TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


mercoledì 19 maggio 2010

Incontro con Edoardo Sanguineti





E' mancato oggi il poeta Edoardo Sanguineti. Armida Lavagna lo ricorda così:

Armida Lavagna

Incontro con Edoardo Sanguineti


"ho insegnato ai miei figli che mio padre è stato un uomo straordinario: potranno / raccontarlo, così, a qualcuno, volendo, nel tempo): e poi, che tutti / gli uomini sono straordinari: / e che di un uomo sopravvivono, non so, ma dieci frasi, forse (mettendo tutto insieme:i tic, / i detti memorabili, i lapsus): / e questi sono i casi fortunati"

Non solo questo rimane forse di un uomo, non solo questo sicuramente rimane di un poeta.

Non è un “lascito magro” quello che rimediamo questa sera, anche se magro è “l’uomo che lo ha rilasciato” e che prende “congedo, più morto che vivo” dal suo pubblico. Il lascito di qest’uomo morto che è però anche un poeta vivo sta nei suoi versi a volte barocchi e attorcigliati, a volte danteschi e limpidi, a volte dimessi e piani, spesso questi i più ineludibili:

“...penso semplicemente, oggi, con tanto sobrio realismo, che sopravvivere
in comune, con casa, cibo, abito, scuola, lavoro, pensione, ecc., qui, ormai,
sarà un’impresa disperata, per gente civile”

Ma incontrare un poeta è qualcosa di più che leggerlo. Il mio è stato un incontro tardivo e fugace, recentissimo, di alcuni attimi rubati in una libreria, tra un’intervista e un autografo. Aveva gli occhi acquosi dei vecchi, eppure lo sguardo intenso, di comunicazione non superficiale, nemmeno per quell’attimo gentilmente concesso ad una sconosciuta. Gli chiesi la dedica su una poesia per mio figlio, e parlammo dei nomi dei nostri figli, sorteggiati i miei e i suoi tra diverse civiltà antiche; essendo i miei solo due, gli feci notare che la mia cultura era più limitata della sua, e compostamente ne rise.
Durante la conferenza iniziata poco dopo, da lontano, nella vasta sala, al tavolo, mi sembrò meno corroso nel corpo dalla vecchiaia di quanto mi era parso poco prima, e altrettanto piacevole da ascoltare, nonostante la mente errabonda (ma mai distratta). Ho visto un uomo dotto e lieve, piacevolmente autoironico, con il sorriso un po' velato dall'amarezza; seguirne il vagare e il divagare per sentieri di parole ("da dov'ero partito?") è stato un piacevole viaggio senza meta ma ricco di significato.

Pur nel ribadire l’evidente assurdità dell’ingiustizia in cui siamo immersi, teneva un tono per così dire di distacco, quel tono di chi sa di avere più poco tempo da vivere e che proprio per questo si concede il lusso di impiegarlo scherzosamente, si concede le pause, i fili del discorso perduti e ritrovati, gli aneddoti di gioventù inanellati e intrecciati ai commenti insieme caustici e sorridenti sul presente affannoso e precario in cui ci tocca vivere e per il quale mostrava lo stesso dignitoso sdegno - stemperato dagli anni, ammorbidito in una risata appena accennata – che emerge dalle sue poesie:

“...principi, presidenti, eminenti militesenti potenti,
erigenti esigenti monumenti indecenti,
guerra alle guerre è una guerra da andare,
lotta di classe è la guerra da fare:”
(Ballata della guerra, da Ballate, 1982-1989)

Gli chiesi come si fa a riconoscere un vero poeta, ma come c’era da aspettarsi non mi diede una ricetta un metro una vera risposta.
In lui di poeti ne abbiamo più d’uno, da cercare da frugare nei versi innumerevoli. Su tutti, quello della poesia civile, di nitore quasi solenne:

“...con le due mani nati a lavorare,
nati con i due piedi a camminare,
con tutto il corpo nati qui a sudare,
e ancora nati a ruscare e a sgobbare,
e nati a faticare e a travagliare,
per questa scala ci impari a lottare,
e fare fine a tutto il dominare,
e, te con gli altri, tutti liberare:”

Ma anche quello di un amore coniugato in mille forme e stili e registri, persino mescolato all’inchiostro della penna:

“ti esploro, mia carne, mio oro, corpo mio, che ti spio, mia cruda carta nuda,
che ti segno, che ti sogno, con i miei seri, severi semi neri, con i mei teoremi,
i miei emblemi, che ti batto e ti sbatto, e ti ribatto, denso e duro, tra le tue fratte,
con il mio oscuro, puro latte (...)
... io la piuma, io l’osso, che ti scrivo: io che ti vivo:”


Armida Lavagna, savonese, insegna Lettere in una Scuola Secondaria. Si occupa per Vento largo di letteratura e di cinema.