TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 28 settembre 2010

Un libro fatto di cose non dette e di silenzi


Continuiamo a parlare di Italo Calvino pubblicando la lettera con cui lo scrittore comunicava a Francesco Biamonti le sue impressioni sulla bozza de L'angelo di Avrigue ricevuta dal comune amico Nico Orengo. La pubblicazione del libro ebbe poi un iter tormentato. Calvino dovette superare forti resistenze all'interno del gruppo di lettura che doveva dare il parere definitivo. L'angelo di Avrigue uscirà solo due anni dopo e sarà ancora Calvino a scriverne la presentazione sulla quarta di copertina.

A FRANCESCO BIAMONTI
SAN BIAGIO DELLA CIMA (IMPERIA)

Roma, 21 ottobre 1981

Caro Signor Biamonti,

Nico Orengo mi ha dato il manoscritto del Suo romanzo L'angelo di Avrigue. L'ho letto con molto interesse, contento di trovare una personalità di scrittore nuova e inattesa.
La storia prende e non si ha voglia di smettere. La compenetrazione del paesaggio e dei drammi umani è molto suggestiva. La tensione dell'inchiesta sulla morte di Jean-Pierre si perde un po' appena si viene a sapere che il ragazzo aveva una malattia incurabile, perchè forse ci si aspettava un retroscena più complesso; ma forse questa è la soluzione che s'accorda meglio al tema della solitudine di ognuno, che domina tutto il romanzo. E' un libro in cui succedono molte cose ma che è fatto sopratutto di cose non dette e di silenzi: e ogni personaggio conserva il suo mistero.
Il lirismo del linguaggio ha la sua efficacia; qualche sbavatura qua e là magari si potrà correggere con piccoli ritocchi. Sopratutto nei dialoghi alle volte vengono delle battute un po' artificiose, mentre direi che proprio nei dialoghi dovrebbe regnare la massima naturalezza.
Quello che Lei vuole fare è una cosa molto difficile: dare al linguaggio la concretezza di un lessico molto preciso (nelle cose della campagna come nei nomi delle stelle) e insieme un alone di vibrazione lirica. Ma per farLe delle osservazioni più precise, a mio gusto Lei ripete un po' troppo le parole “sogno” e “chimere”; però ripensandoci comprendo che sono parole-chiave, l'elemento comune a tutti i personaggi. (Se ho ben capito, alle volte queste parole alludono alla droga, ma non sempre.)
Certo l'attrattiva che ha per me il Suo linguaggio è che sotto c'è sempre il nostro dialetto, ma questo possiamo apprezzarlo solo noi della zona, e per il pubblico credo che sarà indispensabile un glossario che spieghi che pianella sta per “cianéla” cioè piana, che sottana non vuol dire sottana, che ubago vuol dire all'ombra, ecc. ecc. e perfino che marina per noi vuol dire semplicemente mare. Anche il magaiu solo noialtri sappiamo cos'è; e non è nemmeno detto che nel resto d'Italia sappiano cos'è una fascia. (Ci sono poi anche dei termini che non capisco nemmeno io.) Comunque, questa è una grande qualità del Suo libro, d'essere scritto in una lingua così saporosa e radicata al suo terreno.
Suggestiva l'apparizione del pastore provenzale per il corto circuito nel tempo che provoca con le immagini del presente.
Quello che il Suo romanzo è riuscito a rappresentare, credo per la prima volta, è un'immagine della Liguria che comprende insieme la vita agricola dell'entroterra, dura e aspra e povera, e il modello di vita facile della Riviera che ora prende l'aspetto tragico della droga come consumo di massa.
Inoltre viene fuori molto bene la carica tragica che la frontiera porta con sé, con la morte del polacco e quella del giovane suicida. E questo è certo un tema letterario nuovo, inedito.
Il mio parere positivo non vuole ancora dire che il libro sia accettato per la pubblicazione da Einaudi. Devo farlo leggere anche ad altri consulenti e dal confronto tra i nostri giudizi verrà la decisione. Spero di saperLe dire qualcosa presto e La saluto esprimendoLe ancora la mia soddisfazione per la lettura.

Italo Calvino


(Da: Italo Calvino, Lettere 1945-1985, Mondadori 2000)