TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo.

Vittorio Alfieri
(1790)


martedì 1 maggio 2012

Mazzini Bakunin e la rivoluzione italiana




Giorgio Amico

Alle origini del socialismo italiano 
1. Mazzini, Bakunin e la rivoluzione italiana


Nonostante che fermenti di autonomia proletaria inizino a manifestarsi in Italia almeno dalla metà degli anni ’40 del XIX secolo e che uomini d’azione come Pisacane o pensatori come Giuseppe Ferrari rompano presto a sinistra col mazzinianesimo, prefigurando i lineamenti di una sorta di rudimentale socialismo risorgimentale, è solo parecchi decenni dopo e precisamente a partire dall’inizio degli anni ottanta che si intravvedono i primi concreti e organici tentativi di costruire un’organizzazione politica del movimento operaio capace di andare oltre l’azione cospirativa e insurrezionalista degli internazionalisti bakuniniani da un lato e l’intervento solidaristico delle società operaie di mutuo soccorso dall’altro. Fino ad allora il movimento rivoluzionario si era fondato sull’ attesa del tutto fideistica da parte degli anarchici di una imminente spontanea rivolta delle masse contadine del Sud, sulla incrollabile certezza di Bakunin e dei suoi seguaci italiani che la fortissima carica antistatale che fermentava nelle campagne meridionali sapesse da sola trasformarsi in un immane incendio rivoluzionario capace di travolgere l’ancora fragile impalcatura dello Stato post-unitario. 

Alla fine degli anni ’70 un decennio di rivolte disperate e di insurrezioni fallite stavano a testimoniare del’illusorietà di tali propositi. Gli scoppi violentissimi di collera popolare al sud, l’incendio dei municipi, la piaga endemica del brigantaggio, lungi dal provare la raggiunta maturazione delle condizioni della rivoluzione sociale, testimoniavano solo della progressiva inarrestabile disgregazione nelle zone più arretrate e povere del Paese di assetti sociali secolari. Disgregazione accelerata dalla riunificazione politica dell’Italia sotto il Piemonte sabaudo e dalla formazione di un mercato nazionale connotato da una estremo divario fra città e campagne e fra Nord e Sud. Contrariamente ai sogni di Bakunin, lungi dall’essere i segnali di un’incombente rivoluzione, i ricorrenti moti del Sud, con la loro assoluta mancanza di una qualunque carica progettuale ed il localismo esasperato, rappresentavano i tragici bagliori di un mondo al crepuscolo. All’estremo opposto, nel Centro-Nord si avviava ad esaurimento l’esperienza, peraltro assai significativa, del mutualismo operaio nata attorno agli anni ’40, inizialmente per mano di una borghesia radicale che tramite la filantropia ed un moderato riformismo intendeva tenere sotto controllo i ceti subalterni. 

Un fenomeno, quello delle SMS, tuttavia, capace almeno a partire dalla seconda metà degli anni ’60 di esprimere autonomi accenti di classe e di selezionare una prima generazione di quadri operai. Frutto di una lenta evoluzione delle antiche corporazioni di mestiere nella particolare situazione dell’arretratezza italiana, il mutualismo aveva accompagnato nelle città soprattutto del Nord la mutazione di un proletariato preindustriale prevalentemente artigiano, connotato dalla padronanza individuale di un “mestiere”, in una classe operaia di tipo nuovo, largamente omogenea per condizioni di lavoro e di vita, incentrata sul modello produttivo collettivo e standardizzato, per quanto i tempi lo permettessero, della fabbrica. Ora, con il progressivo crescere di tale moderno proletariato nelle nuove aree industriali della Valle del Po e la formazione nella Bassa Padana di un esteso proletariato agricolo la natura e il ruolo delle Società Operaie di Mutuo Soccorso erano inevitabilmente destinati a cambiare in profondità. 

Il ruolo egemonico giocato per almeno due decenni dai mazziniani sulla parte più radicale del movimento mutualistico, rappresentando del tutto specularmente all’azione dei bakuninisti tra le masse contadine del Meridione la manifestazione politica della particolare arretratezza italiana, era dunque destinato ad una rapida eclissi una volta che tale particolarità veniva progressivamente a sparire. Tanto diverse per le idee professate quanto profondamente simili per il ruolo oggettivamente svolto, le comunque grandi figure di Giuseppe Mazzini e Michele Bakunin simboleggiano all’estremo nella loro tragica inconcludenza le caratteristiche di un’epoca di transizione che poteva solo iniziare a porsi il problema della trasformazione rivoluzionaria non certo a risolverlo. 

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