TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


sabato 1 maggio 2010

A Mario Farisano, privato del lavoro, assassinato da un sistema ingiusto




E' stata la paura di non riuscire più ad arrivare a fine mese a spingere Mario Farisano, 44 anni, a farla finita. Da un anno era in cassa integrazione, come tutti i suoi colleghi della Nuova Renopress di Budrio, e il futuro lo spaventava. Due figlie da mantenere, una moglie anche lei disoccupata, Mario si arrangiava cantando la sera per i locali attorno a Molinella, ma la prospettiva di un altro anno senza un vero lavoro è a poco a poco diventata insopportabile. Così, il 16 aprile, dopo aver accompagnato la sua bambina più piccola all' asilo, è sceso in garage, ha preso la corda per saltare della figlia e si è impiccato. Ultima vittima di un sistema ingiusto.
Oggi, Primo Maggio, Vento largo lo ricorda riproponendo alcune pagine di Guido Seborga che meglio di mille discorsi testimoniano di come togliere ad un uomo il lavoro significhi privarlo della sua identità, ucciderlo nell'animo.

Guido Seborga

Storia di un operaio


Milano se ne stava per ore seduto immobile con gli occhi sbarrati, e con la mente pensava sempre alla "sua" fabbrica e a compiere il "suo" dovere; le sue orecchie accoglievano stranamente quei rumori esterni che c'erano intorno, e che non conosceva, perchè in quelle ore egli aveva sempre udito i suoni della fabbrica. Non osava uscire. Gli pareva impossibile farsi vedere per istrada in pieno giorno. Uscire diventava il gioco di un fannullone, di un buono a nulla. Non poteva andarsene sotto i portici, sedersi ad un caffè, oppure prendere una delle piccole e tortuose stradette che partono da Corso Italia, e dove ci sono tante osterie, parlare ad alta voce, discutere di "lascia o raddoppia", fare dello spirito sulle varie Lollò, queste scemenze nazionali o internazionali, messe in primo piano dai giornali, giocare alle carte o al bigliardo.
Queste erano cose che un operaio non poteva fare, che un padre di famiglia non poteva accettare, questo era un degradarsi. Meglio era stare chiuso in casa, non farsi vedere da nessuno, farsi dimenticare. "Disoccupato!" Era una condanna. Per ora aveva ancora qualche lira della liquidazione, ma dopo?
Caterina girava per casa in faccende e faceva uno sforzo grande per mantenersi calma, aveva preso la decisione di svolgere la sua attività come se nulla fosse, ma ella sapeva quanti soldi aveva in tasca, quali erano le spese assolutamente necessarie, e sapeva che non c'era da scherzare e soprattutto da perdere tempo; come scuotere il marito, come consigliarlo, cosa dirgli? Perchè Caterina vedendo il marito così abbattuto, capiva che doveva tirarlo su, aiutarlo ad uscire da se stesso, doveva rimontarsi.
"Vuoi un caffè?"
"Va bene, dammelo!" E lo beveva adagio, ma come non sapesse più gustare la bevanda. Dentro di sé pensava: "Ecco il caffè, potrebbe essere buono, ma se non lavoro, come faccio a guadagnarmelo..." La casa era vuota i ragazzi essendo a scuola; l'ambiente risultava tristissimo; ma quando i ragazzi tornavano a casa e la loro spontanea allegria scoppiava in futili scherzi, in parole senza senso e a volte anche in piccoli litigi, allora tutto suonava più falso ancora nelle sue orecchie, perchè tutte quelle cose per avere un significato reale (egli lo sentiva), dovevano essere appoggiate su di lui, sulla sua forza virile, sul suo lavoro, ma non c'era più vera vita in loro e nelle cose che avevano. Ma come erano lunghe le ore e i giorni da far passare! Mai s'era reso conto che le ore della giornata e della notte potessero essere così numerose e implacabilmente lente; man mano che i giorni passavano in quel tedio chiuso, egli perdeva vitalità, si richiudeva in se stesso, certo la sua vita diventava una specie di morte anticipata.


(Da: Guido Seborga, Gli innocenti, Marco Sabatelli Editore, Savona 2006, pp. 116-118)