima posizione, o al massimo la seconda, apparentemente quasi nessuno la terza.

(...)

In ogni caso, anche al di là delle innegabili responsabilità NATO, è politicamente sconsiderato mettere le “sofferenze” dei russi e degli ucraini sullo stesso piano, in una falsa equivalenza. Nel conflitto sono direttamente coinvolti un paio di centinaia di migliaia di militari russi (in gran parte coscritti certo, a parte i mercenari, ma comunque corrispondenti allo 0,1% della popolazione di tutta la Federazione) mentre dalla parte ucraina sono coinvolti e duramente, materialmente ed esistenzialmente colpiti, non solo l’esercito ma tutti i 43 milioni di cittadini e, per certi versi, emotivamente anche quei 6 o 7 milioni di ucraine e di ucraini che erano emigrati già prima del 24 febbraio.

Ovviamente dobbiamo essere anche dalla parte dei ragazzi russi, trascinati a combattere in una guerra che non è minimamente la loro, e dalla parte delle loro famiglie, ma non possiamo nasconderci che c’è un gigantesco divario etico tra chi, come le classi popolari russe che sono costrette a una vita quotidiana più ardua e a un periodo di maggiori difficoltà economiche (il tutto sempre per responsabilità intera della leadership putiniana) e chi, come le classi popolari ucraine che vivono quotidianamente la realtà di missili che radono al suolo intere città.

Lo ripeto, internazionalismo è in primo luogo porsi la domanda “che cosa farei io (con il mio bagaglio ideale e politico) se fossi lì”, altrimenti internazionalismo non è. Un tempo l’essere internazionalisti portava perfino a partire con le “brigate internazionali”. Ma almeno non deve portare a subordinare la propria posizione sull’Ucraina alle convenienze politiche e ai “posizionamenti” nazionali. Questo non è né potrà mai essere internazionalismo.

Quello che ho cercato di dire sulla/sul “giovane ucraina/o” lo si può altrettanto dire sulla/sul “giovane russa/o”. L’internazionalismo vuol dire anche chiedersi che posizione deve assumere un internazionalista russo. L’internazionalista russo non vive la medesima impellenza dell’ucraino, ma la sua coscienza internazionalista dovrebbe spingerlo ad assumere una posizione convergente. Ed è quello che fanno migliaia di giovani oppositori russi e soprattutto russe. Le/i democratiche/i russe/i dovrebbero dire (seguendo l’esempio di tanta parte della sinistra italiana) che la responsabilità della situazione è della NATO? Che l’Ucraina è infestata dai nazisti? che è antidemocratica perché mette fuorilegge l’opposizione? In tale modo non sarebbe più all’opposizione di Putin, perché ne condividerebbe le analisi di fondo.

Al contrario, le oppositrici e gli oppositori russi adottano in sostanza quella che fu la linea del movimento americano contro la guerra del Vietnam tra il 1966 e il 1975: “Fuori la Russia dall’Ucraina”, “Riportate a casa i nostri ragazzi”. E i settori più coscienti, come accadde per gli USA oltre 50 anni fa, agitano la parola d’ordine fondamentale: “Per la vittoria dell’Ucraina”.

Già so che i nostri “sinistri radicali” controbatteranno: “Ma noi siamo qua, dobbiamo opporci alla NATO”. Giusto. Ma io direi che noi dobbiamo anche opporci alla NATO, mentre per la sinistra nostrana l’opposizione e la denuncia delle responsabilità NATO e UE ha sostituito e ha cancellato ogni traccia di solidarietà con il popolo ucraino, con la sua resistenza e con la sua sinistra classista e internazionalista.

Viene giustamente denunciato il “doppiopesismo” dei mass media filoatlantici che denunciano le angherie dell’esercito russo ma tacciono o addirittura giustificano le angherie degli americani nelle loro numerose guerre imperialiste, quelle dei turchi contro i curdi, quelle israeliane contro i palestinesi, ecc. Ma a quel “doppiopesismo” viene contrapposto un doppiopesismo altrettanto inverecondo che banalizza la sofferenza del popolo ucraino.

Parte di questa sinistra, per giustificare la propria posizione campista e a volte esplicitamente “putinista”, ha anche messo in discussione il concetto stesso di autodeterminazione, ritenendolo un residuo del Novecento. A questo proposito, rimando a quel che scrissi in un altro mio articolo di giugno 

(...)

Aggiungo infine, a ulteriore dimostrazione della crisi perfino morale dell’internazionalismo, che a nessuno nella “sinistra radicale” italiana è minimamente venuto in mente di organizzare iniziative che abbiano dato voce ai protagonisti ucraini o russi che siano. Hanno fatto eccezione solo le estremamente significative occasioni nelle quali il “Comitato per il no alla guerra in Ucraina” ha ascoltato la ricercatrice ucraina Daria Saburova, il sociologo russo Alexander Bikbov e il giornalista italo-russo Jurii Colombo.

Lo stesso comitato che ha organizzato e realizzato l’unica manifestazione di sinistra nei pressi dell’ambasciata russa a Roma lo scorso venerdì 7 ottobre.


Fonte: refrattario.blogspot.com