TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


lunedì 16 agosto 2010

Ricordando Oscar Marchisio





Un anno fa mancava improvvisamente Oscar Marchisio, lo ricordiamo oggi riproponendo uno dei suoi ultimi scritti.

Oscar era un compagno e un amico.
Era spuntato a Savona nell'autunno del '69 con Ornella, la compagna di tutta la sua vita, dopo essere stato costretto a lasciare Sanremo dove non gli perdonavano di aver organizzato la contestazione del Festival della canzone e il lavoro di organizzazione degli immigrati calabresi della Pigna, trattati allora come gli extracomunitari di oggi: lavori in nero, alloggi fatiscenti, emarginazione sociale, pregiudizi di ogni genere. Oscar e Ornella avevano pagato con la bocciatura all'esame di maturità del 1969 la loro critica di una scuola classista e selettiva. Un'azione culminata con la contestazione del "nuovo" esame di maturità e conclusasi con la bocciatura di tutti coloro che in qualche modo si erano troppo esposti. Bocciatura di massa, apertamente politica. 14 su 50 candidati del Liceo Classico "Cassini" respinti per chiarire che la Sanremo benpensante e bacchettona non gradiva contestazioni, tantomeno nel luogo dove da sempre si formavano i figli dei notabili. E così Oscar, cuore e mente del movimento studentesco sanremese, aveva dovuto lasciare la città ed era venuto a studiare al Liceo Classico di Savona, mantenendosi facendo il guardiano notturno in un cantiere edile e continuando a far politica come poteva in quelle condizioni non certo facili, conservando però sempre quelle che per tutta la vita saranno le caratteristiche del suo impegno: la straordinaria lucidità analitica (era sempre un libro avanti nelle letture), la grande umanità che si traduceva in una insolita per l'ambiente (allora era maoista) disponibilità al confronto, e soprattutto una enorme trascinante allegria. Allegra era anche la sua voce l'ultima volta che ci siamo sentiti per programmare un'iniziativa a Savona per l'autunno. Poi il 6 agosto all'improvviso è partito per l'ultimo dei suoi viaggi.


Oscar Marchisio

Dalla crisi si esce “smontando” la logica del capitale
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"La forma della valorizzazione richiede sia nella fase di produzione, sia in quella del consumo sia in quella nuova, geneticamente nuova dello smontaggio, delle modalità costitutive che contraddicono alcune delle attuali morfologie della proprietà privata.
Da questa discrasia nasce una fase di instabilità che sta determinando le rotture e collisioni delle diverse “zolle capitalistiche”.
Tali eventi possono provocare a seconda delle tensioni in atto “terremoti sociali”, “orogenesi economiche”, “faglie tecnologiche”, ovvero la dinamica delle varie azioni e reazioni determina una trasformazione, una convergenza o una divergenza rispetto alle varie piattaforme economico-sociali.
Il ciclo produzione-consumo-smontaggio non più recepito completamente dalla forma della proprietà privata potrà eruttare con differenti modalità e configurazioni a seconda della geografia dei suoi margini.
Nel caso della produzione è evidente che il telelavoro modifica il concetto spaziale d’impresa, il recinto della proprietà privata manifatturiera, con la necessità di ridefinire lo spazio pubblico/privato, il privato/privato, mette insomma in discussione una delle forme sociali base del processo di valorizzazione: la fabbrica.
Nel caso del consumo abbiamo poi la forma più evidente di crisi, infatti proprio il simbolo stesso della forma del consumo capitalistico è in crisi: l’auto.
La proprietà privata dell’auto nega se stessa quando impedisce le funzioni chiave per cui è stata realizzata ovvero la libertà e l’autonomia.
È nella forma del consumo la crisi più profonda, in quanto si è esaurita una delle modalità più tradizionali di proprietà e cioè quella della “scatola di lamiera” chiamata auto.
La proprietà privata dell’auto nega la possibilità di consumo per il singolo proprietario, ovvero la quantità dei proprietari annulla la qualità delle sue prerogative.
Ah il buon vecchio Marx, e soprattutto il rivoluzionario, come sempre, capitalismo.
L’auto è l’emblema della crisi del rapporto fra proprietà e sviluppo capitalistico anche per quanto attiene la nuova fase della valorizzazione, una fase geneticamente nuova dall’angolo manifatturiero, intesa come ciclo dello smontaggio.
Qui si apre un capitolo strategico che attiene a quella che potremmo chiamare la s-valorizzazione o ri-valorizzazione del prodotto/merce attraverso il suo smontaggio.
L’analisi marxiana aveva messo a fuoco principalmente il processo costitutivo non la de-costruzione, mentre il capitalismo dovrà imboccare decisamente la determinazione industriale dello smontaggio.
La “memoria dei materiali” diventa il luogo dove si incrociano due grandi cicli dello sviluppo delle forze produttive, da un lato la retificazione e dall’altro l’industrializzazione dello smontaggio.
Oggi siamo giunti alla soglia di questo incrocio, come attraversarlo dipende da noi. Dipende dai soggetti sociali se trasformare questo incrocio in un tragitto di liberazione o una via al vincolo perenne.
Rete e smontaggio sono le premesse tecno-produttive per una radicale messa in crisi dell’attuale assetto proprietario: si tratta di interpretare chi trasformerà i vincoli in opportunità.
La lettura di queste aree di crisi diventa quindi il contesto entro cui cogliere il costituirsi di identità nuove, capaci di coniugare la globalità nell’azione locale.
Ripassiamo i luoghi dove si percepisce la tensione fra i margini e da questa lettura intravediamo le forme possibili dello sviluppo capitalista e del suo possibile pro-antagonista.
Infatti la capacità di intervento sulle reti e sulle montagne di cose che ci circondano è sempre più bassa e sempre più ampio, drammaticamente vasto il gap fra decisioni e tecno-struttura.
Il pericolo non viene tanto dal gap smisurato, quanto dall’inesistente rappresentazione del problema. Non c’è nessuna rivendicazione, nessun movimento, nessuna domanda di democrazia delle cose. Tutto è ancora affidato ad una visione funzionale ed astratta della scienza e della sua applicazione, basata sulla separazione degli ambiti, agli scienziati la natura, ai politici la società.
Ci avvolgono reti, cablature e sistemi wireless, ci sovrastano reti di trasporto e cicli del petrolio e della chimica, ci allagano la vita milioni di auto e di televisori, galleggia su un mare di rifiuti dalla sconfinata profondità la nostra isola del consumo.
È ora di aprire la democrazia alle cose, è ora di aprire il lavoro di riprogettazione collettiva delle forme oggettuali, delle interfaccia mediatiche e delle tipologie veicolari. Quanto interviene il ceto politico sulla memoria dei materiali? Poco o meglio nulla, mentre petrolio e plastica deformano pesantemente la nostra vita quotidiana. Quanto intervengono i cittadini sull’emissioni nocive e sui veleni nella nostra atmosfera? Poco o nulla, in ogni caso solo dopo l’emissione, nascono sforzi volti a contenere e a tamponare, non a progettare.
C’è un gap radicale, una discrasia sottile e profondissima, una frattura totale fra sistema tecno-scientifico e decisioni. Mancano le parole per descrivere tale profonda jattura fra gli effetti continui e pervadenti del sapere “morto” e l’atomizzazione del “sapere vivo”.
Basta per tutti gli altri problemi il contrasto esponenziale fra le risorse immense alimentate ogni anno per produrre 38 o 40 milioni di automobili e la vana e superficiale azione dei sindaci e degli amministratori rivolta ad arginare ex post questa valanga di lamiera e stupidità con qualche inconcludente brandello di corsie preferenziali.
È evidente che di deve spostare la democrazia sulla progettazione della mobilità, piuttosto che confinare la democrazia a discutere di effetti alla cui cause non è mai invitata a partecipare.
Ma oggi si apre un una crisi per molti prodotti il cui valore d’uso è negato dal loro stesso volume quantitativo. La crescita quantitativa si trasforma in cambiamento qualitativo delle funzionalità, per cui il sistema stesso è obbligato a ripensarsi. Nel 1961 c’erano in Italia 6 milioni di auto, oggi ne girano 32 milioni per le strade italiane,crescita dell’ordine di cinque volte. Non potranno essere 150 milioni nel 2020, per cui è evidente che si deve trasformare l’apparato produttivo che si è modellato su tale crescita. Sarebbe folle accettare tale dimensione tra produzione e crescita, ma questa relazione va ripensata e rimodellata su altri prodotti e servizi, trascinati dalle nuove funzioni per la mobilità.
Proprio la stasi dell'auto è il simbolo eloquente di questa dilemma fra bisogni e produzione ,infatti, per la prima volta, la proprietà privata non risponde allo sviluppo.
In tale vuoto naviga la macchina politica, sospesa fra vincoli non decisi e problemi da affrontare. O meglio scivola sempre sugli effetti enormi di processi non decisi, ma subiti.
È fra questi processi ne è apparso uno finalmente contraddittorio con il suo stesso fine e cioè lo sviluppo mondiale delle reti.
Si attrezza con la ‘retificazione’ del pianeta la prima grande opportunità di navigare non fra le reti ma fra vincoli tecnologici e democrazia. Si può finalmente spostare il tema del potere dal Palazzo d’Inverno all’Inverno.
Con l’avvento della seconda pelle digitale attorno al globo si manifesta per la prima volta la forma dell’intelligenza collettiva sotto le specie fisico-tecniche, per cui il ciclo dalla produzione al consumo sino al riciclaggio può essere veicolato attraverso questo “cyber general intellect”.
Si dipana lo svolgersi della forma tecnica dell’intelligenza collettiva, per la prima volta nella storia dell’umanità, attraverso una rete che esprimendo direttamente i rapporti fra gli uomini pone le basi per l’esplosione del feticcio della merce.
L’attuale dispositivo della proprietà privata emerge sicuramente come un vincolo per il completo sviluppo delle forze produttive rappresentate dalle reti, infatti l’immane sforzo volto alla difesa del copyright del software è la prova palpabile della sua debolezza. Altre sono le forme dello sviluppo, altra è la rappresentazione della democrazia che l'attuale dilatazione delle reti rende possibile e proponibile.
Compito del soggetto sociale è trasformare questo spazio opaco, questo luogo paludoso derivante dalla squartata immagine del mondo in un civile percorso per aprire la porta alla democrazia attraverso le cose, per far emergere la comunità implosa nella attuale groviglio tecnologico.
I percorsi, quindi, delle forme rivoluzionarie non saranno giacobine e da ghigliottina, ma fluiranno come marea attraverso i pori della rete spalancando attraverso la noosfera i dispositivi di olografia sociale, atti alla democrazia diretta.
Infatti le figure della valorizzazione, sia nella fase di produzione, sia in quella nuova, geneticamente nuova dello smontaggio, reclamano delle modalità costitutive che contraddicono alcune delle attuali morfologie della proprietà privata.
Da questa discrasia nasce una fase di instabilità che sta determinando le rotture e collisioni delle diverse “zolle capitalistiche”.
Tali eventi possono provocare a seconda delle tensioni in atto “terremoti sociali”, “orogenesi economiche”, “faglie tecnologiche”, ovvero la dinamica delle varie azioni e reazioni determina una trasformazione, una convergenza o una divergenza rispetto alle varie piattaforme economico-sociali.
“D’altro canto, il socialismo stesso sarà importante semplicemente perchè condurra all’individualismo”1, così Oscar Wilde sottolinea l’obiettivo centrale del socialismo come realizzazione dell’individualità rispetto ai vincoli della proprietà privata.
Vorremmo dire che più che bloccare lo sviluppo del socialismo l’attuale contesto della proprietà privata sta diventando un limite per il pieno sviluppo del capitalismo ovvero il processo di valorizzazione trova le barriere proprio nella forma in cui si esprime il dispositivo di comando insito nella proprietà privata.
Ci troviamo nella situazione che lo spazio “politico” del castello feudale esprimeva rispetto alla formazione delle reti del sapere e del commercio dei liberi comuni.
Infatti la diatriba Mercato/Stato in cui si esprime il dibattito politico rispetto anche al tema delle reti esclude completamente la novità della situazione, cioè lo sviluppo autonomo della socialità.
Sia destra che sinistra usano le categorie del “castello” per acchiappare una realtà che ne sta fuori.
Qui sta l’arcano della completa obsolescenza di numerose “maschere” politiche attuali, cioè l’insorgenza della socialità come luogo in cui i valori d’uso possono incontrarsi fra attori sociali invece che essere scambiati.
Vi sono le premesse attraverso la rettificazione globale (wireless o no, poco importa) per cui il rapporto relativo all’uso e soprattutto allo smontaggio dei prodotti venga regolato attraverso un “colloquio” fra produttori. O meglio spingendo al massimo le possibilità di “produttività collettiva” determinate dalle rete si imballa l’attuale motore politico e si aprono le possibili forme di “autovalorizzazione” del lavoro sempre create e nascoste dal processo capitalistico.
La forma esplicita quindi di una compiuta democrazia richiesta dall’attuale potenzialità delle forze produttive è quella dell’ologramma, cioè di un dispositivo “politico” dove da ogni punto del sistema si possa vedere ed interagire con tutti gli altri.
Questo è il livello da progettare per rispondere all’attuale innovazione rivoluzionaria del processo capitalistico, mentre il ceto politico, agente conservatore parla di presidenzialismo più o meno “italico” come nuova formula di guida fra globalizzazione e reti.
Si apre una fase costituente da parte dei soggetti sociali che pone la possibile traduzione della rete da tecno-oligarchia in tecno-democrazia, da potere mediatico in “Cyber-soviet”."